mercoledì 19 marzo 2014

BERGOGLIO E GIUSSANI. Le sintonie di fondo tra il futuro Papa e il futuro Beato (a Dio piacendo). Dall’uomo “religioso” all’“incontro” cristiano | Terre d'America di Alver Metalli

BERGOGLIO E GIUSSANI. Le sintonie di fondo tra il futuro Papa e il futuro Beato (a Dio piacendo). Dall'uomo "religioso" all'"incontro" cristiano

In the picture, Bergoglio and Giussani

In the picture, Bergoglio and Giussani

Massimo Borghesi
Filosofo

Il cardinale Jorge Maria Bergoglio non ha mai incontrato direttamente Mons. Luigi Giussani e, tuttavia, è innegabile che, sul piano ideale, un incontro ci sia stato. In quattro occasioni Bergoglio ha presentato, a Buenos Aires, volumi di Giussani usciti in edizione spagnola. Nel 1999 El sentido religioso, nel 2001 El atractivo Jesucristo, nel 2005 ¿Por qué la Iglesia?, nel 2008 Se puede vivir así?. Come confesserà, nel 2001, due ragioni lo portavano ad una consonanza con Giussani. «La prima, più personale, è il bene che negli ultimi dieci anni quest'uomo ha fatto a me, alla mia vita di sacerdote, attraverso la lettura dei suoi libri e dei suoi articoli. La seconda ragione è che sono convinto che il suo pensiero è profondamente umano e giunge fino al più intimo dell'anelito dell'uomo. Oserei dire che si tratta della fenomenologia più profonda e, allo stesso tempo, più comprensibile della nostalgia come fatto trascendentale». Bergoglio si riferiva qui alla visione antropologica enucleata ne Il senso religioso, testo di Giussani da lui presentato nel 1999. «Da molti anni – aveva affermato in quell'occasione – gli scritti di Monsignor Giussani hanno ispirato la mia riflessione[…]. Il senso religioso non è un libro ad uso esclusivo di coloro che fanno parte del movimento; neppure è solo per i cristiani o per i credenti. E' un libro per tutti gli uomini che prendono sul serio la propria umanità. Oso dire che oggi la questione che dobbiamo maggiormente affrontare non è tanto il problema di Dio, l'esistenza di Dio, la conoscenza di Dio, ma il problema dell'uomo, la conoscenza dell'uomo e il trovare nell'uomo stesso l'impronta che Dio vi ha lasciato per incontrarsi con lui. […] Per un uomo che abbia dimenticato o censurato i suoi "perché" fondamentali e l'anelito del suo cuore, il fatto di parlargli di Dio risulta un discorso astratto, esoterico o una spinta ad una devozione senza nessuna incidenza sulla vita. Non si può iniziare un discorso su Dio, se prima non vengono soffiate via le ceneri che soffocano la brace ardente dei "perché" fondamentali. Il primo passo è creare il senso di tali domande che sono nascoste, sotterrate, forse sofferenti, ma che esistono». Qui la lettura di Bergoglio coincide, alla lettera, con quanto scrive Giussani: «Il fattore religioso rappresenta la natura del nostro io in quanto si esprime in certe domande:"qual è il significato ultimo dell'esistenza?", "perché c'è il dolore, la morte, perché in fondo vale la pena vivere?"». Per l'allora cardinale di Buenos Aires, proveniente dalla scuola gesuitica, questa nostalgia trascendentale gli ricordava, indubbiamente, l'antropologia trascendentale sviluppata da Karl Rahner. Le assonanze, tra Giussani e Rahner, non toglievano, tuttavia, le differenze. Giussani aveva sviluppato ed articolato la sua nozione di "senso religioso", nel 1958, seguendo la peculiare impostazione tomistica data dal cardinale di Milano Giovanni Battista Montini nella sua Lettera pastorale del 1957 Sul senso religioso. In essa veniva precisata la dimensione religiosa come vis appetitiva, come esigenza di verità non criterio di verità. Veniva in tal modo evitato il rischio aprioristico che soggiace all'impostazione rahneriana, fortemente dipendente dal trascendentalismo kantiano. Ciò spiega il rilievo che assume in Giussani la categoria di incontro. L'incontro è la modalità con cui il Mistero raggiunge sensibilmente l'uomo, lo tocca nello spazio e nel tempo con dei segni che lo provocano ad una risposta. L'incontro è la modalità concreta mediante cui il senso religioso passa dalla potenza all'atto, diviene manifesto da latente che era. L'impostazione trascendentale, l'esigenza innata di Dio iscritta apriori nella nostra natura, non elimina, in tal modo, la novità dell'aposteriori, la modalità imprevedibile con cui l'agire di Dio, la grazia, si manifesta. Per questo Bergoglio, sempre commentando la nozione giussaniana di senso religioso, afferma: «D'altra parte, per interrogarsi di fronte ai segni è necessaria una capacità estremamente umana, la prima che abbiamo come uomini e donne: lo stupore, la capacità di stupirsi, come la chiama Giussani, in ultima istanza un cuore di bambini. Solo lo stupore conosce.[…] L'oppio culturale tende ad annullare, indebolire o uccidere tale capacità di stupore. Il principio di qualsiasi filosofia è lo stupore. C'è una frase di papa Luciani che dice che il dramma del cristianesimo contemporaneo risiede nel fatto di mettere categorie e norme al posto dello stupore. Lo stupore viene prima di tutte le categorie, è ciò che mi porta a cercare, ad aprirmi; è ciò che mi rende possibile la risposta, che non è né una risposta verbale, né concettuale. Perché se lo stupore mi apre come domanda, l'unica risposta è l'incontro: e solo nell'incontro si placa la sete».

L'antropologia religiosa, da un lato, e l'incontro come modalità con cui la fede accade, dall'altro, sono i due poli che, tanto per Giussani quanto per Bergoglio, indicano il punto della questione cristiana oggi. Il cristianesimo non si manifesta come un insieme di precetti o di valori.«All'inizio dell'essere cristiano – scrive Francesco nella Evangelii gaudium citando Benedetto XVI – non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con ciò, la direzione decisiva» (EG, &7). Analogamente, nella presentazione del testo di Giussani L'attrattiva Gesù, affermerà: «Tutto nella nostra vita, oggi come al tempo di Gesù, incomincia con un incontro. Un incontro con quest'uomo, il falegname di Nazareth, un uomo come tutti e allo stesso tempo diverso. I primi, Giovanni, Andrea, Simone, si scoprirono guardati fin nel profondo, letti nel loro intimo, e in essi si è generata una sorpresa, uno stupore che, immediatamente, li faceva sentire legati a lui, che li faceva sentire diversi. […] Non si può capire questa dinamica dell'incontro che suscita lo stupore e l'adesione se su di essa non si è fatto scattare – perdonatemi la parola – il grilletto della misericordia. Solo chi ha incontrato la misericordia, chi è stato accarezzato dalla tenerezza della misericordia, si trova bene con il Signore. […] il luogo privilegiato dell'incontro è la carezza della misericordia di Gesù Cristo verso il mio peccato». Su questo punto, di totale sintonia tra Bergoglio e Giussani, si misurano una serie di conseguenze di grande rilevanza.

La prima è che la Grazia precede, viene prima. Nella presentazione di L'attrattiva Gesù Bergoglio afferma che «L'incontro accade […]  Questo è pura grazia. Pura grazia. Nella storia, da quando è iniziata fino al giorno d'oggi, sempre primerea la grazia, sempre viene prima la grazia, poi viene tutto il resto». Giussani, nel suo volume rimandava ad un suo articolo apparso su "30 Giorni": Qualcosa che viene prima (4, 1993). Ne L'attrattiva Gesù «Il "qualcosa che viene prima" è l'incontro con Cristo, anche se non preciso, anche se non realmente consapevole. Come per Andrea e Giovanni era una cosa stupefacente, non definibile da loro. La cosa che viene prima, la grazia, è il rapporto con Cristo: è Cristo la grazia, è questa Presenza, ed è il tuo rapporto con essa, il tuo dialogo con essa, il tuo modo di guardarla, di pensarci, di fissarla» (p. 24).

La seconda conseguenza è che se l'incontro è la modalità essenziale con cui la fede si comunica, ieri come oggi, allora, in un mondo tornato in larga misura pagano, il cristianesimo dovrà declinarsi nella sua forma essenziale e non, primariamente, nelle sue conseguenze etiche la cui salvaguardia spetta, nell'agone pubblico, ai laici cristiani impegnati nel temporale. Giussani, il quale già nello scritto metodologico Riflessioni sopra un'esperienza (1959) invitava ad un richiamo cristiano «semplice ed essenziale» dacché «la Chiesa è discretissima nel fissare i punti obbligatori», scriverà, nel 1982 (Uomini senza patria), che «Fino a quando il cristianesimo è sostenere dialetticamente e anche praticamente valori cristiani, esso trova spazio ed accoglienza ovunque». Papa Francesco, da parte sua, dirà nella sua intervista a P. Antonio Spadaro: «Gli insegnamenti tanto dogmatici quanto morali, non sono tutti equivalenti. Una pastorale missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine da imporre con insistenza: L'annuncio di tipo missionario si concentra sull'essenziale, sul necessario, che è anche ciò che appassiona e attira di più, ciò che fa ardere il cuore, come ai discepoli di Emmaus. Dobbiamo quindi trovare un nuovo equilibrio, altrimenti anche l'edificio morale della Chiesa rischia di cadere come un castello di carte, di perdere la freschezza e il profumo del Vangelo. La proposta evangelica deve essere più semplice, profonda, irradiante. E' da questa proposta che poi vengono le conseguenze morali». L'attrattiva Gesù, termine ripreso nella Evangelii gaudium al &39, deve precedere la dottrina morale. La precede in quanto procede dall'incontro, non è realizzabile al di fuori di questo. Posizione, questa, che impedisce, all'origine, il sorgere di ogni possibile fondamentalismo cristiano.

Terza ed ultima conseguenza è la similarità dei giudizi che accomuna Bergoglio a Giussani sui rischi cui va incontro il cristianesimo contemporaneo: gnosi e pelagianesimo. Se il Cristianesimo è un Avvenimento che si rende manifesto in un incontro, storico e sensibile, se esso primerea rispetto ad ogni nostra azione od intenzione, allora lo svuotamento spiritualistico del fatto cristiano, la negazione del suo essere carne, così come la pretesa moralistica di poter costruire da sé il mondo nuovo, appaiono le deviazioni da correggere. Come scrive Bergoglio nel 2001: «questa concezione cristianamente autentica della morale che Giussani presenta non ha niente a che vedere con i quietismi spiritualoidi di cui sono pieni gli scaffali dei supermercati religiosi oggigiorno. E neppure con il pelagianesimo così di moda nelle sue diverse e sofisticate manifestazioni. Il pelagianesimo, al fondo, è rieditare la torre di Babele. I quietismi spiritualoidi sono sforzi di preghiera o di spiritualità immanente che non escono mai da se stessi». Si tratta, in entrambe i casi, di un processo di mondanizzazione della fede. Nella Evangelii gaudium si afferma che «Questa mondanità può alimentarsi specialmente in due modi profondamente connessi tra loro. Uno è il fascino dello gnosticismo, una fede rinchiusa nel soggettivismo, dove interessa unicamente una determinata esperienza o una serie di ragionamenti e conoscenze che si ritiene possano confortare e illuminare, ma dove il soggetto in definitiva rimane chiuso nell'immanenza della sua propria ragione o dei suoi sentimenti. L'altro è il neopelagianesimo autoreferenziale e prometeico di coloro che in definitiva fanno affidamento unicamente sulle proprie forze e si sentono superiori agli altri perché osservano determinate norme o perché sono irremovibilmente fedeli ad un certo stile cattolico proprio del passato. E' una presunta sicurezza dottrinale o disciplinare che dà luogo ad un elitarismo narcisista ed autoritario, dove invece di evangelizzare si analizzano e si classificano gli altri, e invece di facilitare l'accesso alla grazia si consumano le energie nel controllare. In entrambi i casi, né Gesù Cristo né gli altri interessano veramente. Sono manifestazioni di un immanentismo antropocentrico. Non è possibile immaginare che da queste forme riduttive di cristianesimo possa scaturire un autentico dinamismo evangelizzatore» (EG, & 94). Laddove è interessante notare come la forma del neopelagianesimo presente non sia più quella dominante negli anni '70, propria della teologia politica cristiana influenzata dal marxismo, ma una forma nuova, di destra, tipica di certo tradizionalismo cattolico. Ciò che è essenziale comunque, per l'incontro ideale Bergoglio-Giussani, è anche qui la sintonia di fondo. Gnosi e pelagianesimo sono il pericolo perchè il cristianesimo è un Evento reale che prosegue nella storia e perché questo Evento è la fonte (gratuita) di umanità nuova che non può essere generata dall'uomo. Ciò che Giussani ha insistentemente sottolineato in tutta la sua testimonianza educativa trova così in Bergoglio una sua ideale prosecuzione.

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Se si capita insieme ci sarà un perché !

 Dio ha dato origine a una via per unirsi a ciascuno de- gli esseri umani di tutti i tempi. Ha scelto di con- vocarli come popolo e non come esseri isolati.83 Nessuno si salva da solo, cioè né come individuo isolato né con le sue proprie forze. Dio ci attrae tenendo conto della complessa trama di relazioni interpersonali che comporta la vita in una comu- nità umana. Questo popolo che Dio si è scelto e convocato è la Chiesa. 

Evangelii Gaudium n. 113

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sabato 15 marzo 2014

Appello giornalista ebrea: Hollywood, riabilita Mel Gibson | Tempi.it

«Ti prego Hollywood, riabilita Mel Gibson. Non è l'uomo che credi». Firmato Allison Weiner, giornalista ebrea


È ora che la politicamente correttissima Hollywood perdoni il suo più scandaloso (e talentuoso) "peccatore", Mel Gibson. A dieci anni dall'uscita de La passione di Cristo, dopo averlo a lungo furiosamente attaccato dai massimi pulpiti della stampa Usa (New York Times, Entertainment Weekly, Newsweek), la giornalista ebrea Allison Hope Weiner ha scritto per Deadline un lunghissimo, appassionato ritratto del pluripremiato e poi emarginato attore e regista per chiedere allo scintillante mondo del cinema di dargli finalmente «un'altra occasione». Mel Gibson – scrive Weiner – «è rimasto abbastanza a lungo nella cuccia».

gesù-the-passionLA CADUTA. Gibson, ricorda Weiner, una volta era «la più grande stella di Hollywood», ha vinto non per caso cinque premi Oscar (con Braveheart) e in totale con i suoi film ha fatto incassare ai botteghini qualcosa come 3,6 miliardi di dollari. La stessa Passione di Cristo si è rivelata un'operazione di formidabile successo, un record mondiale assoluto per una produzione indipendente (612 milioni di dollari di incassi). Eppure è stata la sua maledizione: dalla sua uscita nel 2004, «Gibson non è stato più ingaggiato direttamente da nessuno studio». Le sue famigerate sparate sugli ebrei e i selvaggi sfoghi contro la giovane fidanzata Oksana Grigorieva, una volta carpiti e divenuti pubblici, «lo hanno reso persona non grata» come nessun altro prima, continua la giornalista citando esplicitamente i casi Polanski e Tyson. Tuttavia Gibson non merita questo trattamento, sostiene Weiner. E non solo perché «ha ancora molto da offrire a Hollywood come regista», ma anche perché lui non è affatto la persona di cui parlano i giornali.

«GIUDIZI SBAGLIATI». Weiner scrive in prima persona e spiega: «Disprezzavo Gibson e pensavo che fosse un ubriacone negazionista, omofobo, misogino e razzista, ed era quello che scrivevo». Poi è successo qualcosa di imprevedibile: la brillante giornalista ebrea e l'ubriacone antisemita sono diventati amici. «Ho dovuto rivedere i miei giudizi impietosi. (…) Ho potuto conoscere un uomo intelligente che esprimeva sincera empatia verso le persone che aveva ferito», pur non rinunciando a «contraddirmi e sfidarmi». Del resto «è difficile riuscire a conoscere qualcuno per davvero in un contesto giornalistico», ammette Weiner. Ci è voluta un'amicizia per vincere i pregiudizi: «Gibson non ha mai vacillato né giocato sull'ambiguità quando l'ho affrontato, che il tema fosse il suo alcolismo, le sue idee politiche o il suo rapporto con le donne. Ben presto ho capito che la mia valutazione giornalistica su di lui era sbagliata».

mel_gibson-jpg-crop_displayMEL AL BAR MITZVAH. Gibson infatti non è antiseminta secondo Weiner. Anzi, la giornalista ricorda il suo tentativo, poi naufragato, di girare dopo The Passion un film su Giuda Maccabeo. Ma soprattutto racconta che una volta è stato lo stesso Gibson a chiedere di «incontrare la mia famiglia in occasione del bar mitzvah di mio figlio. Immaginate la scena: una stanza piena di ebrei. Ed ecco che entra la persona che, nel loro immaginario, potrebbe essere il più celebre antisemita d'America». Ebbene «prima che tutto fosse finito, l'ho visto chiacchierare con molti dei miei parenti, che si sono trovati davanti un uomo simpatico, gentile e affascinante, non il demonio di cui avevano letto».

IL RABBI IN SEGRETO. Ovviamente Gibson non odia gli ebrei e non è un negazionista, scrive la giornalista riportando colloqui personali avuti con lui, e le famose offese antisemite rivolte all'agente di polizia che lo arrestò nel 2006 per guida in stato di ebbrezza, erano solo le scomposte reazioni di un alcolista che stava divorziando dalla madre dei suoi sette figli e si riteneva «attaccato a livello personale» da rappresentanti delle comunità ebraiche di mezzo mondo per il film da lui più sentito. Per di più, rivela oggi Weiner, il regista della Passione di Cristo in seguito a quell'"incidente" ha voluto incontrare di persona molti leader ebrei: «Mi ha dato i loro nomi quando glieli ho chiesti, ma mi ha chiesto di non pubblicarli perché non vuole che si pensi che li stia usando».

NON È UN CHIERICHETTO. Ovviamente, aggiunge la cronista, «non credo che Gibson sia un chierichetto». Del resto «ci vuole un certo tipo di persona per fare film dell'intensità di Braveheart, La passione di Cristo e Apocalypto». Ma il trattamento che gli hanno riservato i colleghi è comunque sproporzionato, insiste Weiner. La quale, tra l'altro, dopo alcune «indagini svolte per mio conto», si è convinta che anche le presunte violenze subite dalla Grigorieva da parte di Gibson siano poco più di una montatura studiata per spillargli molti quattrini. «Gli ho chiesto perché non si è difeso quando sono usciti i nastri dei loro litigi», scrive la cronista. «Perché non ha smentito chi lo accusava di essere pazzo? Lui ha fatto spallucce e ha detto che le sue dichiarazioni sembrano peggiorare le cose. Perciò continua a non dire nulla».




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domenica 2 marzo 2014

Una riscossa!

Avrei tanto desiderato che tutto ciò non fosse accaduto ai miei giorni! - esclamò Frodo.
Anch'io - annuì Gandalf - come d'altronde tutti coloro che vivono questi avvenimenti. Ma non tocca a noi scegliere. Tutto ciò che possiamo decidere è come disporre del tempo che ci è dato.