giovedì 26 dicembre 2013

Chesterton. Il Natale è un regalo di Dio | Tempi.it


Chesterton. Perché regalare è cristiano? Perché anche il Natale è un «regalo di Dio che può essere visto e toccato»

Spirito del NatalePer gentile concessione dell'editore, pubblichiamo il brano "Teologia dei regali di Natale" (1910) della raccolta "Lo spirito di Natale" di Gilbert Keith Chesterton. L'opera, edita da D'Ettoris Editori e pubblicata a ottobre, è a cura di Maurizio Brunetti. 

Quei moderni teologi che insistono sul fatto che il cristianesimo non consiste in un sistema dottrinale, ma in uno spirito, il più delle volte non si accorgono che, così facendo, si sottomettono a un vaglio ancor più brusco e severo di quello basato sulla dottrina stessa: prima che un uomo possa essere bruciato per le sue opinioni è almeno necessario che siano rispettati alcuni presupposti legali; al contrario, non occorrono preliminari di sorta perché un uomo possa essere ucciso da un colpo di pistola per il solo tono della sua voce.
Nell'avvertire la sgradevolezza di alcune nuove opinioni, il cristiano d'altri tempi potrebbe rivelarsi persino più rapido rispetto ai tempi necessari per stabilire il loro effettivo grado di eterodossia. È molto più semplice, infatti, individuare e detestare l'odore di un'eresia piuttosto che rintracciarne i suoi ingredienti chimici.
E quando il nuovo teologo rinuncia alla storia e alla metafisica esatta e si limita ad affermare: «Spogliato del suo formalismo, questo è il cristianesimo», rispetto al vecchio teologo è ancora più indifeso di fronte all'eventuale risposta – del tutto soggettiva e personale – dell'uomo della strada: «Se questo è il cristianesimo, è meglio che te lo porti via».

Per alcuni, la polvere da sparo è una sostanza composta da carbone, zolfo e nitrato di potassio; per altri – ad esempio, per l'intelletto più pratico di una zia nubile –, è semplicemente una cosa che finisce con uno scoppio. Ma se il filosofo dell'innovazione si vanta di non aver bisogno né di sale, né di zolfo, né di carbone, noi almeno lo scoppio lo esigiamo, e che sia di quelli buoni. Se lui dice che è in grado di far saltare in aria il Parlamento con latte, olio per l'insalata e segatura fine, lo si lasci fare. A patto, però, che il Parlamento, poi, effettivamente esploda; sul fatto che sia questa la cosa essenziale siamo tutti d'accordo.
Ora, il cristianesimo, qualunque cosa sia, è un'esplosione. Che consista oppure no nella Caduta, nell'Incarnazione e nella Risurrezione, certamente è composto di tuono, di prodigio e di fuoco. Se non è fenomenale, semplicemente non vi è in esso alcun senso. Se il Vangelo non assomiglia a una pistola che fa fuoco, è come se non fosse per nulla annunciato. E se le nuove teologie suonano come il vapore che esce lentamente da un bollitore che non tiene, allora persino l'orecchio inesperto del principiante – che non conosce né la chimica né la teologia – può rilevare la differenza tra quel suono e un'esplosione. È inutile che questo tipo di riformatori dicano di basarsi non sulla parola ma sullo spirito. Poiché sono persino più chiaramente in contrasto con lo spirito di quanto non lo siano con la parola.

chestertonA tal proposito, prendiamo un esempio fra i molti che vedono questo principio in atto: il caso dei regali di Natale. Poco tempo fa, ho letto un'affermazione della signora Eddy sull'argomento: diceva che lei non «faceva regali» nel senso grossolano, sensuale e terreno dell'espressione, ma che si sedeva immobile a pensare alla Verità e alla Purezza in modo che tutti i suoi amici sarebbero diventati, per questo, migliori. Adesso, io non dico che questo metodo sia necessariamente superstizioso o inefficace, e non c'è dubbio che, dal punto di vista economico, abbia un suo fascino. Dico solo che non è cristiano alla stessa prosaica e concreta maniera di quanto suonare una musica al contrario non sia musicale o usare un'abbreviazione come ain't non sia grammaticalmente corretto. Non so se ci sia un testo della Scrittura o un Concilio che condanni la teoria della signora Eddy sui regali di Natale, ma la condanna sicuramente il cristianesimo, così come la vita militare condanna chi si dà alla fuga.
Le due attitudini – della signora Eddy e del cristianesimo, rispettivamente – non sono solo antagoniste a causa di differenti teologie, o di differenti scuole di pensiero: prima ancora che s'inizi a ragionare, è lo stato d'animo che è differente. La più enorme e originale delle idee alla base dell'Incarnazione è che una buona volontà s'incarni; che venga, cioè, messa in un corpo. Un regalo di Dio che può essere visto e toccato: se l'epigramma del credo cristiano ha un punto essenziale è questo. Lo stesso Cristo è stato un regalo di Natale. Una nota a favore dei regali materiali di Natale è stata buttata giù persino prima della Sua nascita, con i primi spostamenti dei saggi dell'Oriente e della stella: i Tre Magi giunsero a Betlemme portando oro, incenso e mirra. Se avessero portato con sé solo la Verità, la Purezza e l'Amore non ci sarebbero state né un'arte né una civiltà cristiana.

Questi tre doni sono stati oggetto di chissà quante omelie, ma vi è un loro aspetto cui raramente è stata riconosciuta la giusta e meritata attenzione. È alquanto bizzarro che i nostri scettici europei, mentre prendono in prestito dai filosofi orientali così tanto del loro determinismo e della loro disperazione, si prendano anche costantemente gioco dell'unico elemento orientale che il cristianesimo ha entusiasticamente incorporato, l'unico autenticamente semplice e affascinante. Intendo, cioè, l'amore degli orientali per i colori vivaci e l'eccitazione infantile che hanno di fronte al lusso. Uno dopo l'altro, gli scettici hanno invariabilmente giudicato la Gerusalemme nuova di san Giovanni un ammasso di gioielli vistosi e di cattivo gusto. Uno dopo l'altro, hanno denunciato i riti della Chiesa come esibizioni pacchiane di viola sensuale e d'oro sgargiante. In realtà, nelle sue scelte, la Chiesa si dimostrò molto più saggia sia dell'Europa che dell'Asia. Si accorse, infatti, che l'appetito orientale per il rosso, l'argento, il verde e l'oro era di per sé innocente e appassionato, sebbene dissipato dalle civiltà inferiori per il loro indulgere alla mollezza e alla tirannia. Al contrario, vide insito nella stoica sobrietà di Roma – sebbene apparentata all'equità e allo spirito pubblico della civiltà più elevata che esistesse allora – un latente pericolo di rigidità e di orgoglio. La Chiesa prese tutto l'oro multi-sfaccettato e i colori brulicanti che avevano adornato così tante poesie erotiche e tante crudeli storie d'amore in Oriente, e con quella congerie variopinta di fiaccole illuminò le gigantesche dimensioni dell'umiltà e le più grandi cromie dell'innocenza. Prese i colori dalla schiena del serpente, lasciando perdere, però, il serpente.

Re Magi

Il popolo europeo ha, nel suo insieme, seguito in questo la guida dell'istinto e dell'arte cristiani. Niente tira più su di morale per la nostra tradizione popolare del guardare l'Oriente come a un insieme di forme pittoresche e di colori, piuttosto che a un sistema filosofico rivale. Sebbene sia, di fatto, un tempio di vetuste cosmologie, noi lo trattiamo come un grande bazar, cioè come un enorme negozio di giocattoli. Alla gente comune, pensando al Vicino Oriente, vengono più spesso in mente le Notti arabe, piuttosto che il Profeta arabo. Costantinopoli fu conquistata da una cultura saracena che, a quel tempo, era immensamente inferiore alla nostra. Ciononostante, noi ci preoccupiamo non della cultura dei Turchi, ma dei loro tappeti. Per anni, un certo ironico agnosticismo ha pervaso l'Impero Celeste. Ma noi Europei non ci informiamo sugli enigmi della Cina, ma solo sui loro puzzle. Consideriamo l'Oriente come una sorta di colossali grandi magazzini, e facciamo bene. È la cosa che dell'Oriente è più cordiale e più umano, ed è ciò che qualcuno chiama «violenza dei suoi colori» e «cattivo gusto delle sue gemme».
Solo dagli stessi scettici moderni, che ci propongono la tetra visione del mondo dell'Oriente miscelata ai più tetri costumi dell'Occidente, potremo sapere quanto cattive siano le altre cose orientali; la ruota del destino mentale, per esempio, o le lande desolate dei dubbi della mente. Schopenhauer ci mostra il veleno del serpente senza la sua lucentezza; tutt'al contrario, la Chiesa dei primi secoli ce ne aveva invece mostrato la lucentezza senza il veleno. Cioè la lucentezza che la Cristianità era riuscita a estrarre dal groviglio delle cose orientali. L'oro si è diffuso veloce come il fuoco nella foresta fino a lambire ogni manoscritto e ogni statuto, e ha cinto stretta la testa di ogni re e di ogni santo. Ma tutto ciò ebbe origine da quel mucchietto d'oro che Melchiorre portò con sé quando attraversò il deserto per giungere a Betlemme.

Gli altri due doni sono ancor più contrassegnati dal grande segno del cristianesimo: l'apprezzamento dell'esperienza sensoriale e di ciò che è materiale. C'è persino qualcosa di sfacciatamente carnale nell'appello che l'incenso e la mirra fanno al senso dell'olfatto. Il naso non è tagliato fuori dal resto del divino corpo umano. La dignità di un organo che appare comico, per la mentalità moderna, quanto la proboscide di un elefante è invece riconosciuta con molta disinvoltura nell'immaginario orientale.
Comunque, tanto per dare un colpo al cerchio dopo averlo dato alla botte, se questa forma di asiatica luxuria è ammessa nel mistero cristiano, è solo per subordinarla a una semplicità e a una sobrietà superiore. L'oro è portato in una stalla; i re devono andare in cerca di un falegname. I Magi sono in cammino, non per trovare la saggezza, ma piuttosto una forte e santa ignoranza. Quegli uomini saggi provenivano dall'Oriente, ma si diressero verso Occidente per incontrare Dio.

Oltre a questa qualità tangibile e incarnata che rende i regali di Natale così squisitamente cristiani, c'è un altro elemento che ha un effetto spirituale analogo: intendo ciò che potremmo chiamare il loro particolarismo, la loro peculiare singolarità. Ancora una volta, a questo proposito, le nuove teorie – di cui la Scienza Cristiana è la più estesa e lucida – approdano a conclusioni sorprendentemente diverse, anzi opposte: la moderna teologia proverà a convincerci che il Bambino di Betlemme è solo un'astrazione che rappresenta la totalità dei bambini, e la Madre di Nazareth solo un simbolo metafisico della maternità.
La verità è un'altra: la narrazione della Natività ha un valore pienamente universale proprio perché riguarda una sola madre e un solo figlio, singoli e concreti. Infatti, se Betlemme non fosse particolare, non sarebbe popolare. Immaginiamo una canzone d'amore per una donna altezzosa, talmente penetrante e letale che nessun uomo – dal più umile che spinge l'aratro al principe in sella – possa fare a meno di cantarla da mane a sera; ognuno, senza eccezioni, smetterebbe immediatamente se dicessi loro che la canzone non era stata composta per una donna in particolare, ma solo, genericamente, per le donne in astratto.

Il Natale, persino nei riti più comici e casalinghi delle calze di Natale e delle scatole dei regali, è pervaso da questa particolare idea di patto d'intimità fra Dio e l'uomo – un cappello divino che si adatta perfettamente alla testa dell'uomo. Il cosmo è concepito come un ufficio postale centrale e celeste. Il sistema postale è, di fatto, rapido e vasto; ciononostante i pacchi vengono consegnati tutti, integri e sigillati. I regali di Natale sono simbolo di una protesta permanente fatta per conto del «dare» come distinto da quel mero «condividere» che i moderni sistemi di valore presentano come equivalente o superiore al primo. Il Natale rappresenta questo eccezionale e sacro paradosso: dal punto di vista spirituale, se Tommy e Molly si dessero a vicenda una moneta da sei penny, compirebbero una transazione di valore superiore rispetto alla condivisione di uno scellino.
Il Natale è qualcosa di meglio che una cosa per tutti: è una cosa per ognuno. E a chi trovi queste frasi inutili o stravaganti, o pensi che non vi sia fra di esse alcuna differenza se non la ricercatezza delle parole, l'unico riscontro possibile è quello che ho già indicato, cioè sottoporre la questione alla prova – dal valore stabile e duraturo – del popolino. Prendiamo cento ragazze a caso in una scuola e verifichiamo se non fanno alcuna distinzione fra il ricevere un fiore ciascuna o, al contrario, un giardino per tutte. Se pertanto queste nuove scuole di spiritualità intendono dimostrare di possedere lo spirito e il segreto delle feste cristiane, devono almeno provarlo non con affermazioni astratte, ma con un ceffone di quelli speciali e inequivocabili, che lascino un segno pungente e duraturo, per esempio dimostrando di essere in grado di scrivere un canto di Natale o, addirittura, di saper cucinare una torta di Natale.


mercoledì 25 dicembre 2013

si rinnova l’avvenimento che sempre ci stupisce e ci sorprende….mistero del camminare e del vedere.



Santa Messa della Notte nella Solennità del Natale del Signore, 24 dicembre 2013

SANTA MESSA DELLA NOTTE

SOLENNITÀ DEL NATALE DEL SIGNORE

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Basilica Vaticana
Martedì, 24 dicembre 2013

Video

  

1. «Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce» (Is 9,1).

Questa profezia di Isaia non finisce mai di commuoverci, specialmente quando la ascoltiamo nella Liturgia della Notte di Natale. E non è solo un fatto emotivo, sentimentale; ci commuove perché dice la realtà profonda di ciò che siamo: siamo popolo in cammino, e intorno a noi – e anche dentro di noi – ci sono tenebre e luce. E in questa notte, mentre lo spirito delle tenebre avvolge il mondo, si rinnova l'avvenimento che sempre ci stupisce e ci sorprende: il popolo in cammino vede una grande luce. Una luce che ci fa riflettere su questo mistero: mistero del camminare e del vedere.

Camminare. Questo verbo ci fa pensare al corso della storia, a quel lungo cammino che è la storia della salvezza, a cominciare da Abramo, nostro padre nella fede, che il Signore chiamò un giorno a partire, ad uscire dal suo paese per andare verso la terra che Lui gli avrebbe indicato. Da allora, la nostra identità di credenti è quella di gente pellegrina verso la terra promessa. Questa storia è sempre accompagnata dal Signore! Egli è sempre fedele al suo patto e alle sue promesse. Perché fedele, «Dio è luce, e in lui non c'è tenebra alcuna» (1 Gv 1,5). Da parte del popolo, invece, si alternano momenti di luce e di tenebra, fedeltà e infedeltà, obbedienza e ribellione; momenti di popolo pellegrino e momenti di popolo errante.

Anche nella nostra storia personale si alternano momenti luminosi e oscuri, luci e ombre. Se amiamo Dio e i fratelli, camminiamo nella luce, ma se il nostro cuore si chiude, se prevalgono in noi l'orgoglio, la menzogna, la ricerca del proprio interesse, allora scendono le tenebre dentro di noi e intorno a noi. «Chi odia suo fratello – scrive l'apostolo Giovanni – è nelle tenebre, cammina nelle tenebre e non sa dove va, perché le tenebre hanno accecato i suoi occhi» (1 Gv 2,11). Popolo in cammino, ma popolo pellegrino che non vuole essere popolo errante.

2. In questa notte, come un fascio di luce chiarissima, risuona l'annuncio dell'Apostolo: «È apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini» (Tt 2,11).

La grazia che è apparsa nel mondo è Gesù, nato dalla Vergine Maria, vero uomo e vero Dio. Egli è venuto nella nostra storia, ha condiviso il nostro cammino. È venuto per liberarci dalle tenebre e donarci la luce. In Lui è apparsa la grazia, la misericordia, la tenerezza del Padre: Gesù è l'Amore fattosi carne. Non è soltanto un maestro di sapienza, non è un ideale a cui tendiamo e dal quale sappiamo di essere inesorabilmente lontani, è il senso della vita e della storia che ha posto la sua tenda in mezzo a noi.

3. I pastori sono stati i primi a vedere questa "tenda", a ricevere l'annuncio della nascita di Gesù. Sono stati i primi perché erano tra gli ultimi, gli emarginati. E sono stati i primi perché vegliavano nella notte, facendo la guardia al loro gregge. E' legge del pellegrino vegliare, e loro vegliavano. Con loro ci fermiamo davanti al Bambino, ci fermiamo in silenzio. Con loro ringraziamo il Signore di averci donato Gesù, e con loro lasciamo salire dal profondo del cuore la lode della sua fedeltà: Ti benediciamo, Signore Dio Altissimo, che ti sei abbassato per noi. Tu sei immenso, e ti sei fatto piccolo; sei ricco, e ti sei fatto povero; sei l'onnipotente, e ti sei fatto debole.

In questa Notte condividiamo la gioia del Vangelo: Dio ci ama, ci ama tanto che ha donato il suo Figlio come nostro fratello, come luce nelle nostre tenebre. Il Signore ci ripete: «Non temete» (Lc 2,10). Come hanno detto gli angeli ai pastori: «Non temete». E anch'io ripeto a tutti voi: Non temete! Il nostro Padre è paziente, ci ama, ci dona Gesù per guidarci nel cammino verso la terra promessa. Egli è la luce che rischiara le tenebre. Egli è la misericordia: il nostro Padre ci perdona sempre. Egli è la nostra pace. Amen.

 
 


venerdì 13 dicembre 2013

Inviatiamoci a seguire Cristo che dà consistenza, novità, passione per uscire dall'inerzia lamentosa ed introdurci alla vita piena e saporosa


LaChiesa: Liturgia del giorno 

Dal Vangelo secondo Matteo cap 11

In quel tempo, Gesù disse alle folle: 
«A chi posso paragonare questa generazione? È simile a bambini che stanno seduti in piazza e, rivolti ai compagni, gridano: 
"Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato,
abbiamo cantato un lamento e non vi siete battuti il petto!".
È venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e dicono: "È indemoniato". È venuto il Figlio dell'uomo, che mangia e beve, e dicono: "Ecco, è un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori". 
Ma la sapienza è stata riconosciuta giusta per le opere che essa compie».

domenica 8 dicembre 2013

UDIENZA AI PARTECIPANTI ALLA PLENARIA DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER I LAICI


UDIENZA AI PARTECIPANTI ALLA PLENARIA DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER I LAICI

UDIENZA AI PARTECIPANTI ALLA PLENARIA DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER I LAICI
Alle ore 11.30 di questa mattina, nella Sala del Concistoro del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza i partecipanti alla Plenaria del Pontificio Consiglio per i Laici, che si è tenuta in questi giorni sul tema: "Annunciare Cristo nell'era digitale". Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha rivolto ai presenti:
● DISCORSO DEL SANTO PADRE
Signori Cardinali, cari fratelli Vescovi e Sacerdoti, fratelli e sorelle!
È per me una gioia incontrare il Pontificio Consiglio per i Laici riunito in Assemblea plenaria. Come amava ricordare il beato Giovanni Paolo II, con il Concilio è "scoccata l'ora del laicato", e ne danno conferma sempre di più gli abbondanti frutti apostolici. Ringrazio il Cardinale per le parole che mi ha rivolto.
Tra le iniziative recenti del Dicastero vorrei ricordare il Congresso Panafricano del settembre 2012, dedicato alla formazione del laicato in Africa; come pure il seminario di studio sul tema «Dio affida l'essere umano alla donna», nel venticinquesimo anniversario della Lettera Apostolica Mulieris dignitatem . E su questo punto dobbiamo approfondire di più. Nella crisi culturale del nostro tempo, la donna viene a trovarsi in prima linea nella battaglia per la salvaguardia dell'umano. E infine ringrazio con voi il Signore per la Giornata Mondiale della Gioventù di Rio de Janeiro: una vera festa della fede. E' stata una vera festa. I cariocas erano felici e ci hanno fatto felici tutti. Il tema della Giornata: «Andate e fate discepoli tutti i popoli», ha messo in evidenza la dimensione missionaria della vita cristiana, l'esigenza di uscire verso quanti attendono l'acqua viva del Vangelo, verso i più poveri e gli esclusi. Abbiamo toccato con mano come la missione scaturisca dalla gioia contagiosa dell'incontro col Signore, che si trasforma in speranza per tutti.
Per questa Plenaria avete scelto un tema molto attuale: «Annunciare Cristo nell'era digitale». Si tratta di un campo privilegiato per l'azione dei giovani, per i quali la "rete" è, per così dire, connaturale. Internet è una realtà diffusa, complessa e in continua evoluzione, e il suo sviluppo ripropone la questione sempre attuale del rapporto tra la fede e la cultura. Già durante i primi secoli dell'era cristiana, la Chiesa volle misurarsi con la straordinaria eredità della cultura greca. Di fronte a filosofie di grande profondità e a un metodo educativo di eccezionale valore, intrisi però di elementi pagani, i Padri non si chiusero al confronto, né d'altra parte cedettero al compromesso con alcune idee in contrasto con la fede. Seppero invece riconoscere e assimilare i concetti più elevati, trasformandoli dall'interno alla luce della Parola di Dio. Attuarono quello che chiede san Paolo: «Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono» ( 1 Ts 5,21). Anche tra le opportunità e i pericoli della rete, occorre «vagliare ogni cosa», consapevoli che certamente troveremo monete false, illusioni pericolose e trappole da evitare. Ma, guidati dallo Spirito Santo, scopriremo anche preziose opportunità per condurre gli uomini al volto luminoso del Signore.
Tra le possibilità offerte dalla comunicazione digitale, la più importante riguarda l'annuncio del Vangelo. Certo non è sufficiente acquisire competenze tecnologiche, pur importanti. Si tratta anzitutto di incontrare donne e uomini reali, spesso feriti o smarriti, per offrire loro vere ragioni di speranza. L'annuncio richiede relazioni umane autentiche e dirette per sfociare in un incontro personale con il Signore. Pertanto internet non basta, la tecnologia non è sufficiente. Questo però non vuol dire che la presenza della Chiesa nella rete sia inutile; al contrario, è indispensabile essere presenti, sempre con stile evangelico, in quello che per tanti, specie giovani, è diventato una sorta di ambiente di vita, per risvegliare le domande insopprimibili del cuore sul senso dell'esistenza, e indicare la via che porta a Colui che è la risposta, la Misericordia divina fatta carne, il Signore Gesù.
Cari amici, la Chiesa è sempre in cammino, alla ricerca di nuove vie per l'annuncio del Vangelo. L'apporto e la testimonianza dei fedeli laici si dimostrano indispensabili ogni giorno di più. Affido pertanto il Pontificio Consiglio per i Laici alla premurosa e materna intercessione della Beata Vergine Maria, mentre di tutto cuore vi benedico. Grazie.
[01833-01.01] [Testo originale: Italiano]
[B0816-XX.02]

venerdì 6 dicembre 2013

Predica d’Avvento. P. Cantalamessa: per riformare la Chiesa bisogna rinnegare se stessi e seguire Gesù


Predica d'Avvento. P. Cantalamessa: per riformare la Chiesa bisogna rinnegare se stessi e seguire Gesù

"Francesco d'Assisi e la riforma della Chiesa per via di Santità". E' stato questo il tema della prima predica d'Avvento al Papa e alla Curia Romana, tenuta stamani in Vaticano da padre Raniero Cantalamessa. Il predicatore della Casa Pontificia ha sottolineato che il Poverello d'Assisi ci insegna che i veri riformatori della Chiesa sono quelli che rinnegano se stessi e vivono totalmente per il Signore. Il servizio di Alessandro Gisotti:RealAudioMP3

Per capire San Francesco, "bisogna partire dalla sua conversione". Padre Cantalamessa ha iniziato così la sua predica d'Avvento e subito ha sottolineato che Francesco "non ha scelto la povertà e tanto meno il pauperismo: ha scelto i poveri". E tuttavia, anche questa scelta non spiega fino in fondo la sua conversione. E' "l'effetto del cambiamento, non la sua causa":

"La scelta vera è molto più radicale: non si trattò di scegliere tra ricchezza e povertà, né tra ricchi e poveri, tra l'appartenenza a una classe piuttosto che a un'altra, ma di scegliere tra se stesso e Dio, tra salvare la propria vita o perderla per il Vangelo".

"Il motivo profondo della sua conversione – ha soggiunto – non è di natura sociale, ma evangelica". E del resto, Francesco "non andò di sua spontanea volontà dai lebbrosi", ma vi fu condotto dal Signore. "Non ci si innamora di una virtù – ha avvertito padre Cantalamessa – fosse pure la povertà; ci si innamora di una persona":

"Francesco non sposò la povertà e neppure i poveri; sposò Cristo e fu per amor suo che sposò, per così dire 'in seconde nozze' Madonna povertà. Così sarà sempre nella santità cristiana. Alla base dell'amore per la povertà e per i poveri, o vi è l'amore per Cristo, oppure i poveri saranno in un modo o nell'altro strumentalizzati e la povertà diventerà facilmente un fatto polemico contro la Chiesa, o una ostentazione di maggiore perfezione rispetto ad altri nella Chiesa, come avvenne, purtroppo, anche tra alcuni dei seguaci del Poverello".

"Nell'uno e nell'altro caso – ha aggiunto – si fa della povertà la peggiore forma di ricchezza, quella della propria giustizia". Noi, ha poi osservato, "siamo abituati a vedere Francesco come l'uomo provvidenziale" capace di rinnovare la Chiesa in un tempo di forti tensioni. Francesco dunque come "una specie di mediatore tra gli eretici ribelli e la Chiesa istituzionale". In realtà, però, ha ammonito padre Cantalamessa, "quell'intenzione non ha mai sfiorato la mente di Francesco. Egli non pensò mai di essere chiamato a riformare la Chiesa". Ma cosa aveva voluto fare allora Francesco? "Ripristinare nel mondo la forma e lo stile di vita di Gesù":

"Scrivendo la Regola per i suoi frati comincerà così: 'La regola e la vita dei frati minori è questa, cioè osservare il santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo'. Francesco non teorizzò questa sua scoperta, facendone il programma per la riforma della Chiesa. Egli realizzò in sé la riforma e così indicò tacitamente alla Chiesa l'unica via per uscire dalla crisi: riaccostarsi al vangelo, riaccostarsi agli uomini e in particolare agli umili e ai poveri".

Francesco, ha proseguito, "fece a suo tempo quello che al tempo del Concilio Vaticano II si intendeva con il motto: abbattere i bastioni":

"Rompere l'isolamento della Chiesa, riportarla a contatto con la gente. Uno dei fattori di oscuramento del vangelo era la trasformazione dell'autorità intesa come servizio, in autorità intesa come potere che aveva prodotto infiniti conflitti dentro e fuori la Chiesa. Francesco, per conto suo, risolve il problema in senso evangelico. Nel suo Ordine, novità assoluta, i superiori si chiameranno ministri, cioè servi, e tutti gli altri frati, cioè fratelli".

Per riformare la Chiesa, dunque, bisogna iniziare a riformare se stessi. Francesco, ha detto padre Cantalamessa, ci insegna che se vogliamo davvero seguire Gesù e vivere per lui, dobbiamo rinnegare noi stessi. Significa "rimettere sempre al primo posto, nelle nostre intenzioni, la gloria di Cristo":

"Sia quelli che Dio chiama a riformare la Chiesa per via di santità, sia quelli che si sentono chiamati a rinnovarla per via di critica, sia quelli che egli stesso chiama a riformarla per via dell'ufficio che ricoprono. La stessa cosa da cui è cominciata l'avventura spirituale di Francesco: la sua conversione dall'io a Dio, il suo rinnegamento di sé. È così che nascono i veri riformatori, quelli che cambiano davvero qualcosa nella Chiesa".

Pregare è dare un po' fastidio a Dio


La preghiera è "un grido" che non teme di "dar fastidio a Dio", di "far rumore", come quando si "bussa a una porta" con insistenza. Ecco, secondo Papa Francesco, il significato della preghiera che va rivolta al Signore in spirito di verità e con la sicurezza che egli può davvero esaudirla. 
Il Pontefice ne ha parlato all'omelia della messa celebrata venerdì mattina, 6 dicembre, nella cappella della Casa Santa Marta. Riferendosi al passo del capitolo 9 di Matteo (27-31), il Papa ha innanzitutto richiamato l'attenzione su una parola contenuta nel brano del Vangelo "che ci fa pensare: il grido". I ciechi, che seguivano il Signore, gridavano per essere guariti. "Anche quel cieco all'entrata di Gerico gridava e gli amici del Signore volevano farlo tacere", ha ricordato il Santo Padre. Ma quell'uomo "chiede al Signore una grazia e la chiede gridando", come a dire a Gesù: "Ma fallo! Io ho diritto che tu faccia questo!".
"Il grido - ha spiegato il Pontefice - è qui un segno della preghiera. Lo stesso Gesù, quando ci insegnava a pregare, diceva di farlo come un amico fastidioso che, a mezzanotte, andava a chiedere un pezzo di pane e un po' di pasta per gli ospiti". Oppure "di farlo come la vedova col giudice corrotto". In sostanza, ha proseguito il Papa, "di farlo - io direi - dando fastidio. Non so, forse questo suona male, ma pregare è un po' dare fastidio a Dio perché ci ascolti". E ha precisato che è il Signore stesso a dirlo, suggerendo di pregare "come l'amico a mezzanotte, come la vedova al giudice". Dunque pregare "è attirare gli occhi, attirare il cuore di Dio verso di noi". Ed è proprio quello che hanno fatto anche i lebbrosi del Vangelo, che si avvicinarono a Gesù per dirgli: "Ma se tu vuoi, tu puoi guarirci!". E "lo fanno con una certa sicurezza". "E così Gesù - ha affermato il Pontefice - ci insegna a pregare". Noi abitualmente presentiamo al Signore la nostra richiesta "uno, due o tre volte, ma non con tanta forza: e poi mi stanco di chiederlo e mi dimentico di chiederlo". Invece i ciechi di cui parla Matteo nel passo evangelico "gridavano e non si stancavano di gridare". Infatti, ha detto ancora il Papa, "Gesù ci dice: chiedete! Ma anche ci dice: bussate alla porta! E chi bussa alla porta fa rumore, disturba, dà fastidio".
Proprio "queste sono le parole che Gesù usa per dirci come noi dobbiamo pregare". Ma questo è anche "il modo, che noi vediamo nel Vangelo, della preghiera dei bisognosi". Così i ciechi "si sentono sicuri di chiedere al Signore la salute", tanto che il Signore domanda: "Credete che io possa fare questo?". E loro rispondono: "Sì, o Signore! Crediamo! Siamo sicuri!".
Ecco, ha proseguito il Santo Padre, i "due atteggiamenti" della preghiera: "è bisognosa ed è sicura". La preghiera "è bisognosa sempre. La preghiera, quando noi chiediamo qualcosa, è bisognosa: ho questo bisogno, ascoltami Signore!". Inoltre "quando è vera, è sicura: ascoltami, io credo che tu puoi farlo, perché tu lo hai promesso!". Infatti, ha spiegato il Pontefice, "la vera preghiera cristiana è fondata sulla promessa di Dio. Lui l'ha promesso".
Il Pontefice ha poi fatto riferimento alla prima lettura (Isaia 29, 17-21) della liturgia del giorno, che contiene la promessa di salvezza di Dio al suo popolo: "Udranno in quel giorno i sordi le parole del libro; liberati dall'oscurità e dalle tenebre, gli occhi dei ciechi vedranno". Questo passo, ha affermato il Papa, "è una promessa. Tutto questo è una promessa, la promessa della salvezza: io sarò con te, io ti darò la salvezza!". Ed è "con questa sicurezza" che "noi diciamo al Signore i nostri bisogni. Ma sicuri che lui può farlo".
Del resto, quando preghiamo, è il Signore stesso a domandarci: "Tu credi che io possa fare questo?". Un interrogativo da cui scaturisce la domanda che ciascuno deve porre a se stesso: "Sono sicuro che lui può farlo? O prego un po' ma non so se lui può farlo?". La risposta è che "lui può farlo", anche se "quando lo farà e come lo farà non lo sappiamo". Proprio "questa è la sicurezza della preghiera".
Per quanto riguarda poi il "bisogno" specifico che motiva la nostra preghiera, occorre presentarlo "con verità al Signore: sono cieco, Signore, ho questo bisogno, ho questa malattia, ho questo peccato, ho questo dolore". Così lui "sente il bisogno, ma sente che noi chiediamo il suo intervento con sicurezza". Papa Francesco ha ribadito, in conclusione, la necessità di pensare sempre "se la nostra preghiera è bisognosa ed è sicura": è "bisognosa perché diciamo la verità a noi stessi", ed è "sicura perché crediamo che il Signore può fare quello che noi chiediamo".


cosa è la teologia


Il Papa ai teologi: siate pionieri del dialogo della Chiesa con le culture

Il Papa ha ricevuto stamani i membri della Commissione Teologica Internazionale, guidati dal presidente, mons. Gerhard Ludwig Müller, a conclusione della plenaria. Nel suo discorso Papa Francesco ha incoraggiato i teologi ad essere pionieri del dialogo della Chiesa con le culture. Ce ne parla Sergio Centofanti:RealAudioMP3

Papa Francesco riafferma "l'importanza del servizio ecclesiale dei teologi per la vita e la missione del Popolo di Dio". Al teologo – sottolinea citando la Gaudium et spes - appartiene il compito di "ascoltare attentamente, discernere e interpretare i vari linguaggi del nostro tempo, e saperli giudicare alla luce della Parola di Dio, perché la verità rivelata sia capita sempre più a fondo, sia meglio compresa e possa venir presentata in forma più adatta". Quindi offre il suo forte incoraggiamento:

"I teologi sono dunque dei 'pionieri', è importante questo… pionieri. Avanti! Pionieri del dialogo della Chiesa con le culture… ma, questo dei pionieri è anche importante perché alcune volte si può pensare che sono dietro, in caserma … No: sulle frontiere. Questo dialogo della Chiesa con le culture è un dialogo al tempo stesso critico e benevolo … che deve favorire l'accoglienza della Parola di Dio da parte degli uomini «di ogni nazione, razza, popolo e lingua".

I tre temi che attualmente occupano la Commissione – ha ricordato il Papa – "si inseriscono in questa prospettiva. La vostra riflessione sui rapporti tra monoteismo e violenza attesta che la Rivelazione di Dio costituisce veramente una Buona Notizia per tutti gli uomini":

"Dio non è una minaccia per l'uomo! La fede nel Dio unico e tre volte santo non è e non può mai essere generatrice di violenza e di intolleranza. Al contrario, il suo carattere altamente razionale le conferisce una dimensione universale, capace di unire gli uomini di buona volontà. D'altra parte, la Rivelazione definitiva di Dio in Gesù Cristo rende oramai impossibile ogni ricorso alla violenza 'nel nome di Dio'. È proprio per il suo rifiuto della violenza, per aver vinto il male con il bene, con il sangue della sua Croce, che Gesù ha riconciliato gli uomini con Dio e tra di loro".

E la Chiesa – ha proseguito – "è tenuta a vivere prima di tutto in se stessa quel messaggio sociale che porta nel mondo. Le relazioni fraterne tra i credenti, l'autorità come servizio, la condivisione con i poveri: tutti questi tratti, che caratterizzano la vita ecclesiale fin dalla sua origine, possono e devono costituire un modello vivente ed attraente per le diverse comunità umane, dalla famiglia fino alla società civile". "Tale testimonianza – ha sottolineato - appartiene al Popolo di Dio nel suo insieme, che è un Popolo di profeti. Per il dono dello Spirito Santo, i membri della Chiesa possiedono il 'senso della fede'. Si tratta di una sorta di 'istinto spirituale', che permette di sentire cum Ecclesia e di discernere ciò che è conforme alla fede apostolica e allo spirito del Vangelo":

"Certo, il sensus fidelium non si può confondere con la realtà sociologica di un'opinione maggioritaria, quello è chiaro. È un'altra cosa. È importante dunque - ed è un vostro compito - elaborare i criteri che permettono di discernere le espressioni autentiche del sensus fidelium. Da parte sua, il Magistero ha il dovere di essere attento a ciò che lo Spirito dice alle Chiese attraverso le manifestazioni autentiche del sensus fidelium".

La missione dei teologi – ha concluso il Papa è "al tempo stesso affascinante e rischiosa". "Affascinante, perché la ricerca e l'insegnamento teologico possono diventare una vera strada di santità". D'altra parte, con il rischio "possiamo andare avanti":

"Ma è anche rischiosa, perché comporta delle tentazioni: l'aridità del cuore, ma questo è brutto … quando il cuore si inaridisce e crede di poter riflettere su Dio con quell'aridità … quanti sbagli! L'orgoglio, persino l'ambizione. San Francesco di Assisi una volta indirizzò un breve biglietto al fratello Antonio di Padova, dove diceva tra l'altro: «Mi piace che insegni la sacra teologia ai fratelli, purché, nello studio, tu non spenga lo spirito di santa orazione e di devozione». Anche avvicinarsi ai piccoli aiuta a diventare più intelligenti e più sapienti".

martedì 3 dicembre 2013

trasmissione e gioia


Quella pace rumorosa - Messa mattutina celebrata da Papa Francesco nella Cappella della Domus Sanctae Marthae, 3 dicembre 2013

PAPA FRANCESCO

MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE

Quella pace rumorosa

Martedì, 3 dicembre 2013

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIII, n. 278, Mer. 04/12/2013)

Non si può pensare a una Chiesa senza gioia, perché Gesù, il suo sposo, era pieno di gioia. Dunque tutti i cristiani devono vivere con la stessa gioia nel cuore e comunicarla fino agli estremi confini del mondo. È questo in sintesi il senso della riflessione proposta da Papa Francesco questa mattina, martedì 3 dicembre, all'omelia della messa celebrata nella cappella di Santa Marta nella memoria del grande evangelizzatore Francesco Saverio.

«La parola di Dio — ha esordito il Pontefice — oggi ci parla di pace e di gioia. Isaia nella sua profezia (11, 1-10) ci dice come saranno i giorni del Messia. Saranno giorni di pace». Perché, ha spiegato, Gesù porterà la pace fra noi e Dio, e la pace fra noi. Dunque la pace che tutti noi desideriamo è quella che porta il Messia.

Il Vangelo di Luca (10, 21-24) proclamato durante la liturgia aiuta a capire qualcosa di più su Gesù. «Possiamo intravvedere — ha specificato il Pontefice — un po' l'anima di Gesù, il cuore di Gesù. Un cuore gioioso». Siamo infatti abituati a pensare a Gesù mentre predica, mentre guarisce, mentre va per le strade a parlare alla gente, o quando sale sulla croce. Ma «non siamo tanto abituati — ha detto il vescovo di Roma — a pensare a Gesù sorridente, gioioso. Gesù era pieno di gioia». Una gioia che gli derivava dall'intimità con il Padre. È proprio da questo rapporto con il Padre nello Spirito Santo che nasce la gioia interiore di Gesù. Quella gioia, ha aggiunto il Santo Padre, che «lui dà a noi. E questa gioia è la vera pace. Non è una pace statica, quieta, tranquilla: la pace cristiana è una pace gioiosa», perché è gioioso Gesù, è gioioso Dio.

«Nell'orazione all'inizio della messa — ha proseguito — abbiamo chiesto la grazia del fervore missionario perché la Chiesa si allieti con nuovi figli». Non si può pensare a «una Chiesa senza gioia», perché «Gesù ha voluto che la sua sposa, la Chiesa, fosse gioiosa». E «la gioia della Chiesa è proprio annunciare il nome di Gesù» per poter dire: «Il mio sposo è il Signore, è Dio» che «ci salva» e «ci accompagna».

In questa gioia di sposa, la Chiesa «diventa madre. Paolo VI — ha affermato Papa Francesco ricordando l'insegnamento del suo predecessore — diceva: la gioia della Chiesa è proprio evangelizzare» e trasmettere questa gioia «ai suoi figli».

Così capiamo che la pace di cui «ci parla Isaia — ha proseguito — è una pace di gioia, una pace di lode, una pace, diciamo, rumorosa nella lode. Una pace feconda nella maternità di nuovi figli, una pace che viene proprio nella gioia della lode alla Trinità e nella evangelizzazione, cioè nell'andare a dire ai popoli chi è Gesù».

Pace e gioia, dunque. «La gioia sempre, perché — ha spiegato il Santo Padre — deriva da una dichiarazione dogmatica di Gesù che dice: tu hai deciso così, di rivelarti non ai sapienti ma ai piccoli. Anche nelle cose tanto serie, come questa, Gesù è gioioso». Così anche la Chiesa deve essere gioiosa. Sempre, anche «nel periodo della sua vedovanza», ha aggiunto, essa «è gioiosa nella speranza». «Preghiamo — ha concluso — che il Signore dia a tutti noi questa gioia».


domenica 1 dicembre 2013

Parole di Papa Francesco all'Angelus del 1° dicembre 2013


Parole di Papa Francesco all'Angelus del 1° dicembre 2013

PAPA FRANCESCO

ANGELUS 

Piazza San Pietro
I Domenica di Avvento, 1° dicembre 2013

Video

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Iniziamo oggi, Prima Domenica di Avvento, un nuovo anno liturgico, cioè un nuovo cammino del Popolo di Dio con Gesù Cristo, il nostro Pastore, che ci guida nella storia verso il compimento del Regno di Dio. Perciò questo giorno ha un fascino speciale, ci fa provare un sentimento profondo del senso della storia. Riscopriamo la bellezza di essere tutti in cammino: la Chiesa, con la sua vocazione e missione, e l'umanità intera, i popoli, le civiltà, le culture, tutti in cammino attraverso i sentieri del tempo.

Ma in cammino verso dove? C'è una mèta comune? E qual è questa mèta? Il Signore ci risponde attraverso il profeta Isaia, e dice così: «Alla fine dei giorni, / il monte del tempio del Signore / sarà saldo sulla cima dei monti / e s'innalzerà sopra i colli, / e ad esso affluiranno tutte le genti. / Verranno molti popoli e diranno: / "Venite, saliamo al monte del Signore, / al tempio del Dio di Giacobbe, / perché ci insegni le sue vie / e possiamo camminare per i suoi sentieri"» (2,2-3). Questo è quello che dice Isaia sulla meta dove andiamo. E' un pellegrinaggio universale verso una meta comune, che nell'Antico Testamento è Gerusalemme, dove sorge il tempio del Signore, perché da lì, da Gerusalemme, è venuta la rivelazione del volto di Dio e della sua legge. La rivelazione ha trovato in Gesù Cristo il suo compimento, e il "tempio del Signore" è diventato Lui stesso, il Verbo fatto carne: è Lui la guida ed insieme la meta del nostro pellegrinaggio, del pellegrinaggio di tutto il Popolo di Dio; e alla sua luce anche gli altri popoli possono camminare verso il Regno della giustizia, verso il Regno della pace. Dice ancora il profeta: «Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, / delle loro lance faranno falci; / una nazione non alzerà più la spada / contro un'altra nazione, non impareranno più l'arte della guerra» (2,4). Mi permetto di ripetere questo che dice il Profeta, ascoltate bene: «Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, / delle loro lance faranno falci; / una nazione non alzerà più la spada / contro un'altra nazione, non impareranno più l'arte della guerra». Ma quando accadrà questo? Che bel giorno sarà, nel quale le armi saranno smontate, per essere trasformate in strumenti di lavoro! Che bel giorno sarà quello! E questo è possibile! Scommettiamo sulla speranza, sulla speranza della pace, e sarà possibile!

Questo cammino non è mai concluso. Come nella vita di ognuno di noi c'è sempre bisogno di ripartire, di rialzarsi, di ritrovare il senso della mèta della propria esistenza, così per la grande famiglia umana è necessario rinnovare sempre l'orizzonte comune verso cui siamo incamminati. L'orizzonte della speranza! Questo è l'orizzonte per fare un buon cammino. Il tempo di Avvento, che oggi di nuovo incominciamo, ci restituisce l'orizzonte della speranza, una speranza che non delude perché è fondata sulla Parola di Dio. Una speranza che non delude, semplicemente perché il Signore non delude mai! Lui è fedele! Lui non delude! Pensiamo e sentiamo questa bellezza.

Il modello di questo atteggiamento spirituale, di questo modo di essere e di camminare nella vita, è la Vergine Maria. Una semplice ragazza di paese, che porta nel cuore tutta la speranza di Dio! Nel suo grembo, la speranza di Dio ha preso carne, si è fatta uomo, si è fatta storia: Gesù Cristo. Il suo Magnificat è il cantico del Popolo di Dio in cammino, e di tutti gli uomini e le donne che sperano in Dio, nella potenza della sua misericordia. Lasciamoci guidare da lei, che è madre, è mamma e sa come guidarci. Lasciamoci guidare da Lei in questo tempo di attesa e di vigilanza operosa.


Dopo l'Angelus

Cari fratelli e sorelle,

oggi ricorre la Giornata mondiale per la lotta contro l'HIV/AIDS. Esprimiamo la nostra vicinanza alle persone che ne sono affette, specialmente ai bambini; una vicinanza che è molto concreta per l'impegno silenzioso di tanti missionari e operatori. Preghiamo per tutti, anche per i medici e i ricercatori. Ogni malato, nessuno escluso, possa accedere alle cure di cui ha bisogno.

Saluto con affetto tutti i pellegrini presenti: le famiglie, le parrocchie, le associazioni. In particolare, saluto i fedeli provenienti da Madrid, il Coro "Florilège" dal Belgio, il gruppo "Famiglie Insieme" di Solofra, e l'Associazione artistica operaia di Roma.

Saluto i fedeli di Bari, Sant'Elpidio a Mare, Pollenza e Grumo Nevano.

A tutti auguro un buon inizio di Avvento. Buon pranzo e arrivederci!