domenica 21 luglio 2013

G. K. Chesterton - Il blog dell'Uomo Vivo: Tremende Bazzecole - La vita è un pronto soccorso (e i libri di Chesterton servono a tenere sollevata la testa: letteralmente e metaforicamente)

Tremende Bazzecole - La vita è un pronto soccorso (e i libri di Chesterton servono a tenere sollevata la testa: letteralmente e metaforicamente)

Aprendo la mail qualche giorno fa, ne ho vista una il cui oggetto aveva per titolo Chesterton e pronto soccorso;

d'istinto ho pensato che fosse uscito un nuovo saggio su Chesterton e che qualcuno avesse avuto davvero una

gran bella idea nello scegliere il titolo. Invece, proveniva da una lettrice, divenuta amica, che ho conosciuto

grazie a questo blog, che mi raccontava la lieta notizia di essere stata finalmente assunta come medico e 

che il reparto in cui si trovava a lavorare era il Pronto Soccorso. Un reparto d'emergenza per chi ci arriva, 

ma non meno per chi ci lavora. A questa mail ha fatto seguito un'altra dal titolo ancora migliore 

Chesterton sotto la testa … e dentro il cuore?

Oltre a consigliare alla lettrice/amica in questione di non escludere una carriera letteraria, 

condivido il contenuto di questa storia di ordinaria emergenza  che mi ha raccontato … 

e che comincia, come nei migliori copioni di Grey's Anatomy o ER, con una dottoressa stanca

che ha finito il turno di notte.

pronto soccorso


«Cara Annalisa, voglio raccontarti brevemente la giornata di ieri quando ho smontato il turno e finalmente dopo 32 ore sono andata a dormire. L'altra sera avevo il turno di notte e lungo l'autostrada, andando al lavoro,  sentivo riemergere le mie tenebre interiori, cioè le mie paure: "Non sei adatta al pronto soccorso, ma chi te lo fa fare che sei lontana dai tuoi" etc. etc. Poi, grazie a Dio, la notte è stata piena di lavoro senza tregua e ho avuto a che fare con pazienti vivi ed in discrete condizioni e questo è quello che conta sempre per me. La mattina dopo, ho fatto un sonnellino in autogrill e shopping di DVD; sono arrivata a casa e ho pranzato guardando Titanic: mentre sgranocchiavo frutta secca, sento un dolore a un dente e "crunch"…mi ero mangiato un pezzo di dente ed anche ingoiato (genio che sono)….sento subito la dentista e programmo appuntamento per oggi, ma poi mi dico perché aspettare? La richiamo e fisso per il giorno stesso, cioè ieri. Ero stanca, zero sonno, ma ho rimesso i vestiti da "borghese" e mi son messa in strada e di corsa…camminavo correndo e a un certo punto sento un "crunch", ma ben più forte del mio dente … delle grida… e una donna a terra; mi avvicino e cerco d'aiutarla: la faccio distendere e tanti astanti cominciano a dare i loro consigli …tipo il tizio che la vuol farla bere (e lo scaccio) etc etc…

Ad un certo punto perde conoscenza (ed io perdo…"il controllo degli sfinteri" perché non avevo con me nessuno strumento) la chiamo, poi dico di sollevare le gambe e si riprende. Mi rendo conto che una ragazza le stava iperestendendo il collo e dico (pur vedendo la sua espressione contrariata) di no, che non va bene perché il collo va tenuto in asse ed allora estraggo dalla borsa il libro che avevo portato via con me ed è di Chesterton Il candore di padre Brown e glielo metto sotto la testa, giusto per non lasciarla proprio sopra i sampietrini che già le avevano causato la caduta. Ero lì che tenevo il polso della paziente e c'era un mio neurone che pensava: "No, non va bene neppure così, ma forse quel detto di Chesterton sul fatto che l'importante è fare le cose, anche se non perfettamente, forse va bene anche così". Poi è arrivata l'ambulanza e la paziente era stabile, e grazie a Dio sono pure arrivata anche in tempo dalla dentista!
Dopo questo fatto ne ho discusso con un'amica psicologa e le dicevo della mia paura di perdere i pazienti e della paura della morte, lì al Pronto Soccorso, e dicevo che sospettavo che tutta questa ansia fosse per il mio orgoglio e moralismo e sindrome da perfezionismo e lei mi confermava la Bellezza di quella frase di Chesterton. Che ne dici?».

Renato Rascel nei panni di Padre Brown

Renato Rascel nei panni di Padre Brown

La frase a cui la lettrice/amica (che desidera restare anonima) si riferisce è uno degli aforismi più celebri di Chesterton: «se vale la pena fare una cosa, vale la pena farla male». In inglese il corrispettivo di «male» è badly e io da un po' di tempo sospetto che il genio funambolesco del signor Chesterton abbia giocato con tutti i sensi che questa parola ha in inglese: non significa solo «male», ma in certi contesti anche «intensamente», qualcosa di simile a quello che in italiano noi intendiamo dicendo frasi del tipo «mi è piaciuto di brutto». Ed è vero che se vale la pena fare una cosa vale la pena farla male e di brutto; perché la vita non è una scrivania comoda su cui c'è l'agenda ordinata delle attività quotidiane programmate da svolgere. È più un pronto soccorso, nel senso che devi essere «pronto» (c'è bisogno di te) e devi «soccorrere» (non solo correre, ma proprio correre sotto, piegare la schiena e via).

«Un'avventura è solo un incidente considerato nel modo giusto; un incidente è solo un'avventura considerata nel modo sbagliato», ho pensato a queste parole di Chesterton mentre, leggendo la mail, mi immaginavo la mia amica in mezzo alla strada (senza strumenti idonei, il dente che duole, gli occhi che cadono dal sonno e i disturbatori di turno che danno fastidio) a soccorrere una donna svenuta, mettendole il libro di Padre Brown sotto la testa. Non era l'eccellente intreccio costruito dallo sceneggiatore di Grey's Anatomy. È la quotidiana trama di tutti. Ci siamo e facciamo; quasi mai siamo al meglio, quasi sempre più la cosa da fare è importante meno siamo preparati nel momento in cui ci troviamo a farla. Sarebbe bello – in senso metaforico – essere sempre dei medici in ambulatorio: col camice giusto, nel posto attrezzato adeguatamente. Allora sì che ci sentiremmo bravi. Invece il più delle volte siamo e basta. Come la mia amica dottoressa, il più delle volte  siamo in borghese a fare quel che vale la pena fare. E tanto meglio così. Dare agli eventi il nome di avventure anziché di incidenti non significa metterci quel tocco di esotico per "abbellirle", significa – di tanto in tanto, quando ce ne ricordiamo – guardarci presenti nel fare le cose.


@AlisaTeggi


PS: credo che nessuno più del signor Chesterton sarebbe stato entusiasta nell'ascoltare questo episodio; e avrebbe anche fatto una qualche strepitosa battuta sul fatto che i suoi libri servono davvero a qualcosa. Quel libro sotto la testa forse non era uno strumento perfetto parlando in termini strettamente medici, ma in molti altri sensi è decisamente una delle migliori cose che conosca per sostenere la testa.



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IL SEGRETO DI APARECIDA – lo Straniero

IL SEGRETO DI APARECIDA

Sulla copertina di "Time", uscita mentre il Santo Padre è in viaggio per il Brasile, c'è una sua foto con questo titolo: "The People's Pope". Cioè il Papa della gente o meglio "il Papa del popolo".

Si può dire in effetti che Francesco incarna, nel suo esempio, nel suo insegnamento, nella sua storia e nella sua figura di pastore quella "vera teologia della liberazione" che per anni Joseph Ratzinger e Giovanni Paolo II hanno annunciato.

Mentre mostravano gli errori della "teologia della liberazione" che si era diffusa negli anni Settanta in Sudamerica, quella di teologi come Gustavo Gutierrez, Camillo Torres, i fratelli Leonardo e Clodoveo Boff, poi Jon Sobrino e altri, che s'illudevano di realizzare il Vangelo abbracciando le analisi marxiste, la lotta di classe e la rivoluzione. Un errore drammatico.

 

LA SVOLTA DI BOFF

 

Di recente proprio uno di loro, Clodoveo Boff, è intervenuto per dare ragione alla Chiesa di Ratzinger, di Giovanni Paolo II e quindi – lo vedremo – di Bergoglio.

L'11 marzo ha rilasciato un'intervista, al giornale brasiliano "Folha de S. Paulo", annunciata con questo titolo: "Irmão de Leonardo Boff defende Bento 16 e critica Teologia da Libertação".

Clodoveo Boff, facendo riferimento a quanto scrisse l'allora cardinale Ratzinger, dice: "egli ha difeso il progetto essenziale della teologia della liberazione: l'impegno per i poveri a causa della fede. Allo stesso tempo, ha criticato l'influenza marxista. La Chiesa non può avviare negoziati per quanto riguarda l'essenza della fede: non è come la società civile dove la gente può dire quello che vuole. Siamo legati ad una fede e se qualcuno professa una fede diversa si autoesclude dalla Chiesa. Fin dall'inizio ha avuto chiara l'importanza di mettere Cristo come il fondamento di tutta la teologia".

Invece "nel discorso egemonico della teologia della liberazione", riconosce Clodoveo Boff, "ho avvertito che la fede in Cristo appariva solo in background. Il 'cristianesimo anonimo' di Karl Rahner era una grande scusa per trascurare Cristo, la preghiera, i sacramenti e la missione, concentrandosi sulla trasformazione delle strutture sociali".

Il teologo ha concluso con un ricordo personale molto significativo: "Negli anni '70 il card. Eugenio Sales mi ha ritirato la certificazione per l'insegnamento della teologia presso l'Università Cattolica di Rio. Sales mi ha affabilmente spiegato: 'Clodoveo, penso che ti sbagli. Fare del bene non basta per essere cristiani, l'essenziale è confessare la fede'. Aveva ragione, infatti la Chiesa è diventata irrilevante. E non solo essa, ma Cristo stesso".

Se dunque "quella" teologia della liberazione è naufragata, insieme ai sistemi marxisti, è cresciuta  la "vera" teologia della liberazione. Proprio Ratzinger ne è stato un forte promotore e Bergoglio ne è il frutto maturo.

E qui si scopre di nuovo il filo rosso che lega i due uomini di Dio. E' noto infatti che Bergoglio fu in America Latina uno dei più accorati sostenitori di questa via indicata dalla Chiesa, cioè l'abbraccio dei poveri, sia nella vita materiale che in quella spirituale, la denuncia delle ingiustizie profonde che opprimevano tanti popoli, ma con l'annuncio del Vangelo e non dell'ideologia marxista.

Quel legame porta fino al Conclave del marzo scorso. E' proprio il viaggio di papa Francesco in Brasile, per la Giornata mondiale della gioventù, che permette di scoprirlo. Lo ha fatto notare Lucio Brunelli con un articolo sul sito "Terre d'America" di Alver Metalli.

 

TUTTO COMINCIA CON MARIA

 

Brunelli, sottolineando "l'insolito destino" che "continua a legare il papa regnante e il papa emerito" – oltre all'affetto e alla stima personale – indica un luogo significativo: il santuario mariano di Aparecida, che è il cuore cristiano del Brasile.

E' lì, ai piedi della Madonna, che papa Francesco andrà a pregare il 24 luglio prima di recarsi all'appuntamento con due milioni di giovani. E proprio in quel santuario si era recato Benedetto XVI il 13 maggio 2007, attorniato da una folla immensa. Perché ad Aparecida era in corso la quinta conferenza generale dell'episcopato dell'America Latina e dei Caraibi.

"Fu quell'assemblea" spiega Brunelli "a consacrare la figura dell'arcivescovo di Buenos Aires, Bergoglio, come leader continentale della Chiesa latinoamericana. La sua reputazione di uomo di Dio era già nota. La sua condotta di vita, lo spazio che riservava alla preghiera, il rifiuto del lusso e l'attenzione evangelica ai poveri, erano tratti ben conosciuti da molti suoi confratelli. Non a caso molti di loro lo avevano già votato nel conclave del 2005. Ma ad Aparecida i vescovi latinoamericani (e non solo loro) scoprirono anche le capacità di 'governo' di Bergoglio".

Egli infatti era stato eletto alla presidenza della commissione che doveva scrivere il documento finale, un compito delicato perché doveva indicare la strada per una Chiesa complessa, nel continente più cattolico del mondo e proprio mentre erano in corso tumultuosi cambiamenti (il baratro del default argentino, l'impetuosa crescita economica brasiliana).

Bergoglio riuscì a far esprimere in armonia tutte le diverse sensibilità e – dice Brunelli – "valorizzò insieme la devozione popolare e le istanze più autentiche della teologia della liberazione, depurata dalla crosta ideologica degli anni 70".

Nell'omelia che pronunciò lì ad Aparecida il 16 maggio 2007, dopo la partenza di papa Benedetto, si vede davvero in anticipo  – sottolinea Brunelli – tutto papa Francesco:  "Lo Spirito proietta la Chiesa verso le periferie, non solo le periferie geografiche del mondo conosciuto della cultura, ma le periferie esistenziali. Lo Spirito ci giuda, ci conduce sulla strada verso ogni periferia umana: quella della non conoscenza di Dio … dell'ingiustizia, del dolore, della solitudine, della mancanza di senso… ".

In una successiva intervista a "30 Giorni" ringraziò esaltò papa Benedetto per aver voluto valorizzare il contributo di tutti. Poi concluse: "Il documento di Aparecida non si esaurisce in se stesso, non chiude, non è l'ultimo passo, perché l'apertura finale è sulla missione. L'annuncio e la testimonianza dei discepoli. Per rimanere fedeli bisogna uscire. Rimanendo fedeli si esce. Questo dice in fondo Aparecida ".

Brunelli osserva: "Non è azzardato affermare che proprio ad Aparecida si nasconda parte del segreto dell'elezione di Bergoglio al soglio pontificio. Furono alcuni cardinali brasiliani, a partire dal suo amico Claudio Hummes, arcivescovo emerito di San Paolo, i primi a promuovere la sua candidatura durante l'ultimo conclave. Molti forse ricordano la foto di Francesco, dopo l'elezione, su un mini bus insieme ad altri allegri porporati. Seduto accanto a lui c'era il cardinale di Aparecida, Raymundo Damasceno Assis. 'Nel momento in cui scattarono quella foto – ci ha confidato – ricordavamo con il nuovo papa il clima fraterno vissuto durante l'assemblea dei vescovi del continente, e lo stavo giusto invitando a tornare ad Aparecida, in occasione della Giornata mondiale della gioventù' ".

Il nuovo papa disse subito sì: voleva tornare lì da Maria, colei da cui tutto comincia.

 

PAROLA DI NEMICO

 

Proprio il nemico giurato di Bergoglio, l'intellettuale argentino Horacio Verbitsky, quello che ha definito il nuovo papa "una disgrazia, per l'Argentina e per il Sudamerica", fa capire che Francesco, atteso in Brasile da un mare di persone, sarà un vero segno di rinascita cristiana.

Infatti ha irosamente dichiarato al "Fatto quotidiano" che "il suo populismo di destra è l'unico che può competere con il populismo di sinistra. Immagino che il suo ruolo nei confronti del nostro continente sarà simile a quello di Wojtyla verso il blocco sovietico del suo tempo, sebbene ci siano differenze fra le due epoche e i due uomini. Bergoglio combina il tocco populista di Giovanni Paolo II con la sottigliezza intellettuale di Ratzinger. Ed è più politico di entrambi".

Significa che è e sarà un grande Papa. Né di destra né di sinistra: di Cristo.

 

Antonio Socci

 

Da "Libero", 21 luglio 2013

Vedi Facebook: "Antonio Socci pagina ufficiale"

 

 

 

 

 



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