martedì 21 maggio 2013

Papa Francesco. Messori: non è di sinistra | Tempi.it

Papa Francesco "de sinistra"? Messori: «Deformazione propagandistica»

L'udienza generale del Mercoledì di Papa FrancescoPapa Bergoglio "progressista"? Solo una certa lettura distorta ha potuto presentare il papa come un campione del progressismo militante, addirittura antigerarchico. Quasi un antipapa più che un papa. Oggi sul Corriere della Sera, Vittorio Messori fa il punto dopo più di due mesi dall'elezione al pontificato di Jorge Bergoglio. E scrive: «Appare sempre più giustificato un sorriso ironico. Quello col quale chi conosce la storia del cattolicesimo ha osservato il clima da "luna di miele" da parte di ambienti abitualmente ostili o almeno diffidenti nei riguardi della Chiesa romana. Anticlericali ben noti si sono detti commossi per il semplice "buonasera" nella prima apparizione a Conclave terminato, per il "buon pranzo" all'Angelus domenicale, per le scarpe da parroco di montagna, per la croce argentata invece di quella in oro, per il ricordo particolare inviato ai poveri, per la decisione di restare nella camera d'albergo».

«PAPISTI E REAZIONARI». Non una sincera ammirazione per papa Francesco, quanto una lettura distorta, con inni alla "svolta" della Chiesa dopo gli anni bui di papa Ratzinger. «Si inneggiava a un papa finalmente "de sinistra", per dirla alla romanesca», scrive Messori.
In realtà, basterebbe conoscere un po' della storia della Chiesa per sapere che non è così. Messori cita esempi di sacerdoti impegnati nel sociale (e ovviamente bollati ai loro tempi dai progressisti come «papisti e reazionari») come Cottolengo, Bosco, Murialdo, Faà di Bruno, Cafasso, Allamano, Orione, e solo «per restringerci al Piemonte». Perché, in realtà, tutta la storia d'Italia e della Chiesa è segnata da figure come queste, «protagonisti dell'aiuto sociale dato senza risparmio, anche a costo della vita. Diversi per origine, per storia, per carisma ma uniti, tutti, dall'obbedienza rigorosa alla fede e alla morale così come predicate dalla Chiesa».
Figure di santi che stanno in mezzo e aiutano quei poveri tanto disprezzati dai «governi liberali, spesso ispirati dalla massoneria». «Ebbene – scrive Messori -, papa Francesco è tra gli eredi di questa lunga e ammirevole tradizione di cattolicesimo detto sociale. Per una serie di equivoci e di deformazioni propagandistiche, si è imposto e vige ancora uno schematismo, secondo il quale l'impegno per gli ultimi si accompagnerebbe necessariamente a una prospettiva sedicente "progressista". E, nel caso cattolico, "contestatrice", eterodossa, polemica verso dogmi e gerarchie».
Tutto il contrario della verità e della storia. E questo vale ancor più per l'attuale pontefice, come ricorda giustamente messoti che ricorda che Bergoglio è polemico con «i suoi stessi confratelli gesuiti attirati dalle ideologie della Teologia della liberazione, ispirata al marx-leninismo. La sua azione tra gli emarginati argentini era guidata, come per tanti santi, dalla carità evangelica, non aveva bisogno di contestare Chiesa e Papi, di proporre nuove teologie e nuove morali per mettere in pratica l'esortazione di Gesù a farsi povero tra i poveri».

LA MADONNA E SAN FRANCESCO. Un papa, che come questi esempi di beati e santi, è "mariano", non dimenticando mai in ogni sua omelia di richiamare l'esempio della Madonna, in una maniera molto diversa dalle «prospettive cristiane "adulte" e "aperte"» che rifiutano la devozione tradizionale alla Vergine, con santuari, pellegrinaggi, rosari. «Anche in questo, – scrive Messori – papa Francesco mostra la sua continuità con i fratelli nella fede che hanno scalato le vette della santità sporcandosi fino in fondo le mani nei bassifondi della società: tutti, senza eccezione, sono stati ardenti fautori di quella che sempre e solo hanno chiamato "la Madonna"».
Da ultimo, Messori riflette anche sul nome scelto da papa Bergoglio. La caratteristica del santo di Assisi era «l'obbedienza docile alla Gerarchia, la venerazione per il papato, l'orrore per l'eresia. L'uomo di Assisi fu un cattolico obbediente, non un rivoltoso o anche solo un critico della Chiesa istituzionale».


Categorie: Chiesa
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venerdì 17 maggio 2013

813 CRISTIANI DECAPITATI, UNO DOPO L’ALTRO, PERCHE’ NON VOLLERO RINNEGARE GESU’ – lo Straniero

813 CRISTIANI DECAPITATI, UNO DOPO L'ALTRO, PERCHE' NON VOLLERO RINNEGARE GESU'

Ma noi siamo ancora un popolo? Abbiamo ancora un'identità nazionale, un vero senso di appartenenza? E' ancora permesso parlare di "identità"? O il solo patriottismo sentito, consentito e vissuto è quello per la "nazionale" per antonomasia, ossia per gli azzurri?

L'unico che sui media continua a porre questi interrogativi – solo apparentemente accademici – è Ernesto Galli Della Loggia. Lo fa da anni, ma ben pochi sembrano capire quanto profondamente queste domande abbiano a che fare con la situazione attuale del nostro Paese (anche quella economica) e con il suo sognato o sperato "rinascimento".

Infatti aver dilapidato un patrimonio morale, culturale, civile e religioso è ancor più grave dell'aver dilapidato un patrimonio economico, anzi a ben vedere ne rappresenta l'antefatto, la premessa.

Ho ripensato allo smarrimento della nostra memoria in questi giorni perché mi ha scritto una signora polacca, che si è sposata in Italia e vive qui da vent'anni.

La sua lettera prendeva spunto dalla solenne canonizzazione – domenica scorsa, in Piazza San Pietro, da Roma – degli 813 abitanti di Otranto, che nel 1480 – per non rinnegare il loro battesimo e per non passare all'Islam, come pretendeva l'invasore musulmano – furono decapitati "in odio alla fede" cristiana uno dopo l'altro (mentre donne e bambini della città pugliese venivano deportati come schiavi).

L'invasione era stata voluta da Maometto II (1430-1481), il sultano che già nel 1453, alla guida di 260 mila turchi, aveva  conquistato Bisanzio, mettendo a ferro e fuoco la "seconda Roma", quindi spazzando via quella che era stata per più di mille anni la capitale del cristianesimo orientale.

Il passo successivo programmato dal sultano era la conquista della nostra Roma: la basilica di San Pietro era destinata a diventare una moschea come Santa Sofia.

L'invasione dell'Italia cominciava dunque dallo sbarco sulle coste salentine. Ma la resistenza della città di Otranto permise al re di Napoli, Ferdinando, di organizzare le forze e di riconquistare Otranto.

Così il martirio di quella città salvò l'Italia meridionale e la stessa Roma. A quel sacrificio il nostro Paese deve moltissimo.

Alfredo Mantovano, che è salentino e particolarmente affezionato alla memoria dei martiri di Otranto, di cui ha scritto la storia, ha fatto un'osservazione importante:

"Ciò che rende questo straordinario episodio pieno di significato, anche per l'europeo di oggi, è che nella storia della cristianità non sono mai mancate testimonianze di fede e di valori civili, né sono mai mancati gruppi di uomini che hanno affrontato con coraggio prove estreme. Mai però è accaduto un episodio di proporzioni così vaste: un'intera città dapprima combatte come può, e tiene testa per più giorni all'assedio; poi risponde con fermezza alla proposta di abiura. Sul Colle della Minerva, al di fuori del vecchio Primaldo, non emerge alcuna individualità, se è vero che degli altri martiri non si conosce il nome, a riprova del fatto che non sono pochi eroi, bensì è una popolazione intera che affronta la prova".

La signora polacca mi scrive, nella sua lettera, che non conosceva quell'antica vicenda (prima della canonizzazione di domenica) che l'ha molto colpita. Probabilmente – osserva – la stragrande maggioranza degli italiani non ne sa nulla e non ne ha mai sentito parlare a scuola.

Poi aggiunge:

"Penso che, se un fatto simile fosse accaduto nel mio paese, anche i ragazzi ne conoscerebbero la  data a memoria, tanto ne sentirebbe parlare durante le lezioni di storia. Un fatto così straordinario e glorioso dovrebbe essere motivo di orgoglio anche patriottico. E' singolare che gli italiani abbiano dovuto aspettare tre papi stranieri: Giovanni Paolo II per la beatificazione, Benedetto XVI per confermare il fatto di martirio e Francesco per la canonizzazione, per venirne a conoscenza…".

Certamente il popolo polacco ha un rapporto con la propria storia e la propria identità molto più vivo del nostro. Ed è questo che gli ha permesso di trovare le forze morali per superare tragedie enormi come la simultanea invasione da parte della Germania nazista e dell'Urss, nel 1939, e il tentato annientamento nazista della nazione polacca, a cui poi han fatto seguito 45 anni di dittatura "sovietica".

Papa Wojtyla ci ha mostrato quanto bella e grande possa essere la memoria viva delle proprie radici nazionali, quante energie spirituali e umane sprigioni. E ci ha fatto capire che avere una forte identità non significa affatto intolleranza verso le identità altrui (il nazionalismo infatti è la caricatura pervertita del vero patriottismo).

Anzi, significa amore e comprensione per le identità degli altri: in mille occasioni Giovanni Paolo II ha mostrato a noi italiani la bellezza e la grandezza della nostra storia. Esortandoci a non dimenticarla e a non tradirla.

Ma il martirio degli abitanti di Otranto testimonia anzitutto la forza della fede cristiana: c'è qualcosa che vale più della vita ed è per questo che vale la pena vivere, è questo che dà senso all'esistenza, al lavorare, all'amare, al soffrire, al gioire.

Infatti quello di Otranto non fu il sacrifico di una pattuglia di soldati ardimentosi o di un pugno di eroi. Ma di un'intera popolazione, della gente più semplice di cui neanche si tramandano i nomi, se si eccettua quello del loro eroico vescovo Stefano Pendinelli e del sarto Antonio Primaldo, colui che parlò a nome di tutti: "Credere tutti in Gesù Cristo, figlio di Dio, ed essere pronti a morire mille volte per lui".

Secondo le cronache antiche egli si rivolse ai suoi concittadini con queste parole:

"Fratellimiei, sino oggi abbiamo combattuto per defensione della patria e per salvar lavita e per li signori nostri temporali,ora è tempo che combattiamo per salvarl'anime nostre per il nostro Signore,quale essendo morto per noi in croceconviene che noi moriamo per esso,stando saldi e costanti nella fede e conquesta morte temporale guadagneremola vita eterna e la gloria del martirio".

Dallo scritto di Mantovano colgo un'altra perla significativa. Giovanni Paolo II, nel 1980, parlando dei martiri di Otranto disse: "i Beati Martiri ci hanno lasciato – e in particolare hanno lasciato a voi – due consegne fondamentali: l'amore alla patria terrena; l'autenticità della fede cristiana. Il cristiano ama la sua patria terrena. L'amore della patria è una virtù cristiana".

C'è di che riflettere.

 

Antonio Socci

 

Da "Libero", 16 maggio 2013

Vedi Facebook: "Antonio Socci pagina ufficiale"

 



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