lunedì 28 settembre 2009

Il Papa a Praga tocca i concetti di Verità,Libertà, tradizione, ed aspirazione

Dovremo rileggerlo più volte questo insegnamento sulle grandi parole che sono davanti ad ogni uomo d'oggi ed in modo particolare a chi vuole fare politica!!!


VIAGGIO APOSTOLICODEL SANTO PADRE BENEDETTO XVINELLA REPUBBLICA CECA(26-28 SETTEMBRE 2009)
INCONTRO CON LE AUTORITÀ E CIVILI E IL CORPO DIPLOMATICO
DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Castello di Praga - Sala SpagnolaSabato, 26 settembre 2009

Eccellenze, Signore e Signori,
vi sono grato per l'opportunità che mi viene data di incontrare, in questo straordinario contesto, le autorità politiche e civili della Repubblica Ceca ed i membri della comunità diplomatica. Ringrazio vivamente il Signor Presidente Klaus per le gentili parole di saluto che ha pronunciato in vostro nome. Esprimo inoltre il mio apprezzamento all'Orchestra Filarmonica Ceca per l’esecuzione musicale che ha aperto il nostro incontro, e che ha espresso in maniera eloquente sia le radici della cultura ceca che il rilevante contributo offerto da questa Nazione alla cultura europea.
La mia visita pastorale alla Repubblica Ceca coincide col ventesimo anniversario della caduta dei regimi totalitari in Europa Centrale ed Orientale, e della “Rivoluzione di Velluto” che ripristinò la democrazia in questa nazione. L'euforia che ne seguì fu espressa in termini di libertà. A due decenni di distanza dai profondi cambiamenti politici che trasformarono questo continente, il processo di risanamento e ricostruzione continua, ora all'interno del più ampio contesto dell’unificazione europea e di un mondo sempre più globalizzato. Le aspirazioni dei cittadini e le aspettative riposte nei governi reclamavano nuovi modelli nella vita pubblica e di solidarietà tra nazioni e popoli, senza i quali il futuro di giustizia, di pace e di prosperità, a lungo atteso, sarebbe rimasto senza risposta. Tali desideri continuano ad evolversi. Oggi, specialmente fra i giovani, emerge di nuovo la domanda sulla natura della libertà conquistata. Per quale scopo si vive in libertà? Quali sono i suoi autentici tratti distintivi?
Ogni generazione ha il compito di impegnarsi da capo nell’ardua ricerca di come ordinare rettamente le realtà umane, sforzandosi di comprendere il corretto uso della libertà (cfr Spe salvi, 25). Il dovere di rafforzare le "strutture di libertà" è fondamentale, ma non è mai sufficiente: le aspirazioni umane si elevano al di là di se stessi, al di là di ciò che qualsiasi autorità politica od economica possa offrire, verso quella speranza luminosa (cfr ibid., 35), che trova origine al di là di noi stessi e tuttavia si manifesta al nostro interno come verità, bellezza e bontà. La libertà cerca uno scopo e per questo richiede una convinzione. La vera libertà presuppone la ricerca della verità – del vero bene – e pertanto trova il proprio compimento precisamente nel conoscere e fare ciò che è retto e giusto. La verità, in altre parole, è la norma-guida per la libertà e la bontà ne è la perfezione. Aristotele definì il bene come "ciò a cui tutte le cose tendono", e giunse a suggerire che "benché sia degno il conseguire il fine anche soltanto per un uomo, tuttavia è più bello e più divino conseguirlo per una nazione o per una polis" (Etica Nicomachea, 1; cfr Caritas in veritate, 2). In verità, l’alta responsabilità di tener desta la sensibilità per il vero ed il bene ricade su chiunque eserciti il ruolo di guida: in campo religioso, politico o culturale, ciascuno secondo il modo a lui proprio. Insieme dobbiamo impegnarci nella lotta per la libertà e nella ricerca della verità: o le due cose vanno insieme, mano nella mano, oppure insieme periscono miseramente (cfr Fides et ratio, 90).
Per i Cristiani la verità ha un nome: Dio. E il bene ha un volto: Gesù Cristo. La fede cristiana, dal tempo dei Santi Cirillo e Metodio e dei primi missionari, ha avuto in realtà un ruolo decisivo nel plasmare l’eredità spirituale e culturale di questo Paese. Deve essere lo stesso nel presente e per il futuro. Il ricco patrimonio di valori spirituali e culturali, che si esprimono gli uni attraverso gli altri, non solo ha dato forma all’identità di questa nazione, ma l’ha anche dotata della prospettiva necessaria ad esercitare un ruolo di coesione al cuore dell’Europa. Per secoli questa terra è stata un punto d’incontro tra popoli, tradizioni e culture diverse. Come ben sappiamo, essa ha conosciuto capitoli dolorosi e porta le cicatrici dei tragici avvenimenti causati dall’incomprensione, dalla guerra e dalla persecuzione. E tuttavia è anche vero che le sue radici cristiane hanno favorito la crescita di un considerevole spirito di perdono, di riconciliazione e di collaborazione, che ha reso la gente di queste terre capace di ritrovare la libertà e di inaugurare una nuova era, una nuova sintesi, una rinnovata speranza. Non è proprio di questo spirito che ha bisogno l’Europa di oggi?
L’Europa è più che un continente. Essa è una casa! E la libertà trova il suo significato più profondo proprio nell’essere una patria spirituale. Nel pieno rispetto della distinzione tra la sfera politica e quella religiosa – distinzione che garantisce la libertà dei cittadini di esprimere il proprio credo religioso e di vivere in sintonia con esso – desidero rimarcare l’insostituibile ruolo del cristianesimo per la formazione della coscienza di ogni generazione e per la promozione di un consenso etico di fondo, al servizio di ogni persona che chiama questo continente “casa”!
In questo spirito, rendo atto alla voce di quanti oggi, in questo Paese e in Europa, cercano di applicare la propria fede, in modo rispettoso ma determinato, nell’arena pubblica, nell’aspettativa che le norme sociali e le linee politiche siano ispirate al desiderio di vivere secondo la verità che rende libero ogni uomo e donna (cfr Caritas in veritate, 9).
La fedeltà ai popoli che voi servite e rappresentate richiede la fedeltà alla verità che, sola, è la garanzia della libertà e dello sviluppo umano integrale (cfr ibid., 9). In effetti, il coraggio di presentare chiaramente la verità è un servizio a tutti i membri della società: esso infatti getta luce sul cammino del progresso umano, ne indica i fondamenti etici e morali e garantisce che le direttive politiche si ispirino al tesoro della saggezza umana. L’attenzione alla verità universale non dovrebbe mai venire eclissata da interessi particolaristici, per quanto importanti essi possano essere, perché ciò condurrebbe unicamente a nuovi casi di frammentazione sociale o di discriminazione, che proprio quei gruppi di interesse o di pressione dichiarano di voler superare. In effetti, la ricerca della verità, lungi dal minacciare la tolleranza delle differenze o il pluralismo culturale, rende il consenso possibile e permette al dibattito pubblico di mantenersi logico, onesto e responsabile, assicurando quell'unità che le vaghe nozioni di integrazione semplicemente non sono in grado di realizzare.
Sono fiducioso che, alla luce della tradizione ecclesiale circa la dimensione materiale, intellettuale e spirituale delle opere di carità, i membri della comunità cattolica, assieme a quelli di altre Chiese, comunità ecclesiali e religioni, continueranno a perseguire, in questa nazione e altrove, obiettivi di sviluppo che possiedano un valore più umano ed umanizzante (cfr ibid., 9).
Cari amici, la nostra presenza in questa magnifica capitale, spesso denominata “il cuore d'Europa”, ci stimola a chiederci in cosa consista questo “cuore”. È vero che non c’è una risposta facile a tale domanda, tuttavia un indizio è costituito sicuramente dai gioielli architettonici che adornano questa città. La stupefacente bellezza delle sue chiese, del castello, delle piazze e dei ponti non possono che orientare a Dio le nostre menti. La loro bellezza esprime fede; sono epifanie di Dio che giustamente ci permettono di considerare le grandi meraviglie alle quali noi creature possiamo aspirare quando diamo espressione alla dimensione estetica e conoscitiva del nostro essere più profondo. Come sarebbe tragico se si ammirassero tali esempi di bellezza, ignorando però il mistero trascendente che essi indicano. L'incontro creativo della tradizione classica e del Vangelo ha dato vita ad una visione dell’uomo e della società sensibile alla presenza di Dio fra noi. Tale visione, nel plasmare il patrimonio culturale di questo continente, ha chiaramente posto in luce che la ragione non finisce con ciò che l'occhio vede, anzi essa è attratta da ciò che sta al di là, ciò a cui noi profondamente aneliamo: lo Spirito, potremmo dire, della Creazione.
Nel contesto dell’attuale crocevia di civiltà, così spesso marcato da un’allarmante scissione dell’unità di bontà, verità e bellezza, e dalla conseguente difficoltà di trovare un consenso sui valori comuni, ogni sforzo per l’umano progresso deve trarre ispirazione da quella vivente eredità. L’Europa, fedele alle sue radici cristiane, ha una particolare vocazione a sostenere questa visione trascendente nelle sue iniziative al servizio del bene comune di individui, comunità e nazioni. Di particolare importanza è il compito urgente di incoraggiare i giovani europei mediante una formazione che rispetti ed alimenti la capacità, donata loro da Dio, di trascendere proprio quei limiti che talvolta si presume che debbano intrappolarli. Negli sport, nelle arti creative e nella ricerca accademica, i giovani trovano volentieri l'opportunità di eccellere. Non è ugualmente vero che, se confrontati con alti ideali, essi aspireranno anche alla virtù morale e ad una vita basata sull’amore e sulla bontà? Incoraggio vivamente quei genitori e responsabili delle comunità che si attendono dalle autorità la promozione di valori capaci di integrare la dimensione intellettuale, umana e spirituale in una solida formazione, degna delle aspirazioni dei nostri giovani.
“Veritas vincit”. Questo è il motto della bandiera del Presidente della Repubblica Ceca: alla fine, davvero la verità vince, non con la forza, ma grazie alla persuasione, alla testimonianza eroica di uomini e donne di solidi principi, al dialogo sincero che sa guardare, al di là dell’interesse personale, alle necessità del bene comune. La sete di verità, bontà, bellezza, impressa in tutti gli uomini e donne dal Creatore, è intesa a condurre insieme le persone nella ricerca della giustizia, della libertà e della pace. La storia ha ampiamente dimostrato che la verità può essere tradita e manipolata a servizio di false ideologie, dell’oppressione e dell'ingiustizia. Tuttavia, le sfide che deve affrontare la famiglia umana non ci chiamano forse a guardare oltre a quei pericoli? Alla fine, cosa è più disumano e distruttivo del cinismo che vorrebbe negare la grandezza della nostra ricerca per la verità, e del relativismo che corrode i valori stessi che sostengono la costruzione di un mondo unito e fraterno? Noi, al contrario, dobbiamo riacquistare fiducia nella nobiltà e grandezza dello spirito umano per la sua capacità di raggiungere la verità, e lasciare che quella fiducia ci guidi nel paziente lavoro della politica e della diplomazia.
Signore e Signori, con questi sentimenti esprimo nella preghiera l’augurio che il vostro servizio sia ispirato e sostenuto dalla luce di quella verità che è il riflesso della eterna Sapienza di Dio Creatore. Su di Voi e sulle Vostre famiglie, invoco di cuore l’abbondanza delle benedizioni divine.

© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana

giovedì 17 settembre 2009

I preti facciano i preti ;i laici facciano i laici

Grazie Santità, per questo insegnamento di cui abbiamo veramente bisogno.Il sentimento di confusione che avvertiamo di questi tempi è confermato dalle sue parole.Noi laici abbiamo proprio bisogno di sentirci dire queste parole ed avere un insegnamento continuo sulla nostra identità che si gioca nella vita della Chiesa.



Evitare la secolarizzazione dei sacerdoti e la clericalizzazione dei laici. È la raccomandazione del Papa ai vescovi della regione Nordeste II della Conferenza episcopale del Brasile, ricevuti in udienza giovedì mattina, 17 settembre, in occasione della visita "ad limina apostolorum".

Venerati fratelli nell'episcopato, come l'apostolo Paolo ai primordi della Chiesa, siete venuti, amati pastori delle provincie ecclesiastiche di Olinda e Recife, Paraiba, Maceió e Natal, a visitare Pietro (cfr. Gal 1, 18). Accolgo e saluto con affetto ognuno di voi, a cominciare da monsignor Antônio Munoz Fernandes, arcivescovo di Maceió, che ringrazio per i sentimenti che ha espresso a nome di tutti, facendosi interprete anche delle gioie, delle difficoltà e delle speranze del popolo di Dio che peregrina nel Regional Nordeste II. Nella persona di ognuno di voi, abbraccio i presbiteri e i fedeli delle vostre comunità diocesane. Con i suoi fedeli e con i suoi ministri, la Chiesa è sulla terra la comunità sacerdotale organicamente strutturata come Corpo di Cristo, per svolgere efficacemente, unita al suo capo, la sua missione storica di salvezza. Così ci insegna san Paolo: "Voi siete corpo di Cristo e, ognuno secondo la propria parte, sue membra" (1 Cor 12, 27). In effetti, le membra non hanno tutte la stessa funzione: è questo che costituisce la bellezza e la vita del corpo (cfr. 1 Cor 12, 14-17). È nella diversità fondamentale fra sacerdozio ministeriale e sacerdozio comune che si comprende l'identità specifica dei fedeli ordinati e laici. Per questo è necessario evitare la secolarizzazione dei sacerdoti e la clericalizzazione dei laici. In tale prospettiva, i fedeli laici devono quindi impegnarsi a esprimere nella realtà, anche attraverso l'impegno politico, la visione antropologica cristiana e la dottrina sociale della Chiesa. Diversamente, i sacerdoti devono restare lontani da un coinvolgimento personale nella politica, al fine di favorire l'unità e la comunione di tutti i fedeli e poter così essere un punto di riferimento per tutti. È importante far crescere questa consapevolezza nei sacerdoti, nei religiosi e nei fedeli laici, incoraggiando e vegliando affinché ciascuno possa sentirsi motivato ad agire secondo il proprio stato. L'approfondimento armonioso, corretto e chiaro del rapporto fra sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale costituisce attualmente uno dei punti più delicati dell'essere e della vita della Chiesa. Il numero esiguo di presbiteri potrebbe infatti portare le comunità a rassegnarsi a questa carenza, consolandosi a volte con il fatto che quest'ultima evidenzia meglio il ruolo dei fedeli laici. Ma non è la mancanza di presbiteri a giustificare una partecipazione più attiva e consistente dei laici. In realtà, quanto più i fedeli diventano consapevoli delle loro responsabilità nella Chiesa, tanto più si evidenziano l'identità specifica e il ruolo insostituibile del sacerdote come pastore dell'insieme della comunità, come testimone dell'autenticità della fede e dispensatore, in nome di Cristo-Capo, dei misteri della salvezza. Sappiamo che "la missione di salvezza affidata dal Padre al proprio Figlio incarnato è affidata agli apostoli e da essi ai loro successori; questi ricevono lo Spirito di Gesù per operare in suo nome e in persona di lui. Il ministro ordinato è dunque il legame sacramentale che collega l'azione liturgica a ciò che hanno detto e fatto gli apostoli e, tramite loro, a ciò che ha detto e operato Cristo, sorgente e fondamento dei sacramenti" (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1120). Per questo, la funzione del presbitero è essenziale e insostituibile per l'annuncio della Parola e per la celebrazione dei sacramenti, soprattutto dell'eucaristia, memoriale del sacrificio supremo di Cristo, che dona il proprio Corpo e il proprio Sangue. Per questo urge chiedere al Signore di mandare operai per la sua messe; oltre a ciò, è necessario che i sacerdoti manifestino la gioia della fedeltà alla propria identità con l'entusiasmo della missione. Amati fratelli, sono certo che, nella vostra sollecitudine pastorale nella vostra prudenza, cercate con particolare attenzione di assicurare alle comunità delle vostre diocesi la presenza di un ministro ordinato. È importante evitare che la situazione attuale, in cui molti di voi sono costretti a organizzare la vita ecclesiale con pochi presbiteri, non sia considerata normale o tipica del futuro. Come ho ricordato la scorsa settimana al primo gruppo di vescovi brasiliani, dovete concentrare i vostri sforzi per risvegliare nuove vocazioni sacerdotali e trovare i pastori indispensabili alle vostre diocesi, aiutandovi reciprocamente affinché tutti dispongano di presbiteri meglio formati e più numerosi per sostenere la vita di fede e la missione apostolica dei fedeli. D'altro canto, anche coloro che hanno ricevuto gli ordini sacri sono chiamati a vivere con coerenza e in pienezza la grazia e gli impegni del Battesimo, ossia a offrire se stessi e tutta la loro vita in unione con l'oblazione di Cristo. La celebrazione quotidiana del sacrificio dell'altare e la preghiera diaria della liturgia delle ore devono essere sempre accompagnate dalla testimonianza di un'esistenza che si fa dono a Dio e agli altri e diviene così orientamento per i fedeli. In questi mesi la Chiesa ha dinanzi agli occhi l'esempio del santo curato d'Ars, che invitava i fedeli a unire la propria vita al sacrificio di Cristo e offriva se stesso esclamando: "Come fa bene un padre a offrirsi in sacrificio a Dio tutte le mattine!" (Le Curé d'Ars. Sa pensée - son coeur, coord. Bernard Nodet, 1966, pagine 104). Egli continua a essere un modello attuale per i vostri presbiteri, in particolare nel vivere il celibato come esigenza di dono totale di sé, espressione di quella carità pastorale che il concilio Vaticano ii presenta come centro unificatore dell'essere e dell'agire sacerdotali. Quasi contemporaneamente viveva nel nostro amato Brasile, a San Paolo, fra Antônio de Sant'Anna Galvão, che ho avuto la gioia di canonizzare l'11 maggio 2007; anch'egli ha lasciato una "testimonianza di fervente adoratore dell'Eucaristia vivendo in laus perennis, in costante atteggiamento di adorazione" (Omelia per la sua canonizzazione, n. 2). In tal modo entrambi cercarono di imitare Gesù Cristo, facendosi ognuno non solo sacerdote ma anche vittima e oblazione come Gesù. Amati Fratelli nell'Episcopato, sono già visibili numerosi segni di speranza per il futuro delle vostre Chiese particolari, un futuro che Dio sta preparando attraverso lo zelo e la fedeltà con cui esercitate il vostro ministero episcopale. Desidero assicurarvi del mio sostegno fraterno e allo stesso tempo chiedo le vostre preghiere affinché mi sia concesso di confermare tutti nella fede apostolica (cfr. Lc 22, 32). La Beata Vergine Maria interceda per tutto il popolo di Dio in Brasile, affinché Pastori e fedeli possano, con coraggio e gioia, "annunciare apertamente il mistero del Vangelo" (cfr. Ef 6, 19). Con questa preghiera, imparto la mia Benedizione Apostolica a voi, ai presbiteri e a tutti i fedeli delle vostre diocesi: "Pace a voi tutti che siete in Cristo!" (1 Pt 5, 14).
(©L'Osservatore Romano - 18 settembre 2009)

venerdì 4 settembre 2009

Caso Dino Boffo

La vicenda sputata dal Giornale non convince .
Ci sentiamo al di là del merito di richiamare ad un rapporto rispettoso della dignità di ogni persona.
Tutti siamo peccatori e tutti ,ognuno nel suo stato ,giornalisti, professionisti,operatori ecologici,contadini ecc,devono riconoscere un significato dentro la vita. Meglio ancora non può nessuno spazzare via la memoria di una tradizione civile portatrice di valori e di rispetto per ogni persona .Da questo il metodo di un giusto impiego di quello che si ha nella vita.Da questo il metodo anche per i servitori della comunicazione.

giovedì 3 settembre 2009

L'Europa e il mondo di oggi hanno bisogno di uno spirito di comunione. Costruiamola su Cristo e sul suo Vangelo

All'udienza generale il Papa ricorda la tragedia del secondo conflitto mondiale
L'assurdità della guerra Proposto nella catechesi un radicale cambiamento di vita sull'esempio di sant'Oddone di Cluny

L'Europa e il mondo hanno bisogno oggi di riconciliazione dopo "le umane tragedie e l'assurdità della guerra". Lo ha detto il Papa ricordando ai fedeli polacchi presenti all'udienza generale di mercoledì 2 settembre, nell'Aula Paolo VI, il settantesimo anniversario dell'inizio del secondo conflitto mondiale. Saluto cordialmente i pellegrini polacchi. Ieri abbiamo ricordato il 70° anniversario dell'inizio della II guerra mondiale. Nella memoria dei popoli rimangono le umane tragedie e l'assurdità della guerra. Chiediamo a Dio che lo spirito del perdono, della pace e della riconciliazione pervada i cuori degli uomini. L'Europa e il mondo di oggi hanno bisogno di uno spirito di comunione. Costruiamola su Cristo e sul suo Vangelo, sul fondamento della carità e della verità. A voi qui presenti e a tutti coloro che contribuiscono a creare il clima della pace, imparto di cuore la mia benedizione. In precedenza Benedetto XVI aveva dedicato la catechesi all'abate benedettino di Cluny sant'Oddone. Cari fratelli e sorelle, Dopo una lunga pausa, vorrei riprendere la presentazione dei grandi Scrittori della Chiesa di Oriente e di Occidente del tempo medioevale, perché, come in uno specchio, nelle loro vite e nei loro scritti vediamo che cosa vuol dire essere cristiani. Oggi vi propongo la figura luminosa di sant'Oddone, abate di Cluny: essa si colloca in quel medioevo monastico che vide il sorprendente diffondersi in Europa della vita e della spiritualità ispirate alla Regola di san Benedetto. Vi fu in quei secoli un prodigioso sorgere e moltiplicarsi di chiostri che, ramificandosi nel continente, vi diffusero largamente lo spirito e la sensibilità cristiana. Sant'Oddone ci riconduce, in particolare, ad un monastero, Cluny, che nel medioevo fu tra i più illustri e celebrati ed ancora oggi rivela attraverso le sue maestose rovine i segni di un passato glorioso per l'intensa dedizione all'ascesi, allo studio e, in special modo, al culto divino, avvolto di decoro e di bellezza. Di Cluny Oddone fu il secondo abate. Era nato verso l'880, ai confini tra il Maine e la Touraine, in Francia. Dal padre fu consacrato al santo Vescovo Martino di Tours, alla cui ombra benefica e nella cui memoria Oddone passò poi l'intera vita, concludendola alla fine vicino alla sua tomba. La scelta della consacrazione religiosa fu in lui preceduta dall'esperienza di uno speciale momento di grazia, di cui parlò egli stesso ad un altro monaco, Giovanni l'Italiano, che fu poi suo biografo. Oddone era ancora adolescente, sui sedici anni, quando, durante una veglia natalizia, si sentì salire spontaneamente alle labbra questa preghiera alla Vergine: "Mia Signora, Madre di misericordia, che in questa notte hai dato alla luce il Salvatore, prega per me. Il tuo parto glorioso e singolare sia, o Piissima, il mio rifugio" (Vita sancti Odonis, I, 9: PL 133, 747). L'appellativo "Madre di misericordia", con cui il giovane Oddone invocò allora la Vergine, sarà quello col quale egli amerà poi sempre rivolgersi a Maria, chiamandola anche "unica speranza del mondo, ... grazie alla quale ci sono state aperte le porte del paradiso" (In veneratione S. Mariae Magdalenae: PL 133, 721). Gli avvenne in quel tempo di imbattersi nella Regola di san Benedetto e di iniziarne alcune osservanze, "portando, non ancora monaco, il giogo leggero dei monaci" (ibid., I, 14: PL 133, 50). In un suo sermone Oddone celebrerà Benedetto come "lucerna che brilla nel tenebroso stadio di questa vita" (De sancto Benedicto abbate: PL 133, 725), e lo qualificherà "maestro di disciplina spirituale" (ibid.: PL 133, 727). Con affetto rileverà che la pietà cristiana "con più viva dolcezza fa memoria" di lui, nella consapevolezza che Dio lo ha innalzato "tra i sommi ed eletti Padri della santa Chiesa" (ibid.: PL 133, 722). Affascinato dall'ideale benedettino, Oddone lasciò Tours ed entrò come monaco nell'abbazia benedettina di Baume, per poi passare in quella di Cluny, di cui nel 927 divenne abate. Da quel centro di vita spirituale poté esercitare un vasto influsso sui monasteri del continente. Della sua guida e della sua riforma si giovarono anche in Italia diversi cenobi, tra i quali quello di San Paolo fuori le Mura. Oddone visitò più d'una volta Roma, raggiungendo anche Subiaco, Montecassino e Salerno. Fu proprio a Roma che, nell'estate del 942, cadde malato. Sentendosi prossimo alla fine, con ogni sforzo volle tornare presso il suo san Martino a Tours, ove morì nell'ottavario del Santo, il 18 novembre 942. Il biografo, nel sottolineare in Oddone la "virtù della pazienza", offre un lungo elenco di altre sue virtù, quali il disprezzo del mondo, lo zelo per le anime, l'impegno per la pace delle Chiese. Grandi aspirazioni dell'abate Oddone erano la concordia tra i re e i principi, l'osservanza dei comandamenti, l'attenzione ai poveri, l'emendamento dei giovani, il rispetto per i vecchi (cfr. Vita sancti Odonis, I, 17: PL 133, 49). Amava la celletta dove risiedeva, "sottratto agli occhi di tutti, sollecito di piacere solo a Dio" (ibid., I, 14: PL 133, 49). Non mancava, però, di esercitare pure, come "fonte sovrabbondante", il ministero della parola e dell'esempio, "piangendo come immensamente misero questo mondo" (ibid., I, 17: PL 133, 51). In un solo monaco, commenta il suo biografo, si trovavano raccolte le diverse virtù esistenti in stato sparso negli altri monasteri: "Gesù nella sua bontà, attingendo ai vari giardini dei monaci, formava in un piccolo luogo un paradiso, per irrigare dalla sua fonte i cuori dei fedeli" (ibid., I, 14: PL 133, 49). In un passo di un sermone in onore di Maria di Magdala l'abate di Cluny ci rivela come egli concepiva la vita monastica: "Maria che, seduta ai piedi del Signore, con spirito attento ascoltava la sua parola, è il simbolo della dolcezza della vita contemplativa, il cui sapore, quanto più è gustato, tanto maggiormente induce l'animo a distaccarsi dalle cose visibili e dai tumulti delle preoccupazioni del mondo" (In ven. S. Mariae Magd., PL 133, 717). È una concezione che Oddone conferma e sviluppa negli altri suoi scritti, dai quali traspaiono l'amore all'interiorità, una visione del mondo come di realtà fragile e precaria da cui sradicarsi, una costante inclinazione al distacco dalle cose avvertite come fonti di inquietudine, un'acuta sensibilità per la presenza del male nelle varie categorie di uomini, un'intima aspirazione escatologica. Questa visione del mondo può apparire abbastanza lontana dalla nostra, tuttavia quella di Oddone è una concezione che, vedendo la fragilità del mondo, valorizza la vita interiore aperta all'altro, all'amore del prossimo, e proprio così trasforma l'esistenza e apre il mondo alla luce di Dio. Merita particolare menzione la "devozione" al Corpo e al Sangue di Cristo che Oddone, di fronte a una estesa trascuratezza da lui vivacemente deplorata, coltivò sempre con convinzione. Era infatti fermamente convinto della presenza reale, sotto le specie eucaristiche, del Corpo e del Sangue del Signore, in virtù della conversione "sostanziale" del pane e del vino. Scriveva: "Dio, il Creatore di tutto, ha preso il pane, dicendo che era il suo Corpo e che lo avrebbe offerto per il mondo e ha distribuito il vino, chiamandolo suo Sangue"; ora, "è legge di natura che avvenga il mutamento secondo il comando del Creatore", ed ecco, pertanto, che "subito la natura muta la sua condizione solita: senza indugio il pane diventa carne, e il vino diventa sangue"; all'ordine del Signore "la sostanza si muta" (Odonis Abb. Cluniac. occupatio, ed. A. Swoboda, Lipsia 1900, p.121). Purtroppo, annota il nostro abate, questo "sacrosanto mistero del Corpo del Signore, nel quale consiste tutta la salvezza del mondo" (Collationes, XXVIII: PL 133, 572), è negligentemente celebrato. "I sacerdoti, egli avverte, che accedono all'altare indegnamente, macchiano il pane, cioè il Corpo di Cristo" (ibid., PL 133, 572-573). Solo chi è unito spiritualmente a Cristo può partecipare degnamente al suo Corpo eucaristico: in caso contrario, mangiare la sua carne e bere il suo sangue non sarebbe di giovamento, ma di condanna (cfr. ibid., XXX, PL 133, 575). Tutto questo ci invita a credere con nuova forza e profondità la verità della presenza del Signore. La presenza del Creatore tra noi, che si consegna nelle nostre mani e ci trasforma come trasforma il pane e il vino, trasforma così il mondo. Sant'Oddone è stato una vera guida spirituale sia per i monaci che per i fedeli del suo tempo. Di fronte alla "vastità dei vizi" diffusi nella società, il rimedio che egli proponeva con decisione era quello di un radicale cambiamento di vita, fondato sull'umiltà, l'austerità, il distacco dalle cose effimere e l'adesione a quelle eterne (cfr. Collationes, XXX, PL 133, 613). Nonostante il realismo della sua diagnosi circa la situazione del suo tempo, Oddone non indulge al pessimismo: "Non diciamo questo - egli precisa - per precipitare nella disperazione quelli che vorranno convertirsi. La misericordia divina è sempre disponibile; essa aspetta l'ora della nostra conversione" (ibid.: PL 133, 563). Ed esclama: "O ineffabili viscere della pietà divina! Dio persegue le colpe e tuttavia protegge i peccatori" (ibid.: PL 133, 592). Sostenuto da questa convinzione, l'abate di Cluny amava sostare nella contemplazione della misericordia di Cristo, il Salvatore che egli qualificava suggestivamente come "amante degli uomini": "amator hominum Christus" (ibid., LIII: PL 133, 637). Gesù ha preso su di sé i flagelli che sarebbero spettati a noi - osserva - per salvare così la creatura che è opera sua e che ama (cfr. ibid.: PL 133, 638). Appare qui un tratto del santo abate a prima vista quasi nascosto sotto il rigore della sua austerità di riformatore: la profonda bontà del suo animo. Era austero, ma soprattutto era buono, un uomo di una grande bontà, una bontà che proviene dal contatto con la bontà divina. Oddone, così ci dicono i suoi coetanei, effondeva intorno a sé la gioia di cui era ricolmo. Il suo biografo attesta di non aver sentito mai uscire da bocca d'uomo "tanta dolcezza di parola" (ibid., I, 17: PL 133, 31). Era solito, ricorda il biografo, invitare al canto i fanciulli che incontrava lungo la strada per poi far loro qualche piccolo dono, e aggiunge: "Le sue parole erano ricolme di esultanza..., la sua ilarità infondeva nel nostro cuore un'intima gioia" (ibid., II, 5: PL 133, 63). In questo modo il vigoroso ed insieme amabile abate medioevale, appassionato di riforma, con azione incisiva alimentava nei monaci, come anche nei fedeli laici del suo tempo, il proposito di progredire con passo solerte sulla via della perfezione cristiana. Vogliamo sperare che la sua bontà, la gioia che proviene dalla fede, unite all'austerità e all'opposizione ai vizi del mondo, tocchino anche il nostro cuore, affinché anche noi possiamo trovare la fonte della gioia che scaturisce dalla bontà di Dio. (©L'Osservatore Romano - 3 settembre 2009)