lunedì 11 settembre 2017

INCONTRO CON IL COMITATO DIRETTIVO DEL CELAM DISCORSO DEL SANTO PADRE Nunziatura Apostolica (Bogotá) Giovedì, 7 settembre 2017

...Non ci è lecito lasciarci paralizzare dall’aria condizionata degli uffici, dalle statistiche e dalle strategie astratte. Bisogna rivolgersi alla persona nella sua situazione concreta; da essa non possiamo distogliere lo sguardo. La missione si realizza sempre in un corpo a corpo...

...Se vogliamo una fase nuova e vitale della fede in questo continente, non la otterremo senza le donne..

La speranza in America Latina passa attraverso il cuore, la mente e le braccia dei laici

Vorrei ribadire quanto recentemente ho detto alla Pontificia Commissione per l’America Latina. È indispensabile superare il clericalismo che rende infantili i Christifideles laici e impoverisce l’identità dei ministri ordinati.

Anche se si è compiuto un notevole sforzo e alcuni passi sono stati fatti, le grandi sfide del continente rimangono sul tavolo e continuano ad attendere l’attuazione serena, responsabile, competente, lungimirante, articolata, consapevole, di un laicato cristiano che, in quanto credente, sia disposto a contribuire: nei processi di un autentico sviluppo umano, nel consolidamento della democrazia politica e sociale, nel superamento strutturale della povertà endemica, nella costruzione di una prosperità inclusiva fondata su riforme durature e capaci di tutelare il bene sociale, nel superare le disuguaglianze e salvaguardare la stabilità, nel delineare modelli di sviluppo economico sostenibili che rispettino la natura e il vero futuro dell’uomo – che non si esaurisce nel consumismo illimitato –, come pure nel rifiuto della violenza e nella difesa della pace.

Di più: in questo senso la speranza deve sempre vedere il mondo con gli occhi dei poveri e a partire dalla situazione dei poveri. Essa è povera come il chicco di grano che muore (cfr Gv 12,24), ma che ha la forza di spargere i piani di Dio.

La ricchezza autosufficiente spesso priva la mente umana della capacità di vedere, sia la realtà del deserto sia le oasi che vi sono nascoste. Propone risposte da manuale e ripete certezze da talkshow; balbetta la proiezione di sé stessa, vuota, senza avvicinarsi minimamente alla realtà. Sono sicuro che in questo difficile e confuso, ma provvisorio momento che viviamo, le soluzioni dei problemi complessi che ci sfidano nascono dalla semplicità cristiana che si nasconde ai potenti e si mostra agli umili: la purezza della fede nel Risorto, il calore della comunione con Lui, la fraternità, la generosità e la solidarietà concreta che pure sgorgano dall’amicizia con Lui.

Tutto questo lo vorrei riassumere in una espressione che vi lascio come sintesi, sintesi e ricordo di questo incontro. Se vogliamo servire, come CELAM, la nostra America Latina, dobbiamo farlo con passione. Oggi c’è bisogno di passione. Mettere il cuore in tutto quello che facciamo. Passione del giovane innamorato e dell’anziano saggio, passione che trasforma le idee in utopie praticabili, passione nel lavoro delle nostre mani, passione che ci trasforma in incessanti pellegrini nelle nostre Chiese come – permettetemi di ricordarlo – san Toribio di Mogrovejo, che non si installò nella sua sede: di 24 anni di episcopato, 18 li passò nei paesini della sua diocesi. Fratelli, per favore, vi chiedo passione, passione evangelizzatrice.

Affido voi, fratelli Vescovi del CELAM, le Chiese locali che rappresentate e l’intero popolo dell’America Latina e dei Caraibi, vi affido alla protezione della Vergine, invocata con i nomi di Guadalupe e Aparecida, con la serena certezza che Dio, che ha parlato a questo continente con il volto meticcio e moreno di sua Madre, non mancherà di far risplendere la sua luce benigna nella vita di tutti. Grazie.

mercoledì 31 maggio 2017

Udienza Generale del 31 maggio 2017: La Speranza cristiana - 24. Lo Spirito Santo ci fa abbondare nella Speranza

Udienza Generale del 31 maggio 2017: La Speranza cristiana - 24. Lo Spirito Santo ci fa abbondare nella Speranza
lo Spirito Santo non ci rende solo capaci di sperare, ma anche di essere seminatori di speranza, di essere anche noi – come Lui e grazie a Lui – dei "paracliti", cioè consolatori
http://m.vatican.va/content/francescomobile/it/audiences/2017/documents/papa-francesco_20170531_udienza-generale.html

Udienza Generale del 31 maggio 2017: La Speranza cristiana - 24. Lo Spirito Santo ci fa abbondare nella Speranza

PAPA FRANCESCO

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 31 maggio 2017

[Multimedia]


La Speranza cristiana - 24. Lo Spirito Santo ci fa abbondare nella Speranza

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Nell'imminenza della solennità di Pentecoste non possiamo non parlare del rapporto che c'è tra la speranza cristiana e lo Spirito Santo. Lo Spirito è il vento che ci spinge in avanti, che ci mantiene in cammino, ci fa sentire pellegrini e forestieri, e non ci permette di adagiarci e di diventare un popolo "sedentario".

La lettera agli Ebrei paragona la speranza a un'àncora (cfr 6,18-19); e a questa immagine possiamo aggiungere quella della vela. Se l'àncora è ciò che dà alla barca la sicurezza e la tiene "ancorata" tra l'ondeggiare del mare, la vela è invece ciò che la fa camminare e avanzare sulle acque. La speranza è davvero come una vela; essa raccoglie il vento dello Spirito Santo e lo trasforma in forza motrice che spinge la barca, a seconda dei casi, al largo o a riva.

L'apostolo Paolo conclude la sua Lettera ai Romani con questo augurio: sentite bene, ascoltate bene che bell'augurio: «Il Dio della speranza vi riempia, nel credere, di ogni gioia e pace, perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito Santo» (15,13). Riflettiamo un po' sul contenuto di questa bellissima parola.

L'espressione "Dio della speranza" non vuol dire soltanto che Dio è l'oggetto della nostra speranza, cioè Colui che speriamo di raggiungere un giorno nella vita eterna; vuol dire anche che Dio è Colui che già ora ci fa sperare, anzi ci rende «lieti nella speranza» (Rm 12,12): lieti ora di sperare, e non solo sperare di essere lieti. E' la gioia di sperare e non sperare di avere gioia, già oggi. "Finché c'è vita, c'è speranza", dice un detto popolare; ed è vero anche il contrario: finché c'è speranza, c'è vita. Gli uomini hanno bisogno di speranza per vivere e hanno bisogno dello Spirito Santo per sperare.

San Paolo – abbiamo sentito – attribuisce allo Spirito Santo la capacità di farci addirittura "abbondare nella speranza". Abbondare nella speranza significa non scoraggiarsi mai; significa sperare «contro ogni speranza» (Rm 4,18), cioè sperare anche quando viene meno ogni motivo umano di sperare, come fu per Abramo quando Dio gli chiese di sacrificargli l'unico figlio, Isacco, e come fu, ancora di più, per la Vergine Maria sotto la croce di Gesù.

Lo Spirito Santo rende possibile questa speranza invincibile dandoci la testimonianza interiore che siamo figli di Dio e suoi eredi (cfr Rm 8,16). Come potrebbe Colui che ci ha dato il proprio unico Figlio non darci ogni altra cosa insieme con Lui? (cfr Rm 8,32) «La speranza – fratelli e sorelle – non delude: la speranza non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,5). Perciò non delude, perché c'è lo Spirito Santo dentro di noi che ci spinge ad andare avanti, sempre! E per questo la speranza non delude.

C'è di più: lo Spirito Santo non ci rende solo capaci di sperare, ma anche di essere seminatori di speranza, di essere anche noi – come Lui e grazie a Lui – dei "paracliti", cioè consolatori e difensori dei fratelli, seminatori di speranza. Un cristiano può seminare amarezze, può seminare perplessità, e questo non è cristiano, e chi fa questo non è un buon cristiano. Semina speranza: semina olio di speranza, semina profumo di speranza e non aceto di amarezza e di dis-speranza. Il Beato cardinale Newman, in un suo discorso, diceva ai fedeli: «Istruiti dalla nostra stessa sofferenza, dal nostro stesso dolore, anzi, dai nostri stessi peccati, avremo la mente e il cuore esercitati ad ogni opera d'amore verso coloro che ne hanno bisogno. Saremo, a misura della nostra capacità, consolatori ad immagine del Paraclito – cioè dello Spirito Santo –, e in tutti i sensi che questa parola comporta: avvocati, assistenti, apportatori di conforto. Le nostre parole e i nostri consigli, il nostro modo di fare, la nostra voce, il nostro sguardo, saranno gentili e tranquillizzanti» (Parochial and plain Sermons, vol. V, Londra 1870, pp. 300s.). E sono soprattutto i poveri, gli esclusi, i non amati ad avere bisogno di qualcuno che si faccia per loro "paraclito", cioè consolatore e difensore, come lo Spirito Santo fa con ognuno di noi, che stiamo qui in Piazza, consolatore e difensore. Noi dobbiamo fare lo stesso con i più bisognosi, con i più scartati, con quelli che hanno più bisogno, quelli che soffrono di più. Difensori e consolatori!

Lo Spirito Santo alimenta la speranza non solo nel cuore degli uomini, ma anche nell'intero creato. Dice l'Apostolo Paolo – questo sembra un po' strano, ma è vero: che anche la creazione "è protesa con ardente attesa" verso la liberazione e "geme e soffre" come le doglie di un parto (cfr Rm 8,20-22). «L'energia capace di muovere il mondo non è una forza anonima e cieca, ma è l'azione dello Spirito di Dio che "aleggiava sulle acque" (Gen1,2) all'inizio della creazione» (Benedetto XVI, Omelia, 31 maggio 2009). Anche questo ci spinge a rispettare il creato: non si può imbrattare un quadro senza offendere l'artista che lo ha creato.

Fratelli e sorelle, la prossima festa di Pentecoste – che è il compleanno della Chiesa - ci trovi concordi in preghiera, con Maria, la Madre di Gesù e nostra. E il dono dello Spirito Santo ci faccia abbondare nella speranza. Vi dirò di più: ci faccia sprecare speranza con tutti quelli che sono più bisognosi, più scartati e per tutti quelli che hanno necessità. Grazie.


Saluti:

Je suis heureux de saluer les pèlerins de langue française, en particulier les membres de la Communauté de l'Emmanuel et de la Fraternité Pentecôte ainsi que les pèlerins venus de France, de Belgique et du Cameroun. Je salue les pèlerins du Bénin avec l'évêque Mgr. Vieira et ceux du Gabon avec l'évêque Mgr. Ogbonna Managwu. Avec la Vierge Marie, nous sommes unis dans la prière pour recevoir le don de l'Esprit Saint et déborder d'espérance. Ainsi, que l'Esprit Saint nous aide à être des semeurs d'espérance. Que Dieu vous bénisse !

[Sono lieto di salutare i pellegrini di lingua francese, in particolare i membri della Comunità dell'Emmanuele e della Fraternità Pentecoste, come pure i fedeli venuti da Francia, Belgio e Cameroun. Saluto i pellegrini del Benin, con il Vescovo Mons. Vieira, e quelli del Gabon, con il Vescovo Mons. Ogbonna Managwu. Con la Vergine Maria, siamo uniti nella preghiera per ricevere il dono dello Spirito Santo e abbondare nella speranza. Lo Spirito Santo ci aiuti inoltre ad essere dei seminatori di speranza. Dio vi benedica!]

I greet the English-speaking pilgrims and visitors taking part in today's Audience, particularly the groups from England, Belgium, Norway, India, Indonesia, Japan, Malaysia, Taiwan, Vietnam, Hong Kong, Singapore, Korea, Tahiti, Uganda, Canada and the United States of America. I also greet the pilgrims who have come to take part in the Vigil of Pentecost on the occasion of the fiftieth anniversary of the Catholic Charismatic Renewal. Upon all of you, and your families I invoke a rich outpouring of the gifts of the Holy Spirit. God bless you all!

[Saluto i pellegrini di lingua inglese presenti all'odierna Udienza, specialmente quelli provenienti da Inghilterra, Belgio, Norvegia, India, Indonesia, Giappone, Malaysia, Taiwan, Vietnam, Hong Kong, Singapore, Corea, Tahiti, Uganda, Canada e Stati Uniti d'America. Saluto inoltre i pellegrini venuti a partecipare alla Veglia di Pentecoste in occasione dei cinquant'anni del Rinnovamento Carismatico Cattolico. Su voi e sulle vostre famiglie invoco un'abbondante effusione dei doni dello Spirito Santo. Il Signore vi benedica!]

Mit Freude heiße ich die Pilger deutscher Sprache, besonders die Jugendlichen aus Deutschland, der Schweiz und den Niederlanden willkommen. Wir brauchen die Hoffnung, um zu leben, und wir haben den Heiligen Geist nötig, um zu hoffen. Rufen wir zum Heiligen Geist, dem Beistand, dass er uns stets in der Hoffnung und im Frieden leite. Er stehe euch bei auf all euren Wegen.

[Sono lieto di accogliere i pellegrini di lingua tedesca, in particolare i numerosi giovani pervenuti dalla Germania, dalla Svizzera e dai Paesi Bassi. Abbiamo bisogno di speranza per vivere, e dello Spirito Santo per sperare. Invochiamo lo Spirito Paraclito, affinché ci guidi sempre nella speranza e nella pace. Egli vi accompagni sul vostro cammino.]

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española, en particular a los que han venido para participar en la Vigilia de Pentecostés con ocasión de los 50 años de la Renovación Carismática Católica, así como a los demás grupos provenientes de España y Latinoamérica. Los exhorto a perseverar en la oración, junto con María, Nuestra Madre, pidiendo a Jesús que el don del Espíritu Santo nos haga sobreabundar en la esperanza.

Saúdo cordialmente todos os peregrinos de língua portuguesa, de modo particular os fiéis de Angola, Sendim, Serrinha, Florianópolis e Minas Gerais. Queridos amigos, nestes dias de preparação para a festa de Pentecostes, peçamos ao Senhor que derrame em nós abundantemente os dons do seu Espírito, para que possamos ser testemunhas de Jesus até os confins da terra. Obrigado pela vossa presença.

[Rivolgo un cordiale saluto a tutti i pellegrini di lingua portoghese, in particolare ai fedeli di Angola, Sendim, Serrinha, Florianópolis e Minas Gerais. Cari amici, in questi giorni di preparazione alla festa di Pentecoste, chiediamo al Signore che effonda in noi abbondantemente i doni del suo Spirito, affinché possiamo essere testimoni di Gesù sino ai confini della terra. Grazie per la vostra presenza.]

أرحب بمودة بالحاضرين الناطقين باللغة العربية، وخاصة بالقادمين من العراق ومن مصر ‏ومن الشرق ‏الأوسط. لا حياة بلا رجاء ولا رجاء أصيلا بدون ثقة ثابتة في الله، مصدر وهدف كل رجاء حقيقي. لنطلب من ‏الروح القدس، في عيد العنصرة الوشيك هذا، أن يزور القلوب اليائسة لينعشها، والعقول المظلمة لينيرها؛ وأن ‏يحل في حياة كل واحد منا ليحولنا إلى شعلة رجاء وإلى شهود حقيقيين لرجائه. ليبارككم الرب جميعا ويحرسكم ‏من الشرير!‏‏‏‏

[Saluto cordialmente i pellegrini di lingua ‎araba, ‎in ‎‎‎particolare quelli ‎provenienti ‎‎‎dall'Iraq, dall'Egitto e dal Medio Oriente. Non c'è vita senza speranza, né ‎speranza autentica senza solida fiducia in Dio, fonte e meta di ogni speranza vera. ‎Chiediamo allo Spirito Santo, in questa imminente solennità della Pentecoste, di ‎visitare i cuori afflitti per rianimarli; le menti oscurate per illuminarle; e di ‎riempire la vita di ciascuno di noi per trasformarci in fiamma di speranza e in veri ‎testimoni della Sua speranza. ‎‏Il ‎Signore ‎‎vi ‎benedica ‎tutti e vi protegga ‎dal ‎‎maligno!‎]

Witam polskich pielgrzymów. Pozdrawiam młodych, którzy - jak co roku – licznie gromadzą się w Lednicy. Drodzy Przyjaciele, "Idź i kochaj!" – to motto waszego spotkania. Prowadzi Was Maryja, która usłyszawszy w sercu to wezwanie, wyruszyła do Elżbiety, aby dzielić się radością swojego spotkaniem z Bogiem i nieść konkretną pomoc. Odtąd jest ciągle w drodze, nieustannie nawiedza swoje dzieci i niesie im Chrystusa, swego Syna. Drugim patronem waszego spotkania jest Zacheusz, o którym opowiadałem Wam podczas Światowych Dni Młodzieży w Krakowie, zachęcając do odwagi w poszukiwaniu Jezusa i do otwarcia Mu drzwi Waszego serca. Dziś Pan Jezus kieruje do Was te same słowa, które wypowiedział do Zacheusza: "zejdź prędko, albowiem dziś muszę się zatrzymać w Twoim domu" (Łk 19, 5). Chce do Was przyjść i posłać was do braci, abyście dzielili się Jego miłością. Wie, że to nie jest to łatwe, dlatego zsyła Wam Ducha Świętego, który napełni Was Jego mocą. Proście Go o odwagę. Proście Go, aby pomógł Wam burzyć dzielące Was mury i uzdolnił do rozumienia siebie nawzajem, do budowania jedności wszystkich ludzi. Wszystkich Was, którzy gromadzicie się nad Jeziorem Lednickim, u źródeł chrzcielnych Polski, zawierzam opiece Maryi i z serca błogosławię.

[Do il benvenuto ai pellegrini polacchi. Saluto i giovani che – come ogni anno – si radunano numerosi a Lednica. Cari amici, il motto del vostro incontro è: "Va' e ama!". Vi guida Maria che, avendo sentito nel cuore questa chiamata, si recò da Elisabetta per condividere la gioia del Suo incontro con Dio e per portare un aiuto concreto. Da quel momento è sempre in cammino, visita i Suoi figli e porta loro il Cristo, Suo Figlio. Il secondo patrono del vostro incontro è Zaccheo, di cui vi ho raccontato durante la Giornata Mondiale della Gioventù a Cracovia, stimolandovi ad avere il coraggio di cercare Gesù e di aprirGli le porte dei vostri cuori. Oggi il Signore Gesù rivolge a voi le parole che disse a Zaccheo: "Scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua" (Lc 19, 5). Vuole venire da voi per inviarvi ai fratelli, affinché condividiate il Suo amore. Egli sa che questo non è facile, allora vi manda lo Spirito Santo, il quale vi colmerà della Sua forza. Chiedete a Lui il coraggio. ChiedeteLo, affinché vi aiuti ad abbattere i muri che vi dividono e vi renda capaci di comprendervi l'un l'altro e di costruire l'unità di tutti gli uomini. Tutti voi radunati sulle rive del Lago di Lednica, presso le fonti battesimali della Polonia, affido a Maria e vi benedico di cuore.]

Srdečně zdravím věřící z České republiky, zejména účastníky národní pouti vedené pražským arcibiskupem, kardinálem Dominikem Dukou u příležitosti sedmdesátého pátého výročí vyhlazení Lidic nacistickým režimem. Drazí přátelé, utíkejte se s důvěrou k přímluvě Nejsvětější Panny, kterou uctíváte v obraze Lidické Madony. Ať vám pomáhá být odvážnými svědky Kristova Vzkříšení i v obtížných chvílích či zkouškách. Všem vám uděluji své požehnání!

[Saluto cordialmente i fedeli della Repubblica Ceca, in particolare i partecipanti al pellegrinaggio nazionale guidato dal Cardinale Dominik Duka, Arcivescovo di Praga, in occasione del 75° anniversario della strage di Lidice, ad opera del regime nazista. Cari amici, ricorrete con fiducia all'intercessione della Vergine Santa, che voi venerate nell'icona della Madonna di Lidice. Ella vi aiuti ad essere coraggiosi testimoni della Resurrezione di Cristo, anche nei momenti di difficoltà o di prova. A tutti voi la mia Benedizione!]

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. Saluto i gruppi parrocchiali e le associazioni, in particolare i Donatori Volontari della Polizia di Stato della Campania e l'AICCOS di Molfetta, come pure i membri della General Motors. La visita alla Città eterna prepari ciascuno a vivere intensamente la Solennità di Pentecoste e il dono dello Spirito Consolatore sostenga e alimenti la virtù della speranza.

Un pensiero speciale porgo ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli. Cari giovani, mettete al di sopra di tutto la ricerca di Dio e del suo amore; cari ammalati, il Paraclito vi sia di aiuto e conforto nei momenti del maggiore bisogno; e voi, cari sposi novelli, con la grazia dello Spirito Santo rendete ogni giorno più salda e profonda la vostra unione.



Inviato da iPhone

domenica 2 aprile 2017

Ai Capi di Stato e di Governo dell’Unione Europea, in occasione del 60° anniversario della firma dei Trattati di Roma (24 marzo 2017) | Francesco


Ai Capi di Stato e di Governo dell'Unione Europea, in occasione del 60° anniversario della firma dei Trattati di Roma (24 marzo 2017) | Francesco

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI CAPI DI STATO E DI GOVERNO DELL'UNIONE EUROPEA,
IN OCCASIONE DEL 60° ANNIVERSARIO
DELLA FIRMA DEI TRATTATI DI ROMA

Sala Regia
Venerdì, 24 marzo 2017

[Multimedia]


Illustri Ospiti,

Vi ringrazio per la Vostra presenza questa sera, alla vigilia del 60° anniversario della firma dei Trattati istitutivi della Comunità Economica Europea e della Comunità Europea dell'Energia Atomica. A ciascuno desidero significare l'affetto che la Santa Sede nutre per i Vostri rispettivi Paesi e per l'Europa intera, ai cui destini è, per disposizione della Provvidenza, inscindibilmente legata. Particolare gratitudine esprimo all'On. Paolo Gentiloni, Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana, per le deferenti parole che ha rivolto a nome di tutti e per l'impegno che l'Italia ha profuso nella preparazione di questo incontro; come pure all'On. Antonio Tajani, Presidente del Parlamento Europeo, che ha dato voce alle attese dei popoli dell'Unione nella presente ricorrenza.

Ritornare a Roma sessant'anni dopo non può essere solo un viaggio nei ricordi, quanto piuttosto il desiderio di riscoprire la memoria vivente di quell'evento per comprenderne la portata nel presente. Occorre immedesimarsi nelle sfide di allora, per affrontare quelle dell'oggi e del domani. Con i suoi racconti, pieni di rievocazioni, la Bibbia ci offre un metodo pedagogico fondamentale: non si può comprendere il tempo che viviamo senza il passato, inteso non come un insieme di fatti lontani, ma come la linfa vitale che irrora il presente. Senza tale consapevolezza la realtà perde la sua unità, la storia il suo filo logico e l'umanità smarrisce il senso delle proprie azioni e la direzione del proprio avvenire.

Il 25 marzo 1957 fu una giornata carica di attese e di speranze, di entusiasmo e di trepidazione, e solo un evento eccezionale, per la portata e le conseguenze storiche, poteva renderla unica nella storia. La memoria di quel giorno si unisce alle speranze dell'oggi e alle attese dei popoli europei che domandano di discernere il presente per proseguire con rinnovato slancio e fiducia il cammino iniziato.

Ne erano ben consapevoli i Padri fondatori e i leader che, apponendo la propria firma sui due Trattati, hanno dato vita a quella realtà politica, economica, culturale, ma soprattutto umana, che oggi chiamiamo Unione Europea. D'altra parte, come disse il Ministro degli Affari Esteri belga Spaak, si trattava, «è vero, del benessere materiale dei nostri popoli, dell'espansione delle nostre economie, del progresso sociale, di possibilità industriali e commerciali totalmente nuove, ma soprattutto (…) [di] una particolare concezione della vita a misura d'uomo, fraterna e giusta»[1].

Dopo gli anni bui e cruenti della Seconda Guerra Mondiale, i leader del tempo hanno avuto fede nella possibilità di un avvenire migliore, «non hanno mancato d'audacia e non hanno agito troppo tardi. Il ricordo delle passate sventure e delle loro colpe sembra averli ispirati e donato loro il coraggio necessario per dimenticare le vecchie contese e pensare ed agire in modo veramente nuovo per realizzare la più grande trasformazione […] dell'Europa»[2].

I Padri fondatori ci ricordano che l'Europa non è un insieme di regole da osservare, non un prontuario di protocolli e procedure da seguire. Essa è una vita, un modo di concepire l'uomo a partire dalla sua dignità trascendente e inalienabile e non solo come un insieme di diritti da difendere, o di pretese da rivendicare. All'origine dell'idea d'Europa vi è «la figura e la responsabilità della persona umana col suo fermento di fraternità evangelica, […] con la sua volontà di verità e di giustizia acuita da un'esperienza millenaria»[3]. Roma, con la sua vocazione all'universalità[4], è il simbolo di questa esperienza e per questo fu scelta come luogo della firma dei Trattati, poiché qui – ricordò il Ministro degli Affari Esteri olandese Luns – «furono gettate le basi politiche, giuridiche e sociali della nostra civiltà»[5].

Se fu chiaro fin da principio che il cuore pulsante del progetto politico europeo non poteva che essere l'uomo, fu altrettanto evidente il rischio che i Trattati rimanessero lettera morta. Essi dovevano essere riempiti di spirito vitale. E il primo elemento della vitalità europea è la solidarietà. «La Comunità economica europea – affermava il Primo Ministro lussemburghese Bech – vivrà e avrà successo soltanto se, durante la sua esistenza, resterà fedele allo spirito di solidarietà europea che l'ha creata e se la volontà comune dell'Europa in gestazione è più potente delle volontà nazionali»[6]. Tale spirito è quanto mai necessario oggi, davanti alle spinte centrifughe come pure alla tentazione di ridurre gli ideali fondativi dell'Unione alle necessità produttive, economiche e finanziarie.

Dalla solidarietà nasce la capacità di aprirsi agli altri. «I nostri piani non sono di natura egoistica»[7], disse il Cancelliere tedesco Adenauer. «Senza dubbio, i Paesi che stanno per unirsi (…) non intendono isolarsi dal resto del mondo ed erigere intorno a loro barriere invalicabili»[8], gli fece eco il Ministro degli Affari Esteri francese Pineau. In un mondo che conosceva bene il dramma di muri e divisioni, era ben chiara l'importanza di lavorare per un'Europa unita e aperta e la comune volontà di adoperarsi per rimuovere quell'innaturale barriera che dal Mar Baltico all'Adriatico divideva il continente. Tanto si faticò per far cadere quel muro! Eppure oggi si è persa la memoria della fatica. Si è persa pure la consapevolezza del dramma di famiglie separate, della povertà e della miseria che quella divisione provocò. Laddove generazioni ambivano a veder cadere i segni di una forzata inimicizia, ora si discute di come lasciare fuori i "pericoli" del nostro tempo: a partire dalla lunga colonna di donne, uomini e bambini, in fuga da guerra e povertà, che chiedono solo la possibilità di un avvenire per sé e per i propri cari.

Nel vuoto di memoria che contraddistingue i nostri giorni, spesso si dimentica anche un'altra grande conquista frutto della solidarietà sancita il 25 marzo 1957: il più lungo tempo di pace degli ultimi secoli. «Popoli che nel corso dei tempi spesso si sono trovati in campi opposti, gli uni contro gli altri a combattersi, (…) ora, invece, si ritrovano uniti attraverso la ricchezza delle loro peculiarità nazionali»[9]. La pace si edifica sempre con il contributo libero e consapevole di ciascuno. Tuttavia, «per molti oggi [essa] sembra, in qualche modo, un bene scontato»[10] e così è facile finire per considerarla superflua. Al contrario, la pace è un bene prezioso ed essenziale, poiché senza di essa non si è in grado di costruire un avvenire per nessuno e si finisce per "vivere alla giornata".

L'Europa unita nasce, infatti, da un progetto chiaro, ben definito, adeguatamente ponderato, anche se al principio solo embrionale. Ogni buon progetto guarda al futuro e il futuro sono i giovani, chiamati a realizzare le promesse dell'avvenire[11]. Nei Padri fondatori era, dunque, chiara la consapevolezza di essere parte di un'opera comune, che non solo attraversava i confini degli Stati, ma anche quelli del tempo così da legare le generazioni fra loro, tutte egualmente partecipi della edificazione della casa comune.

Illustri Ospiti,

Ai Padri dell'Europa ho dedicato questa prima parte del mio intervento, perché ci lasciassimo provocare dalle loro parole, dall'attualità del loro pensiero, dall'appassionato impegno per il bene comune che li ha caratterizzati, dalla certezza di essere parte di un'opera più grande delle loro persone e dall'ampiezza dell'ideale che li animava. Il loro denominatore comune era lo spirito di servizio, unito alla passione politica, e alla consapevolezza che «all'origine della civiltà europea si trova il cristianesimo»[12], senza il quale i valori occidentali di dignità, libertà e giustizia risultano per lo più incomprensibili. «E ancor oggi – affermava san Giovanni Paolo II –, l'anima dell'Europa rimane unita, perché, oltre alle sue origini comuni, vive gli identici valori cristiani e umani, come quelli della dignità della persona umana, del profondo sentimento della giustizia e della libertà, della laboriosità, dello spirito di iniziativa, dell'amore alla famiglia, del rispetto della vita, della tolleranza, del desiderio di cooperazione e di pace, che sono note che la caratterizzano»[13]. Nel nostro mondo multiculturale tali valori continueranno a trovare piena cittadinanza se sapranno mantenere il loro nesso vitale con la radice che li ha generati. Nella fecondità di tale nesso sta la possibilità di edificare società autenticamente laiche, scevre da contrapposizioni ideologiche, nelle quali trovano ugualmente posto l'oriundo e l'autoctono, il credente e il non credente.

Negli ultimi sessant'anni il mondo è molto cambiato. Se i Padri fondatori, che erano sopravvissuti ad un conflitto devastante, erano animati dalla speranza di un futuro migliore e determinati dalla volontà di perseguirlo, evitando l'insorgere di nuovi conflitti, il nostro tempo è più dominato dal concetto di crisi. C'è la crisi economica, che ha contraddistinto l'ultimo decennio, c'è la crisi della famiglia e di modelli sociali consolidati, c'è una diffusa "crisi delle istituzioni" e la crisi dei migranti: tante crisi, che celano la paura e lo smarrimento profondo dell'uomo contemporaneo, che chiede una nuova ermeneutica per il futuro. Tuttavia, il termine "crisi" non ha una connotazione di per sé negativa. Non indica solo un brutto momento da superare. La parola crisi ha origine nel verbo greco crino (κρίνω), che significa investigare, vagliare, giudicare. Il nostro è dunque un tempo di discernimento, che ci invita a vagliare l'essenziale e a costruire su di esso: è dunque un tempo di sfide e di opportunità.

Qual è allora l'ermeneutica, la chiave interpretativa con la quale possiamo leggere le difficoltà del presente e trovare risposte per il futuro? La rievocazione del pensiero dei Padri sarebbe infatti sterile se non servisse a indicarci un cammino, se non diventasse stimolo per l'avvenire e sorgente di speranza. Ogni corpo che perde il senso del suo cammino, cui viene a mancare questo sguardo in avanti, patisce prima un'involuzione e a lungo andare rischia di morire. Quale dunque il lascito dei Padri fondatori? Quali prospettive ci indicano per affrontare le sfide che ci attendono? Quale speranza per l'Europa di oggi e di domani?

Le risposte le ritroviamo proprio nei pilastri sui quali essi hanno inteso edificare la Comunità economica europea e che ho già ricordati: la centralità dell'uomo, una solidarietà fattiva, l'apertura al mondo, il perseguimento della pace e dello sviluppo, l'apertura al futuro. A chi governa compete discernere le strade della speranza - questo è il vostro compito: discernere le strade della speranza - , identificare i percorsi concreti per far sì che i passi significativi fin qui compiuti non abbiano a disperdersi, ma siano pegno di un cammino lungo e fruttuoso.

L'Europa ritrova speranza quando l'uomo è il centro e il cuore delle sue istituzioni. Ritengo che ciò implichi l'ascolto attento e fiducioso delle istanze che provengono tanto dai singoli, quanto dalla società e dai popoli che compongono l'Unione. Purtroppo, si ha spesso la sensazione che sia in atto uno "scollamento affettivo" fra i cittadini e le Istituzioni europee, sovente percepite lontane e non attente alle diverse sensibilità che costituiscono l'Unione. Affermare la centralità dell'uomo significa anche ritrovare lo spirito di famiglia, in cui ciascuno contribuisce liberamente secondo le proprie capacità e doti alla casa comune. È opportuno tenere presente che l'Europa è una famiglia di popoli [14] e – come in ogni buona famiglia – ci sono suscettibilità differenti, ma tutti possono crescere nella misura in cui si è uniti. L'Unione Europea nasce come unità delle differenze e unità nelle differenze. Le peculiarità non devono perciò spaventare, né si può pensare che l'unità sia preservata dall'uniformità. Essa è piuttosto l'armonia di una comunità. I Padri fondatori scelsero proprio questo termine come cardine delle entità che nascevano dai Trattati, ponendo l'accento sul fatto che si mettevano in comune le risorse e i talenti di ciascuno. Oggi l'Unione Europea ha bisogno di riscoprire il senso di essere anzitutto "comunità" di persone e di popoli consapevole che «il tutto è più della parte, ed è anche più della loro semplice somma»[15] e dunque che «bisogna sempre allargare lo sguardo per riconoscere un bene più grande che porterà benefici a tutti»[16]. I Padri fondatori cercavano quell'armonia nella quale il tutto è in ognuna delle parti, e le parti sono – ciascuna con la propria originalità – nel tutto.

L'Europa ritrova speranza nella solidarietà, che è anche il più efficace antidoto ai moderni populismi. La solidarietà comporta la consapevolezza di essere parte di un solo corpo e nello stesso tempo implica la capacità che ciascun membro ha di "simpatizzare" con l'altro e con il tutto. Se uno soffre, tutti soffrono (cfr 1 Cor 12,26). Così anche noi oggi piangiamo con il Regno Unito le vittime dell'attentato che ha colpito Londra due giorni fa. La solidarietà non è un buon proposito: è caratterizzata da fatti e gesti concreti, che avvicinano al prossimo, in qualunque condizione si trovi. Al contrario, i populismi fioriscono proprio dall'egoismo, che chiude in un cerchio ristretto e soffocante e che non consente di superare la limitatezza dei propri pensieri e "guardare oltre". Occorre ricominciare a pensare in modo europeo, per scongiurare il pericolo opposto di una grigia uniformità, ovvero il trionfo dei particolarismi. Alla politica spetta tale leadership ideale, che eviti di far leva sulle emozioni per guadagnare consenso, ma piuttosto elabori, in uno spirito di solidarietà e sussidiarietà, politiche che facciano crescere tutta quanta l'Unione in uno sviluppo armonico, così che chi riesce a correre più in fretta possa tendere la mano a chi va più piano e chi fa più fatica sia teso a raggiungere chi è in testa.

L'Europa ritrova speranza quando non si chiude nella paura di false sicurezze. Al contrario, la sua storia è fortemente determinata dall'incontro con altri popoli e culture e la sua identità «è, ed è sempre stata, un'identità dinamica e multiculturale»[17]. C'è interesse nel mondo per il progetto europeo. C'è stato fin dal primo giorno, con la folla assiepata in piazza del Campidoglio e con i messaggi gratulatori che giunsero da altri Stati. Ancor più c'è oggi, a partire da quei Paesi che chiedono di entrare a far parte dell'Unione, come pure da quegli Stati che ricevono gli aiuti che, con viva generosità, sono loro offerti per far fronte alle conseguenze della povertà, delle malattie e delle guerre. L'apertura al mondo implica la capacità di «dialogo come forma di incontro»[18] a tutti i livelli, a cominciare da quello fra gli Stati membri e fra le Istituzioni e i cittadini, fino a quello con i numerosi immigrati che approdano sulle coste dell'Unione. Non ci si può limitare a gestire la grave crisi migratoria di questi anni come fosse solo un problema numerico, economico o di sicurezza. La questione migratoria pone una domanda più profonda, che è anzitutto culturale. Quale cultura propone l'Europa oggi? La paura che spesso si avverte trova, infatti, nella perdita d'ideali la sua causa più radicale. Senza una vera prospettiva ideale si finisce per essere dominati dal timore che l'altro ci strappi dalle abitudini consolidate, ci privi dei confort acquisiti, metta in qualche modo in discussione uno stile di vita fatto troppo spesso solo di benessere materiale. Al contrario, la ricchezza dell'Europa è sempre stata la sua apertura spirituale e la capacità di porsi domande fondamentali sul senso dell'esistenza. All'apertura verso il senso dell'eterno è corrisposta anche un'apertura positiva, anche se non priva di tensioni e di errori, verso il mondo. Il benessere acquisito sembra invece averle tarpato le ali, e fatto abbassare lo sguardo. L'Europa ha un patrimonio ideale e spirituale unico al mondo che merita di essere riproposto con passione e rinnovata freschezza e che è il miglior rimedio contro il vuoto di valori del nostro tempo, fertile terreno per ogni forma di estremismo. Sono questi gli ideali che hanno reso Europa quella "penisola dell'Asia" che dagli Urali giunge all'Atlantico.

L'Europa ritrova speranza quando investe nello sviluppo e nella pace. Lo sviluppo non è dato da un insieme di tecniche produttive. Esso riguarda tutto l'essere umano: la dignità del suo lavoro, condizioni di vita adeguate, la possibilità di accedere all'istruzione e alle necessarie cure mediche. «Lo sviluppo è il nuovo nome della pace»[19], affermava Paolo VI, poiché non c'è vera pace quando ci sono persone emarginate o costrette a vivere nella miseria. Non c'è pace laddove manca lavoro o la prospettiva di un salario dignitoso. Non c'è pace nelle periferie delle nostre città, nelle quali dilagano droga e violenza.

L'Europa ritrova speranza quando si apre al futuro. Quando si apre ai giovani, offrendo loro prospettive serie di educazione, reali possibilità di inserimento nel mondo del lavoro. Quando investe nella famiglia, che è la prima e fondamentale cellula della società. Quando rispetta la coscienza e gli ideali dei suoi cittadini. Quando garantisce la possibilità di fare figli, senza la paura di non poterli mantenere. Quando difende la vita in tutta la sua sacralità.

Illustri Ospiti,

Nel generale allungamento delle prospettive di vita, sessant'anni sono oggi considerati il tempo della piena maturità. Un'età cruciale nella quale ancora una volta si è chiamati a mettersi in discussione. Anche l'Unione Europea è chiamata oggi a mettersi in discussione, a curare gli inevitabili acciacchi che vengono con gli anni e a trovare percorsi nuovi per proseguire il proprio cammino. A differenza però di un essere umano di sessant'anni, l'Unione Europea non ha davanti a sé un'inevitabile vecchiaia, ma la possibilità di una nuova giovinezza. Il suo successo dipenderà dalla volontà di lavorare ancora una volta insieme e dalla voglia di scommettere sul futuro. A Voi, in quanto leader, spetterà discernere la via di un «nuovo umanesimo europeo»[20], fatto di ideali e concretezza. Ciò significa non avere paura di assumere decisioni efficaci, in grado di rispondere ai problemi reali delle persone e di resistere alla prova del tempo.

Da parte mia non posso che assicurare la vicinanza della Santa Sede e della Chiesa all'Europa intera, alla cui edificazione ha da sempre contribuito e sempre contribuirà, invocando su di essa la benedizione del Signore, perché la protegga e le dia pace e progresso. Faccio perciò mie le parole che Joseph Bech pronunciò in Campidoglio: Ceterum censeo Europam esse ædificandam, d'altronde penso che l'Europa meriti di essere costruita.

Grazie.


[1] P.H. Spaak, Discorso pronunciato in occasione della firma dei Trattati di Roma, 25 marzo 1957.

[2] Ibid.

[3] A. De Gasperi, La nostra patria Europa. Discorso alla Conferenza Parlamentare Europea, 21 aprile 1954, in: Alcide De Gasperi e la politica internazionale, Cinque Lune, Roma 1990, vol. III, 437-440.

[4] Cfr P.H. Spaak, Discorso, cit.

[5] J. Luns, Discorso pronunciato in occasione della firma dei Trattati di Roma, 25 marzo 1957.

[6] J. Bech, Discorso pronunciato in occasione della firma dei Trattati di Roma, 25 marzo 1957.

[7] K. Adenauer, Discorso pronunciato in occasione della firma dei Trattati di Roma, 25 marzo 1957.

[8] C. Pineau, Discorso pronunciato in occasione della firma dei Trattati di Roma, 25 marzo 1957.

[9] P.H. Spaak, Discorso, cit.

[10] Discorso ai membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, 9 gennaio 2017: L'Osservatore Romano, 9-10 gennaio 2017, p. 4.

[11] Cfr P.H. Spaak, Discorso, cit.

[12] A. De Gasperi, La nostra patria Europa, cit.

[13] Attoeuropeistico, Santiago de Compostela, 9 novembre 1982: AAS 75/I (1983), 329.

[14] Cfr Discorso al Parlamento Europeo, Strasburgo, 25 novembre 2014: AAS 106 (2014), 1000.

[15] Esort. ap. Evangelii gaudium, 235.

[16] Ibid.

[17] Discorso in occasione del conferimento del Premio Carlo Magno, 6 maggio 2016: L'Osservatore Romano, 6-7 maggio 2016, p. 4.

[18] Esort. ap. Evangelii gaudium, 239.

[19] Paolo VI, Lett.enc. Populorum progressio, 26 marzo 1967, 87: AAS 59 (1967), 299.

[20] Discorso in occasione del conferimento del Premio Carlo Magno, 6 maggio 2016: L'Osservatore Romano, 6-7 maggio 2016, p. 5.