martedì 30 dicembre 2008

Bagnasco:crisi decisamente aggravata;il compito della Chiesa e quello della politica e della societa'


Eminenza, già nella sua prima prolu­sione nel 2007, lei sottolineò la situa­zione di difficoltà che un numero cre­scente di famiglie si trovava ad af­frontare. Oggi i segnali che vengono dalle parrocchie indicano un peggio­ramento? La situazione si è decisamente aggra­vata e non solo nelle ultime settima­ne. Si è allargata la forbice tra ricchi e poveri, in particolare si è andata im­poverendo la fascia di ceto medio...
Emerge un quadro da chiarire: quali sono i diversi compiti della politica e della società, da un lato, della Chiesa dall’altro? Compito della società e della politica è promuovere la giustizia. E dunque cercare di assicurare a tutti quanto­meno i diritti fondamentali: alla vita, al lavoro, alla casa, a un sostenta­mento dignitoso della propria fami­glia. La missione primaria della Chie­sa è invece l’annuncio del Vangelo di Cristo e quindi la formazione delle co­scienze. Il suo compito non sarebbe però completo se non aggiungesse al­l’annuncio la dimensione della carità, della vicinanza e dunque della pro­mozione umana sul piano sociale e su quello culturale. Perciò la Chiesa si è trovata ad assolvere spesso una fun­zione di supplenza rispetto allo Stato nel soccorrere le persone. Ma la Chie­sa non deve e non vuole surrogare lo Stato, offre piuttosto la sua collabora­zione. Non di meno, la Chiesa è anche chiamata alla profezia e ad operare per un’elevazione culturale del popo­lo secondo un’antropologia che trova le sue radici più profonde nel Vange­lo e, tra l’altro, è alla base della civiltà europea.
Il presidente della Cei vede in termini chiari il quadro della situazione attuale e con altrettanta chiarezza indica i confini di competenza delle varie realtà.
Grazie Presidente, per il suo giudizio che conferma in termini chiari nella odierna intervista su Avvenire quanto il Papa ha spiegato nella Deus Charitas Est e che serve molto come strumento nelle vicende odierne.
Sotto tutta l'intervista di Francesco Riccardi
INTERVISTA A BAGNASCO
«Con chi è nel bisogno. Come sempre»

«Sì, la Chiesa italiana è preoc­cupata per il numero cre­scente di famiglie in diffi­coltà, per i lavoratori che stanno per­dendo il loro posto, per quelli già pre­cari il cui orizzonte occupazionale sembra chiudersi. E ancora per le tan­te persone anziane che faticano sem­pre più a vivere dignitosamente. Co­me potremmo non essere preoccupati per questa crisi? Come sempre la vi­viamo, la condividiamo con il popolo e, certo, intensificheremo ulterior­mente le nostre iniziative per contra­starla. Anzitutto, stando accanto ai più deboli dei quali ben conosciamo i bi­sogni ». L’arcivescovo di Genova e presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, affronta il tema della chiusura di que­sto 2008 caratterizzato da un quadro di incertezza senza precedenti. La cri­si economica, in particolare, sembra destinata a minare alla base non solo il benessere della nostra società, ma la sicurezza del lavoro e quindi la possi­bilità stessa di sostenere la propria fa­miglia, realizzare progetti di vita, con riflessi negativi sul complesso della società. Eminenza, già nella sua prima prolu­sione nel 2007, lei sottolineò la situa­zione di difficoltà che un numero cre­scente di famiglie si trovava ad af­frontare. Oggi i segnali che vengono dalle parrocchie indicano un peggio­ramento? La situazione si è decisamente aggra­vata e non solo nelle ultime settima­ne. Si è allargata la forbice tra ricchi e poveri, in particolare si è andata im­poverendo la fascia di ceto medio. Le parrocchie, attraverso i centri di a­scolto, le strutture della Caritas e del­la San Vincenzo hanno già dovuto in­crementare sia i volumi di aiuti ali­mentari, sia i contributi per far fronte alle spese per le utenze e per l’affitto di un numero crescente di famiglie ca­dute in povertà. Segno di un impove­rimento progressivo, anche antece­dente alla recessione, al quale cerca di rispondere la rete fittissima di carità e pronto intervento stesa dalle parroc­chie nel corso degli anni. Possiamo dire, dunque, che la Chie­sa è già in campo su questo fronte. Cos’altro può fare?Bisogna intensificare ancora presen­za e interventi, mobilitando al massi­mo le risorse di cui disponiamo – an­che dell’8 per mille – secondo la tra­dizione viva della Chiesa, secondo la sua missione. D’altro canto, la Chiesa conosce da vicino i problemi veri del­la gente proprio perché è presente in mezzo al popolo con i parroci, i reli­giosi e le religiose, gli operatori pasto­rali. Una conoscenza non solo 'razio­nale', ma esistenziale perché la Chie­sa è chiamata a condividere queste si­tuazioni di bisogno giorno per giorno, a viverle essa stessa. Il giorno di Natale, l’Arcivescovo di Milano ha annunciato la creazione di un fondo di solidarietà attiva. La Dio­cesi di Prato e altri territori hanno in corso progetti più o meno analoghi. Come avete accolto queste iniziative? Molto bene. Ogni forma d’intervento che mira a sollevare le persone dalla condizione di povertà è importante, bene esprime proprio quell’attenzio­ne di cui dicevamo pri­ma. Ma vorrei aggiunge­re che tutte le diocesi ita­liane hanno messo in at­to nel corso degli anni i­niziative di sostegno mi­rate in particolare alla fa­miglia. Faccio due esem­pi che ho sotto gli occhi qui a Genova. Il Centro contro l’usura, che interviene a favo­re di quanti per difficoltà economiche finiscono nella morsa degli usurai. E il Centro emergenza famiglie che of­fre contributi immediati per i nuclei in difficoltà, accompagnandoli però ad azioni volte a rimuovere le cause che hanno prodotto la situazione di e­mergenza temporanea: perdita del la­voro, malattia, separazione, eccetera. A questo proposito, il ministro Bru­netta ha sostenuto che «la Chiesa do­vrebbe fare di più, che oltre a tante at­tività sociali meritorie, svolge altre volte funzioni di immagine che poco si raccordano con le funzioni sociali». Cosa ne pensa? Sinceramente non so a cosa si riferi­sca il ministro quando parla di ragio­ni di immagine. Sono duemila anni che la Chiesa interviene a favore dei più poveri e dei più deboli, o meglio ancora: vive loro accanto. E ciò pro­segue nei secoli perché è la sua mis­sione più originaria: annunciare il Vangelo e promuovere carità e solida­rietà così come Gesù ci ha insegnato. Fra le obiezioni del ministro, spicca quella che in fondo la Chiesa si limi­terebbe a mobilitare fondi che le ven­gono dallo Stato attraverso l’8 per mil­le. Ma è davvero così? Non è una vi­sione piuttosto distorta della funzio­ne sussidiaria di questo strumento? Non è certo una semplice partita di gi­ro. Una parte elevata dei fondi dell’8 per mille è già ora destinata a opere di carità in Italia e nei Paesi in via di svi­luppo, come è noto e come viene pun­tualmente pubblicato. Ma accanto a questi fondi – per i quali siamo profon­damente grati al popolo italiano – viene mobilita­ta un’altra massa assai considerevole di denaro che arriva dalle raccolte nelle singole parrocchie, dall’impegno di enti e as­sociazioni cattoliche e, non ultimo, dai contri­buti di tanti laici che ri­pongono la loro fiducia nella traspa­renza e nell’efficacia delle opere della Chiesa. Emerge un quadro da chiarire: quali sono i diversi compiti della politica e della società, da un lato, della Chiesa dall’altro? Compito della società e della politica è promuovere la giustizia. E dunque cercare di assicurare a tutti quanto­meno i diritti fondamentali: alla vita, al lavoro, alla casa, a un sostenta­mento dignitoso della propria fami­glia. La missione primaria della Chie­sa è invece l’annuncio del Vangelo di Cristo e quindi la formazione delle co­scienze. Il suo compito non sarebbe però completo se non aggiungesse al­l’annuncio la dimensione della carità, della vicinanza e dunque della pro­mozione umana sul piano sociale e su quello culturale. Perciò la Chiesa si è trovata ad assolvere spesso una fun­zione di supplenza rispetto allo Stato nel soccorrere le persone. Ma la Chie­sa non deve e non vuole surrogare lo Stato, offre piuttosto la sua collabora­zione. Non di meno, la Chiesa è anche chiamata alla profezia e ad operare per un’elevazione culturale del popo­lo secondo un’antropologia che trova le sue radici più profonde nel Vange­lo e, tra l’altro, è alla base della civiltà europea. All’Angelus di domenica scorsa, fra gli altri temi, il Papa ha sottolineato la situazione dei lavoratori precari, chiedendo in particolare «condizioni di lavoro dignitose per tutti». Si sta af­frontando in maniera sufficiente que­sto nodo o serve un di più di proget­tazione, di impegno? C’è una rifles­sione che deve compiere anche il mondo cattolico per caratterizzare meglio la sua presenza nel lavoro e nell’impresa?La Chiesa non ha ricette tecniche, ma il Papa ha bene evidenziato un prin­cipio, quella della dignità della perso­na, che deve rimanere centrale. Nel­l’epoca moderna, poi, lo sforzo della Chiesa è stato proprio quello di ope­rare alla radice della povertà, indi­cando criteri di intervento e solleci­tando tutti alla cooperazione. Talvol­ta si è adoperata anche per creare oc­casioni di lavoro. Penso alla promo­zione delle cooperative e di piccole imprese. Penso al progetto Policoro della Chiesa italiana, come a tante al­tre iniziative delle associazioni catto­liche. Magari sono piccoli numeri nel complesso dell’occupazione, ma rap­presentano risposte concrete e linee di indirizzo, una ricchezza offerta a tut­to il Paese. Questa fine d’anno è segnata anche da un altro evento emblematico: la precarietà della vita di Eluana Engla­ro, davvero appesa a un filo. Al di là delle ragioni per le quali l’ipotesi di sospendere l’alimentazione andreb­be rigettata, ponendo avanti la carità, quale argomento utilizzerebbe per scongiurare a non togliere la vita a E­luana? Indico l’esempio delle suore: la rispo­sta di amore con cui hanno accudito Eluana in tutti questi anni e ancora si offrono di fare. Questo sarebbe il com­portamento che una società civile do­vrebbe tenere. Qui non c’è accani­mento terapeutico o cure sanitarie particolari, c’è l’accogliere una perso­na nel suo bisogno e accudirla. Con premura di sorelle. Con amore.
Francesco Riccardi

lunedì 29 dicembre 2008



Belle notizie cari amici sul fronte della famiglia .A Madrid 1milione di persone alla manifestazione sulla famiglia.

Un gesto importantissimo in un paese che ancora dimostra le sue radici ancora molto ancorate nella tradizione cristiana .

Siamo in attesa delle giornate mondiali in Messico!!

Corale risposta all'invito del cardinale Antonio María Rouco Varela
Un milione di fedeli a Madrid nella festività della Santa Famiglia

di Marta Lago
Una missione: dare una testimonianza d'amore. Una scuola: la Famiglia di Nazaret. È l'appello che, rivolto soprattutto alle famiglie cristiane, è risuonato nella madrilena Plaza de Colón durante l'Eucaristia per la festa della Santa Famiglia. Da ogni angolo della Spagna un milione di persone hanno risposto all'invito del cardinale arcivescovo di Madrid e presidente della Conferenza episcopale Antonio María Rouco Varela. Al fine di celebrare "La famiglia, grazia di Dio", la manifestazione - nettamente pastorale - ha fatto di Madrid la capitale universale delle famiglie grazie al collegamento in diretta con il Papa durante la recita dell'Angelus. "Condividere tutto l'amore" è la dinamica familiare che permette di dare al mondo - ha detto Benedetto XVI in lingua spagnola - "una bella testimonianza dell'importanza della famiglia per l'essere umano e per la società". Alludendo al tema dell'incontro, il Papa ha definito la famiglia come "una grazia di Dio che mostra ciò che Egli stesso è: Amore", con i tratti caratteristici della gratuità e della fedeltà illimitata, "qualità che s'incarnano in maniera eminente nella Santa Famiglia". Il Santo Padre ha esortato le famiglie a non lasciare "che l'amore, l'apertura alla vita e i vincoli incomparabili che uniscono la vostra famiglia si snaturino". Questa "festa emozionante per pregare per la famiglia e adoperarsi per essa con forza e speranza" ha visto al centro, vicino all'altare, una grande croce e l'immagine della Santa Famiglia con una frase di Giovanni Paolo ii: "Il futuro dell'umanità passa per la famiglia cristiana", frase che in diverse occasioni ha ripreso Benedetto XVI e che il cardinale Rouco Varela ha ribadito nella sua omelia. Fra i concelebranti vi erano il cardinale Antonio Cañizares Llovera, nuovo prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, il cardinale arcivescovo di Valencia, Agustín García-Gasco, e una trentina di vescovi, insieme a numerosi sacerdoti. La cultura del relativismo egoistico e della morte costituiscono attualmente un'enorme sfida per la famiglia; "il linguaggio del creato è chiaro e inequivocabile rispetto al matrimonio" ha sottolineato il cardinale Rouco Varela: "Un uomo e una donna, la sposa e lo sposo che si amano per sempre e danno la propria vita!", sia nel reciproco e fedele dono di sé sia nella nascita dei figli. "Voi siete i preferiti del Signore!", ha detto il porporato ai moltissimi bambini presenti durante l'Eucaristia. Ha anche ribadito la necessità che hanno i bambini di beneficiare dell'amore dei genitori, la necessità di essere educati conformemente alla dignità di cui godono fin dal loro concepimento nel grembo materno. Se le sfide sono grandi, ancora più grandi sono le speranze per la famiglia, piena di possibilità che, fra gli applausi, ha elencato il presidente dell'episcopato spagnolo come urgenze: è possibile vivere il matrimonio e la famiglia "in modo molto diverso da quello di moda in tanti ambiti della nostra società", è possibile e "bello vivere il matrimonio e la famiglia come la Santa Famiglia di Nazaret", "è possibile e necessario rendere testimonianza dinanzi al mondo della gioia profonda e duratura che apporta la famiglia cristiana", "è possibile e urgente vincere la cultura della morte con la cultura della vita", "si può e urge vincere la cultura della competizione dura ed egoistica, dell'idolatria, con la cultura dell'amore vero", che fra l'altro configura la funzione essenziale della famiglia: "essere il canale principale affinché l'uomo" scopra che "la ragione d'essere della sua esistenza è l'amore". Guida per la famiglia è la contemplazione costante di Maria e di Giuseppe, le cui volontà si abbandonarono con fiducia alla grazia di Dio. Il modello di Nazaret è il cammino sicuro perché mostra - ha osservato il cardinale arcivescovo di Madrid - "la possibilità di vivere la famiglia nell'integrità e nella bellezza del suo essere come comunità indissolubile di vita e di amore, fondata sul dono sponsale dell'uomo alla donna e della donna all'uomo, e per questo essenzialmente aperta al dono della vita: i figli". È il "modello della vera famiglia", che si è voluto presentare e celebrare con l'Eucaristia poiché è "il Sacramento dell'Amore degli amori". Sostegno saldo della celebrazione sono stati i movimenti ecclesiali che hanno partecipato alla Messa con le letture liturgiche, le preghiere e le offerte. La preghiera dei fedeli è stata introdotta da una sintesi dell'anno 2008, con le sue luci e le sue ombre: dalla calamità del terrorismo - dentro e fuori della Spagna - alla piaga dei cattivi trattamenti o al lutto arrecato a tante famiglie dall'incidente aereo nell'aeroporto della capitale. I Giochi Olimpici - è stato ricordato - hanno messo in primo piano la Cina, ma anche la questione del rispetto dei diritti umani in questo paese asiatico, soprattutto la libertà religiosa. L'anno che sta terminando ha visto inoltre il 30º anniversario dell'inizio del Pontificato del servo di Dio Giovanni Paolo ii, il 40º anniversario della promulgazione del Credo del popolo di Dio a opera di Paolo vi, il 60º anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo. È stato anche l'anno dell'indimenticabile Giornata mondiale della gioventù di Sydney e della designazione di Madrid come prossima meta del grande pellegrinaggio di fede di centinaia di migliaia di giovani attorno al Papa. A tutti è stata affidata la missione di "essere testimoni coraggiosi e instancabili del Vangelo della Famiglia, con le opere e con le parole, nella Chiesa e nel mondo, poiché - come ha ammonito il cardinale Rouco Varela - dal bene integrale della famiglia dipende la sorte di tutta la famiglia umana". (©L'Osservatore Romano - 29-30 dicembre 2008)

sabato 20 dicembre 2008

Ma quale orientamento o identità sessuale?!

Cari amici ,oggi l'Osservatore Romano ci fa riflettere su un fatto di notevole importanza :si sta mettendo in discussione da parte della cultura relativista imperante il riconoscimento del dato naturale ed oggettivo della realtà , fondamento giuridico e sociale .
Ciò implicherebbe rischi per le ripercussioni sull'istituzione del matrimonio ,la sicurezza per i figli di avere un padre ed una madre e il rischio di esprimere i convincimenti morali da parte delle fedi religiose .



A proposito della Dichiarazione
Difesa dei diritti e ideologia

Il documento francese proposto alle Nazioni Unite non è un documento finalizzato, in primis, alla depenalizzazione dell'omosessualità nei Paesi in cui è ancora perseguita, come i media, semplificando, hanno raccontato. Se fosse stato così, non ci sarebbe stato motivo perché l'Osservatore Permanente della Santa Sede a New York criticasse quel documento. La Chiesa Cattolica, del resto, basandosi su una sana laicità dello Stato, ritiene che gli atti sessuali liberi tra persone adulte non debbano essere trattati come delitti da punire dall'Autorità civile. In merito, anche recentemente, il Magistero ecclesiastico ha affermato che la dignità delle persone omosessuali "deve sempre essere rispettata nelle parole, nelle azioni e nelle legislazioni" (Lettera sulla cura pastorale delle persone omosessuali, n. 10) e che a loro riguardo si dovrà evitare "ogni forma di ingiusta discriminazione" (Catechismo della Chiesa cattolica, n. 2358). La posizione della Chiesa su questo tema - è bene ricordarlo - è stata sempre moderata e coerente con la sua morale. Ma questo documento, in realtà, parla d'altro, e cioè promuove una ideologia, quella dell'"identità di genere" e dell'"orientamento sessuale". Le categorie di "orientamento sessuale" e di "identità di genere", che nel diritto internazionale non trovano alcuna chiara definizione, vengono introdotte come nuove categorie di discriminazione e si cerca di applicarle all'esercizio dei diritti umani. Si tratta, invece, di concetti controversi su base internazionale, e non solo dalla Chiesa, in quanto implicano l'idea che l'identità sessuale sia definita solo dalla cultura, e quindi suscettibile di essere trasformata a piacere, secondo il desiderio individuale o le influenze storiche e sociali. In sostanza, introducendo tali categorie, si nega l'ancoraggio anzitutto biologico della differenziazione sessuale e lo si recepisce soltanto come un limite, piuttosto che come fonte di significato, quale invece è. Si dà impulso al falso convincimento che l'identità sessuale sia il prodotto di scelte individuali, insindacabili e, soprattutto, meritevoli in ogni circostanza di riconoscimento pubblico. Si promuove, di conseguenza, un'idea sbagliata di parità, che intende definire uomini e donne secondo un'idea astratta di individuo. Non si tratta purtroppo di teorie marginali, se si pensa che le proposte di riconoscimento di diritti di famiglia alle coppie omosessuali - incluse quelle relative all'adozione e alla procreazione assistita - si basano sull'idea che la polarità eterosessuale non sia un elemento fondante della società, ma un arbitrio da cancellare. Quindi il tentativo di introdurre le citate categorie di discriminazione si salda con quello di ottenere l'equiparazione delle unioni dello stesso sesso al matrimonio e, per le coppie omosessuali, la possibilità di adottare o "procreare" bambini. Bambini che rischierebbero, tra l'altro, di non conoscere mai uno dei due genitori e di non poter vivere con lui o lei. Ma non è questo il solo pericolo: l'introduzione di tali categorie mette a rischio l'esercizio di altri diritti umani: si pensi alla libertà di espressione, oppure a quella di pensiero, di coscienza e di religione. Le religioni, per esempio, potrebbero vedere limitato il loro diritto di trasmettere il proprio insegnamento, quando ritengono che il libero comportamento omosessuale dei fedeli non sia penalizzabile, tuttavia non lo considerano moralmente accettabile. E verrebbe così intaccato uno dei diritti primari su cui si fonda la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948: quello alla libertà religiosa.
(©L'Osservatore Romano - 20 dicembre 2008)

giovedì 18 dicembre 2008


DIBATTITO
Leggi razziali: l'«Osservatore» critica Fini

Continua la polemica dopo il discorso di ieri del presidente della Camera Gianfranco Fini a Montecitorio in occasione dell'anniversario dell'approvazione delle leggi razziali. «L'ideologia fascista non spiega da sola l'infamia delle leggi razziali - aveva dichiarato Fini in un passaggio del suo intervento -. C'è da chiedersi perché la società italiana si sia adeguata nel suo insieme alla legislazione antiebraica e perché, salvo talune luminose eccezioni, non siano state registrate manifestazioni particolari di resistenza. Nemmeno, mi duole dirlo da parte della Chiesa cattolica». Affermazioni che il presidente della Camera ha ribadito anche nel pomeriggio, nonostante le numerose e trasversali critiche.L'Osservatore Romano: «Approssimazione storica e opportunismo politico». «Sorprende e amareggia il fatto che uno degli eredi politici del fascismo, che dell'infamia delle leggi razziali fu unico responsabile e dal quale pure da tempo egli vuole lodevolmente prendere le distanze, chiami ora in causa la Chiesa cattolica. Dimostrando approssimazione storica e meschino opportunismo politico»: durissimo l'attacco de L'Osservatore Romano, il quotidiano della Santa Sede, nei confronti del presidente della Camera. In un articolo non firmato pubblicato sull'edizione odierna, l'Osservatore parla di «stupore e molte polemiche» per il discorso di Fini di ieri. «Politici, storici e media sono intervenuti per correggere o sostenere le affermazioni di Fini», prosegue il quotidiano, che elenca poi i principali interventi di ieri in difesa della Chiesa.LE REAZIONI DI IERIRadio Vaticana: «Non è vero». «Non è vero che la Chiesa italiana non si oppose alle Leggi razziali del 1938». Lo afferma la Radio Vaticana sottolineando che «dal mondo cattolico arriva secca la smentita alle parole del presidente della Camera, Gianfranco Fini, che oggi a Montecitorio ha definito le Leggi razziali un'infamia verso la quale neanche la Chiesa cattolica manifestò resistenza». «Mi sembra - dice ai microfoni dell'emittente il professor Francesco Malgeri, docente di storia contemporanea alla Facoltà di Scienze politiche dell'Università La Sapienza di Roma - un'affermazione eccessiva. Le reazioni ci furono e furono immediate, basti pensare all'articolo sull'Osservatore Romano nel quale si denunciava un provvedimento che innanzitutto veniva a colpire il Concordato. Si parla in questo articolo di vulnus al Concordato. E inoltre, tutta un'altra serie di interventi e di prese di posizione che certamente non condividevano il provvedimento che era stato adottato dal governo fascista». Secondo Malgeri negli ultimi tempi «si è particolarmente accentuata questa forma di giudizio, che non tiene conto poi della realtà storica. Penso - conclude - a tutta la polemica che è sorta anche recentemente sulla figura di Pio XII di fronte allo sterminio degli ebrei. Forse bisognerebbe interrogare gli autori di queste polemiche per cogliere il senso e il significato dei loro atteggiamenti».La replica di Giovagnoli: «La Chiesa le condannò fermamente». «Le dimensioni della tragedia seguita alla promulgazione delle leggi razziali costituiscono ancora una ferita aperta di fronte alla coscienza di tutti e continuano a porre l’interrogativo se si sia fatto abbastanza per contrastarle, ma non vedo ragione alcuna per muovere accuse alla Chiesa, che anzi condannò apertamente e con assoluta fermezza la legislazione antiebraica». Agostino Giovagnoli, docente di storia contemporanea all’Università Cattolica, commenta in questi termini al Sir le dichiarazioni del presidente della Camera Gianfranco Fini, nel 70° anniversario della promulgazione delle leggi razziali, secondo il quale allora la Chiesa non fece abbastanza. Padre Sale: «Parole sconcertanti». In precedenza era intervenuto anche padre Giovanni Sale scrittore della Civiltà Cattolica definendo le dichiarazioni di Fini «sconcertanti», evidentemente il presidente della camera aveva aggiunta padre Sale «non conosce una pagina di storia nazionale che vede contrapposti Mussolini e Pio XI o forse sono frutto di una "svista", di un cercare un correo a delle responsabilità che il presidente Fini vuole in parte coprire che fanno parte della sua storia, anche se non di quella recente».Farina (Pdl): «Errore storico». Polemico anche Renato Farina (Pdl): «Che la Chiesa non si sia opposta alle leggi razziali è una leggenda nera, e dispiace che il presidente Fini si adegui a questa versione della storia politically correct. In realtà Pio XI insitette pesantemente perchè le leggi razziali non passassero. Dopo di che solo l'Osservatore romano denunciò l'infamia. In seguito conventi e canoniche furono porto di rifugio per gli ebrei. Non si fece abbastanza? Può essere. Ma è proprio ingeneroso unirsi al coro indifferenziato. Piuttosto, anche se è meno di moda, conviene ricordare che in Senato nemmeno Benedetto Croce si oppose a queste leggi, e neanche Enrico De Nicola, gli ex direttori di grandi giornali Albertini, Frassati e Bergamini, ancora il generale Badoglio. E persino Luigi Einaudi si astenne dal far udire la sua voce. Nessun accenno a questo nel discorso di Fini... Peccato».Veltroni: «Quella di Fini è verità palmare». Le parole pronunciate dal presidente della Camera Gianfranco Fini, secondo il quale neanche la Chiesa nel 1938 si oppose alle leggi razziali, «sono una verità storica, una verità palmare» su cui sono incomprensibili le polemiche. Ne è convinto Walter Veltroni, che è intervenuto sulla polemica durante la presentazione del libro di Renato Venditti "La Cricca", a cui è intervenuto anche Fini.

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GLI STORICI - Fini sbaglia tutto
IL DOCUMENTO - Pio XI: leggi razziali vergogna italiana


martedì 16 dicembre 2008

Il significato dell' Avvento per Thomas Merton


Il tempo dell'attesa
I tre Avventi

In occasione del quarantesimo anniversario della morte del monaco statunitense pubblichiamo una sua breve riflessione sul periodo della preparazione al Natale estratto da un suo testo pubblicato in Italia da Rusconi nel 1977 con il titolo Stagioni liturgiche.
di Thomas Merton
San Bernardo torna frequentemente sull'idea dei "tre Avventi" di Cristo. Il primo è quello con il quale è entrato nel mondo, dopo aver ricevuto la natura umana nel seno della benedetta Vergine Maria. Il terzo è l'Avvento che lo porterà nel mondo alla fine del tempo per giudicare i vivi e i morti o piuttosto per rendere manifesto il giudizio che gli indifferenti hanno voluto far ricadere su se stessi rifiutando di accogliere il suo amore e la salvezza, e che gli eletti hanno accettato dalle mani della sua misericordia. Il primo Avvento è quello nel quale egli viene a cercare e a salvare ciò che era perduto. Il terzo è quello nel quale egli viene per trarci a sé. Il primo è una promessa; il terzo è il suo adempimento. (...) I tre Avventi di Cristo sono la realizzazione completa della pascha Christi. Ma finora abbiamo parlato esplicitamente soltanto del primo e del terzo. Il secondo è, in un certo senso, il più importante per noi. Il "secondo Avvento" - per mezzo del quale Cristo è presente adesso nelle nostre anime - dipende dal nostro attuale riconoscimento della sua pascha, o transitus, il passaggio di Cristo attraverso il mondo, attraverso le nostre stesse vite. Meditando l'Avvento passato e l'Avvento futuro, impariamo a riconoscere l'Avvento presente, che si situa in ogni momento della nostra vita di pellegrini terreni. Raggiungiamo la consapevolezza del fatto che ogni momento del tempo è un momento di giudizio, che Cristo sta passando e che noi siamo giudicati dalla maggiore o minore coscienza di questo suo passaggio. Se ci uniamo a lui e ci mettiamo in cammino, con lui, verso il suo regno, il giudizio diventa salvezza per noi. Ma se lo trascuriamo e se lo lasciamo andare oltre, la nostra indifferenza diventa la nostra condanna. La meditazione sul primo Avvento ci dà la speranza nella promessa che ci è stata fatta. Il ricordo del terzo serve a tener vivo il timore di non essere in grado di vedere adempiuta questa promessa. Il secondo Avvento, il presente, posto fra questi due termini estremi, diventa necessariamente un tempo di angoscia, un tempo di conflitto fra il timore e la gioia. Ma com'è salutare questa lotta, che termina nella salvezza e nella vittoria perché purifica il nostro intero essere! Il medius Adventus, nonostante ciò, è tempo più di consolazione che di sofferenza, se riflettiamo che anche in esso Cristo viene realmente a noi, ci dà realmente se stesso perché, nella speranza, possediamo già il cielo. "Questo secondo Avvento è la via che noi percorriamo per passare dal primo al terzo. Nel primo, Cristo era la nostra redenzione, nell'ultimo ci apparirà come la nostra vita. In quello presente, mentre dormiamo nella nostra eredità, egli è il nostro riposo e la nostra consolazione" (Sermo v de Adventu, 1). In questo "sonno" non c'è però alcuna idea di inattività. Indubbiamente può significare quiete, oscurità e vuoto per la nostra attività naturale. Ma in questa "oscurità" Dio viene a noi e opera misteriosamente dentro di noi in spirito e verità, per far sì che il frutto della sua opera diventi manifesto nel terzo Avvento, quando egli verrà in tutta la sua maestà e in tutta la sua gloria.(©L'Osservatore Romano - 15-16 dicembre 2008)

lunedì 8 dicembre 2008

Ruini grande didascalico del carteggio BenedettoXVI-Pera



Desidero proporvi anche quello che ha detto il cardinale Ruini sul nuovo libro del sen . Pera
che potete trovare sul sito del foglio di oggi.

Meditate gente meditate!




Pubblichiamo l’intervento del cardinale Camillo Ruini alla presentazione del libro del senatore Marcello Pera, “Perché dobbiamo dirci cristiani. Il liberalismo, l’Europa, l’etica”. (Roma, 4 dicembre 2008)Il libro di Marcello Pera, “Perché dobbiamo dirci cristiani. Il liberalismo, l’Europa, l’etica” è decisamente importante in sé ed è ancora più importante per la lettera inconsueta che Benedetto XVI ha scritto al suo Autore. Si può dire che è un libro a tesi, in senso positivo, in quanto sostiene una posizione dichiarata con chiarezza fin dall’inizio e poi argomentata attraverso tutte le pagine. Già nell’introduzione Marcello Pera scrive: “La mia posizione è quella del laico e liberale che si rivolge al cristianesimo per chiedergli le ragioni della speranza”. La conclusione di tutto il percorso, e anche di ciascuno dei tre capitoli in cui il libro si articola, è quindi che “dobbiamo dirci cristiani”: una conclusione forte e in buona misura contro corrente, cosa di cui l’Autore è ben consapevole. Il libro si colloca pertanto dentro al grande dibattito riguardo al cristianesimo che attraversa da alcuni anni, con nuovo vigore, tutto l’occidente. Un dibattito che si muove tra due poli: quello di coloro che vorrebbero espungere il cristianesimo dalla nostra cultura pubblica, o almeno ridimensionare la sua presenza, e quello di coloro che cercano invece di mantenere e rimotivare questa presenza, ritenendola oggi particolarmente necessaria e benefica.
In questo contesto è estremamente significativa la lettera di Benedetto XVI. Una lettera inconsueta, come dicevo, ma per nulla isolata. Essa rientra infatti nella nutrita serie dei rapporti e delle convergenze tra Marcello Pera e il cardinale Ratzinger, e poi il Papa Benedetto XVI. Il primo atto di questa serie sono le due conferenze che il presidente Pera e il cardinale Ratzinger hanno tenuto rispettivamente il 12 e il 13 maggio 2004 all’Università Lateranense e nella Sala del Capitolo del Senato. A queste due conferenze fece seguito lo scambio di due lettere di approfondimento e il tutto è stato pubblicato ancora nel 2004 da Mondadori in un libro dal titolo “Senza radici”. Europa, relativismo, cristianesimo, islam: come si vede, sono almeno in buona parte i temi del libro che presentiamo questa sera e della lettera del Papa. Poi Benedetto XVI affidò a Marcello Pera l’introduzione al suo libro “L’Europa di Benedetto nella crisi delle culture”, uscito nel maggio 2005 presso l’editore Cantagalli, che raccoglieva alcuni suoi interventi da cardinale, tra cui l’ultimo pronunciato a Subiaco il 1° aprile 2005, il giorno precedente alla morte di Giovanni Paolo II, nel quale era contenuto l’invito, rivolto agli amici non credenti, a cercare comunque di vivere e indirizzare la propria vita veluti si Deus daretur, come se Dio ci fosse. E il presidente Pera intitolava la sua introduzione “Una proposta da accettare”. Ancora, il 15 ottobre 2005, in occasione di un convegno della fondazione Magna Carta su libertà e laicità, Benedetto XVI inviò al presidente Pera una lettera assai significativa nella quale proponeva una laicità “sana” e “positiva”. Nella lettera pubblicata nel libro che presentiamo questa sera il Papa non solo manifesta grande apprezzamento e consenso per il libro stesso, ma prende a sua volta posizione, con affermazioni brevi ma puntuali e pregnanti, sulle principali questioni che esso affronta. Ritornerò dunque sulle parole del Pontefice esaminando ciascuna delle questioni stesse. Per ora osservo soltanto che queste parole esprimono non solo una simpatia personale ma una sintonia profonda sui contenuti e gli orientamenti. Prima di entrare nel merito degli argomenti aggiungo una parola sull’indole di questo libro: è il lavoro di uno studioso che maneggia con grande padronanza gli strumenti analitici con i quali si è formato negli anni della ricerca e dell’insegnamento, soprattutto nel campo della filosofia delle scienze. E’ pertanto un testo rigoroso e organico. Ma è anche un libro – come dice l’Autore stesso – scritto per farsi capire dal pubblico più ampio possibile, che in alcune pagine può richiedere un piccolo sforzo filosofico, ma comunque entro limiti accettabili per il normale lettore. Un libro dunque che congiunge il rigore argomentativo con la passione personale e l’immediatezza del linguaggio.
Questo libro è denso di riferimenti e ricco di approfondimenti, ma la sua struttura è sostanzialmente semplice e si ripete nei tre capitoli, dedicati rispettivamente al liberalismo, all’Europa e all’etica. Perciò è possibile presentare questi capitoli unitariamente, mettendo in luce lo schema argomentativo che hanno in comune. Si parte dalla situazione attuale e in concreto dalla sua problematicità, dalle aporie e dalle debolezze che si riscontrano sia nella teoria e prassi del liberalismo sia nel processo di unificazione dell’Europa sia nell’etica pubblica. Poi si individuano le ragioni di queste difficoltà, che vengono ricondotte in ciascuno dei capitoli al divorzio dal cristianesimo. Anche qui l’Autore procede non in maniera astratta ma tratteggiando con cura la parabola storica di questo allontanamento: all’inizio del percorso si riscontra in ciascuno dei casi un rapporto forte e profondo con il cristianesimo, che poi si allenta progressivamente, con la tendenza ad estinguersi o anche a rivolgersi nel suo contrario, trasformandosi in ostilità e insofferenza. Una terza tappa dell’argomentazione consiste nel mostrare che quella parabola non era motivata da ragioni necessarie, perché intrinseche al suo punto di partenza, ma al contrario rappresenta piuttosto una deviazione rispetto alle premesse. Da ultimo vengono addotte le motivazioni per le quali conviene, anzi è doveroso – secondo la formula “dobbiamo dirci cristiani” – riconoscere e ristabilire concretamente il legame del liberalismo, dell’Europa e della sua unità e dell’etica, compresa in particolare l’etica pubblica, con il cristianesimo. Queste motivazioni sono di ordine sia pratico sia anche teoretico e il legame che intendono giustificare non è accidentale ma intrinseco.
L’Autore dedica giustamente molta attenzione a precisare più concretamente la natura di tale legame e quindi il senso nel quale dobbiamo dirci cristiani se intendiamo essere autenticamente liberali, se vogliamo che giunga a compimento il processo dell’unificazione europea, se desideriamo invertire la tendenza alla deriva dell’etica. Centrale è qui la distinzione tra “cristiani per fede” e “cristiani per cultura”. Ai fini predetti, occorre essere cristiani per cultura, mentre non è e non può essere necessario essere cristiani per fede: quest’ultima è una scelta che appartiene alla vita personale di ciascuno di noi, al mistero del nostro rapporto con Dio. Non basta tuttavia, secondo Marcello Pera, trincerarsi nel solo “cristiani per cultura”: è necessario superare un razionalismo chiuso e aprirsi all’ampiezza dell’esperienza umana, non amputandola della presenza nella nostra vita del senso del divino, del mistero, del sacro e dell’infinito. E’ necessario dunque essere aperti al “salto” della fede, senza per questo esigere in alcun modo che esso sia effettivamente compiuto. L’Autore si riferisce a questo riguardo non solo a Pascal ma anche al Kant della “Critica della ragion pratica”, per il quale “è moralmente necessario ammettere l’esistenza di Dio” e vivere veluti si Deus daretur. Infatti, sempre secondo Kant, “la speranza comincia soltanto con la religione”, e Marcello Pera aggiunge che ciò vale non solo per la speranza ma anche per la nostra vita politica: le leggi non bastano, occorrono virtù adeguate e a tal fine la religione cristiana deve essere anche un sentimento, che si traduce in un costume civile. Così l’Autore ripropone, con proprie motivazioni e dal proprio punto di vista, il veluti si Deus daretur di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI.
All’interno di questo quadro generale il percorso di ciascuno dei tre capitoli è naturalmente differenziato in rapporto ai temi trattati. Non essendo possibile qui seguire la trama dei singoli sviluppi mi limiterò ad alcuni punti nodali che mi sembrano più rilevanti. Il primo, che l’Autore affronta espressamente solo nel terzo capitolo ma che gioca un ruolo essenziale in tutto l’impianto del libro, riguarda il rapporto tra liberalismo e relativismo. La posizione di Pera è netta: “Se il relativismo è corretto, il liberalismo sbaglia con la sua pretesa di validità universale, con i suoi diritti di tutta l’umanità, con la sua idea di produrre un regime migliore degli altri”. Perciò il relativismo è incompatibile con il liberalismo, e a maggior ragione con il cristianesimo il cui Fondatore ha detto: “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6). Viene rovesciata così la tesi diffusa che un atteggiamento relativistico sia invece indispensabile per la realizzazione di una società libera.
Un po’ ovunque nel libro si mette in evidenza come il liberalismo autentico ed originario – quello dei “Padri”, individuati principalmente in John Locke, Thomas Jefferson ed Immanuel Kant – sia la dottrina dei diritti fondamentali dell’uomo in quanto uomo – i diritti oggi riconosciuti dalle carte internazionali – che precedono come tali ogni decisione positiva degli stati e si fondano su una concezione etica dell’uomo ritenuta vera e trans-culturale. Sempre in riferimento ai “Padri”, l’Autore sottolinea la matrice teista e cristiana di tali diritti, iscritti nella nostra natura dal Creatore: per questo, come afferma la Dichiarazione di indipendenza americana, “tutti gli uomini sono creati uguali,… dotati dal loro Creatore di alcuni diritti inalienabili”. Così, mentre da una parte si conferma l’incompatibilità del liberalismo con il relativismo, dall’altra emerge il suo “nesso non estrinseco”, storico e concettuale, con il cristianesimo.
Un pregio del libro è l’aver sottoposto ad un esame approfondito le posizioni e le motivazioni di alcuni principali teorici del liberalismo che non condividono questa tesi, tra i quali anzitutto John Rawls e Jürgen Habermas (quest’ultimo non un liberale in senso stretto). Essi sostengono l’autosufficienza del liberalismo politico, nel senso che esso non si basa su alcuna lettura “pre-politica” – etica, metafisica o religiosa che sia – e anche che esso distingue e separa la sfera pubblica, non religiosa, dalle sfere private, religiose o di altro tipo: anche se poi questa separazione dagli stessi autori – soprattutto da Habermas – è in buona misura attenuata e corretta, con il risultato però di rendere le loro posizioni alquanto incerte e anche non troppo coerenti. Marcello Pera mostra come questa autosufficienza del liberalismo sia soltanto apparente, mentre in realtà esso presuppone il riconoscimento dell’altro come persona e come fine in se stesso.
Assai diversa è la posizione di Benedetto Croce: specialmente nel celebre saggio “Perché non possiamo non dirci cristiani”, egli fa un grandissimo e commosso elogio del cristianesimo, come la più grande, e tuttora decisiva, rivoluzione che l’umanità abbia compiuto. Il suo liberalismo però non è una dottrina giuridico-politica, ma “una concezione totale del mondo e della realtà”: in concreto la libertà è lo Spirito nella storia, mentre “lo svolgimento dello Spirito” è il cammino stesso della libertà. In questa concezione immanentista la rivoluzione cristiana può essere solo un momento dello svolgimento dello Spirito, destinato a riassorbirsi nell’immanenza dello Spirito stesso. Perciò, mentre il filosofo idealista vede nell’uomo religioso il suo “fratello minore, il suo se stesso di un momento prima”, quest’ultimo non può non vedere nel filosofo “il suo avversario, anzi il suo nemico mortale”. Pera conclude che in questo modo Benedetto Croce – sia pure controvoglia – finisce con il dare una giustificazione filosofica, e non solo contingente come è ad esempio l’anticlericalismo, alla “equazione laica” che vuole identificare l’autentico liberalismo con il superamento della religione e con il laicismo. Alla luce di tutto questo suonano molto precise e impegnative le parole della lettera di Benedetto XVI: “Con una conoscenza stupenda delle fonti e con una logica cogente Ella analizza l’essenza del liberalismo a partire dai suoi fondamenti, mostrando che all’essenza del liberalismo appartiene il suo radicamento nell’immagine cristiana di Dio… Con una logica inconfutabile Ella fa vedere che il liberalismo perde la sua base e distrugge se stesso se abbandona questo suo fondamento”.
A questo punto è possibile dar conto più rapidamente di altre tesi qualificanti di questo libro. In particolare di quella riguardante il multiculturalismo, che l’Autore esamina giustamente subito dopo aver parlato del relativismo, con il quale il multiculturalismo ha un legame profondo. Non si tratta semplicemente del dato di fatto che le società moderne sono complesse e contengono al loro interno minoranze, comunità, gruppi di varie etnie e culture. Specifica e decisiva dell’approccio multiculturale è la convinzione che non possano esistere criteri per valutare se una cultura sia migliore o peggiore di un’altra: ogni forma di cultura avrebbe infatti caratteristiche proprie e irriducibili e meriterebbe il medesimo rispetto delle altre. Marcello Pera riconosce senz’altro il contributo delle culture alla formazione dell’identità delle persone e alla stessa vita di una società libera, a condizione però che siano rispettati, e prevalgano su ogni differenza culturale, i diritti fondamentali e naturali delle persone. Proprio qui il multiculturalismo mostra il proprio limite, perché la sua logica interna lo conduce a misconoscere il carattere universale e inalienabile di tali diritti. Le sue conseguenze pratiche sono a loro volta spesso incresciose: esso rende la più ampia società insicura di sé e può condurla a ripudiare la propria identità sia culturale sia religiosa, e d’altro canto non facilita ma ostacola una effettiva integrazione degli immigrati. Anche a questo riguardo la lettera di Benedetto XVI contiene parole inequivocabili: “Non meno impressionato sono stato dalla Sua analisi… della multiculturalità in cui Ella mostra la contraddittorietà interna di questo concetto e quindi la sua impossibilità politica e culturale”.
Con le grandi domande sul liberalismo, sul relativismo e sul multiculturalismo si connette la questione dell’Europa e della sua identità e unità, in rapporto al ruolo che ha avuto ed ha in Europa il cristianesimo. A questa questione è dedicato tutto il secondo capitolo del libro, ma qui possiamo limitarci al punto centrale: Marcello Pera individua la ragione chiave delle persistenti difficoltà del processo di unificazione dell’Europa, e in particolare dei fallimenti registrati a proposito della “Carta europea”, nel rifiuto di riconoscere adeguatamente il ruolo svolto dal cristianesimo per la formazione dell’Europa e della sua identità e anche per la costruzione dello stato liberale: è vero infatti che le tradizioni dell’Europa sono composite e che nell’arco dei secoli è avvenuta un’ampia mescolanza di culture, ma l’anima dell’Europa è il cristianesimo, che ha articolato, fuso e portato ad unità queste diverse culture e tradizioni, componendole in un quadro che ha fatto dell’Europa il “continente cristiano”.
E tuttora il cristianesimo, come ha riconosciuto Habermas, è la sorgente a cui si alimenta quella che lo stesso Habermas definisce “l’autocomprensione normativa della modernità”, senza che siano disponibili a tutt’oggi opzioni alternative. Non riconoscere questo dato decisivo, e voler fondare invece l’unità europea soltanto su di un astratto “patriottismo costituzionale”, come sembra proporre Habermas, lascia l’Europa senza una precisa identità e senza un principio realmente unificante, oltre a dividere l’occidente allontanando l’Europa dall’America. Per questi motivi l’Autore conclude senza esitazioni: “L’Europa deve dirsi cristiana”, incontrando di nuovo il forte consenso di Benedetto XVI che gli scrive: “Di importanza fondamentale è la Sua analisi di ciò che possono essere l’Europa e una Costituzione europea in cui l’Europa non si trasformi in una realtà cosmopolita, ma trovi, a partire dal suo fondamento cristiano-liberale, la sua propria identità”.
In rapporto al problema del fondamentalismo religioso, e in particolare del fondamentalismo islamico, il libro entra anche nella tematica del dialogo interreligioso, al quale la chiesa ha invitato i cattolici fin dalla Dichiarazione Nostra aetate del Concilio Vaticano II. Marcello Pera afferma nettamente che un tale dialogo, “in senso tecnico e stretto” non può esistere, perché presuppone che gli interlocutori siano disponibili alla revisione e anche al rifiuto delle verità con cui iniziano lo scambio dialettico, mentre le religioni, e specialmente le religioni monoteiste e rivelate, hanno ciascuna la propria verità e i propri criteri per accertarla. Perciò, richiamandosi all’invito al “dialogo delle culture” con cui Benedetto XVI concludeva la sua celebre lezione di Regensburg, propone che tra le religioni si instauri questa seconda forma di dialogo, che riguarda non il nucleo dogmatico ma le conseguenze culturali – in particolare di tipo etico – delle diverse religioni, ossia i diritti attribuiti o negati all’uomo, i costumi sociali consentiti o proibiti, le forme di relazioni interpersonali ammesse o censurate, gli istituti politici raccomandati o vietati. Questo dialogo interculturale tra le religioni può essere dialogo in senso stretto e può condurre gli interlocutori a rivedere le proprie posizioni iniziali, correggerle, integrarle e anche rifiutarle, senza che ciò implichi necessariamente una messa in discussione del proprio nucleo dogmatico. Il patrimonio morale dell’umanità, inalienabile e non negoziabile, rappresenta secondo Pera il grande terreno comune di questo dialogo.
Su questa problematica indubbiamente delicata Benedetto XVI, nella sua lettera, si sofferma un poco più a lungo, prendendo ancora una volta una posizione netta e consonante. Egli scrive: “Particolarmente significativa è per me anche la Sua analisi dei concetti di dialogo interreligioso e interculturale. Ella spiega con grande chiarezza che un dialogo interreligioso nel senso stretto della parola non è possibile… senza mettere tra parentesi la propria fede”. Urge invece “tanto più il dialogo interculturale che approfondisce le conseguenze culturali della decisione religiosa di fondo”. Occorre pertanto affrontare tali conseguenze “nel confronto pubblico… Qui il dialogo e una mutua correzione e un arricchimento vicendevole sono possibili e necessari”. Il portavoce della Sala stampa vaticana, Padre Federico Lombardi, ha osservato a giustissimo titolo che Benedetto XVI è personalmente assai impegnato nel dialogo tra le religioni, come mostrano tra l’altro le sue visite alle sinagoghe e ad una moschea. Rimane vero al tempo stesso che le parole da lui scritte al presidente Pera rappresentano un chiarimento importante, e a mio avviso prezioso, circa la natura e le finalità di questo dialogo, nella linea che il cardinale Ratzinger e poi Benedetto XVI aveva già più volte indicato e che ha un suo fondamentale aggancio nella Dichiarazione Dominus Iesus pubblicata nel 2000 dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Ugualmente indispensabile, anche al fine di una corretta interpretazione dei vari documenti ecclesiastici, è tener conto del senso più preciso e più stretto, o invece più ampio e comprensivo, che assume via via la parola “dialogo”.
Un ultimo punto a cui vorrei accennare è quello della “parabola dell’etica liberale”, di cui si parla verso la fine del libro. Prendendo come riferimento dapprima Kant, poi John Stuart Mill e infine le interpretazioni del liberalismo attualmente prevalenti, Marcello Pera traccia la parabola seguente: con Kant la legge morale è la legge (cristiana) dell’imperativo categorico, con cui la ragione universale comanda, in modo altrettanto universale, la volontà. Questa legge impone il rispetto della persona. Con Stuart Mill la legge morale è la legge (utilitaristica) che comanda come buone l’azione o la regola a cui segue il massimo di utilità per tutti. Tale legge impone il rispetto della libertà. Per le correnti oggi prevalenti non esiste alcuna legge morale universale, né religiosa né laica, e – limitatamente al mondo liberale, in concreto occidentale – vale il rispetto delle libere scelte di valore degli individui. Siamo dunque passati dall’universalità alla relatività e dalla persona al soggetto che è unica norma a se stesso. L’Autore ne trae la conseguenza che anche qui ci troviamo di fronte a quel bivio del liberalismo, tra cristianesimo e laicismo, che egli aveva già indicato all’inizio del suo libro. A questo punto il bivio si può articolare così: o il liberalismo si sposa con una concreta dottrina del bene, in particolare quella cristiana che gli è congenere, e allora esso ha qualcosa da offrire alla crisi morale contemporanea, o invece il liberalismo si professa autosufficiente, “neutrale” o “laico”, e allora diventa un moltiplicatore della crisi stessa. Anche qui Benedetto XVI mostra il suo interesse e il suo accordo, scrivendo: “Ella mostra che il liberalismo, senza cessare di essere liberalismo ma, al contrario, per essere fedele a se stesso, può collegarsi con una dottrina del bene, in particolare quella cristiana che gli è congenere, offrendo così veramente un contributo al superamento della crisi”.
A chi mi chiedesse un giudizio personale su questo libro potrei rispondere semplicemente rimandando alla lettera di Benedetto XVI, dato che ne condivido i contenuti, non solo perché è scritta dal Papa, ma perché questi sono anche i convincimenti che ho maturato con crescente chiarezza. Preferisco però aggiungere brevemente qualcosa di mio, anzitutto riguardo alla lettera del Papa. Delle cinque prese di posizione in cui essa si articola, soltanto quella riguardante il rapporto tra Europa e cristianesimo può considerarsi la riaffermazione di una linea ben nota della chiesa e dei Pontefici, sebbene anche qui suoni nuovo il parlare, da parte di un Pontefice, del fondamento cristiano-liberale dell’Europa. Le altre quattro prese di posizione, sul radicamento del liberalismo nell’immagine cristiana di Dio, sulla multiculturalità, sul dialogo interculturale piuttosto che interreligioso e infine sul rapporto tra il liberalismo e la dottrina cristiana del bene, si collocano certamente ben dentro alla linea di pensiero che Joseph Ratzinger-Benedetto XVI ha espresso e approfondito in tante occasioni, ma costituiscono pur sempre, sia per i loro contenuti sia per il vigore e la nettezza con cui sono formulate, degli sviluppi o chiarimenti assai significativi che contribuiranno non poco al dibattito in corso sui rapporti tra il cristianesimo e il mondo contemporaneo.
Quanto all’Autore di questo libro, oltre ad esprimergli personale gratitudine per la forte e fortemente argomentata affermazione dell’importanza di dirsi cristiani oggi, vorrei pormi in dialogo con gli interrogativi che egli solleva nelle ultime pagine, per dire che l’invito di Benedetto XVI ad “allargare i confini della ragione” è certamente – come egli osserva – un appello, piuttosto che una soluzione già teoreticamente disponibile, e che in ogni caso quella di essere cristiani, o almeno di comportarsi da cristiani, rimane una scelta libera, ma proprio per questo è necessaria e urgente quella sincera e crescente collaborazione tra cattolici e laici che Benedetto XVI ha più volte auspicato e di cui questo libro, insieme alla lettera del Papa, è un ottimo esempio.
di Camillo Ruini

domenica 7 dicembre 2008

Encomio di Ratzinger per il nuovo libro di Pera sul liberalismo e radici cristiane


Dalla bella intervista fatta all' ex presidente del senato Pera sul Settimanale Tempi voglio riportare questo stralcio avvincente .


E' bene andarsela a leggere . Mi colpisce la sua capacita razionale di raggiungere contenuti chiari circa il rapporto della fede a la vita e la ragione


Andatevela a leggere !





Dalla Spagna giunge la notizia che in una scuola di Valladolid saranno rimossi i crocifissi per ordine di un giudice, che ha sentenziato che la presenza di tali simboli «può provocare nei minorenni la sensazione che lo Stato sia più vicino alla confessione correlata ai simboli religiosi presenti nel centro pubblico che ad altre confessioni». Se potesse prendere parola nel tribunale di Valladolid cosa direbbe al giudice? Da imputato nel processo, direi: «Signor giudice, dove è scritto che siamo tutti uguali e abbiamo tutti la stessa dignità e nessuno può coartare la nostra libertà? Nel codice civile o penale? Sì. Nella Costituzione? Sì. E poi dove altro, prima del codice e della Costituzione? Io l’ho letto nella Bibbia e nel Vangelo. Lei lo sa? Sa che i nostri bei codici e le nostre belle costituzioni neppure esisterebbero se non si accettasse l’idea — che è a loro fondamento e che il cristianesimo ha messo all’onore del mondo — che siamo figli di Dio, uomini che Lui ama al punto di aver sacrificato Suo figlio?». E poi, ormai sul punto di ricevere la sentenza di condanna, direi: «Signori della corte, io sono per lo Stato laico, ma avete riflettuto che lo Stato laico non significa né Stato neutrale né Stato imparziale né Stato privo di valori riguardanti la persona, prima ancora che il cittadino? Avete pensato che, se togliete questi valori — che sono tipicamente religiosi, anche se non volete ammetterlo — distruggete anche lo Stato laico? Come laici vi rispetto, come laicisti invece qual siete vi combatto. Siete solo arroganti e non avete memoria». E dopo tale perorazione che si aspetta?Dieci anni senza condizionale, immagino.
In una parte del libro si immagina di scrivere delle Lettere americane in cui tale Johnny, uno yankee in giro per l’Europa, descrive il Vecchio Continente all’amata rimasta nel Nuovo. Un modo ironico per dipingere gli stili di vita, le istituzioni e i pregiudizi degli europei. Se oggi il nostro Johnny potesse scrivere un’altra lettera, come commenterebbe le decisioni degli Stati europei rispetto alla crisi economica? E cosa direbbe al suo amore sul fatto che in Europa sono tutti obamiani?
Scriverebbe che hanno reagito con l’unica ricetta che conoscono e piace loro un sacco: il socialismo di Stato. Ma potrebbe accadere di peggio, purtroppo. Potrebbe accadere che gli obamiani e poi gli americani diventino anch’essi europei, che s’inventino anch’essi l’Iri. Obama su quella strada c’è già, per questo da noi piace tanto. «God bless (and save) America!».

domenica 21 settembre 2008

La spiritualita' è garante della Liberta e la teologia monastica ha dato origine alla cultura occidentale

[...]La visita è iniziata a Parigi, dove ho incontrato idealmente l’intero popolo francese, rendendo così omaggio a un’amata Nazione nella quale la Chiesa, già dal II secolo, ha svolto un fondamentale ruolo civilizzatore. E’ interessante che proprio in tale contesto sia maturata l’esigenza di una sana distinzione tra la sfera politica e quella religiosa, secondo il celebre detto di Gesù: “Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio” (Mc 12,17). Se sulle monete romane era impressa l’effige di Cesare e per questo a lui esse andavano rese, nel cuore dell’uomo c’è però l’impronta del Creatore, unico Signore della nostra vita. Autentica laicità non è pertanto prescindere dalla dimensione spirituale, ma riconoscere che proprio questa, radicalmente, è garante della nostra libertà e dell’autonomia delle realtà terrene, grazie ai dettami della Sapienza creatrice che la coscienza umana sa accogliere ed attuare. [...]

[...]“Le origini della teologia occidentale e le radici della cultura europea”, che ho sviluppato nell’incontro con il mondo della cultura, in un luogo scelto per la sua valenza simbolica. Si tratta del Collège des Bernardins, che il compianto Cardinale Jean-Marie Lustiger volle valorizzare quale centro di dialogo culturale, un edificio del XII secolo, costruito per i cistercensi, dove i giovani hanno fatto i loro studi. Quindi c’è proprio la presenza di questa teologia monastica che ha dato anche origine alla nostra cultura occidentale. Punto di partenza del mio discorso è stata una riflessione sul monachesimo, il cui scopo era di ricercare Dio, quaerere Deum. Nell’epoca di crisi profonda della civiltà antica, i monaci, orientati dalla luce della fede, scelsero la via maestra: la via dell’ascolto della Parola di Dio.[..]

Alla Udienza di Mercoledì 17/9 il papa in maniera sintetica ha messo in chiaro due punti fondamentali per sapere da dove veniamo e dove potremo andare !!


mercoledì 17 settembre 2008

Tra la Ragione e Maria guardando la Croce :il Viaggio conclusosi in Francia




Davvero il viaggio del Papa è stato un viaggio totale a 360 gradi !Ha affrontato ogni questione della vita , un piccolo compendio di tutta la visione del suo attuale pontificato !

La cosa piu' commovente forse è quell'omelia della messa con i malati .

Mai ci saremmo aspettati di essere spinti dal papa , soprattutto per coloro che soffrono e sono su un letto di malattia , ad affrontare questa esperienza ricercando e guardando il sorriso di Maria .


martedì 9 settembre 2008

Il Papa in Sardegna e l'inizio del Blog

Sorpreso dalla Bellezza dei Luoghi incantevoli della Sardegna il Papa
ha elogiato ed apprezzato la storia di questa terra con un antichissima storia di Fede .

Questa visita coincide con la Natività della Beata Vergine Maria sotto il cui manto e protezione pongo tutta l'opera futura di questo Blog .