mercoledì 16 gennaio 2013

Contante libero disobbedisce contro i limiti sulle banconote | Tempi.it

"Contante libero" contro il limite dei mille euro. «Una battaglia di libertà, ma anche per lo sviluppo economico»

Un'iniziativa nata per caso all'interno di una discussione internet in cui «ci si è resi conto che l'Italia è l'unico paese al mondo nel quale è proibito l'uso del contante per cifre non così significative a seguito di un intervento del governo Monti che ha limitato l'uso delle banconote fino a 999 euro». Le transazioni commerciali superiori a tale limite devono avvenire attraverso il sistema bancario (bancomat, carte di credito, bonifici, assegni, ecc).
Paolo Rebuffo, blogger e analista finanziario è il portavoce di "Contante Libero", un'iniziativa che chiede l'abolizione del limite imposto e che, in poco tempo, ha trovato l'interresse di molti utenti fino a raggiungere l'adesione di 90 blogger e  oltre 10 mila firme di sostegno. Domani mattina verrà presentata la proposta di abolizione della norma a Milano alle ore 11 presso l'hotel Cavalieri con un'azione di disobbedienza civile: un acquisto in contanti a 1.001 euro.

Rebuffo, quando fu introdotto il limite dei 1.000 euro, il Governo disse che fu fatto per demotivare l'evasione fiscale.

Sfatiamo un mito: più del 90 per cento dell'evasione fiscale passa per sistemi elettronici e l'abbattimento della quota sotto i 1.000 euro non ha cambiato molto nella lotta al sommerso. Semmai, ha posto delle nuove problematiche per i piccoli commercianti.

A che pro è stata introdotta tale norma?
Il vero obiettivo è dare il monopolio della moneta al sistema bancario che, come è noto, per ogni operazione applica una tariffa. La cosa che fa più sorridere è che basta uscire dai confini italiani per trovare Stati felici nell'accettare il contante: sto parlando di paesi europei come la Francia, l'Austria e la Germania dove, per quest'ultima, l'80 per cento delle transazioni avviene in contanti. Un altro elemento è che la limitazione è applicata solo per i cittadini italiani: i cittadini esteri possono comprare in contanti senza limiti. Pensi che a Milano è nata la figura del personale shopper: alcuni marocchini spendono il denaro contante per cittadini italiani e si fanno pure rimborsare l'iva nel loro paese. Queste sono le storture di quando lo Stato vuole fare qualcosa che i cittadini non vogliono.

A che cosa punta la vostra battaglia?.
La nostra è una battaglia di libertà, ma che aiuta anche lo sviluppo economico. Una norma così va a favorire la grande distribuzione rispetto alla piccola. Segnalo anche un altro  problema che riguarda coloro che, detenendo del contante, cercheranno di spenderlo in mercati sommersi. Tengo a precisare che "Contante libero" non è contro il denaro elettronico, ma riteniamo che debba essere lasciata ai cittadini la libertà di scelta del mezzo di pagamento. In molti casi il denaro elettronico è conveniente. Poi c'è anche un pensiero rivolto a coloro che hanno un debito insoluto con le banche o un assegno in protesto. Con la crisi situazioni del genere non sono poche e questi soggetti non hanno un conto corrente e figurarsi carte di credito o quant'altro. Devono morire perché hanno un debito con la banca? Dobbiamo diventare schiavi delle banche?

La politica come reagisce?
Nel programma del Pd e di Sel c'è la volontà di abbassare ulteriormente questa soglia a 300 euro. Siamo sotto elezione e uno dei nostri scopi è rendere pubblica la posizione dei partiti su questo tema, togliendo dal campo la scusa sull'evasione fiscale o il discorso sulle mafie. Questa è un'altra balla perché spostare un miliardo di euro con un clic e più facile che con una valigetta: non mi sembra che le mafie con questa riduzione del contante abbiano diminuito i loro affari. Abbiamo raccolto 10 mila firme e arriveremo intorno al 24 di febbraio a triplicare, e forse faremo dimeglio. Manderemo una e-mail a ciascun dei nostri firmatari, specificando la posizione a riguardo del contante per ogni partito.
@giardser


Categorie: Economia
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Cl, lettera a Tempi sulla politica | Tempi.it



Cl scrive a Tempi a proposito della sua Nota sulla situazione politica

Anticipiamo una lettera di Andrea Simoncini, del Consiglio di Presidenza di Comunione e Liberazione, che apparirà sul prossimo numero del settimanale, in edicola da giovedì.

Caro Direttore,

la lettera di Antonio Simone a proposito della Nota di CL sulla situazione politica, pubblicata sull'ultimo numero di Tempi (n. 2, 16 gennaio 2013, p. 11), mi ha suggerito l'urgenza di alcune precisazioni che ti sottopongo.

Innanzitutto, qual è il motivo per cui abbiamo scritto quella Nota? Lo dichiariamo nelle prime righe: i mezzi d'informazione continuano irrimediabilmente a etichettare vari personaggi come "politici di CL" e, visto che alcuni di loro stanno manifestando opzioni politiche diverse, questo fatto dimostrerebbe una divisione interna al Movimento. Per questo già il titolo della lettera di Simone − «Lettera ai ciellini candidati…» − pone i presupposti per il rinnovarsi dell'ambiguità che la Nota intendeva contestare.

L'interrogativo a cui risponde la Nota è: è vero che oggi CL è spaccata perché alcune persone che provengono dal movimento si stanno schierando su fronti politici diversi? La nostra risposta – molto chiara e non equivocabile – è: no. E la ragione è perché «l'unità del movimento non è una omologazione politica, tanto meno si può identificare con uno schieramento partitico, ma è legata all'esperienza originale di CL (e in questo viene prima di qualunque opinione o calcolo pur legittimo)».

Una divisione, come ogni ferita, non può che generare dolore, ma di quale divisione stiamo parlando? Di quale non unità? Quella di non militare tutti nello stesso schieramento o di non suggerire di votare tutti lo stesso partito?

Quello che emerge chiaramente nella nota di CL − e anche nelle frasi di don Giussani riportate nella lettera di Simone − è che l'unità per noi è un dato di partenza, che va riconosciuto ed espresso con chiarezza. Ed è sull'attaccamento a questo dato di partenza che si misura la tensione all'unità di ciascuno, prima di qualsiasi altra considerazione sulle conseguenze, anche politiche. Tanto che da questo nasce l'impeto per un giudizio comune e condiviso, e anche il rammarico se le circostanze storiche non lo consentono. Sarebbe negare tutta la nostra storia (personale e comunitaria), se dal fatto che non facciamo la stessa cosa, in politica come in ogni altro aspetto della vita, si desumesse che il Movimento non c'è più o è diviso.

La forza della fede è nella capacità di intervenire su tutti gli aspetti dell'esperienza umana; e perciò, poiché è proprio la fede il fattore determinante della nostra unità, anche quando possiamo pensarla diversamente su questioni contingenti, siamo tutti tesi a imparare l'uno dall'altro, senza accusare o pretendere niente. Scopo di CL è proprio l'educazione della persona, la costruzione di un soggetto umano in grado di testimoniare la ragionevolezza della fede, cioè di giudicare.

Questo introduce anche l'altro punto della lettera che potrebbe essere fonte di equivoci, cioè la conclusione richiamata nel suo titolo: «… in attesa di giudizio comune». Ma è proprio questo il punto qualificante della Nota: il "giudizio comune" sono esattamente i punti 1 e 2 della Nota di CL, quando si dice che «il primo livello di incidenza politica di una comunità cristiana viva è la sua stessa esistenza, in quanto essa implica uno spazio e delle possibilità espressive» e che, secondo, «per la profonda esperienza fraterna che in essa si sviluppa la comunità cristiana non può non tendere ad avere una sua idea ed un suo metodo di affronto dei problemi sia pratici che teorici da offrire come sua specifica collaborazione a tutto il resto della società». Che la comunità cristiana in quanto tale sia il primo soggetto politico per un cristiano è il punto che viene sistematicamente eluso in qualsiasi contesto, delegando a individui o gruppi la propria rappresentatività nelle istituzioni.

Se non si comprende questo, si equivoca anche il richiamo giussaniano a quella «irrevocabile distanza critica» di CL dai tentativi di chi sceglie di impegnarsi in questo o quell'aspetto del reale.

Simone afferma che la ragione di questa distanza sarebbe la protezione della Chiesa (o del Movimento) da possibili ricadute su di essa degli errori dei singoli. E questo è giusto, ma c'è una seconda preoccupazione che impone questa distanza critica: ed è la stima e la difesa della libertà del singolo, un'affermazione positiva della sua possibilità di crescere rischiando e anche sbagliando.

Pertanto, per quanto riguarda CL, il giudizio comune c'è già: è l'esperienza presente (!) della comunità cristiana, come offerta continua di criteri con cui paragonarsi e come possibilità di condividere la vita per crescere, nell'immanenza ad essa, come soggetti in grado di testimoniare ovunque − anche in politica − la diversità umana che nasce dalla fede.

Grazie dell'ospitalità.

Andrea Simoncini, Consiglio di Presidenza di CL

«Io non ho mai scritto di non unità in Cl che invece è il motivo dominante degli articoli dei giornali per esorcizzare la vera natura del movimento. Il "giudizio comune" in conclusione del testo era una richiesta ai candidati, come la lettera, perché, oltre al rammarico per non essere insieme, esprimessero in qualche modo la loro "esperienza originale" vissuta in Cl». Questo è Antonio Simone. Per quanto mi riguarda, caro Andrea e cari amici del Consiglio di CL, non ho nulla da aggiungere se non i miei personali ringraziamenti per l'occasione di "disambiguazione" e approfondimento di una posizione.
Luigi Amicone 


Categorie: Politica
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