venerdì 6 dicembre 2013

Predica d’Avvento. P. Cantalamessa: per riformare la Chiesa bisogna rinnegare se stessi e seguire Gesù


Predica d'Avvento. P. Cantalamessa: per riformare la Chiesa bisogna rinnegare se stessi e seguire Gesù

"Francesco d'Assisi e la riforma della Chiesa per via di Santità". E' stato questo il tema della prima predica d'Avvento al Papa e alla Curia Romana, tenuta stamani in Vaticano da padre Raniero Cantalamessa. Il predicatore della Casa Pontificia ha sottolineato che il Poverello d'Assisi ci insegna che i veri riformatori della Chiesa sono quelli che rinnegano se stessi e vivono totalmente per il Signore. Il servizio di Alessandro Gisotti:RealAudioMP3

Per capire San Francesco, "bisogna partire dalla sua conversione". Padre Cantalamessa ha iniziato così la sua predica d'Avvento e subito ha sottolineato che Francesco "non ha scelto la povertà e tanto meno il pauperismo: ha scelto i poveri". E tuttavia, anche questa scelta non spiega fino in fondo la sua conversione. E' "l'effetto del cambiamento, non la sua causa":

"La scelta vera è molto più radicale: non si trattò di scegliere tra ricchezza e povertà, né tra ricchi e poveri, tra l'appartenenza a una classe piuttosto che a un'altra, ma di scegliere tra se stesso e Dio, tra salvare la propria vita o perderla per il Vangelo".

"Il motivo profondo della sua conversione – ha soggiunto – non è di natura sociale, ma evangelica". E del resto, Francesco "non andò di sua spontanea volontà dai lebbrosi", ma vi fu condotto dal Signore. "Non ci si innamora di una virtù – ha avvertito padre Cantalamessa – fosse pure la povertà; ci si innamora di una persona":

"Francesco non sposò la povertà e neppure i poveri; sposò Cristo e fu per amor suo che sposò, per così dire 'in seconde nozze' Madonna povertà. Così sarà sempre nella santità cristiana. Alla base dell'amore per la povertà e per i poveri, o vi è l'amore per Cristo, oppure i poveri saranno in un modo o nell'altro strumentalizzati e la povertà diventerà facilmente un fatto polemico contro la Chiesa, o una ostentazione di maggiore perfezione rispetto ad altri nella Chiesa, come avvenne, purtroppo, anche tra alcuni dei seguaci del Poverello".

"Nell'uno e nell'altro caso – ha aggiunto – si fa della povertà la peggiore forma di ricchezza, quella della propria giustizia". Noi, ha poi osservato, "siamo abituati a vedere Francesco come l'uomo provvidenziale" capace di rinnovare la Chiesa in un tempo di forti tensioni. Francesco dunque come "una specie di mediatore tra gli eretici ribelli e la Chiesa istituzionale". In realtà, però, ha ammonito padre Cantalamessa, "quell'intenzione non ha mai sfiorato la mente di Francesco. Egli non pensò mai di essere chiamato a riformare la Chiesa". Ma cosa aveva voluto fare allora Francesco? "Ripristinare nel mondo la forma e lo stile di vita di Gesù":

"Scrivendo la Regola per i suoi frati comincerà così: 'La regola e la vita dei frati minori è questa, cioè osservare il santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo'. Francesco non teorizzò questa sua scoperta, facendone il programma per la riforma della Chiesa. Egli realizzò in sé la riforma e così indicò tacitamente alla Chiesa l'unica via per uscire dalla crisi: riaccostarsi al vangelo, riaccostarsi agli uomini e in particolare agli umili e ai poveri".

Francesco, ha proseguito, "fece a suo tempo quello che al tempo del Concilio Vaticano II si intendeva con il motto: abbattere i bastioni":

"Rompere l'isolamento della Chiesa, riportarla a contatto con la gente. Uno dei fattori di oscuramento del vangelo era la trasformazione dell'autorità intesa come servizio, in autorità intesa come potere che aveva prodotto infiniti conflitti dentro e fuori la Chiesa. Francesco, per conto suo, risolve il problema in senso evangelico. Nel suo Ordine, novità assoluta, i superiori si chiameranno ministri, cioè servi, e tutti gli altri frati, cioè fratelli".

Per riformare la Chiesa, dunque, bisogna iniziare a riformare se stessi. Francesco, ha detto padre Cantalamessa, ci insegna che se vogliamo davvero seguire Gesù e vivere per lui, dobbiamo rinnegare noi stessi. Significa "rimettere sempre al primo posto, nelle nostre intenzioni, la gloria di Cristo":

"Sia quelli che Dio chiama a riformare la Chiesa per via di santità, sia quelli che si sentono chiamati a rinnovarla per via di critica, sia quelli che egli stesso chiama a riformarla per via dell'ufficio che ricoprono. La stessa cosa da cui è cominciata l'avventura spirituale di Francesco: la sua conversione dall'io a Dio, il suo rinnegamento di sé. È così che nascono i veri riformatori, quelli che cambiano davvero qualcosa nella Chiesa".

Pregare è dare un po' fastidio a Dio


La preghiera è "un grido" che non teme di "dar fastidio a Dio", di "far rumore", come quando si "bussa a una porta" con insistenza. Ecco, secondo Papa Francesco, il significato della preghiera che va rivolta al Signore in spirito di verità e con la sicurezza che egli può davvero esaudirla. 
Il Pontefice ne ha parlato all'omelia della messa celebrata venerdì mattina, 6 dicembre, nella cappella della Casa Santa Marta. Riferendosi al passo del capitolo 9 di Matteo (27-31), il Papa ha innanzitutto richiamato l'attenzione su una parola contenuta nel brano del Vangelo "che ci fa pensare: il grido". I ciechi, che seguivano il Signore, gridavano per essere guariti. "Anche quel cieco all'entrata di Gerico gridava e gli amici del Signore volevano farlo tacere", ha ricordato il Santo Padre. Ma quell'uomo "chiede al Signore una grazia e la chiede gridando", come a dire a Gesù: "Ma fallo! Io ho diritto che tu faccia questo!".
"Il grido - ha spiegato il Pontefice - è qui un segno della preghiera. Lo stesso Gesù, quando ci insegnava a pregare, diceva di farlo come un amico fastidioso che, a mezzanotte, andava a chiedere un pezzo di pane e un po' di pasta per gli ospiti". Oppure "di farlo come la vedova col giudice corrotto". In sostanza, ha proseguito il Papa, "di farlo - io direi - dando fastidio. Non so, forse questo suona male, ma pregare è un po' dare fastidio a Dio perché ci ascolti". E ha precisato che è il Signore stesso a dirlo, suggerendo di pregare "come l'amico a mezzanotte, come la vedova al giudice". Dunque pregare "è attirare gli occhi, attirare il cuore di Dio verso di noi". Ed è proprio quello che hanno fatto anche i lebbrosi del Vangelo, che si avvicinarono a Gesù per dirgli: "Ma se tu vuoi, tu puoi guarirci!". E "lo fanno con una certa sicurezza". "E così Gesù - ha affermato il Pontefice - ci insegna a pregare". Noi abitualmente presentiamo al Signore la nostra richiesta "uno, due o tre volte, ma non con tanta forza: e poi mi stanco di chiederlo e mi dimentico di chiederlo". Invece i ciechi di cui parla Matteo nel passo evangelico "gridavano e non si stancavano di gridare". Infatti, ha detto ancora il Papa, "Gesù ci dice: chiedete! Ma anche ci dice: bussate alla porta! E chi bussa alla porta fa rumore, disturba, dà fastidio".
Proprio "queste sono le parole che Gesù usa per dirci come noi dobbiamo pregare". Ma questo è anche "il modo, che noi vediamo nel Vangelo, della preghiera dei bisognosi". Così i ciechi "si sentono sicuri di chiedere al Signore la salute", tanto che il Signore domanda: "Credete che io possa fare questo?". E loro rispondono: "Sì, o Signore! Crediamo! Siamo sicuri!".
Ecco, ha proseguito il Santo Padre, i "due atteggiamenti" della preghiera: "è bisognosa ed è sicura". La preghiera "è bisognosa sempre. La preghiera, quando noi chiediamo qualcosa, è bisognosa: ho questo bisogno, ascoltami Signore!". Inoltre "quando è vera, è sicura: ascoltami, io credo che tu puoi farlo, perché tu lo hai promesso!". Infatti, ha spiegato il Pontefice, "la vera preghiera cristiana è fondata sulla promessa di Dio. Lui l'ha promesso".
Il Pontefice ha poi fatto riferimento alla prima lettura (Isaia 29, 17-21) della liturgia del giorno, che contiene la promessa di salvezza di Dio al suo popolo: "Udranno in quel giorno i sordi le parole del libro; liberati dall'oscurità e dalle tenebre, gli occhi dei ciechi vedranno". Questo passo, ha affermato il Papa, "è una promessa. Tutto questo è una promessa, la promessa della salvezza: io sarò con te, io ti darò la salvezza!". Ed è "con questa sicurezza" che "noi diciamo al Signore i nostri bisogni. Ma sicuri che lui può farlo".
Del resto, quando preghiamo, è il Signore stesso a domandarci: "Tu credi che io possa fare questo?". Un interrogativo da cui scaturisce la domanda che ciascuno deve porre a se stesso: "Sono sicuro che lui può farlo? O prego un po' ma non so se lui può farlo?". La risposta è che "lui può farlo", anche se "quando lo farà e come lo farà non lo sappiamo". Proprio "questa è la sicurezza della preghiera".
Per quanto riguarda poi il "bisogno" specifico che motiva la nostra preghiera, occorre presentarlo "con verità al Signore: sono cieco, Signore, ho questo bisogno, ho questa malattia, ho questo peccato, ho questo dolore". Così lui "sente il bisogno, ma sente che noi chiediamo il suo intervento con sicurezza". Papa Francesco ha ribadito, in conclusione, la necessità di pensare sempre "se la nostra preghiera è bisognosa ed è sicura": è "bisognosa perché diciamo la verità a noi stessi", ed è "sicura perché crediamo che il Signore può fare quello che noi chiediamo".


cosa è la teologia


Il Papa ai teologi: siate pionieri del dialogo della Chiesa con le culture

Il Papa ha ricevuto stamani i membri della Commissione Teologica Internazionale, guidati dal presidente, mons. Gerhard Ludwig Müller, a conclusione della plenaria. Nel suo discorso Papa Francesco ha incoraggiato i teologi ad essere pionieri del dialogo della Chiesa con le culture. Ce ne parla Sergio Centofanti:RealAudioMP3

Papa Francesco riafferma "l'importanza del servizio ecclesiale dei teologi per la vita e la missione del Popolo di Dio". Al teologo – sottolinea citando la Gaudium et spes - appartiene il compito di "ascoltare attentamente, discernere e interpretare i vari linguaggi del nostro tempo, e saperli giudicare alla luce della Parola di Dio, perché la verità rivelata sia capita sempre più a fondo, sia meglio compresa e possa venir presentata in forma più adatta". Quindi offre il suo forte incoraggiamento:

"I teologi sono dunque dei 'pionieri', è importante questo… pionieri. Avanti! Pionieri del dialogo della Chiesa con le culture… ma, questo dei pionieri è anche importante perché alcune volte si può pensare che sono dietro, in caserma … No: sulle frontiere. Questo dialogo della Chiesa con le culture è un dialogo al tempo stesso critico e benevolo … che deve favorire l'accoglienza della Parola di Dio da parte degli uomini «di ogni nazione, razza, popolo e lingua".

I tre temi che attualmente occupano la Commissione – ha ricordato il Papa – "si inseriscono in questa prospettiva. La vostra riflessione sui rapporti tra monoteismo e violenza attesta che la Rivelazione di Dio costituisce veramente una Buona Notizia per tutti gli uomini":

"Dio non è una minaccia per l'uomo! La fede nel Dio unico e tre volte santo non è e non può mai essere generatrice di violenza e di intolleranza. Al contrario, il suo carattere altamente razionale le conferisce una dimensione universale, capace di unire gli uomini di buona volontà. D'altra parte, la Rivelazione definitiva di Dio in Gesù Cristo rende oramai impossibile ogni ricorso alla violenza 'nel nome di Dio'. È proprio per il suo rifiuto della violenza, per aver vinto il male con il bene, con il sangue della sua Croce, che Gesù ha riconciliato gli uomini con Dio e tra di loro".

E la Chiesa – ha proseguito – "è tenuta a vivere prima di tutto in se stessa quel messaggio sociale che porta nel mondo. Le relazioni fraterne tra i credenti, l'autorità come servizio, la condivisione con i poveri: tutti questi tratti, che caratterizzano la vita ecclesiale fin dalla sua origine, possono e devono costituire un modello vivente ed attraente per le diverse comunità umane, dalla famiglia fino alla società civile". "Tale testimonianza – ha sottolineato - appartiene al Popolo di Dio nel suo insieme, che è un Popolo di profeti. Per il dono dello Spirito Santo, i membri della Chiesa possiedono il 'senso della fede'. Si tratta di una sorta di 'istinto spirituale', che permette di sentire cum Ecclesia e di discernere ciò che è conforme alla fede apostolica e allo spirito del Vangelo":

"Certo, il sensus fidelium non si può confondere con la realtà sociologica di un'opinione maggioritaria, quello è chiaro. È un'altra cosa. È importante dunque - ed è un vostro compito - elaborare i criteri che permettono di discernere le espressioni autentiche del sensus fidelium. Da parte sua, il Magistero ha il dovere di essere attento a ciò che lo Spirito dice alle Chiese attraverso le manifestazioni autentiche del sensus fidelium".

La missione dei teologi – ha concluso il Papa è "al tempo stesso affascinante e rischiosa". "Affascinante, perché la ricerca e l'insegnamento teologico possono diventare una vera strada di santità". D'altra parte, con il rischio "possiamo andare avanti":

"Ma è anche rischiosa, perché comporta delle tentazioni: l'aridità del cuore, ma questo è brutto … quando il cuore si inaridisce e crede di poter riflettere su Dio con quell'aridità … quanti sbagli! L'orgoglio, persino l'ambizione. San Francesco di Assisi una volta indirizzò un breve biglietto al fratello Antonio di Padova, dove diceva tra l'altro: «Mi piace che insegni la sacra teologia ai fratelli, purché, nello studio, tu non spenga lo spirito di santa orazione e di devozione». Anche avvicinarsi ai piccoli aiuta a diventare più intelligenti e più sapienti".