mercoledì 16 febbraio 2011

La Pazienza di Cristo di amarci e farci suoi

nell nostro mondo si avverte una coscienza scettica , un'inerzia nei confronti del buono e del vero.
Siamo quasi stanchi di invitare gli altri ad una possibilità di novità nella vita .
Ma oggi ( MC 8:il cieco di Betsaida) Cristo ci dice che Lui non è stanco e continua nonostante gli ingrati stop a cui lo sottoponiamo, l'ingrato rifiuto di ringraziamento delle opportunità che ci offre .
Allora la sua opera di Salvezza, pur con fatica, affronta fasi di progressiva illuminazione nostra in attesa di un definitivo nostro abbandono.
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LAICITA’/ John Waters: così l’"incredulo" san Tommaso ci insegna a tornare cristiani



martedì 15 febbraio 2011


Mi viene spesso da pensare che San Tommaso, quello chiamato “l’incredulo”, non meriti la cattiva nomea che lo accompagna. Se mi fosse stato chiesto da ragazzo, quando sentivo continuamente le storie del Vangelo con le loro interpretazioni, non penso che avrei messo Tommaso molto lontano da Giuda nella lista dei cattivi. Ma è giusto?
Tommaso l’incredulo era uno dei dodici apostoli di Gesù, conosciuto anche come Didimo, che in greco significa “gemello”, come Tommaso in ebraico. L’appellativo di “incredulo” gli fu dato in seguito al suo iniziale rifiuto di credere che Cristo fosse risorto da morte, fino a che non ne vide le piaghe.

Il Vangelo di Giovanni ci dice che, dopo la Resurrezione, Gesù apparve ad alcuni discepoli quando Tommaso non era presente. Dice Giovanni (20,25): “Gli dissero allora gli altri apostoli: ‘Abbiamo visto il Signore!’ Ma egli disse loro: ‘Se non vedo nelle sue mani i segni dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò’”.
Otto giorni dopo, Gesù riapparve ai Suoi discepoli, e questa volta c’era anche Tommaso: “Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse ‘La pace sia con voi!’ Poi disse a Tommaso: ‘Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!’ Rispose Tommaso: ‘Mio Signore e mio Dio!’ Allora Gesù gli disse: ‘Perché mi hai visto, hai creduto; beati quelli che pur non avendo visto crederanno!’” (Giovanni 20,26-29).

Queste parole di Gesù vengono di solito interpretate come una sorta di condanna per coloro che hanno bisogno di prove per credere. Tuttavia, a una lettura più attenta, mi sono reso conto che Gesù non è sprezzante con Tommaso come invece pensavo. In realtà, Egli è molto gentile e paziente, permettendo a Tommaso di esaminare le Sue ferite e dicendo che è bene che ora creda, affermando al contempo la bontà di coloro che credono senza aver visto, li chiama “beati”, ma non dice che Tommaso lo è di meno.
La distinzione che Gesù fa non è tra chi vuole prove e chi ne fa a meno, ma tra chi ha visto di persona e chi invece non ha visto: a questa seconda categoria appartengono quasi tutti i cristiani finora vissuti, compresi tutti noi che viviamo ora.

Riflettendo, non penso che Gesù volesse dire che vi è maggior valore se crediamo senza prove, e ancor meno che volesse attribuire maggior valore a un credere non fondato su prove, ma che volesse distinguere tra due diversi tipi di prova: quella data dagli occhi e quella fondata su testimoni attendibili.
Se la fede è basata sul mero sentimento o su un concetto superficiale di obbedienza, diventa meno solida e più esposta allo scetticismo. La migliore forma di fede è quella che esplora liberamente l’intero campo del dubbio, prendendo in considerazione tutte le prove disponibili, come fece Tommaso.

La fede dei cristiani di oggi non è certo digiuna di evidenze. Abbiamo la dura evidenza della realtà, l’evidenza della nostra esistenza e della sua misteriosa natura, l’evidenza della risposta meno presa in considerazione tra quelle che possiamo dare: la meraviglia per “ciò che è”. Abbiamo anche l’evidenza dei Vangeli e delle centinaia di testimonianze che contengono, le loro storie che, coscientemente o no, abbiamo ponderato con la nostra ragione fin dall’infanzia, valutando la loro plausibilità nello stesso modo in cui Tommaso l’incredulo affrontò le prove che aveva di fronte. Avendo dato voce alle più profonde incertezze della posterità, è diventato per noi un testimone più importante che tanti altri.

Da molti altri riferimenti nei Vangeli apprendiamo che Tommaso, in diverse occasioni, si è dimostrato uno dei più decisi tra gli apostoli, coraggioso e fedele. Quando gli altri cercavano di trattenere Gesù dal tornare a Betania per far risuscitare Lazzaro, dato che gli abitanti di quella città avevano cercato di lapidarlo (Giovanni, 11,8), Tommaso prorompe: “Andiamo anche noi a morire con Lui!” (Giovanni 11,16). Ed è ancora lui che pone a Gesù una delle più famose domande del Vangelo: “Signore non sappiamo dove vai, come possiamo conoscere la via?”. Gesù gli risponde: “Io sono la Via, la Verità e la Vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”. (Giovanni 14,5-6).

In questa nostra epoca incredula come poche altre, in cui una falsa forma di ragione ha tagliato fuori la nostra cultura dal significato di molto di ciò che è evidente, l’importanza di Tommaso l’incredulo è tale da poter essere eletto a patrono della cultura odierna, contrassegnata dal secolarismo e dal suo relativismo, dal suo concetto ridotto di ragione e dalla sua tendenza al pessimismo come prima risposta di fronte alla realtà. È il “gemello” del cristiano moderno, il mio gemello.. e, magari…anche il tuo?
“È un San Tommaso” è una frase usata nella nostra cultura per indicare uno che rifiuta di credere a un’evidenza diretta, fisica, personale, e in questo senso si può dire che inglobi interamente la posizione dell’attuale cultura. In realtà, un ragionevole scetticismo non è affatto un tratto deprecabile in una persona intelligente. Come il Papa continua a ricordarci, l’intelligenza della fede deve diventare anche intelligenza della realtà. Non vi è nulla da temere dalla ricerca di una prova: il problema è come arriviamo a valutare questa prova e cosa scegliamo di fare con essa.

Non credo che Gesù, con la Sua risposta a Tommaso, volesse invitarci a ridurre questo desiderio di prove in favore di una cieca adesione all’idea moralistica che il credere di per sé sia preferibile a un approccio rigoroso nella ricerca della verità. Al massimo, voleva forse suggerire che, piuttosto che sospendere la nostra apertura al credere, è più utile per noi sospendere il nostro scetticismo fino a che non abbiamo considerato tutti gli aspetti e non solo ciò che ci dicono i nostri occhi. Se qualcosa veniva condannato era quell’empirismo che esige la totale dimostrabilità per giustificare l’accettazione di una proposta.
Per questo mi domando se non siamo stati ingiusti verso Tommaso l’incredulo. Forse, nel suo scetticismo, ci ha dato una testimonianza alla quale possiamo aderire in modo più concreto e, con la sua insistenza sulle prove, ci ha proposto un esempio da seguire e una storia in cui lo scetticismo è stato dissolto da un evento che, testimoniato dal Vangelo di Giovanni, permette anche a noi di credere anche senza “vedere” personalmente.



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