sabato 18 dicembre 2010

Il Papa e L'Italia

enedetto XVI al nuovo Ambasciatore d'Italia presso la Santa Sede

Distinzione e collaborazione


Il Papa ribadisce il ruolo legittimo della religione nella sfera pubblica

Benedetto XVI ha ricevuto nella mattina di venerdì 17 dicembre, alle ore 11, in solenne udienza, Sua Eccellenza il signor Francesco Maria Greco, nuovo Ambasciatore d'Italia presso la Santa Sede, il quale ha presentato le Lettere con le quali viene accreditato nell'alto ufficio. Rilevato alla sua residenza da un Gentiluomo di Sua Santità e da un Addetto di Anticamera, il diplomatico è giunto alle 10.45 al Cortile di San Damaso, nel Palazzo Apostolico Vaticano, ove un reparto della Guardia Svizzera Pontificia rendeva gli onori. Al ripiano degli ascensori, era ricevuto da un Gentiluomo di Sua Santità e subito dopo saliva alla seconda Loggia, dove si trovavano ad attenderlo gli Addetti di Anticamera e i Sediari. Dalla seconda Loggia il corteo si dirigeva alla Sala Clementina, dove l'Ambasciatore veniva ricevuto dal prefetto della Casa Pontificia, l'arcivescovo James Michael Harvey, il quale lo introduceva alla presenza del Pontefice nella Biblioteca privata. Dopo la presentazione delle Credenziali da parte dell'Ambasciatore avevano luogo lo scambio dei discorsi e, quindi, il colloquio privato. Dopo l'udienza, nella Sala Clementina il diplomatico prendeva congedo dal prefetto della Casa Pontificia e si recava a far visita al cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato. Al termine del colloquio discendeva nella Basilica Vaticana: ricevuto da una delegazione del Capitolo, si recava dapprima nella Cappella del Santissimo Sacramento per un breve atto di adorazione; passava poi a venerare l'immagine della Beatissima Vergine e, quindi, la tomba di San Pietro. Al termine della visita l'Ambasciatore prendeva congedo dalla delegazione del Capitolo, quindi, alla Porta della Preghiera, prima di lasciare la Basilica, si congedava dai dignitari che lo avevano accompagnato e faceva ritorno alla sua residenza. Questo è il testo del discorso del Papa.

Signor Ambasciatore,
sono lieto di accogliere le Lettere con le quali il Presidente della Repubblica Italiana La accredita Ambasciatore Straordinario e Plenipotenziario presso la Santa Sede. Nel ringraziarLa per le nobili espressioni che mi ha indirizzato, il mio pensiero si estende al Capo dello Stato, alle altre Autorità e a tutto il caro Popolo italiano. Continuamente ho l'occasione di constatare come sia forte la consapevolezza dei particolari vincoli fra la Sede di Pietro e l'Italia, che trovano significativa espressione sia nell'attenzione che le Autorità civili hanno per il Successore del Principe degli Apostoli e per la Santa Sede, sia nell'affetto che la gente d'Italia mi dimostra con tanto entusiasmo qui a Roma e durante i viaggi che compio nel Paese, come è avvenuto anche di recente in occasione della mia visita a Palermo. Vorrei assicurare che la mia preghiera accompagna da vicino le vicende liete e tristi dell'Italia, per la quale chiedo al Datore di ogni bene di conservarle il tesoro prezioso della fede cristiana e di concederle i doni della concordia e della prosperità.
In questa felice circostanza Le porgo, col mio cordiale benvenuto, un fervido augurio per l'impegnativa missione che Ella oggi ufficialmente assume. Infatti, l'Ambasciata d'Italia presso la Santa Sede - la cui prestigiosa sede, legata anche alla memoria di san Carlo Borromeo, ho potuto visitare due anni or sono - costituisce un importante punto di raccordo per i rapporti di intensa collaborazione che intercorrono fra la Santa Sede e l'Italia, non solo dal punto di vista bilaterale, ma anche nel più ampio contesto della vita internazionale. Inoltre, la Rappresentanza diplomatica, di cui Ella assume la guida, offre un valido contributo allo sviluppo di armoniosi rapporti fra la comunità civile e quella ecclesiale nel Paese, e presta pure preziosi servizi al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede. Sono certo che sotto la Sua guida questa intensa attività proseguirà con rinnovato slancio, e già da ora esprimo a Lei e ai Suoi collaboratori la mia viva riconoscenza.
Come Ella ha ricordato, hanno preso avvio le celebrazioni per il 150° anniversario dell'unità d'Italia, occasione per una riflessione non solo di tipo commemorativo, ma anche di carattere progettuale, assai opportuna nella difficile fase storica attuale, nazionale ed internazionale. Sono lieto che anche i Pastori e le varie componenti della Comunità ecclesiale siano attivamente coinvolti nella rievocazione del processo di unificazione della Nazione iniziato nel 1861.
Ora, uno degli aspetti più rilevanti di quel lungo, a volte faticoso e contrastato, cammino, che ha condotto all'odierna fisionomia dello Stato italiano, è costituito dalla ricerca di una corretta distinzione e di giuste forme di collaborazione fra la comunità civile e quella religiosa, esigenza tanto più sentita in un Paese come l'Italia, la cui storia e cultura sono così profondamente segnate dalla Chiesa cattolica e nella cui capitale ha la sua sede episcopale il Capo visibile di tale Comunità, diffusa in tutto il mondo. Queste caratteristiche, che da secoli fanno parte del patrimonio storico e culturale dell'Italia, non possono essere negate, dimenticate o emarginate; l'esperienza di questi 150 anni insegna che quando si è cercato di farlo, si sono causati pericolosi squilibri e dolorose fratture nella vita sociale del Paese.
A questo riguardo, Vostra Eccellenza ha opportunamente richiamato l'importanza dei Patti del Laterano e dell'Accordo di Villa Madama, che fissano le coordinate di un giusto equilibrio di rapporti, del quale si avvantaggiano la Sede Apostolica così come lo Stato e la Chiesa in Italia. Infatti, il Trattato Lateranense, configurando lo Stato della Città del Vaticano e prevedendo una serie di immunità personali e reali, ha posto le condizioni per assicurare al Pontefice e alla Santa Sede piena sovranità e indipendenza, a tutela della sua missione universale. A sua volta, l'Accordo di modifica del Concordato mira fondamentalmente a garantire il pieno esercizio della libertà religiosa, di quel diritto cioè, che è storicamente e oggettivamente il primo tra quelli fondamentali della persona umana. È perciò di grande importanza osservare e, allo stesso tempo, sviluppare la lettera e lo spirito di quegli Accordi e di quelli che ne sono derivati, ricordando che essi hanno garantito e possono ancora garantire una serena convivenza della società italiana.
Quei patti internazionali non sono espressione di una volontà della Chiesa o della Santa Sede di ottenere potere, privilegi o posizioni di vantaggio economico e sociale, né con essi si intende sconfinare dall'ambito che è proprio della missione assegnata dal Divino Fondatore alla Sua comunità in terra. Al contrario, tali accordi hanno il loro fondamento nella giusta volontà da parte dello Stato di garantire ai singoli e alla Chiesa il pieno esercizio della libertà religiosa, diritto che ha una dimensione non solo personale, perché "la stessa natura sociale dell'essere umano esige che egli esprima esternamente gli atti interni di religione, comunichi con altri in materia religiosa e professi la propria religione in modo comunitario" (Conc. Vat. ii, Dich. Dignitatis humanae, 3). La libertà religiosa è, quindi, un diritto, oltre che del singolo, della famiglia, dei gruppi religiosi e della Chiesa (cfr. ibid., 4-5.13), e lo Stato è chiamato a tutelare non solo i diritti dei credenti alla libertà di coscienza e di religione, ma anche il ruolo legittimo della religione e delle comunità religiose nella sfera pubblica.
Il retto esercizio e il corrispettivo riconoscimento di questo diritto consentono alla società di avvalersi delle risorse morali e della generosa attività dei credenti. Per questo non si può pensare di conseguire l'autentico progresso sociale, percorrendo la via dell'emarginazione o perfino del rifiuto esplicito del fattore religioso, come ai nostri tempi si tende a fare con varie modalità. Una di queste è, ad esempio, il tentativo di eliminare dai luoghi pubblici l'esposizione dei simboli religiosi, primo fra tutti il Crocifisso, che è certamente l'emblema per eccellenza della fede cristiana, ma che, allo stesso tempo, parla a tutti gli uomini di buona volontà e, come tale, non è fattore che discrimina. Desidero esprimere il mio apprezzamento al Governo italiano che a questo riguardo si è mosso in conformità a una corretta visione della laicità e alla luce della sua storia, cultura e tradizione, trovando in ciò il positivo sostegno anche di altre Nazioni europee.
Mentre in alcune società vi sono tentativi di emarginare la dimensione religiosa, le cronache recenti ci testimoniano come ai nostri giorni vengano compiute anche delle aperte violazioni della libertà religiosa. Di fronte a questa dolorosa realtà, la società italiana e le sue Autorità hanno dimostrato una particolare sensibilità per la sorte di quelle minoranze cristiane, che, a motivo della loro fede, subiscono violenze, vengono discriminate o sono costrette ad una forzata emigrazione dalla loro patria. Auspico che possa crescere ovunque la consapevolezza di questa problematica e, conseguentemente, vengano intensificati gli sforzi per vedere realizzato, ovunque e per tutti, il pieno rispetto della libertà religiosa. Sono certo che all'impegno in tal senso da parte della Santa Sede non mancherà l'appoggio dell'Italia in ambito internazionale.
Signor Ambasciatore, concludendo le mie riflessioni, desidero assicurarLe che, nel compimento dell'alta missione a Lei affidata, Ella potrà contare sul sostegno mio e dei miei collaboratori. Soprattutto invoco su questi inizi la protezione della Madre di Dio, così amata e venerata in tutta la Penisola, e dei Patroni della Nazione, i santi Francesco d'Assisi e Caterina da Siena, e imparto di cuore a Lei, alla Sua famiglia, ai Suoi collaboratori e al caro Popolo italiano la Benedizione Apostolica.


(©L'Osservatore Romano - 18 dicembre 2010)

Riconosciamo il buono di casa nostra!

Big Society, Cameron elogia la Lombardia di Formigoni

Il premier inglese invia il suo primo consigliere Phillip Blond a Milano per incontrare il governatore. Obiettivo: collaborare insieme alla stesura di un documento basato sull'esperienza regionale da presentare all'Ue. Blond: «La Big society è un altro modo di dire responsabilità e libertà. Il percorso fatto dalla Lombardia può servire da modello a tutta l'Europa»

di Caterina Giojelli
David Cameron lancia un ponte tra Downing Street e il Pirellone inviando il suo primo consigliere Phillip Blond a Milano per incontrare il governatore Roberto Formigoni ed esprimere l'apprezzamento del governo inglese per il modello lombardo.

«Un modello di una società che si costruisce dal basso, in cui è stato realizzato il coinvolgimento attivo delle comunità nella costruzione del bene comune».
Con queste parole il filosofo, teorizzatore della rivoluzionaria idea di Big society lanciata a luglio dal premier inglese, ha proposto al Celeste di collaborare all'elaborazione di un documento basato sull'esperienza regionale da presentare alla comunità europea: «Questo lavoro può servire per diffondere le buone pratiche introdotte dalla Regione e su cui il governo britannico sta oggi lavorando» ha spiegato Blond. «La Big society è un altro modo di dire responsabilità e libertà. Il percorso fatto dalla Lombardia può servire da modello e da stimolo a tutta l'Europa».

Positiva la risposta del governatore della Lombardia, dove la collaudata sussidiarietà risponde in pieno alle istanze del tentativo inglese:
superare l'antica antinomia tra pubblico e privato con un'azione politica decisiva e capace di valorizzare la libera iniziativa. Cogliendo, grazie a soluzioni come il buono scuola e la riforma sanitaria, «la trama straordinaria e creativa che è rappresentata ai corpi sociali intermedi, fatti da tantissimi soggetti presenti nella nostra società». Lo stesso metodo con cui Cameron intende abbandonare il centralismo praticato negli anni da Westminster: «La regola del governo deve essere questa: scatenare l'iniziativa delle comunità e non ammazzarla».

Quest'alleanza concordata da Blond e Formigoni non avrà un cammino facile, lo stesso termine “sussidiarietà”
non esiste nei dizionari di lingua inglese. Intanto, però, il primo passo verso la rivoluzionaria Big Society è stato fatto.

mercoledì 15 dicembre 2010

Solo se Aspettiamo Gesù possiamo superare ogni limitante differenza

Meditazione d'Avvento

L'attesa dell'Altro


Pochi mesi prima di essere sequestrato, Christian de Chergé - priore del monastero cistercense della stretta osservanza Notre-Dame de l'Atlas a Tibhirine, in Algeria - nella seconda domenica di Avvento tenne l'omelia. Era il 10 dicembre 1995, giorni di attesa dell'Altro, di timori, di speranza nella misericordia di Dio e di coraggio. Il 27 marzo successivo padre Christian e sei confratelli vennero sequestrati e il 21 maggio furono uccisi. Dal testo frammentario della meditazione, ora compreso nella raccolta di omelie L'Autre que nous attendons (Editions de Bellefontaine, pagine 583, euro 28), pubblichiamo in una traduzione di Ferdinando Cancelli la parte centrale.

di Christian de Chergé

Coraggio anche di accettare l'altro così com'è, là dove si trova, con le sue ricchezze, i suoi limiti, le sue originalità, senza sognarlo su misura di ciò che siamo noi o di ciò che desidereremmo che lui fosse. La fiducia deve prevalere, anche se ci fosse posto il dubbio. È ancora Giovanni il Battista che, dalla sua prigione, manderà a domandare a Gesù: "Sei tu colui che deve venire? Questo Messia che noi immaginavamo diverso? Oppure dobbiamo attenderne un altro?".
Il coraggio, di fatto, di non essere che acqua quando l'altro è fuoco. Senza cercare di spegnere il fuoco come potrebbe fare l'acqua. Senza temere che il fuoco venga a farmi evaporare: non è là per questo!
Prima di questo paradiso descritto con immagini profetiche da Isaia, prima dell'instaurazione definitiva del Regno che si avvicina, dove noi comprenderemo infine tutti i perché delle nostre differenze (cfr. Corano, 5, 48), ecco il tempo dell'attesa dell'Altro. Ed è innanzitutto il tempo della misericordia: sta a noi di accoglierlo con gratitudine dal Totalmente Altro, come oscuri testimoni di una differenza, quella che Gesù introduce venendo nel mondo, luce nelle nostre tenebre.
Lo Spirito di saggezza e di fortezza, di consiglio e di discernimento, di conoscenza e di timore del Signore presiede su questa differenza verso la quale orienta tutte quelle degli altri, e la mia propria, nell'attesa dell'Altro: differenza, mia speranza! Sì, veramente, Signore tu sei l'altro che noi attendiamo!


(©L'Osservatore Romano - 15 dicembre 2010)

domenica 12 dicembre 2010

Domenica della Gioia,della Luce che dobbiamo portare come candele accese

VISITA PASTORALE ALLA PARROCCHIA ROMANA
DI SAN MASSIMILIANO KOLBE A TORRE ANGELA

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

III Domenica di Avvento, 12 dicembre 2010

Cari fratelli e sorelle della Parrocchia di San Massimiliano Kolbe! Vivete con impegno il cammino personale e comunitario nel seguire il Signore. L’Avvento è un forte invito per tutti a lasciare entrare sempre di più Dio nella nostra vita, nelle nostre case, nei nostri quartieri, nelle nostre comunità, per avere una luce in mezzo alle tante ombre, alle tante fatiche di ogni giorno. Cari amici! Sono molto contento di essere in mezzo a voi, oggi, per celebrare il Giorno del Signore, la terza domenica dell'Avvento, domenica della gioia. Saluto cordialmente il Cardinale Vicario, il Vescovo Ausiliare del Settore, il vostro Parroco, che ringrazio per le parole che mi ha rivolto a nome di tutti voi, e il Vicario parrocchiale. Saluto quanti sono attivi nell’ambito della Parrocchia: i catechisti, i membri dei vari gruppi, come pure i numerosi aderenti al Cammino Neocatecumenale. Apprezzo molto la scelta di dare spazio all’adorazione eucaristica, e vi ringrazio delle preghiere che mi riservate davanti al Santissimo Sacramento. Vorrei estendere il mio pensiero a tutti gli abitanti del quartiere, specialmente agli anziani, ai malati, alle persone sole e in difficoltà. Tutti e ciascuno ricordo in questa Messa.

Ammiro insieme con voi questa nuova chiesa e gli edifici parrocchiali e con la mia presenza desidero incoraggiarvi a realizzare sempre meglio quella Chiesa di pietre vive che siete voi stessi. Conosco le tante e significative opere di evangelizzazione che state attuando. Esorto tutti i fedeli a dare il proprio contributo per l’edificazione della comunità, in particolare nel campo della catechesi, della liturgia e della carità – pilastri della vita cristiana – in comunione con tutta la Diocesi di Roma. Nessuna comunità può vivere come una cellula isolata dal contesto diocesano; deve essere invece espressione viva della bellezza della Chiesa che, sotto la guida del Vescovo – e, nella Parrocchia, sotto la guida del Parroco che ne fa le veci –, cammina in comunione verso il Regno di Dio. Rivolgo uno speciale pensiero alle famiglie, accompagnandolo con l’augurio che esse possano pienamente realizzare la propria vocazione all’amore con generosità e perseveranza. Anche quando dovessero presentarsi difficoltà nella vita coniugale e nel rapporto con i figli, gli sposi non cessino mai di rimanere fedeli a quel fondamentale “sì” che hanno pronunciato davanti a Dio e vicendevolmente nel giorno del matrimonio, ricordando che la fedeltà alla propria vocazione esige coraggio, generosità e sacrificio.

La vostra comunità comprende al proprio interno molte famiglie venute dall’Italia centrale e meridionale in cerca di lavoro e di migliori condizioni di vita. Col passare del tempo, la comunità è cresciuta e si è in parte trasformata, con l’arrivo di numerose persone dai Paesi dell’Est europeo e da altri Paesi. Proprio a partire da questa situazione concreta della Parrocchia, sforzatevi di crescere sempre più nella comunione con tutti: è importante creare occasioni di dialogo e favorire la reciproca comprensione tra persone provenienti da culture, modelli di vita e condizioni sociali differenti. Ma occorre soprattutto cercare di coinvolgerle nella vita cristiana, mediante una pastorale attenta ai reali bisogni di ciascuno. Qui, come in ogni Parrocchia, occorre partire dai “vicini” per giungere fino ai “lontani”, per portare una presenza evangelica negli ambienti di vita e di lavoro. Tutti devono poter trovare in Parrocchia cammini adeguati di formazione e fare esperienza di quella dimensione comunitaria che è una caratteristica fondamentale della vita cristiana. In tal modo saranno incoraggiati a riscoprire la bellezza di seguire Cristo e di fare parte della sua Chiesa.

Sappiate, dunque, fare comunità con tutti, uniti nell’ascolto della Parola di Dio e nella celebrazione dei Sacramenti, in particolare dell’Eucaristia. A questo proposito, la verifica pastorale diocesana in atto, sul tema “Eucaristia domenicale e testimonianza della carità”, è un’occasione propizia per approfondire e vivere meglio queste due componenti fondamentali della vita e della missione della Chiesa e di ogni singolo credente, cioè l’Eucaristia della domenica e la pratica della carità. Riuniti attorno all’Eucaristia, sentiamo più facilmente come la missione di ogni comunità cristiana sia quella di portare il messaggio dell’amore di Dio a tutti gli uomini. Ecco perché è importante che l’Eucaristia sia sempre il cuore della vita dei fedeli. Vorrei anche dirigere una speciale parola di affetto e di amicizia a voi, cari ragazzi e giovani che mi ascoltate, e ai vostri coetanei che vivono in questa Parrocchia. La Chiesa si aspetta molto da voi, dal vostro entusiasmo, dalla vostra capacità di guardare avanti e dal vostro desiderio di radicalità nelle scelte di vita. Sentitevi veri protagonisti nella Parrocchia, mettendo le vostre fresche energie e tutta la vostra vita a servizio di Dio e dei fratelli.

Cari fratelli e sorelle, accanto all’invito alla gioia, la liturgia odierna – con le parole di san Giacomo che abbiamo sentito - ci rivolge anche quello ad essere costanti e pazienti nell’attesa del Signore che viene, e ad esserlo insieme, come comunità, evitando lamentele e giudizi (cfr Gc 5,7-10).

Abbiamo sentito nel Vangelo la domanda del Battista che si trova in carcere; il Battista, che aveva annunciato la venuta del Giudice che cambia il mondo, e adesso sente che il mondo rimane lo stesso. Fa chiedere, quindi, a Gesù: “Sei tu quello che deve venire? O dobbiamo aspettare un altro? Sei tu o dobbiamo aspettare un altro?”. Negli ultimi due, tre secoli molti hanno chiesto: “Ma realmente sei tu? O il mondo deve essere cambiato in modo più radicale? Tu non lo fai?”. E sono venuti tanti profeti, ideologi e dittatori, che hanno detto: “Non è lui! Non ha cambiato il mondo! Siamo noi!”. Ed hanno creato i loro imperi, le loro dittature, il loro totalitarismo che avrebbe cambiato il mondo. E lo ha cambiato, ma in modo distruttivo. Oggi sappiamo che di queste grandi promesse non è rimasto che un grande vuoto e grande distruzione. Non erano loro.

E così dobbiamo di nuovo vedere Cristo e chiedere a Cristo: “Sei tu?”. Il Signore, nel modo silenzioso che gli è proprio, risponde: “Vedete cosa ho fatto io. Non ho fatto una rivoluzione cruenta, non ho cambiato con forza il mondo, ma ho acceso tante luci che formano, nel frattempo, una grande strada di luce nei millenni”.

Cominciamo qui, nella nostra Parrocchia: San Massimiliano Kolbe, che si offre di morire di fame per salvare un padre di famiglia. Che grande luce è divenuto lui! Quanta luce è venuta da questa figura ed ha incoraggiato altri a donarsi, ad essere vicini ai sofferenti, agli oppressi! Pensiamo al padre che era per i lebbrosi Damiano de Veuster, il quale è vissuto ed è morto con e per i lebbrosi, e così ha portato luce in questa comunità. Pensiamo a Madre Teresa, che ha dato tanta luce a persone, che, dopo una vita senza luce, sono morte con un sorriso, perché erano toccate dalla luce dell’amore di Dio.

E così potremmo continuare e vedremmo, come il Signore ha detto nella risposta a Giovanni, che non è la violenta rivoluzione del mondo, non sono le grandi promesse che cambiano il mondo, ma è la silenziosa luce della verità, della bontà di Dio che è il segno della Sua presenza e ci dà la certezza che siamo amati fino in fondo e che non siamo dimenticati, non siamo un prodotto del caso, ma di una volontà di amore.

Così possiamo vivere, possiamo sentire la vicinanza di Dio. “Dio è vicino”, dice la Prima Lettura di oggi, è vicino, ma noi siamo spesso lontani. Avviciniamoci, andiamo alla presenza della Sua luce, preghiamo il Signore e nel contatto della preghiera diventiamo noi stessi luce per gli altri.

E questo è proprio anche il senso della Chiesa parrocchiale: entrare qui, entrare in colloquio, in contatto con Gesù, con il Figlio di Dio, così che noi stessi diventiamo una delle più piccole luci che Lui ha acceso e portiamo luce nel mondo che sente di essere redento.

Il nostro spirito deve aprirsi a questo invito e così camminiamo con gioia incontro al Natale, imitando la Vergine Maria, che ha atteso nella preghiera, con intima e gioiosa trepidazione, la nascita del Redentore. Amen!

© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana


Oggi ad una Parrocchia di Roma:come vivere in parrocchia

Riportiamo l'articolo di radio Vaticana
sulla visita del Papa alla parrocchia di San Massimiliano Kolbe


Il Papa in visita alla parrocchia romana di San Massimiliano Kolbe: solo Dio cambia il mondo, da dittature e falsi profeti solo distruzione



E’ giunto dalla periferia romana di Prato Fiorito, stamani, l’invito di Benedetto XVI a riconoscere Gesù non nelle rivoluzioni ma nella bontà di Dio, a distinguerlo da ideologi, dittatori e da totalitarismi che nel mondo hanno lasciato “grande vuoto e grande distruzione”. In visita nella parrocchia di San Massimiliano Kolbe, il Papa ha celebrato la Messa della terza domenica di Avvento – chiamata Gaudete per lo speciale invito alla gioia che emerge dalle letture – esortando i fedeli a “portare il messaggio dell’amore di Dio a tutti gli uomini”. Il servizio di Tiziana Campisi:RealAudioMP3

(Canti)

C’è un interrogativo che nella terza domenica di Avvento interpella il cristiano, è quello di Giovanni Battista che manda i suoi discepoli a chiedere a Gesù: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”. La domanda del Battista – perplesso per non aver visto nessun cambiamento nel mondo – è quella che in tanti, ha osservato Benedetto XVI, si sono posti nel corso dei millenni:

“’Ma realmente sei tu? O il mondo deve essere cambiato in modo più radicale? Tu non lo fai?”’. E sono venuti tanti profeti, ideologi e dittatori che hanno detto: ‘Non è lui! Non ha cambiato il mondo! Siamo noi!’. Ed hanno creato i loro imperi, le loro dittature, il loro totalitarismo che avrebbe cambiato il mondo. E lo ha cambiato, ma in modo distruttivo. E oggi sappiamo che di queste grandi promesse non è rimasto che un grande vuoto e grande distruzione. Non erano loro".

All’interrogativo che ancora oggi riecheggia, ha detto il Papa, così sembra rispondere il Cristo:

“Vedete cosa ho fatto io. Non ho fatto una rivoluzione cruenta, non ho cambiato con forza il mondo, ma ho acceso tante luci che formano, nel frattempo, una grande strada di luce nei millenni”.

Questa luce sono gli innumerevoli testimoni di fede che hanno rischiarato secoli di storia. Il Pontefice ne ha enumerati alcuni, cominciando proprio dal patrono della parrocchia che lo ha ospitato: San Massimiliano Kolbe, offertosi alla morte per salvare un padre di famiglia, “luce” che “ha incoraggiato altri a donarsi, essere vicini ai sofferenti, agli oppressi”; “Damiano de Veuster, che ha vissuto ed è morto con e per i lebbrosi”; Madre Teresa di Calcutta, che tanta luce ha dato a persone dalla vita buia, ma morte con un sorriso sulle labbra perché “toccate dalla luce dell’amore di Dio”.

La risposta è dunque che non sono violente rivoluzioni, “non sono le grandi promesse che cambiano il mondo, ma … la silenziosa luce della verità, della bontà di Dio”. È questo “il segno della Sua presenza”, “la certezza che siamo amati fino in fondo e che non siamo dimenticati, non siamo un prodotto del caso, ma di una volontà di amore”. Ed è attraverso tale certezza, ha assicurato Benedetto XVI, che “possiamo sentire la vicinanza di Dio”:

“Dio è vicino ma noi siamo spesso lontani. Avviciniamoci, andiamo alla presenza della Sua luce, preghiamo il Signore e nel contatto della preghiera diventiamo noi stessi luce per gli altri”.

(Canti)

E luce da portare al mondo, il Pontefice ha chiesto di essere ai parrocchiani di San Massimiliano Kolbe, esortandoli a vivere l’Avvento nella quotidianità, nella vita ordinaria delle famiglie, indicandolo come “forte invito … a lasciare entrare sempre di più Dio” nelle case e nei quartieri, “per avere una luce in mezzo alle tante ombre, alle tante fatiche di ogni giorno”. Quindi ha raccomandato alla comunità parrocchiale di non isolarsi dal contesto diocesano e ad essere "espressione della bellezza della Chiesa" che, sotto la guida del vescovo, "cammina in comunione verso il Regno di Dio”. Augurando poi alle famiglie di realizzare pienamente “la propria vocazione all’amore con generosità e perseveranza”, Benedetto XVI ha aggiunto:

“Anche quando dovessero presentarsi difficoltà nella vita coniugale e nel rapporto con i figli, gli sposi non cessino mai di rimanere fedeli a quel fondamentale “sì” che hanno pronunciato davanti a Dio e vicendevolmente nel giorno del matrimonio, ricordando che la fedeltà alla propria vocazione esige coraggio, generosità e sacrificio”.

Con lo sguardo alla parrocchia che accoglie nuclei familiari di diverse origini e nazionalità, il Papa ha poi sottolineato la necessità di “crescere … nella comunione”, “creare occasioni di dialogo e favorire la reciproca comprensione tra persone provenienti da culture, modelli di vita e condizioni sociali differenti”. E, ancora, di pensare “una pastorale attenta ai reali bisogni di ciascuno”, di “partire dai ‘vicini’ per giungere fino ai ‘lontani’”. Infine, il Pontefice ha parlato ai giovani:

La Chiesa si aspetta molto da voi, dal vostro entusiasmo, dalla vostra capacità di guardare avanti e dal vostro desiderio di radicalità nelle scelte di vita. Sentitevi veri protagonisti nella parrocchia, mettendo le vostre fresche energie e tutta la vostra vita a servizio di Dio e dei fratelli”.

E proiettato al Natale ha sollecitato i fedeli ad “essere costanti e pazienti nell’attesa del Signore che viene, e ad esserlo insieme, come comunità, evitando lamentele e giudizi”.

sabato 11 dicembre 2010

epigrafe cristiana di Siracusa la devozione a santa Lucia



RIPORTIAMO QUESTO BELL' ARTICOLO DI OGGI SU L'OSSERVATORE ROMANO




Nella più importante epigrafe cristiana di Siracusa la devozione a santa Lucia

L'ombrosa e la luminosa


di Mariarita Sgarlata

Può una lapide possedere una forza evocativa e una valenza documentaria superiore all'intera gamma di fonti primarie e secondarie di cui si può disporre? Sì, se si tratta dell'iscrizione di Euskia. È quanto emerso durante un lavoro di revisione del materiale epigrafico proveniente dal cimitero comunitario di San Giovanni a Siracusa, nell'ambito dei lavori dell'Ispettorato per le catacombe della Sicilia Orientale della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra.
Nessuna decorazione aggiunta, nessun segno distintivo accompagnano la modesta sepoltura di Euskia, una delle tante fosse scavate nel suolo di un cubicolo, ma soltanto un'iscrizione marmorea che, nell'esitante impaginazione e nell'affollamento dei nessi fra le lettere, assume una valore particolare per la storia del cristianesimo delle origini a Siracusa.
"Euskia l'incensurabile, che visse onestamente e nobilmente anni più o meno 25, morì nella festa della signora mia Lucia, per la quale non è necessario pronunciare encomio. Cristiana fedele (e) perfetta, gradita al proprio marito per le (sue) molte grazie, affabile".
Nella traduzione dal greco, questo è il testo della più importante epigrafe cristiana di Siracusa. È cristiana nel formulario che ripropone l'elogium, i dati retrospettivi della vita della defunta e il monogramma cristologico, affiancato dalle lettere apocalittiche, patrimonio comune delle iscrizioni delle catacombe; è uno straordinario esempio di devozione perché Euskia aveva ottenuto il privilegio di morire nel giorno sacro a Lucia, protettrice dei siracusani, martire durante la persecuzione di Diocleziano il 13 dicembre del 304. La heortè (la festa) corrisponde al dies natalis di Lucia e, ricordandola, il marito, che aveva presumibilmente commissionato la lapide, cercava di assicurare la protezione della martire alla sposa, morta nello stesso giorno.
Ma c'è di più, perché il nome della defunta Euskia contrasta con il nome di Loukia: l'Ombrosa si contrappone alla Luminosa e tutto questo potrebbe non essere casuale.
Già dal primo scopritore nel 1895, l'archeologo Paolo Orsi, ha iniziato a prendere forma l'idea che l'epigrafe, riferendosi a una donna che soffriva di una malattia agli occhi, potesse configurarsi come il più antico documento relativo al protettorato della vista riconosciuto alla martire Lucia dai suoi devoti. Anche non volendo accreditare una suggestione di tale natura, appare incontrovertibile che Lucia sia comunque kyria (signora) e ci chiediamo se il termine sia da intendere come sinonimo di haghìa (santa), cosa che garantirebbe l'ufficialità del culto, o come semplice titolo onorifico. Quale che sia la risposta, l'importanza dell'iscrizione di Euskia non ne uscirebbe scalfita poiché attesta, se non ancora la santità di Lucia, la devozione locale e il culto di cui la martire era oggetto nel v secolo a Siracusa.
Siamo dunque in presenza della prima attestazione del culto di Lucia, che conferma la storicità della notizia fornita dal martirologio geronimiano sulla devozione popolare nei confronti della santa, manifestatasi fin dall'inizio con la celebrazione di una festa. Le altre testimonianze si riferiscono tutte a periodi successivi: tra queste merita di essere ricordato il più antico documento letterario che abbia tramandato la memoria di Lucia, un martyrion greco datato alla fine del v secolo, la cui attendibilità è stata a lungo discussa e, a tutt'oggi, non ancora palesemente dimostrata. L'iscrizione, ascrivibile agli inizi del v secolo, precederebbe così la contestata passio e confermerebbe l'antichità del culto di Lucia, le cui spoglie erano conservate nell'omonima catacomba a Siracusa. Insieme con l'iscrizione catanese di Iulia Fiorentina, l'epigrafe di Euskia si configura come il più antico documento siciliano che si possa mettere in relazione con l'esperienza del martirio.
L'opera di potenziamento del culto tributato a Lucia, legata all'iniziativa di Gregorio Magno, trova a Siracusa una conferma anche nella fondazione di un monastero sul luogo della sepoltura della santa, che viene dunque rilanciato dalla fine del vi secolo come polo devozionale. Mentre la fondazione del monastero è certificata da fonti contemporanee e attendibili, la costruzione della basilica, destinata a custodire le reliquie della martire e ad accogliere i fedeli, viene attestata solo dalla passio menzionata, che insiste sulla funzione aggregante della tomba - "attrae fedeli dalle città vicine e favorisce il flusso dei pellegrinaggi".
I due oratori, ricavati in età bizantina, all'interno della catacomba rivelano in pianta una contiguità topografica evidente con il sepolcro della santa e, grazie alla presenza di graffiti nella fase più antica, sono la prova più convincente dell'incessante movimento dei pellegrini, che doveva interessare l'intera zona.
Se l'affresco che decora l'oratorio dei Quaranta Martiri si ferma alla data della prima metà dell'viii secolo, i diversi strati pittorici del secondo oratorio indicano una prosecuzione del culto fino alla seconda metà del xiii secolo. Appare evidente come il culto di santa Lucia fosse destinato a sopravvivere nei santuari sotterranei extramuranei di Siracusa anche oltre il momento della traslazione del corpo a Costantinopoli, a opera di Giorgio Maniace nel 1039, perché l'asportazione delle reliquie non snaturava la funzione aggregante legata alla collocazione originaria. A questa funzione se ne potrebbe affiancare un'altra, di natura difensiva. La dislocazione topografica di questi, come degli altri santuari martiriali della città (in particolare, la cripta di San Marciano), assolverebbe infatti a un compito, più volte segnalato per altri centri, di proteggere per un lungo tratto la città più di quanto non sarebbero riuscite a fare le mura stesse, difendendola simbolicamente grazie alla presenza delle tombe venerate, che rinnovavano la memoria del martirio e della santità sia ai pellegrini che agli invasori.
Se l'iscrizione di Euskia, datata agli inizi del v secolo, conferma l'antichità della devozione popolare nei confronti di Santa Lucia, l'archeologia attesta la continuità del culto in un arco di tempo straordinariamente lungo, che si rinnova e si consolida di anno in anno, da heortè a heortè.


(©L'Osservatore Romano - 12 dicembre 2010)

Giuliana di Norwich: le promesse di Dio sono sempre più grandi delle nostre attese.

Stralci dall' Udienza Generale di Mercoledì


Dio, però, anche nei tempi di tribolazione, non cessa di suscitare figure come Giuliana di Norwich

“Vorresti sapere cosa ha inteso il tuo Signore e conoscere il senso di questa rivelazione? Sappilo bene: amore è ciò che Lui ha inteso. Chi te lo rivela? L’amore. Perché te lo rivela? Per amore ... Così imparai che nostro Signore significa amore” (Giuliana di Norwich, Il libro delle rivelazioni, cap. 86, Milano 1997, p. 320).

dentro la città di Norwich, ai suoi tempi un importante centro urbano, vicino a Londra. Forse, assunse il nome di Giuliana proprio da quello del santo cui era dedicata la chiesa presso cui visse per tanti anni, sino alla morte. Potrebbe sorprenderci e persino lasciarci perplessi questa decisione di vivere “reclusa”, come si diceva ai suoi tempi.

Le donne e gli uomini che si ritirano per vivere in compagnia di Dio, proprio grazie a questa loro scelta, acquisiscono un grande senso di compassione per le pene e le debolezze degli altri

Penso, dunque, con ammirazione e riconoscenza, ai monasteri di clausura femminili e maschili che, oggi più che mai, sono oasi di pace e di speranza, prezioso tesoro per tutta la Chiesa, specialmente nel richiamare il primato di Dio e l’importanza di una preghiera costante e intensa per il cammino di fede.

Giuliana di Norwich ha compreso il messaggio centrale per la vita spirituale: Dio è amore e solo quando ci si apre, totalmente e con fiducia totale, a questo amore e si lascia che esso diventi l’unica guida dell’esistenza, tutto viene trasfigurato, si trovano la vera pace e la vera gioia e si è capaci di diffonderle intorno a sé.

Giuliana di Norwich: “Imparai dalla grazia di Dio che dovevo rimanere fermamente nella fede, e quindi dovevo saldamente e perfettamente credere che tutto sarebbe finito in bene…” (Il libro delle rivelazioni, cap. 32, p. 173).

Sì, cari fratelli e sorelle, le promesse di Dio sono sempre più grandi delle nostre attese. Se consegniamo a Dio, al suo immenso amore, i desideri più puri e più profondi del nostro cuore, non saremo mai delusi. “E tutto sarà bene”, “ogni cosa sarà per il bene”: questo il messaggio finale che Giuliana di Norwich ci trasmette e che anch’io vi propongo quest’oggi. Grazie.

venerdì 10 dicembre 2010

Il giorno della Madonna di Loreto ma il quotidiano locale ne parla poco

Sarà la giornata delle Marche e avremmo pensato che i giornali utilizzassero questo giorno per ricordare la Patrona delle Marche, la Vergine Lauretana,invece non c'è traccia di Lei o ben poco.Si fanno carrellate di buoni esempi sulla vita civile ed industriale ma nessun richiamo ad una tradizione profondamente legata da secoli al popolo marchigiano .
Padre Matteo Ricci fin troppo abusato e sfruttato, dove verrà riposto passato questo anno del suo quattrocentenario? Forse rimarrà ancora in vita perchè grande è veramente stato .Ma chi ne parlava qualche anno fa ...ben pochi !Non sarà però forse che è stata la Cina con il suo PIL di 9 % a ridestare dal sonno un così illustre personaggio!?

lunedì 6 dicembre 2010

il senso dell'Avvento

Tempo d’Avvento. Il Papa: costruire un mondo migliore nell’attesa del mondo realmente miglioreIl Papa, in questo Tempo forte dell’Avvento, ha invitato i fedeli a “vivere i gesti quotidiani con uno spirito nuovo, con il sentimento di un’attesa profonda, che solo la venuta di Dio può colmare”. La dimensione dell’attesa del Dio che viene è molto presente nelle risposte del Papa nel recente libro-intervista di Peter Seewald “Luce del mondo - Il Papa, la Chiesa e i segni dei tempi”. Ce ne parla Sergio Centofanti.

Il Papa invita a costruire “un mondo migliore” nell’attesa che venga “il mondo realmente migliore”: un impegno nell’oggi che passa, dunque, con lo sguardo rivolto al domani che sarà per sempre. Ma “il nostro problema – afferma - consiste nel fatto che, per i troppi alberi, non riusciamo più a vedere la foresta intera”, cioè a causa di tutto il nostro “sapere non troviamo più la sapienza”, non riusciamo più a vedere ciò che è essenziale, ciò che resta. E osserva che oggi la predicazione sulla vita eterna è spesso oscurata dall’attenzione “unilaterale” alle vicende quotidiane: occorre invece “sfondare quest’orizzonte, ampliarlo” per invitare a guardare anche “alle cose ultime” che “sono come pane duro per gli uomini di oggi. Gli appaiono irreali”. Si vogliono “risposte concrete per l’oggi … ma sono risposte che restano a metà se non permettono anche di … riconoscere che io mi estendo oltre questa vita materiale, che c’è il giudizio … e l’eternità”.Gesù, infatti, lo dice con certezza: “io tornerò” e avrà luogo un “giudizio vero e proprio” che non possiamo non prendere sul serio. E’ necessaria una preparazione: siamo chiamati ad andare incontro alla venuta definitiva del Signore – sottolinea il Papa - andando “incontro alla sua misericordia, lasciandoci … modellare dalla misericordia di Dio come antidoto alla spietatezza del mondo; è questa … la preparazione perché Egli stesso venga con la sua misericordia”.In questa situazione, la missione della Chiesa è quella di salvare l’uomo dall’amore di sé “portato sino alla distruzione del mondo”. Il Papa spiega che “la Chiesa non grava gli uomini di un qualcosa, non propone un qualche sistema morale”. “Non siamo moralisti – dice con forza - ma a partire dal fondamento della fede , siamo portatori di un messaggio etico che dà orientamento agli uomini”. “Veramente decisivo è il fatto che essa dona Lui”, Cristo, aprendo “le porte che conducono a Dio” e offrendo agli uomini “quello che maggiormente attendono, quello di cui hanno più bisogno”, anche se non lo sanno. Donare Cristo soprattutto “per mezzo del grande miracolo dell’amore” grazie a uomini di Dio che “senza ricavarne alcun profitto …. motivati da Cristo, assistono gli altri, li aiutano. Questo carattere terapeutico del Cristianesimo, che guarisce e dà gratuitamente – afferma il Papa - dovrebbe … emergere molto più chiaramente” nella vita dei cristiani. Guardando al progresso odierno Benedetto XVI invita, inoltre, a porsi una domanda: “cosa è bene?”. Infatti “il bene viene prima dei beni”. Nell’attuale società del consumismo c’è una fame d’infinito che s’illude di saziarsi, ora e subito, con le cose materiali. Si vive spesso “per l’apparenza, - afferma il Papa - e trattiamo i grandi debiti come fossero qualcosa che fa parte di noi”. C’è bisogno invece di “una nuova e più profonda coscienza morale, una concreta disponibilità alla rinuncia”, alla sobrietà, ad una rinnovata disciplina assumendo come stile di vita “l’amore per il prossimo, portato sino alla rinuncia di sé”. La prospettiva cristiana supera sempre il godimento immediato per guardare oltre e avanti: “essere uomini – rileva il Pontefice - è come una scalata in montagna, con ripide salite; ma è attraverso di esse che raggiungiamo le cime e possiamo sperimentare la bellezza dell’essere”. Come entrare in questo nuovo modo di essere? Il Papa cita il monito di San Bernardo: “non perderti nell’attivismo”. “La sapienza dello scriba – dice il Siracide – si deve alle sue ore di quiete”: occorre avere il coraggio di fare silenzio per ascoltare Dio che “è voluto entrare nel mondo” e continua a venire e verrà definitivamente. E di fronte all’”arroganza dell’intelletto” che non comprende come Dio possa essersi fatto uomo in una Vergine, l’Onnipotente “non s’impone”, lascia all’uomo la libertà di dire sì perché “… la fede è sempre un accadere nella libertà”. La Chiesa – conclude il Papa - vuole annunciare questo: l’incontro con Cristo “apre veramente in noi nuove possibilità, dilatando il nostro cuore e il nostro spirito: la fede veramente conferisce alla nostra vita una ulteriore dimensione”, “dà gioia, allarga gli orizzonti” introducendo “in una realtà più grande … al di là di questa quotidianità”.