giovedì 19 febbraio 2009

Che cosa è essere di sinistra?




CRISI PD/ Ostellino: Bersani guardi a Manzoni, Sturzo e don Giussani
INT.
Piero Ostellino
giovedì 19 febbraio 2009

Lo psicodramma del Partito democratico non si attenua, e la conferenza stampa tenuta ieri da Walter Veltroni è servita ad aumentare ancor di più le tensioni interne al gruppo dirigente. Non si intravede una via d’uscita a una crisi che non è solo strategica, ma assai più profonda, e cioè di cultura politica. Che cos’è la sinistra italiana oggi? Quali sono le sue radici culturali e il suo radicamento nella società? Senza un chiarimento intorno a questi punti sarà difficile che l’Italia possa avere una opposizione credibile nel prossimo futuro.
Ma il problema non è di facile soluzione, e la debolezza culturale della sinistra è strutturale. Ne è convinto Piero Ostellino, editorialista del Corriere della Sera, di cui è in uscita a breve, per Rizzoli, il libro dal titolo “Lo Stato canaglia”. Un titolo significativo, che indica l’esistenza di un problema irrisolto nell’intera struttura politica e sociale italiana.

Ostellino, la crisi del Pd di questi giorni è solo l’ultimo sintomo di un problema molto più profondo: cosa c’è dietro alle dimissioni di Walter Veltroni?

Rispondo riportando un test, che io faccio spesso per capire che cos’è la sinistra oggi in Italia; lo sottopongo regolarmente ai miei amici di Milano che sono di sinistra, o che si definiscono tali. È un test molto semplice: basta chiedere loro: “che cosa vuol dire essere di sinistra?”, e non sanno rispondere. Il che vuol dire che c’è una crisi di identità del concetto stesso di sinistra, una crisi culturale che distrugge chiunque oggi faccia il segretario del Partito democratico. Non è la sovrastruttura “Veltroni”, o un domani la sovrastruttura “Bersani”, che entra in crisi: è la struttura stessa che non regge.

E qual è questo problema strutturale della sinistra italiana?

Il punto è che la società civile che vota per la sinistra lo fa per un elemento identitario – non culturale – che è l’anti-berlusconismo. Ora, una cultura politica non si può reggere su un “contro”, che è per di più semplicemente contro una persona, e nemmeno contro ciò che quella persona politicamente rappresenta. Come è possibile che esista un’opposizione di sinistra che non sa nemmeno essa stessa cos’è? Chiunque diventi segretario del Partito democratico, sarà segretario di un partito culturalmente inesistente. Perso il referente dell’Unione Sovietica, la sinistra italiana non è stata più nulla: non è diventata socialdemocratica, non è diventata liberale, e ha ovviamente smesso di essere comunista. Ma cosa sia adesso, nessuno lo sa. Soprattutto non lo sa la base, e quindi questo crea un disagio che si riflette su chi governa il partito.

Dunque non regge nemmeno la sintesi che l’Unione prima e il Pd poi hanno cercato di fare tra il cattolicesimo democratico e la sinistra riformista?

È una sintesi improponibile, o comunque valida solo per alcuni elementi all’interno dell’ex Margherita. Basta guardare ad alcune figure di quell’area: Rosy Bindi, ad esempio, è più assimilabile a un ex o post comunista che non a un cattolico democratico, come lei si vorrebbe definire. Allora che sintesi è? Il problema quindi è un altro: bisognerebbe recuperare (i cattolici almeno la devono recuperare, la sinistra la deve acquistare ex novo) la grande tradizione sociale e solidale del cattolicesimo liberale, che ha avuto grandi esempi soprattutto nella borghesia lombarda. È una tradizione di grande contenuto sociale, in cui la solidarietà non è imposta per legge, ma nasce come un moto di spirito, un moto del cuore, e come opera della società civile. Quanto bene ha fatto la borghesia cattolica liberale lombarda, sia in termini di donazioni a istituti di beneficenza, sia in termini di aiuto allo sviluppo della socialità in Italia? È un patrimonio che i cattolici stessi devono recuperare.

Ora che cosa si prospetta nel prossimo futuro della sinistra italiana?

Lo scenario più probabile che si prospetta è quello di Pierluigi Bersani alla guida del partito. Il che non risolve nulla. Bersani è figlio di una delle regioni rosse, le quali – anche se i dirigenti del partito non lo sanno – sono figlie dell’organicismo di Giovanni Gentile, il filosofo del fascismo. In quelle regioni il funzionario del partito è funzionario della cooperativa, dell’amministrazione locale, forse è anche assessore, e magari diventa pure parlamentare. Vuol dire che in quelle regioni società civile e società politica sono diventate, organicisticamente, un tutt’uno. Il che è il massimo dell’illibertà. Questi sono ritardi culturali che hanno una ricaduta politica: chi vota Veltroni prima o Bersani poi, quando si scontra con questa cultura si interroga su cosa sta votando. Ecco spiegato perché poi i voti scendono, e si assiste alle sconfitte della sinistra nell’ultimo periodo.

La mancanza di un’opposizione crea però problemi a tutto il sistema politico.

Certo: una democrazia che funzioni ha bisogno di un’opposizione forte. Però deve essere appunto un’opposizione credibile, che abbia cioè un’alternativa programmatica credibile. Se l’unica alternativa che viene proposta è invece: “votate noi, che cacciamo Berlusconi”, quale che sia il giudizio su Berlusconi, significa che l’opposizione non esiste. Non c’è problema che si possa risolvere se non si affronta il nodo culturale di cui parlavo prima.

Da quello che lei dice si ha però l’impressione che questa carenza culturale riguardi tutta la politica italiana: qual è allora la strada da seguire per recuperare questa dimensione?

Quello che io auspico è che il cattolicesimo recuperi la propria tradizione liberale, che nell’Italia repubblicana non ha avuto seguito. I cattolici infatti possono dare all’Italia una cultura che è contemporaneamente solidaristica e liberale. Lo dico io, che non sono un credente, ma solo uno straordinario ammiratore di quel cattolicesimo liberale, soprattutto lombardo (pensiamo ad esempio a Manzoni), che è stato un fenomeno di grandissima importanza, sociale prima ancora che politica. Noi invece siamo schiavi di schemi ereditati per metà dal fascismo e per metà dal comunismo. Dobbiamo recuperare lo spirito che ad esempio emerge nei discorsi che don Sturzo fece durante la Costituente, mettendo in guardia dal fatto che si stava dando vita a una Costituzione, se non proprio sovietica, almeno statalista. Un vero maestro del pensiero liberale, ma che al tempo stesso aveva ben presente l’importanza dell’aspetto solidale. E sul fronte più moderno, lo stesso pensiero lo si ritrova in don Giussani, il quale dava grandissima importanza al ruolo della società civile, e che insisteva sul valore della libertà della persona, che viene prima della politica. È stato l’ultimo rappresentante di questa tradizione, la quale potrebbe dare un contributo fondamentale al recupero delle basi culturali della politica italiana.