mercoledì 29 agosto 2012

Una certezza di fronte ad ogni situazione: il martirio di San Giovanni Battista

Oggi è la testimonianza di un  uomo certo perchè unito a Dio.
Il Papa ci introduce al fatto che questo significa un rapporto forte con Dio.
Il rapporto è dato dalla preghiera.
Il santo è quindi un maestro di preghiera.
Ma che fortuna avere proprio il figlio di Dio dopo di Lui a donarci la preghiera per eccellenza, il vero ed unico prototipo di preghiera !
 


BENEDETTO XVI
UDIENZA GENERALE
Castel Gandolfo
Mercoledì, 29 agosto 2012

Il martirio di San Giovanni Battista
Cari fratelli e sorelle,
in quest’ultimo mercoledì del mese di agosto, ricorre la memoria liturgica del martirio di san Giovanni Battista, il precursore di Gesù. Nel Calendario Romano, è l’unico Santo del quale si celebra sia la nascita, il 24 giugno, sia la morte avvenuta attraverso il martirio. Quella odierna è una memoria che risale alla dedicazione di una cripta di Sebaste, in Samaria, dove, già a metà del secolo IV, si venerava il suo capo. Il culto si estese poi a Gerusalemme, nelle Chiese d’Oriente e a Roma, col titolo di Decollazione di san Giovanni Battista. Nel Martirologio Romano, si fa riferimento ad un secondo ritrovamento della preziosa reliquia, trasportata, per l’occasione, nella chiesa di S. Silvestro a Campo Marzio, in Roma.
Questi piccoli riferimenti storici ci aiutano a capire quanto antica e profonda sia la venerazione di san Giovanni Battista. Nei Vangeli risalta molto bene il suo ruolo in riferimento a Gesù. In particolare, san Luca ne racconta la nascita, la vita nel deserto, la predicazione, e san Marco ci parla della sua drammatica morte nel Vangelo di oggi. Giovanni Battista inizia la sua predicazione sotto l’imperatore Tiberio, nel 27-28 d.C., e il chiaro invito che rivolge alla gente accorsa per ascoltarlo, è quello a preparare la via per accogliere il Signore, a raddrizzare le strade storte della propria vita attraverso una radicale conversione del cuore (cfr Lc 3, 4). Però il Battista non si limita a predicare la penitenza, la conversione, ma, riconoscendo Gesù come «l’Agnello di Dio» venuto a togliere il peccato del mondo (Gv 1, 29), ha la profonda umiltà di mostrare in Gesù il vero Inviato di Dio, facendosi da parte perché Cristo possa crescere, essere ascoltato e seguito. Come ultimo atto, il Battista testimonia con il sangue la sua fedeltà ai comandamenti di Dio, senza cedere o indietreggiare, compiendo fino in fondo la sua missione. San Beda, monaco del IX secolo, nelle sue Omelie dice così: San Giovanni Per [Cristo] diede la sua vita, anche se non gli fu ingiunto di rinnegare Gesù Cristo, gli fu ingiunto solo di tacere la verità. (cfr Om. 23: CCL 122, 354). E non taceva la verità e così morì per Cristo che è la Verità. Proprio per l’amore alla verità, non scese a compromessi e non ebbe timore di rivolgere parole forti a chi aveva smarrito la strada di Dio.
Noi vediamo questa grande figura, questa forza nella passione, nella resistenza contro i potenti. Domandiamo: da dove nasce questa vita, questa interiorità così forte, così retta, così coerente, spesa in modo così totale per Dio e preparare la strada a Gesù? La risposta è semplice: dal rapporto con Dio, dalla preghiera, che è il filo conduttore di tutta la sua esistenza. Giovanni è il dono divino lungamente invocato dai suoi genitori, Zaccaria ed Elisabetta (cfr Lc 1,13); un dono grande, umanamente insperabile, perché entrambi erano avanti negli anni ed Elisabetta era sterile (cfr Lc 1,7); ma nulla è impossibile a Dio (cfr Lc 1,36). L’annuncio di questa nascita avviene proprio nel luogo della preghiera, al tempio di Gerusalemme, anzi avviene quando a Zaccaria tocca il grande privilegio di entrare nel luogo più sacro del tempio per fare l’offerta dell’incenso al Signore (cfr Lc 1,8-20). Anche la nascita del Battista è segnata dalla preghiera: il canto di gioia, di lode e di ringraziamento che Zaccaria eleva al Signore e che recitiamo ogni mattina nelle Lodi, il «Benedictus», esalta l’azione di Dio nella storia e indica profeticamente la missione del figlio Giovanni: precedere il Figlio di Dio fattosi carne per preparargli le strade (cfr Lc 1,67-79). L’esistenza intera del Precursore di Gesù è alimentata dal rapporto con Dio, in particolare il periodo trascorso in regioni deserte (cfr Lc 1,80); le regioni deserte che sono luogo della tentazione, ma anche luogo in cui l’uomo sente la propria povertà perché privo di appoggi e sicurezze materiali, e comprende come l’unico punto di riferimento solido rimane Dio stesso. Ma Giovanni Battista non è solo uomo di preghiera, del contatto permanente con Dio, ma anche una guida a questo rapporto. L’Evangelista Luca riportando la preghiera che Gesù insegna ai discepoli, il «Padre nostro», annota che la richiesta viene formulata dai discepoli con queste parole: «Signore insegnaci a pregare, come Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli» (cfr Lc 11,1).
Cari fratelli e sorelle, celebrare il martirio di san Giovanni Battista ricorda anche a noi, cristiani di questo nostro tempo, che non si può scendere a compromessi con l’amore a Cristo, alla sua Parola, alla Verità. La Verità è Verità, non ci sono compromessi. La vita cristiana esige, per così dire, il «martirio» della fedeltà quotidiana al Vangelo, il coraggio cioè di lasciare che Cristo cresca in noi e sia Cristo ad orientare il nostro pensiero e le nostre azioni. Ma questo può avvenire nella nostra vita solo se è solido il rapporto con Dio. La preghiera non è tempo perso, non è rubare spazio alle attività, anche a quelle apostoliche, ma è esattamente il contrario: solo se se siamo capaci di avere una vita di preghiera fedele, costante, fiduciosa, sarà Dio stesso a darci capacità e forza per vivere in modo felice e sereno, superare le difficoltà e testimoniarlo con coraggio. San Giovanni Battista interceda per noi, affinché sappiamo conservare sempre il primato di Dio nella nostra vita. Grazie.

domenica 26 agosto 2012

Unitá tra le forze cattoliche non divisione

Vittadini: «Accuse a Formigoni? Immotivate, grazie a lui milioni di persone stanno meglio»

Pubblichiamo alcuni stralci di un'intervista rilasciata da Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, a "Il Giorno", uscita oggi.

Le inchieste giudiziarie e ancora di più i viaggi forse a scrocco e certi atteggiamenti del governatore (Roberto Formigoni) hanno imbarazzato molti ciellini, compreso lei pare…
Mi sembra che lo stesso Formigoni abbia chiesto scusa, proprio qui a Rimini, per certi comportamenti discutibili.

Ma è vero che lei non voleva che Formigoni parlasse al Meeting?
Io volevo che Formigoni parlasse al Meeting del modello Lombardia, certo che sì.

Però magari non voleva che parlasse dei suoi guai giudiziari, delle preghiere per lui del Papa, degli attacchi quotidiani a chi lo accusa…
Passaggi infelici a mio avviso. Io sono suo amico da più di 30 anni e l'amicizia varrà per tutta la vita. Amico per me è chi ha coraggio di suggerire e correggere, senza abbandonare mai. Altrimenti è un connivente.

E da amico cosa gli suggerisce ancora?
Che ad attacchi rispetto al suo operare come amministratore pubblico non motivati nei fatti deve rispondere coi fatti, non con altre polemiche.

E cioè?
Premesso che io credo che l'inchiesta giudiziaria dimostrerà la sua innocenza sul piano penale, il migliore sfogo che Formigoni può fare è spiegare come grazie a lui e al suo buon governo in Lombardia milioni di persone stanno meglio.

Esagerato…
No, se vuole posso riempirle il giornale con dati e numeri verificabili.

Faccia un solo esempio…
La sanità, salasso dei conti italiani: in Lombardia costa il 4,7% contro il 7% che è il dato nazionale. E pensi – e qui sgretolo un luogo comune – che la Lombardia è settima tra le regioni per la presenza del privato, inferiore rispetto all'Emilia.

Senta, lei dice che Formigoni non è il capo politico di Cl,  ma allora chi è che comanda?
Cl è un movimento di educazione alla fede guidato da don Carron; le opere e la politica sono responsabilità di chi le fa, non del movimento, come invece capita in altre esperienze anche cattoliche.


Categorie: Interni
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Davvero l'uomo è rapporto con l'infinito: documentato da questo meeting

Meeting, ecco il titolo dell'edizione XXXIV: "Emergenza uomo"

Pubblichiamo il comunicato finale della XXXIII edizione del Meeting di Rimini che annuncia il titolo della manifestazione dell'anno prossimo.

"La considerazione dell'uomo come creatura […] – ci ha scritto Benedetto XVI nel suo messaggio autografo – implica un riferimento essenziale a qualcosa d'altro o meglio, a Qualcun altro" che "non solo non nasconde o diminuisce, ma rivela in modo luminoso la grandezza e la dignità suprema dell'uomo". Il Santo Padre ci ha invitato in apertura del Meeting a purificarci dai "falsi infiniti", di cui il cuore dell'uomo si riempie, per scoprire "la dimensione più vera dell'esistenza umana".

Una gratitudine e commozione che ci ha accompagnato lungo questi sette giorni: 98 incontri con 271 relatori, 9 mostre, 21 spettacoli, 800 mila presenze, da 40 paesi diversi. L'esperienza di queste giornate, i fatti accaduti, il popolo del Meeting, hanno mostrato che è possibile vivere questa dimensione dell'esistenza umana, testimoniando che il rapporto con l'infinito, al quale ogni uomo anela, non è questione spiritualistica per addetti ai lavori o per persone "pie", ma un fattore essenziale per vivere ogni aspetto della vita con verità.

"Nulla allora è banale o insignificante nel cammino della vita e del mondo. L'uomo è fatto per un Dio infinito che è diventato carne, che ha assunto la nostra umanità per attirarla alle altezza del suo essere divino", ha scritto ancora Benedetto XVI. Un infinito fattosi carne, presente in tutte le circostanze della vita: per questo tutto ci interessa, per questo ci siamo confrontati con personalità istituzionali e con uomini di altre culture e di altre religioni, come la compagnia libanese protagonista dello spettacolo inaugurale; per questo abbiamo proposto una lettura nuova di Dostoevskij, un modo nuovo di guardare al rock'n'roll, come accaduto in due delle mostre più seguite di questo Meeting. E poi la mostra "L'imprevedibile istante. Giovani per la crescita": ragazzi che hanno raccontato a migliaia e migliaia di persone che è possibile non lasciarsi abbattere dalle circostanze, ma rinascere e costruire in ogni momento, riscoprendo la natura profonda del proprio io come desiderio insopprimibile di bene.

Ancora una volta, negli spettacoli e negli appuntamenti dedicati alla letteratura e all'arte, abbiamo scoperto che sull' "aspirazione al bello che abita nelle profondità di ogni cuore umano", come ha detto l'artista libanese Ivan Caracalla, è possibile incontrarsi con chiunque. Alla politica abbiamo chiesto e chiediamo un'unica cosa, la libertà, cioè che non venga soffocata e ostacolata questa necessità dell'uomo di vivere all'altezza dei suo desideri e di costruire opere che siano "forme di civiltà nuova" (Giovanni Paolo II); un civiltà nuova che sono stati i 4000 volontari (750 durante il pre meeting, 3393 durante il Meeting): volti, facce, sguardi che hanno mostrato a tutti che spendersi per l'ideale realizza una pienezza umana. "E' nell'incontro con Gesù che emerge la nostra vera statura, la statura dell'uomo e del suo desiderio, di quella nostalgia di assoluto che percorre le culture umane", ha ricordato nell'incontro sul tema del Meeting Javier Prades.

Come accade ogni anno, in tanti hanno riconosciuto la ricchezza di questa esperienza e il suo valore come contributo al mondo: "un patrimonio di risorse e di energie indispensabile", ha scritto il presidente Napolitano nel suo messaggio. "Il Meeting è una scuola", ci ha detto un ospite, per imparare a essere uomini, per imparare che l'esperienza religiosa ha a che fare con tutta la vita, per imparare il rispetto per la funzione che il potere ha di costruire il bene comune, per imparare a uscire dal "bunker" dell'indifferenza, scoprendo che tutto, dalla libertà religiosa alle neuroscienze, dai problemi economici alle grandi questioni democratiche internazionali, c'entra con la vita dell'uomo.

Questa è la nostra strada, questo è il cammino che vogliamo continuare a percorrere, testimoniando ciò che abbiamo incontrato e che genera ciò che abbiamo visto in questi giorni. Nella società in cui viviamo è urgente l'esigenza di ridare un'identità chiara all'io, protagonista nella vita e costruttore di storia; per questo il titolo della XXXIV edizione del Meeting per l'amicizia fra i popoli, che si terrà dal 18 al 24 agosto 2013, sarà: "Emergenza uomo"


Categorie: Cultura
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martedì 21 agosto 2012

CIELLINO DAL 1961, PIDIELLINO CONVINTO, LAVORO PER UN CENTRODESTRA MODERNO

Noi condividiamo!!

CIELLINO DAL 1961, PIDIELLINO CONVINTO, LAVORO PER UN CENTRODESTRA MODERNO

Ciellino da mezzo secolo. Piedillino convinto ieri e oggi. Governatore della Lombardia fino al 2015. Roberto Formigoni, intervistato da Franco Bechis su Libero, racconta di sé dal Meeting di Rimini, dov'è presente dall'apertura di domenica scorsa. Lo fa mettendo a disposizione dei lettori il suo dna, i suoi valori, le sue battaglie presenti e future.

CIELLINO DA 51 ANNI
C'è anzitutto il Formigoni che ha incontrato don Luigi Giussani e ha fatto propria l'esperienza cristiana: «Sono un ciellino – spiega –. Ho incontrato il movimento nel 1951. Questa è la cosa che mi definisce e a cui non rinuncerei mai: un ciellino. Quando sono in politica cerco di fare il bene di tutti». Il popolo ciellino lo sa e – sottolinea a Bechis Formigoni – non ha mai avuto dubbi: «L'affetto che ho trovato entrando in sala (domenica scorsa) ha evidenziato anche ai giornalisti qual è la realtà. Conosco la mia gente, e soprattutto la mia gente conosce me da 50 anni. Non ha avuto dubbi su di me, perché sa chi sono».

17 MEETING E 14 AVVISI DI GARANZIA
Nessun calo di fiducia, pertanto, da parte della platea del Meeting nei riguardi di Formigoni. Del resto – racconta il governatore – «da quando sono presidente della Regione Lombardia la procura di Milano mi ha mandato 14 avvisi di garanzia. Da allora ho partecipato a 17 Meeting e 14 volte avevo un avviso di garanzia sul groppone. Che imbarazzo vuole che abbia il Meeting? Ci hanno fatto il callo ormai».

UNA MONTAGNA DI ACCUSE
Gli attacchi portati avanti negli ultimi mesi contro Formigoni rivelano, tuttavia, una violenza inaudita. Lo riconosce lo stesso presidente della Lombardia: «In questi mesi è stata rovesciata su di me una montagna di accuse, sono stati raccontati episodi falsi o falsificati che avrebbero ammazzato un bufalo. Ma non hanno ammazzato Formigoni. Perché la gente credeva al Formigoni che avevano conosciuto e non a quello dipinto». Il popolo lombardo – aggiunge – «sa chi sono, mi ha guardato negli occhi mille volte, mi ha incontrato molte volte: sono uno che non si risparmia. La gente crede a quello che vede».

STENTATA LA FASE DUE DI MONTI
Il compito di Cl non è fare politica, ma l'educazione di un uomo alla libertà e alla responsabilità. Non è un'affermazione dell'oggi ma di sempre. E proprio con libertà di giudizio la platea di Cl ha ascoltato l'intervento di Mario Monti con cui si è aperto il Meeting: «Il Governo Monti ha avuto un primo tempo, è stato efficace nel mettere in sicurezza i conti – commenta Formigoni a proposito della non calorosissima accoglienza riservata al premier domenica –. E poi un secondo tempo della costruzione e della crescita, che stenta a venire. Forse Monti era obbligato a dire quello che ha detto e a non dire quello che ci si aspettava da lui». Circa l'orientamento alle elezioni future, il giudizio sarà ancora una volta laico: «Dove troviamo le cose a cui noi crediamo (valori irrinunciabili, sussidiarietà, famiglia…)? Li abbiamo trovati nel centrodestra. Talvolta scegliendo il male minore. Ma scegliendo. Sarà ancora così alle prossime elezioni. Ma è evidente la delusione del nostro mondo nei confronti dei ben pochi risultati dell'ultimo governo di centrodestra».

PRESIDENTE FINO AL 2015
Se l'orientamento politico dei ciellini è chiaro, altrettanto chiaro è l'impegno politico di Formigoni: «Vorrei governare la Regione Lombardia fino al 2015 – dichiara a Libero –. Se lasciassi prima, sarebbe una resa. Continuerò a essere un militante del Pdl o di quel che verrà dopo il Pdl. Mi batterò per un centrodestra moderno, convinto ancora che bisognerebbe costituire qui quello che è il Ppe in Europa».


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» La domanda di Don Camillo: bisogna salvare il seme / Maurizio Lupi | Sito Ufficiale

La domanda di Don Camillo: bisogna salvare il seme

crisi meeting ripresa

L'incontro a cui ha partecipato anche Mario Monti, ha preso le mosse dalla mostra del Meeting "L'imprevedibile istante. Giovani per la crescita". L'ho visitata e vi trasmetto la conclusione

La crisi, l'ho sempre detto, pur nella sua drammaticità, può essere vissuta come una grande occasione. Di fronte ad essa possiamo subire o reagire. In ogni caso la crisi costringe a tornare alla verità della nostra esperienza umana.

Questa mostra propone tanti esempi di persone che hanno risposto positivamente e con intrapresa. Perchè anche se tutto sembra andare male, bisogna sapere cosa salvare.

Occorre salvare il seme, di questo umano come diceva il Cristo nel racconto di Guareschi: "Signore: la gente paventa le armi terrificanti che disintegrano uomini e cose. Ma io credo che soltanto esse potranno ridare all'uomo la sua ricchezza. Perchè distruggeranno tutto e l'uomo, liberato dalla schiavitù dei beni terreni, cercherà nuovamente Dio. E lo ritroverà e ricostruirà il patrimonio spirituale che oggi sta finendo di distruggere. Signore, se questo è ciò che accadrà, cosa posiamo fare noi?" Il Cristo sorrise. "Ciò che fa il contadino quando il fiume travolge gli argini e invade i campi: bisogna salvare il seme. Quando il fiume sarà rientrato nel suo alveo, la terra riemergerà e il sole l'asciugherà. Se il contadino avrà salvato il seme, potrà gettarlo sulla terra resa ancor più fertile dal limo del fiume, e il seme fruttificherà, e le spighe turgide e dorate daranno agli uomini pane, vita e speranza". Quel seme che fiorisce per chi, come noi crede nella fede e lo rende fecondo: "Bisogna salvare il seme: la fede. Don Camillo, bisogn aiutare chi possiede ancora la fede a mantenerla intatta". (G. Guareschi, Don Camillo, Rizzoli, Milano 1994)

Per chi si fosse perso questo incontro di domenica, segnalo che il video integrale è visibile a questo indirizzo.



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» Appello a Monti: basta tagli alla virtuosa Lombardia / Maurizio Lupi | Sito Ufficiale

Sano nordismo cattolico?!
Pensiamo di sì

Appello a Monti: basta tagli alla virtuosa Lombardia

Regione Lombardia logo

Con amici e colleghi abbiamo sottoscritto un appello per chiedere al Governo un ripensamento riguardo ai tagli lineari che mettono sullo stesso piano regioni virtuose e non

Ecco il testo dell'appello che ho sottoscritto:

Chiediamo un deciso ripensamento da parte del governo, l'abbandono della politica dei tagli lineari per passare, con autorevolezza, a una politica di merito e di valutazione della virtuosita' dei bilanci e della spesa delle regioni.

Il nostro impegno nelle aule parlamentari sara' proprio all'insegna di questo proposito: abbandono dei tagli lineari, guardare agli investimenti e favorire chi amministra in modo efficiente e trasparente. Sostenere la ripresa economica partendo proprio dalle regioni maggiormente virtuose e in grado, come la Lombardia, di far ripartire il 'Sistema Paese'".

Tra i firmatari, Maurizio Bernardo, Mariella Bocciardo, Luigi Casero, Elena Centemero, Massimo Corsaro, Riccardo De Corato, Renato Farina, Paola Frassineti, Maurizio Lupi, Antonio Palmieri e Raffaello Vignali. "Diciamo basta la Regione e i cittadini lombardi non possono essere ulteriormente soggiogati ne va della tenuta democratica e sociale del Nord e di tutto il Paese.

La Regione Lombardia non ha mai avuto richiami o provvedimenti sulla gestione del bilancio e delle risorse, adeguando il proprio strumento di programmazione alle recenti disposizioni governative sulla omogeneita' dei bilanci. E' un grave errore politico e di buona amministrazione mettere sullo stesso piano la Lombardia con altre regioni che virtuose nella spesa non lo sono di certo.



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MONTI AL MEETING/ Vittadini: l'Italia? È come nel '48

Ci interessa questo giudizio realista sulla politica di Monti e il ruolo del cattolico adesso.
Sembra in linea con una giusta posizione aconfessionale che anche don Sturzo ha sempre consigliato.
Non sappiamo che inquadramento partitico da suggerire ma riteniamo che il miglior criterio di sempre sia quello del rapporto di amicizia con gente più avanti a noi , che ci offrono uno sguardo più umano nelle vicende della vitA 

MONTI AL MEETING/ Vittadini: l'Italia? È come nel '48

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MONTI AL MEETING/ Vittadini: l'Italia? È come nel '48
MONTI AL MEETING/ Vittadini: l'Italia? È come nel '48

Giorgio Vittadini

domenica 19 agosto 2012

«La crescita non nasce innanzitutto dalle politiche economiche e dalla programmazione, ma dalla valorizzazione dell'io in azione», così il professor Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la sussidiarietà ci introduce ad uno dei temi fondamentali del Meeting, che culmina con la visita odierna del presidente del consiglio Mario Monti.

 

Da che cosa nasce l'idea della mostra "L'imprevedibile istante. I giovani per la crescita"?

 

La mostra si colloca sulla scia del lavoro svolto l'anno scorso sui "150 anni di sussidiarietà" che metteva in luce la virtuosa "anomalia italiana", la capacità di iniziativa di tanti "io" che dal basso e liberamente, motivati da ideali diversi, hanno dato vita a iniziative in risposta ai bisogni personali e di tutti, superando ogni crisi. Oggi vogliamo dimostrare che per rimettere in moto il Paese, prima di ogni politica economica c'è da considerare il soggetto del cambiamento: ogni singola persona che è sempre più grande delle circostanze in cui si trova. E quindi che il motore di un nuovo sviluppo capace di progettare il futuro del Paese non può che consistere nel liberare creatività, desideri, spirito di iniziativa, cioè rispettare il principio di sussidiarietà. Attraverso video, grafiche, animazioni, racconteremo moltissime esperienze nate da "imprevedibili istanti", momenti in cui dei giovani, nella scuola, in università e nel mondo del lavoro hanno deciso di non lasciarsi trascinare dal flusso delle cose e hanno preso iniziativa seguendo con tenacia e creatività un'intuizione che li ha portati a esplorare soluzioni nuove nell'affronto dei problemi. L'inizio della crescita non è la programmazione, ma la valorizzazione dell'io in azione.

 

Perché all'incontro di presentazione della mostra è stato invitato il presidente Monti?

 

Monti è stato chiamato a far fronte a un'emergenza nazionale dopo che il centrodestra non è riuscito né a contrastare la crisi né a fare la rivoluzione liberale che molti auspicavano, sprecando il grande consenso elettorale ottenuto; e il centrosinistra ha più volte fallito per i suoi contrasti interni e il suo vetusto statalismo spacciato per progressismo. Così oggi l'Italia rischia seriamente di andare in serie B, dilaniata dal debito pubblico e dalla mancanza di crescita: il governo Monti sta cercando di invertire la rotta su questi due temi. E a proposito della crescita, credo sia importante che il presidente veda questi esempi di giovani che non si danno per vinti ma sono propositivi e costruttivi e quindi offrono preziose indicazioni sulla strada di un nuovo sviluppo. Vale il detto di Guareschi che abbiamo ripreso nella mostra: "salvare il seme". Così si innesca un nuovo sviluppo.

 

Lei che sarà sul palco, cosa dirà al presidente?

 

Cercheremo di documentare come la strada per lo sviluppo non possa che essere quella della sussidiarietà e che la mancanza di crescita dipende infatti innanzitutto dai troppi lacci e laccioli che caratterizzano il sistema italiano, simboleggiati nella mostra dai "prigioni" di Michelangelo: lo statalismo contro l'autonomia della scuola pubblica e contro la parità delle scuole libere sembra giustificarsi per creare uguaglianza delle opportunità ma finisce in realtà per discriminare i poveri ed è contro il merito. Analogamente, la mancanza di competizione tra università (come avviene nei Paesi anglosassoni) fa si che i soldi siano distribuiti a pioggia, che molte sedi universitarie siano inadeguate e che la selezione sia sul reddito non sul merito (dopo cinque anni dalla laurea i figli dei ricchi fanno i lavori più qualificati). E terzo, nel mondo del lavoro si continua a confondere precariato con flessibilità difendendo altresì i privilegi clientelari di alcuni: così si ostacola l'inserimento dei lavoratori più giovani. In questo contesto vanno collocati gli esempi virtuosi citati, esperienze nate da "imprevedibili istanti" in cui dei giovani hanno deciso di non lasciarsi trascinare dal flusso delle cose e hanno preso iniziativa seguendo con tenacia e creatività un'intuizione che li ha portati a esplorare soluzioni nuove nell'affronto dei problemi. Occorre una svolta sussidiaria e solidale che rompa lacci e laccioli perché il loro esempio diventi un tentativo che contagi tutti.

 

Qual è il giudizio di questi primi nove mesi di governo Monti?



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lunedì 13 agosto 2012

Fwd: Lo Straniero - Il blog di Antonio Socci



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Inizio messaggio inoltrato:

Da: lo Straniero <antonio.socci.web@gmail.com>
Data: 13 agosto 2012 09:03:02 CEST
A: mpoloni@yahoo.com
Oggetto: Lo Straniero - Il blog di Antonio Socci

lo Straniero

Lo Straniero - Il blog di Antonio Socci


IL DISASTRO DEI CATTOLICI IN POLITICA (avremo un Meeting colonizzato dalla tecnocrazia finanziaria al potere? O il grido di libertà del popolo ciellino si farà sentire?)

Posted: 12 Aug 2012 01:27 AM PDT

"E' doveroso che, nella vita pubblica, i cattolici siano sempre più numerosi", ha affermato il cardinale Bagnasco, presidente della Cei. Infatti i giornali di ieri hanno titolato: "Bagnasco: più cattolici in politica".

DI PIU' ?

Ma siamo sicuri che manchino? A me pare che tutti si dicano cattolici. Dagli ultradestri di Forza Nuova ai comunisti Vendola e Crocetta, da Tonino Di Pietro a Silvio Berlusconi, da Monti a Tremonti, da Rosy Bindi a Maurizio Gasparri e Carlo Giovanardi, da Leoluca Orlando a Raffaele Lombardo o Totò Cuffaro, dall'ex pannelliano ed ex verde Rutelli al post-socialista Sacconi, dall'ex radicale Roccella al caso politico del momento, il sindaco Renzi, dall'ex musulmano Magdi Allam a Borghezio, dalla Binetti a Ignazio Marino, da Mantovano a Buttiglione, perfino da Prodi a Sgarbi (che mi pare si dica cattolico).

E' il caso di dire: troppa grazia…

Uno dei pochi a dirsi pubblicamente ateo (abbracciando le battaglie laiciste), Gianfranco Fini, con coerenza tutta finiana ambisce ad essere tra i fondatori della "Cosa Bianca", cioè il nuovo raggruppamento cattolico. Le cui colonne – a difesa del valore della famiglia – oltre a Fini, sarebbero Casini e Passera (non è divertente?).

Mentre per l'altro pilastro – quello dello stato sociale (rivendicato da Olivero delle Acli, un altro dei fondatori, insieme al cislino Bonanni) – il Corriere suggerisce il nome di Emma Marcegaglia, notoriamente paladina degli operai e della dottrina sociale della Chiesa.

A sintesi di tutto – valore della famiglia e valori sociali – sempre secondo il Corriere c'è Luca Cordero di Montezemolo, che è davvero un simbolo vivente, per le masse cattoliche, di devozione e di battaglie per la famiglia e la giustizia sociale…

Il tutto in alleanza con il duo Bersani-Vendola che – di fronte alla grande emergenza economica del Paese – come prima idea ha lanciato quella delle "unioni gay" (la cosa che, come si sa, più sta a cuore agli operai e alla casalinga di Voghera).

Ma oltre alla "coerenza di valori", nella futura alleanza fra Cosa bianca e sinistra c'è anche un'ammirevole coerenza politica e programmatica.

Perché mentre il nuovo centro di Casini intende rappresentare il "partito di Monti", per riportare il tecnocrate a Palazzo Chigi dopo il 2013, il duo Bersani-Vendola con cui si allea è dichiaratamente "contro Monti" (Vendola-Fassina) e "per superare Monti" (Bersani). Come si vede: poche idee, ma molto confuse.

Non è chiaro poi cosa abbiano a che fare i cattolici con la tecnocrazia finanziaria rappresentata da Monti, da sempre contrapposta alla Chiesa (già Pio XI, nella "Quadragesimo anno", tuonava contro l' "imperialismo internazionale del denaro").

I PALETTI DELLA CHIESA

E' evidente allora che la richiesta di Bagnasco in realtà non riguarda il numero di politici cattolici. Ma la qualità e la loro direzione di marcia.

Probabilmente il suo intervento è stato provocato dal crollo del centrodestra il cui governo per la Chiesa fu perfino più favorevole di quelli della Dc.

Alla Cei e anche alla Segreteria di Stato vedevano assai di buon occhio la leadership e la candidatura di Alfano, che speravano si alleasse con l'Udc, ma poi tutto è naufragato.

Così Bagnasco ha riproposto i fondamenti di una seria presenza politica dei cattolici: i valori non negoziabili come base e i valori sociali come sviluppo. Ha posto dei paletti preventivi.

Perché la cosiddetta "Cosa bianca" non sembra nascere alla scuola del magistero Wojtyla-Ratzinger, né in continuità con la tradizione democristiana, ma sull'equivoca "operazione Todi", uno degli episodi più umilianti di subalternità culturale e politica dei cattolici ai salotti laicisti del "Corriere della sera" (i più accanitamente anticattolici).

DA DON STURZO A DON LURIO

E' pur vero che a Todi, Bagnasco fece un ottimo intervento per bocciare l'intenzione dichiarata del "Corriere" – gran burattinaio del convegno – di condannare l'epoca Ruini.

Ed è vero che lo stesso Bagnasco ribadì la centralità dei "valori non negoziabili" come base anche per una sana politica sociale (lo ha ripetuto in queste ore).

Tuttavia a Todi non ha prevalso la linea Bagnasco, ma quella del Corriere. Infatti l'evento è poi servito per le manovre politiche che hanno portato al potere Monti, Passera e Riccardi.

E non è mai stato ufficialmente sconfessato dalla Cei (solo a mezza bocca). "Avvenire" sembra talora l'organo ufficioso di Riccardi, dell' Udc e di Monti.

Del resto a Todi non si sono viste idee, ma solo le ambizioni di tanti personaggi in cerca di notorietà o di poltrone. Insomma un balletto politichese. Cosicché la "cosa bianca" che nasce da lì non sarà all'insegna di don Sturzo, ma casomai di don Lurio.

Quello che è successo da Todi in poi pone anche un altro problema. Ieri, sul "Corriere", il presidente delle Acli, Andrea Olivero, ha sostenuto che è finita la "supplenza" esercitata dai vescovi, in politica, dopo la fine della Dc.

Poi ha aggiunto: "proseguire su una strada simile, significherebbe tradire la linea del Concilio e la responsabilità del laicato in politica".

Vero. Ma non è ancora più fondamentalista e anticonciliare il diretto coinvolgimento di associazioni ecclesiali nell'agone politico, come è accaduto a Todi?

E che dire poi della nomina a sottosegretario dell'ambizioso Riccardi, definito da tutti "fondatore della Comunità di S. Egidio"?

Ce la vedete voi Chiara Lubich a sgomitare per avere un posto da sottosegretario o da ministro?

Si tratta di capire se la Comunità di S. Egidio è un soggetto ecclesiale (e allora sembra inopportuno che il suo fondatore corra da politico), o da sempre è un soggetto politico (ma allora si smetta di considerarlo movimento ecclesiale).

Del resto a Todi c'erano anche altri movimenti ecclesiali (quasi tutti) dunque è stata davvero la débacle della laicità proclamata dal Concilio. Mancava – opportunamente – Comunione e liberazione, ma c'era la Compagnia delle opere.

IL CASO CL

E proprio CL è l'altro enigma che sconcerta i vescovi. Il movimento di don Giussani infatti è sempre stato la realtà ecclesiale più vivace, coraggiosa, culturalmente consapevole e socialmente creativa.

Negli ambienti della Cei però, dopo la morte di don Giussani, hanno la sensazione di assistere a un ripiegamento intimistico che sta portando CL proprio a quella "scelta religiosa" di cui Giussani – poi con Giovanni Paolo II e Ruini – fu il più strenuo avversario.

Alla Cei guardano con preoccupazione sia il diminuito slancio missionario, sia la vistosa ritirata del movimento dalla sua tradizionale presenza negli ambienti giovanili e di lavoro, nella vita pubblica, nel mondo della cultura, della scuola e delle iniziative sociali.

Del tutto incomprensibili, alle gerarchie, appaiono poi i segnali sulla politica.

Dall'intervista al "Corriere" del 20 gennaio di don Carron (attuale responsabile del movimento) in cui si annunciava che non esistono politici di CL, alla lettera dello stesso Carron a "Repubblica", interpretata da tutti non solo come uno storico siluramento di Formigoni (con tutto quel che rappresenta), ma pure come un'immotivata colpevolizzazione di CL, per di più sulle colonne del giornale da sempre più ostile al Movimento e alla Chiesa.

E poi dall'apoteosi di Napolitano al Meeting dell'anno scorso (con tanto di mostra risorgimentale che buttava al macero quarant'anni di elaborazione culturale ciellina), all'apertura del Meeting di quest'anno affidata al premier Monti, presentato da Vittadini, con un seguito di conferenze per ben sette ministri, Passera incluso (il Papa ha deciso di non andare).

Sarà inevitabile dunque la strumentalizzazione politica del Meeting. E diventeranno più vistose le divisioni interne già presenti sia sul caso Formigoni-Simone, che sul recente attacco di Giorgio Vittadini a Maurizio Lupi in quanto berlusconiano (Vittadini invece è indulgente col governo Monti).

In questa confusione i cattolici rischiano di diventare le foglie di fico di poteri e ideologie diverse. Perdendo ogni originalità e identità.  

 

Antonio Socci

Da "Libero", 12 agosto 2012

Per discuterne vedi Facebook: "Antonio Socci pagina ufficiale"

sabato 11 agosto 2012

L'Osservatore Romano, I gioielli della corona

Capiamo molto bene in questa intervista il concetto di memoria come facoltà unita all'identitá della chiesa e di ogni uomo.
Interessante il parere circa l'immagine come di un amico che ha il libro cartaceo.

I gioielli della corona

A colloquio con l'arcivescovo Jean-Louis Bruguès, archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa

Dal «ministero del futuro» al «dicastero della memoria»

Un popolo che perde la sua memoria storica si espone a una pericolosa amnesia e vede allontanarsi  la possibilità di progredire verso il futuro.Salone Sistino della Biblioteca Apostolica Vaticana Per questo «la Biblioteca Apostolica e l'Archivio Segreto Vaticano sono da considerare come  i gioielli della corona della Chiesa». Ne è convinto  l'arcivescovo Jean-Louis Bruguès, recentemente nominato da Benedetto XVI  archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa. «Ritengo la memoria  fondamentale per costruire solide basi per il futuro» spiega in questa intervista rilasciata al nostro giornale l'ex segretario della Congregazione per l'Educazione Cattolica, al quale dal 26 giugno, è stato affidato il nuovo incarico. «E lo è a maggior ragione — prosegue — se la memoria di cui si parla è quella della Chiesa». Ecco perché parla di «gioielli»: a essi «sono affidati  non solo la conservazione dell'antica  identità della Chiesa,  ma anche lo slancio per il suo futuro». 

Dopo i cardinali Tisserant e Tauran, un francese torna a capo della Biblioteca Apostolica Vaticana. Una sorta di continuità nella tradizione?

Se i miei calcoli sono giusti, a partire dal 1550, da quando cioè il titolo entrò in uso con il cardinale Marcello Cervini, divenuto poi Papa nel 1555, io sono il 47° archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa. Se si guarda la lunga lista dei miei predecessori, che abbraccia  quasi sette secoli,  si nota la schiacciante maggioranza di italiani. Ma l'espressione italiana è giusta? Prima dell'unificazione della penisola, i cardinali di Venezia,  Firenze,  Napoli, Milano potevano essere chiamati italiani? Questa è una questione che lascio agli storici. In questa lunga lista appaiono alcuni nomi non italiani: un inglese, un tedesco, un austriaco, 2-3 spagnoli, a seconda che si consideri uno nato in Italia però da famiglia iberica, e tra questi tre un catalano. Poi troviamo tre francesi prima di me. Io sono quindi il quarto. Considerando i percorsi personali di ognuno di questi quattro sono molto differenti. Il primo francese, che si chiamava Jean-Baptiste Pitra, già il nome è un po' italiano, è stato bibliotecario tra il 1869 e il 1882. Era un monaco della congregazione benedettina di Solesmes, nata qualche anno prima. Era uno storico, ma ha giocato un ruolo assai importante durante il concilio Vaticano I. Il secondo è il cardinale Eugène Tisserant che era piuttosto uno specialista di lingue orientali antiche, e il terzo Jean-Louis Tauran, diplomatico di alto livello. Si può parlare di tradizione di quattro persone francesi così differenti? Forse sì.   Quello che accomuna noi francesi, pur avendo conosciuto itinerari diversi,  credo sia la preoccupazione dell'umanesimo, una certa ricerca letteraria e un certo gusto, si potrebbe anche dire curiosità, per il fatto politico e l'evoluzione delle idee.

C'è un aspetto che l'ha colpita particolarmente nella figura del cardinale Tisserant, definito da Paolo vi «grande talento», «energia poderosa»?

Quando sono stato nominato bibliotecario ho ricevuto in dono un libro sul cardinale Tisserant e ho notato che c'era in lui la preoccupazione di unire la ricerca scientifica, la più scrupolosa possibile, a un interesse per gli avvenimenti che ha vissuto durante la sua esistenza. Non tutti i francesi presentano questo grande talento e questa energia; ma in lui è manifesta. Ha avuto una vita straordinaria, perché ha conosciuto da vicino, e  le descrive nei suoi scritti, due guerre mondiali, la crisi del modernismo, l'apogeo dei sistemi coloniali e la loro scomparsa. È stato presente a tre conclavi e ha giocato un ruolo di primo piano nel concilio Vaticano ii. È stato una grande personalità all'altezza dei grandi avvenimenti che ha conosciuto.

La Biblioteca Apostolica Vaticana è un'immensa miniera anche per le  catechesi.

Quando il Papa mi ha ricevuto per affidarmi il nuovo incarico  mi ha detto una frase che mi ha fatto riflettere. Mi ha confidato che prima di diventare Papa aveva un sogno. Era quello di andare alla Biblioteca come bibliotecario e archivista. Un sogno, mi ha detto, che avrebbe voluto ora  realizzare attraverso di me. Non mi ha detto come. Il mio impegno ora è cercare di capire come possa io realizzarlo. Quando si guarda alla ricchezza e alla potenza delle catechesi del Papa — si tratti delle udienze del mercoledì o delle prediche, per non parlare dei suoi altissimi discorsi, come  per esempio quelli a Ratisbona, a Londra o al Parlamento federale di Germania — non si può non immaginare che quest'uomo, così portato per la catechesi, non abbia pensato ad un legame diretto con  la Biblioteca.

Qual è la natura di questo legame?

Mi sono posto questa domanda e mi sono detto: deve essere come la chiglia della barca, che non si vede. In effetti poche persone riescono a vederla.  Così è per la Biblioteca: sono in pochi,  a parte gli specialisti, a conoscerla, a capire  la mole di lavoro  che si svolge nella Biblioteca e negli Archivi. Sono proprio queste istituzioni  che permettono alla barca della Chiesa di restare a galla e di avanzare. Se non ci fosse la chiglia, la barca sarebbe sottoposta ai venti dottrinali  di qualsiasi natura o alle mode. È questa chiglia che dà all'opera catechetica della Chiesa e all'insegnamento la sua profondità. Se posso usare le parole di Simone Weil, è quella che permette alla missione educativa della Chiesa di ricevere tutti i doni della grazia. Il mio predecessore, il cardinale Raffaele Farina, amava ripetere che la memoria è un elemento essenziale della missione della Chiesa.

 Cosa rappresenta per lei la memoria?

Sono arrivato a una doppia convinzione. La Chiesa è la più antica istituzione dell'umanità. È più vecchia delle università, delle città e dei sistemi politici. E dunque la sua memoria non è solo propria, ma è di una buona parte dell'umanità.  Ecco perché la Biblioteca ha per natura una vocazione universale. Non è solo un luogo dove si deposita, ma è anche un mezzo  per far beneficiare del suo tesoro la più grande parte dell'umanità.  A proposito di tesori,  il Papa mi ha confidato di considerare la Biblioteca  uno strumento meraviglioso. Allora ho capito che i fondi della Biblioteca e dell'Archivio sono come i gioielli della corona della Chiesa.  La Chiesa fa spesso, se non essenzialmente, memoria.  Occorrono però gli strumenti per farlo. E  proprio attraverso la Biblioteca e l'Archivio la Chiesa si è data gli strumenti per la sua memoria e per quella di buona parte dell'umanità. La seconda convinzione è ancora più radicata nella mia mente: quando una persona anziana perde la memoria, non sa più come orientarsi nell'esistenza. La memoria è la condizione dell'identità e, di conseguenza, del futuro. Chi perde la memoria perde la possibilità di orientarsi. È vero per gli individui, ma è vero anche per le società e le istituzioni. Una società che smarrisce la sua memoria a seguito di un incidente storico, o volontariamente per delle ragioni ideologiche, è in realtà una società che si stacca dal proprio avvenire. Perciò considero con molta pena che le materie della memoria — penso in particolare alla cultura generale, ma anche alla storia — stiano sparendo dalle scuole e dall'università. Credo che la nostra società si esponga a una grande crisi di amnesia e di conseguenza sia impossibilitata a progredire. La memoria è la condizione di ogni progresso sociale.

In una società in cui le nuove tecnologie stanno prendendo sempre più campo, come vede il futuro del libro?

Quando arriverò alla Biblioteca vorrei prima di tutto incontrare quanti vi lavorano, ma anche comprenderne le dimensioni tecniche. Non credo proprio che l'apparizione delle nuove tecnologie di comunicazione possano un giorno sopprimere il libro e rimpiazzarlo. Il libro per sua costituzione è come un amico. Come qualcuno che si può consultare, che si può toccare, e perfino sentirne l'odore. È qualcosa che riposa dove noi vogliamo, che non cambia molto di aspetto fisico e che si tiene a nostra disposizione. Tutto ciò non possiamo farlo con i nuovi mezzi di comunicazione. Dunque il libro è un amico e credo che l'umanità avrà sempre bisogno di un amico simile, perché il libro è la nostra vita intima.

Vista la sua esperienza nel dicastero dell'Educazione Cattolica ritiene  la Biblioteca uno strumento per  educazione?

Quando il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, mi ha chiamato per comunicarmi  la data della mia nomina, mi ha fatto notare che c'è un legame diretto tra la missione del  segretario della Congregazione per l'Educazione Cattolica e la Biblioteca e l'Archivio: proprio quello della memoria. Fino a ora, ho avuto la fortuna e la possibilità di lavorare in quello che spesso chiamavo, il ministero del futuro, perché lavorando con i giovani si lavora al futuro e alla speranza. Adesso arrivo al dicastero della memoria. Qual è il legame tra le due realtà? Le nostre scuole, un po' dappertutto nel mondo, sono soggette a pressioni molto forti, lo si vede nelle università. Si vorrebbe che rispettassero le leggi del mercato e fossero prima di tutto strumento di formazione professionale. In pratica, chi esce dalle università deve essere immediatamente impiegabile sul mercato. Ecco  il pericolo di strumentalizzazione che si corre nei sistemi ultra liberali. La scuola è un'altra cosa. È quella che permette al bambino di crescere, di svilupparsi, di prendere coscienza di quello che è e di quello che può fare. C'è tutta una dimensione di formazione umana, fisica, intellettuale e spirituale che deve essere assicurata dalle scuole e dalle università.  Occupandomi d'ora in poi di questo ministero della memoria continuerò  a difendere la causa della dimensione umanistica al servizio dell'uomo, dell'educazione, delle scuole e delle università.

La attendono nuove sfide quindi?

 Arrivando in Vaticano, circa  quattro anni e mezzo fa, mai avrei pensato che un giorno sarei  diventato archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa. Concluso il  noviziato dei domenicani, il maestro alla fine del corso, mi disse che per il futuro potevo scegliere  sia l' insegnamento sia l'attività  di governo. Mi sono reso conto  nel corso della vita, di averle fatte tutte e due. Sono stato insegnante di teologia morale in Francia e all'estero, superiore di comunità, di provincia religiosa, poi vescovo di Angers, una diocesi dove esiste una grande università cattolica, quella dell'Ovest. Questi due aspetti nella mia vita si sono nutriti sempre mutualmente. Ho beneficiato dell'uno e dell'altro. Ora, alla Biblioteca e all'Archivio, penso di continuare a fare  quello che ho fatto fino a ora, perché attraverso questi strumenti unici la Chiesa persegue una missione d'insegnamento. Il professore che è in me si ritrova con la responsabilità di questi strumenti meravigliosi, con l'aggiunta di un compito di governo. Infatti, tra Biblioteca e Archivio lavorano circa 150 persone in maggioranza laici, oltre a una cinquantina di associati. All'interno del Vaticano, quindi, rappresenta una grande impresa. Essendo in comunicazione con il circuito delle grandi biblioteche del mondo la vivo come una sfida che mi stimola particolarmente.

  Nicola Gori

10 agosto 2012



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sabato 4 agosto 2012

Formigoni, Negri: «Non giudico un politico dalle camicie» | Tempi.it

Negri: «Formigoni ha fatto cose straordinarie. La stampa è contro Cl perché contro la Chiesa»

 

«Alla magistratura in Italia non sempre si può guardare con molta fiducia». Parla così Luigi Negri, vescovo di San Marino-Montefeltro, in un'intervista a Panorama su Roberto Formigoni e il movimento di Comunione e Liberazione. Alla domanda sulle inchieste che toccherebbero Cl, risponde: «Ritengo di non dover intervenire su questioni che mi pare debbano ancora essere definite. Qualora ci fossero dei reati, ciascuno si assumerebbe le sue responsabilità. (…) Cl è un popolo che mangia, veglia, dorme, vive e muore non per se stesso ma per Colui che è morto e risorto. È da prevedere che possano esserci degli scarti, ma ciò non tocca la fiducia che ho nel metodo educativo di Cl e mi fa solidale fino a prova provata con questi amici. Anche perché da quello che è emerso sulla stampa, mi pare che alcune cose, vedi l'affare Finmeccanica, siano assolutamente demenziali».

A proposito della lettera scritta per Repubblica da don Julián Carrón afferma: «Non è possibile negare a priori che qualcuno abbia vissuto la tentazione di modulare la propria presenza in politica secondo dinamiche di potere,. Il movimento è stato chiamato dal suo capo a un recupero di identità, ma non ci si può fidare che il mondo laicista dia credito a queste cose. La stampa ha risposto in una maniera esasperatamente anticiellina perché la nostra stampa è esasperatamente anticattolica».

Capitolo Formigoni, il presidente di Regione Lombardia è indagato ma sostiene che sono «tutte falsità». «Di Formigoni ho una grandissima stima – afferma Negri – Ritengo che abbia fatto cose straordinarie per la società lombarda: il sistema sanitario, il buono scuola, la libertà di educazione. Questi sono i fatti sulla base dei quali giudico un politico, non la vita privata. Per ora si è parlato solo di camicie sgargianti e vacanze costose». E se proprio bisogna parlare di yacht e vacanze milionarie, il vescovo dichiara: «Come direi a ogni cristiano e anche a me stesso: cerchiamo di vivere coerentemente con l'educazione che abbiamo ricevuto. Punto».



Ma perché Cl dovrebbe essere in odio alla società? «Nella maggior parte dell'Europa la chiesa si trova a giocare in un contesto sociale e politico terribilmente ostile. Questo processo è stato, non dico vinto, ma fortemente rallentato in Italia dalla presenza di realtà come Cl. Il laicismo non l'ha ancora perdonato alle realtà vive della Chiesa. (…) È la Chiesa stessa a essere sotto assedio, perché rappresenta un'alternativa a questa società consumistica, individualistica e tecnoscientifica, dove tutto viene deciso dal massmediaticamente corretto». Come il caso «Eluana Englaro», che Negri definisce «omicidio di stato nato dalla convergenza di una cattiva magistratura, una cattiva scienza e di certa cattiva politica».


Categorie: Interni
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Appello
ai cattolici italiani e a coloro
che hanno a cuore il bene comune, la libertà e il diritto alla vita di tutti
Eliminate Formigoni! L’ordine è partito da tempo. Micidiale. Come quelli lanciati da Lavrentij Pavlovič Berija, il potentissimo capo della polizia segreta stalinista, un cinico e crudele confezionatore di falsi dossier, esperto nell’arte raffinatissima di rimestare nel fango, utilizzare il braccio armato dei pubblici ministeri e dirigere sapientemente l’informazione giornalistica. Mentre i mandanti non appaiono sempre facilmente identificabili, scherani e sicari, al contrario, non hanno paura di mostrarsi pubblicamente e di porre la propria firma sotto il corsivo di un quotidiano che conta.
Quattro sono i buoni motivi per eliminare il Presidente della Regione Lombardia.
1) Formigoni per ben quattro volte si è sottoposto al giudizio elettorale del popolo, e per tutte e quattro le volte è stato acclamato vincitore con percentuali di consenso inossidabili. Tutto ciò appare inaudito e inconcepibile per chi nutre un profondo disprezzo per il popolo, salvo poi ergersi a suo paladino e tutore. Del resto, lo stesso Berija presiedeva il Commissariato del Popolo per gli Affari Interni (NKVD), l’organismo che vigilava, sorvegliava e difendeva la sicurezza del popolo. Con i metodi ben noti.
2) Formigoni guida una Regione che è considerata, anche dai nemici, seppur obtorto collo, un modello d’eccellenza. E’ bravo, forse il migliore, e inattaccabile dal punto di vista della gestione amministrativa, brillando, tra l’altro, in uno dei settori più delicati e più importanti per il bene comune, qual è quello della sanità. Per questo è odiato. Evidenzia disfunzioni altrui, costituisce un parametro di valutazione, introduce criteri meritocratici nella pubblica amministrazione, in un ambito, cioè, in cui essi sono stati da sempre banditi per colpa di una cultura di sinistra egualitaria e stracciona. Anche in questo odio i nemici di Formigoni scimmiottano i metodi del loro antico maestro Berija, noto per il disprezzo nei confronti di tutti coloro che riuscivano ad emergere per intelligenza, carattere, cultura.
Al momento giusto arrivava sempre un dossier, un pubblico ministero, la Pravda, un processo farsa e, olé, il gioco era fatto. Una vittima illustre fu Grigory Ordzhonikidze, dirigente che si distinse dagli altri leader del Cremlino, ridotti a grigi burocrati e meri esecutori degli ordini di Stalin, perché intelligente, sincero, con tendenze democratiche, leale verso i compagni e avversario feroce di ogni forma di menzogna l’ipocrisia. E’ finito stritolato dagli intrighi e le macchinazioni del NKVD.
page1image105003) Formigoni ha tutti i numeri per assumere un ruolo politico preminente a livello nazionale. E ciò è ritenuto pericolosissimo dai suoi nemici, perché il Presidente della Lombardia sarebbe perfettamente in grado di interpretare e rappresentare quel Volksgeist cattolico, mortalmente inviso alle potentissime lobby del politically correct. Per questo deve fare la fine che Lavrentij Pavlovič Berija destinava a tutti coloro che minacciavano di fare ombra al Capo.
4) Formigoni è un cattolico, un papista, uno che crede davvero nei ratzingeriani valori non negoziabili, uno che prende sul serio il Magistero della Chiesa Cattolica, uno capace di difendere la vita, la famiglia e la libertà d’educazione, uno che ha ripescato il concetto di sussidiarietà dal vocabolario ottocentesco di Leone XIII, uno che ha attaccato le unioni gay invitando i cattolici del PD ad uscire dal partito, uno che ha pensato di vivere la propria fede in modo integrale e totalizzante al punto di far parte dei memores Domini. Insomma, una bestemmia per quel groviglio di interessi e poteri che va dal mondialismo economico all’europeismo massonico, dal radicalismo chic all’anticlericalismo politicamente corretto, dallo statalismo accentratore all’assistenzialismo paternalista, dalle lobby eugenetiche agli interessati imprenditori della dolce morte, dai potentissimi gruppi omosessuali alle consorterie libertarie anticristiane. Tutti uniti da un unico comune denominatore: l’odio viscerale verso tutto ciò ha il vago sentore di cattolico. Del resto, per tornare al passato, nella sistematica persecuzione della religione come “oppio dei popoli”, il nostro Berija si distinse per il particolare accanimento contro «il cattolicesimo romano papista». La lotta contro la Santa Sede divenne oggetto di un vero e proprio piano strategico del NKVD, in cui si evidenziava il «carattere reazionario, antipopolare dei Vescovi romani», bollati come «anticristiani, antidemocratici e antinazionali». Stalin in persona, nel dicembre 1943, chiese a Berija un rapporto dettagliato sulla «situazione delle Chiese cattolico-­‐romane» nel territorio sovietico, stabilendo che di esse avrebbero dovuto occuparsi gli Agenti dei Servizi di sicurezza e il Soviet per gli Affari dei culti religiosi, appositamente costituito nella successiva estate del 1944.
Quello che sta accadendo oggi a Roberto Formigoni non può non interrogare la coscienza di tutti i cattolici italiani e di coloro che hanno a cuore il bene comune, la libertà e il diritto alla vita di tutti.
Sta a loro scegliere. Possono decidere di difendere l’unica esperienza politico-­‐istituzionale del nostro Paese in cui si opera con successo per il bene comune, e si consente uno spazio culturale a quei principi e a quei valori in cui gli stessi cattolici si riconoscono. Oppure, possono decidere di capitolare, consegnando quell’esperienza a chi fino ad oggi ha dimostrato una disastrosa capacità di gestione, ma soprattutto a chi oggi sta attuando a tappe forzate una vera e propria kulturkampf contro quei principi e quei valori in cui gli stessi cattolici si riconoscono. Non c’è molto tempo per reagire, e questo è uno di quei momenti storici in cui tutti sono chiamati a fare una chiara e netta scelta di campo. Ciò che è in gioco è infinitamente più grande del destino personale e politico di Roberto Formigoni.
Per questi motivi
rivolgiamo un appello a tutti i cattolici italiani e a tutti coloro che hanno a cuore il destino del bene comune, della libertà e del diritto alla vita, affinché esprimano il proprio sostegno e la propria solidarietà al Presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni.
CulturaCattolica.it
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