mercoledì 23 dicembre 2009

Alla Curia: Come riconciliarsi e dialogare

Signori Cardinali,Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato,Cari Fratelli e Sorelle,
la Solennità del Santo Natale, come è stato appena sottolineato dal Cardinale Decano Angelo Sodano, è, per i cristiani, un’occasione del tutto particolare di incontro e di comunione. Quel Bambino che adoriamo a Betlemme ci invita a sentire l’amore immenso di Dio, quel Dio che è disceso dal cielo e si è fatto vicino a ciascuno di noi per renderci suoi figli, parte della sua stessa Famiglia. Anche questo tradizionale appuntamento natalizio del Successore di Pietro con i suoi più stretti collaboratori, è un incontro di famiglia, che rinsalda i vincoli di affetto e di comunione, per formare sempre più quel “Cenacolo permanente” consacrato alla diffusione del Regno di Dio, appena ricordato. Ringrazio il Cardinale Decano per le cordiali parole con cui si è fatto interprete dei sentimenti augurali del Collegio cardinalizio, dei Membri della Curia Romana e del Governatorato, come pure di tutti i Rappresentanti Pontifici che sono profondamente uniti a noi nel portare agli uomini del nostro tempo quella luce che è nata nella mangiatoia di Betlemme. Nell’accogliervi con grande gioia, desidero anche esprimere la mia gratitudine a tutti per il generoso e competente servizio che prestate al Vicario di Cristo e alla Chiesa.
Un altro anno ricco di avvenimenti importanti per la Chiesa e per il mondo volge al termine. Con uno sguardo retrospettivo pieno di gratitudine vorrei in quest’ora richiamare l’attenzione solo su alcuni punti-chiave per la vita ecclesiale. Dall’Anno Paolino si è passati all’Anno Sacerdotale. Dalla figura imponente dell’Apostolo delle Genti che, colpito dalla luce del Cristo risorto e dalla sua chiamata, ha portato il Vangelo ai popoli del mondo, siamo passati alla figura umile del Curato d’Ars, che per tutta la sua vita è rimasto nel piccolo paese che gli era stato affidato e che, tuttavia, proprio nell’umiltà del suo servizio ha reso ampiamente visibile nel mondo la bontà riconciliatrice di Dio. A partire da ambedue le figure si manifesta l’ampia portata del ministero sacerdotale e diventa evidente come è grande proprio ciò che è piccolo e come, attraverso il servizio apparentemente piccolo di un uomo, Dio possa operare cose grandi, purificare e rinnovare il mondo dal di dentro.
Per la Chiesa e per me personalmente, l’anno che si sta chiudendo è stato in gran parte nel segno dell’Africa. C’era innanzitutto il viaggio in Camerun ed Angola. Era commovente per me sperimentare la grande cordialità con cui il Successore di Pietro, il Vicarius Christi, veniva accolto. La gioia festosa e l’affetto cordiale, che mi venivano incontro su tutte le strade, non riguardavano, appunto, semplicemente un qualsiasi ospite casuale. Nell’incontro col Papa si rendeva sperimentabile la Chiesa universale, la comunità che abbraccia il mondo e che viene radunata da Dio mediante Cristo – la comunità che non è fondata su interessi umani, ma che ci è offerta dall’attenzione amorevole di Dio per noi. Tutti insieme siamo famiglia di Dio, fratelli e sorelle in virtù di un unico Padre: questa è stata l’esperienza vissuta. E si sperimentava che l’attenzione amorevole di Dio in Cristo per noi non è una cosa del passato e neppure cosa di teorie erudite, ma una realtà del tutto concreta qui ed ora. Proprio Lui è in mezzo a noi: questo abbiamo percepito attraverso il ministero del Successore di Pietro. Così eravamo elevati al di sopra della semplice quotidianità. Il cielo era aperto, e questo è ciò che fa di un giorno una festa. Ed è al contempo qualcosa di duraturo. Continua ad essere vero, anche nella vita quotidiana, che il cielo non è più chiuso; che Dio è vicino; che in Cristo tutti ci apparteniamo a vicenda.
In modo particolarmente profondo si è impresso nella mia memoria il ricordo delle Celebrazioni liturgiche. Le Celebrazioni della Santa Eucaristia erano vere feste della fede. Vorrei menzionare due elementi che mi sembrano particolarmente importanti. C’era innanzitutto una grande gioia condivisa, che si esprimeva anche mediante il corpo, ma in maniera disciplinata ed orientata dalla presenza del Dio vivente. Con ciò è già indicato il secondo elemento: il senso della sacralità, del mistero presente del Dio vivente plasmava, per così dire, ogni singolo gesto. Il Signore è presente – il Creatore, Colui al quale tutto appartiene, dal quale noi proveniamo e verso il quale siamo in cammino. In modo spontaneo mi venivano in mente le parole di san Cipriano, che nel suo commento al Padre Nostro scrive: “Ricordiamoci di essere sotto lo sguardo di Dio rivolto su di noi. Dobbiamo piacere agli occhi di Dio, sia con l’atteggiamento del nostro corpo che con l’uso della nostra voce” (De dom. or. 4 CSEL III 1 p 269). Sì, questa consapevolezza c’era: noi stiamo al cospetto di Dio. Da questo non deriva paura o inibizione, neppure un’obbedienza esteriore alle rubriche e ancor meno un mettersi in mostra gli uni davanti agli altri o un gridare in modo indisciplinato. C’era piuttosto ciò che i Padri chiamavano “sobria ebrietas”: l’essere ricolmi di una gioia che comunque rimane sobria ed ordinata, che unisce le persone a partire dall’interno, conducendole nella lode comunitaria di Dio, una lode che al tempo stesso suscita l’amore del prossimo, la responsabilità vicendevole.
Naturalmente faceva parte del viaggio in Africa soprattutto l’incontro con i Fratelli nel ministero episcopale e l’inaugurazione del Sinodo dell’Africa mediante la consegna dell’Instrumentum laboris. Ciò avvenne nel contesto di un colloquio serale nella festa di san Giuseppe, un colloquio in cui i rappresentanti dei singoli episcopati esposero in maniera toccante le loro speranze e preoccupazioni. Io penso che il buon padrone di casa, san Giuseppe, che personalmente conosce bene che cosa significhi il ponderare, in atteggiamento di sollecitudine e di speranza, le vie future della famiglia, ci abbia ascoltato con amore e ci abbia accompagnato fin dentro il Sinodo stesso. Gettiamo solo un breve sguardo sul Sinodo. In occasione della mia visita in Africa si è resa evidente innanzitutto la forza teologica e pastorale del Primato Pontificio come punto di convergenza per l’unità della Famiglia di Dio. Lì, nel Sinodo, è emersa ancora più fortemente l’importanza della collegialità – dell’unità dei Vescovi, che ricevono il loro ministero proprio per il fatto che entrano nella comunità dei Successori degli Apostoli: ognuno è Vescovo, Successore degli Apostoli, solo in quanto partecipe della comunità di coloro nei quali continua il Collegium Apostolorum nell’unità con Pietro e col suo Successore. Come nelle liturgie in Africa e poi, di nuovo, in San Pietro a Roma, il rinnovamento liturgico del Vaticano II ha preso forma in modo esemplare, così nella comunione del Sinodo si è vissuto in modo molto pratico l’ecclesiologia del Concilio. Commoventi erano anche le testimonianze che potevamo sentire dai fedeli provenienti dall’Africa – testimonianze di sofferenza e di riconciliazione concrete nelle tragedie della storia recente del Continente.
Il Sinodo si era proposto il tema: La Chiesa in Africa a servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace. È questo un tema teologico e soprattutto pastorale di un’attualità scottante, ma poteva essere anche frainteso come un tema politico. Compito dei Vescovi era di trasformare la teologia in pastorale, cioè in un ministero pastorale molto concreto, in cui le grandi visioni della Sacra Scrittura e della Tradizione vengono applicate all’operare dei Vescovi e dei sacerdoti in un tempo e in un luogo determinati. Ma in questo non si doveva cedere alla tentazione di prendere personalmente in mano la politica e da pastori trasformarsi in guide politiche. In effetti, la questione molto concreta davanti alla quale i pastori si trovano continuamente è, appunto, questa: come possiamo essere realisti e pratici, senza arrogarci una competenza politica che non ci spetta? Potremmo anche dire: si trattava del problema di una laicità positiva, praticata ed interpretata in modo giusto. È questo anche un tema fondamentale dell’Enciclica, pubblicata nel giorno dei Santi Pietro e Paolo, “Caritas in veritate”, che ha in tal modo ripreso ed ulteriormente sviluppato la questione circa la collocazione teologica e concreta della dottrina sociale della Chiesa.
Sono riusciti i Padri Sinodali a trovare la strada piuttosto stretta tra una semplice teoria teologica ed un’immediata azione politica, la strada del “pastore”? Nel mio breve discorso a conclusione del Sinodo ho risposto affermativamente, in modo consapevole ed esplicito, a questa domanda. Naturalmente, nell’elaborazione del documento postsinodale, dovremo fare attenzione a mantenere tale equilibrio ed offrire così quel contributo per la Chiesa e la società in Africa che è stato affidato alla Chiesa in virtù della sua missione. Vorrei cercare di spiegare questo brevemente a proposito di un singolo punto. Come già detto, il tema del Sinodo designa tre grandi parole fondamentali della responsabilità teologica e sociale: riconciliazione – giustizia – pace. Si potrebbe dire che riconciliazione e giustizia siano i due presupposti essenziali della pace e che quindi definiscano in una certa misura anche la sua natura. Limitiamoci alla parola “riconciliazione”. Uno sguardo sulle sofferenze e pene della storia recente dell’Africa, ma anche in molte altre parti della terra, mostra che contrasti non risolti e profondamente radicati possono portare, in certe situazioni, ad esplosioni di violenza in cui ogni senso di umanità sembra smarrito. La pace può realizzarsi soltanto se si giunge ad una riconciliazione interiore. Possiamo considerare come esempio positivo di un processo di riconciliazione in via di riuscita la storia dell’Europa dopo la seconda guerra mondiale. Il fatto che dal 1945 nell’Europa occidentale e centrale non ci siano più state guerre si fonda sicuramente in misura determinante su strutture politiche ed economiche intelligenti ed eticamente orientate, ma queste potevano svilupparsi solo perché esistevano processi interiori di riconciliazione, che hanno reso possibile una nuova convivenza. Ogni società ha bisogno di riconciliazioni, perché possa esserci la pace. Riconciliazioni sono necessarie per una buona politica, ma non possono essere realizzate unicamente da essa. Sono processi pre-politici e devono scaturire da altre fonti.
Il Sinodo ha cercato di esaminare profondamente il concetto di riconciliazione come compito per la Chiesa di oggi, richiamando l’attenzione sulle sue diverse dimensioni. La chiamata che san Paolo ha rivolto ai Corinzi possiede proprio oggi una nuova attualità. “In nome di Cristo siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio!” (2 Cor 5, 20). Se l’uomo non è riconciliato con Dio, è in discordia anche con la creazione. Non è riconciliato con se stesso, vorrebbe essere un altro da quel che è ed è pertanto non riconciliato neppure con il prossimo. Fa inoltre parte della riconciliazione la capacità di riconoscere la colpa e di chiedere perdono – a Dio e all’altro. E infine appartiene al processo della riconciliazione la disponibilità alla penitenza, la disponibilità a soffrire fino in fondo per una colpa e a lasciarsi trasformare. E ne fa parte la gratuità, di cui l’Enciclica “Caritas in veritate” parla ripetutamente: la disponibilità ad andare oltre il necessario, a non fare conti, ma ad andare al di là di ciò che richiedono le semplici condizioni giuridiche. Ne fa parte quella generosità di cui Dio stesso ci ha dato l’esempio. Pensiamo alla parola di Gesù: “Se tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono” (Mt 5, 23s.). Dio che sapeva che non siamo riconciliati, che vedeva che abbiamo qualcosa contro di Lui, si è alzato e ci è venuto incontro, benché Egli solo fosse dalla parte della ragione. Ci è venuto incontro fino alla Croce, per riconciliarci. Questa è gratuità: la disponibilità a fare il primo passo. Per primi andare incontro all’altro, offrirgli la riconciliazione, assumersi la sofferenza che comporta la rinuncia al proprio aver ragione. Non cedere nella volontà di riconciliazione: di questo Dio ci ha dato l’esempio, ed è questo il modo per diventare simili a Lui, un atteggiamento di cui sempre di nuovo abbiamo bisogno nel mondo. Dobbiamo oggi apprendere nuovamente la capacità di riconoscere la colpa, dobbiamo scuoterci di dosso l’illusione di essere innocenti. Dobbiamo apprendere la capacità di far penitenza, di lasciarci trasformare; di andare incontro all’altro e di farci donare da Dio il coraggio e la forza per un tale rinnovamento. In questo nostro mondo di oggi dobbiamo riscoprire il Sacramento della penitenza e della riconciliazione. Il fatto che esso in gran parte sia scomparso dalle abitudini esistenziali dei cristiani è un sintomo di una perdita di veracità nei confronti di noi stessi e di Dio; una perdita, che mette in pericolo la nostra umanità e diminuisce la nostra capacità di pace. San Bonaventura era dell’opinione che il Sacramento della penitenza fosse un Sacramento dell’umanità in quanto tale, un Sacramento che Dio aveva istituito nella sua essenza già immediatamente dopo il peccato originale con la penitenza imposta ad Adamo, anche se ha potuto ottenere la sua forma completa solo in Cristo, che è personalmente la forza riconciliatrice di Dio e ha preso su di sé la nostra penitenza. In effetti, l’unità di colpa, penitenza e perdono è una delle condizioni fondamentali della vera umanità, condizioni che nel Sacramento ottengono la loro forma completa, ma che, a partire dalle loro radici, fanno parte dell’essere persone umane come tale. Il Sinodo dei Vescovi per l’Africa ha pertanto a ragione incluso nelle sue riflessioni anche rituali di riconciliazione della tradizione africana come luoghi di apprendimento e di preparazione per la grande riconciliazione che Dio dona nel Sacramento della penitenza. Questa riconciliazione, però, richiede l’ampio “atrio” del riconoscimento della colpa e dell’umiltà della penitenza. Riconciliazione è un concetto pre-politico e una realtà pre-politica, che proprio per questo è della massima importanza per il compito della stessa politica. Se non si crea nei cuori la forza della riconciliazione, manca all’impegno politico per la pace il presupposto interiore. Nel Sinodo i Pastori della Chiesa si sono impegnati per quella purificazione interiore dell’uomo che costituisce l’essenziale condizione preliminare per l’edificazione della giustizia e della pace. Ma tale purificazione e maturazione interiore verso una vera umanità non possono esistere senza Dio.
Riconciliazione – con questa parola-chiave mi torna alla mente il secondo grande viaggio dell’anno che si chiude: il pellegrinaggio in Giordania ed in Terra Santa. Al riguardo vorrei innanzitutto ringraziare cordialmente il Re di Giordania per la grande ospitalità con cui mi ha accolto ed accompagnato lungo tutto lo svolgimento del mio pellegrinaggio. La mia gratitudine riguarda in modo particolare anche la maniera esemplare con cui egli si impegna per la convivenza pacifica tra cristiani e musulmani, per il rispetto nei confronti della religione dell’altro e per la collaborazione nella comune responsabilità davanti a Dio. Ringrazio di cuore anche il governo d’Israele per tutto ciò che ha fatto affinché la visita potesse svolgersi pacificamente ed in sicurezza. Sono particolarmente grato per la possibilità concessami di celebrare due grandi liturgie pubbliche – a Gerusalemme e a Nazaret – in cui i cristiani hanno potuto presentarsi pubblicamente come comunità di fede in Terra Santa. Infine, il mio ringraziamento si rivolge all’Autorità palestinese che mi ha accolto, anch’essa, con grande cordialità; essa pure mi ha reso possibile una Celebrazione liturgica pubblica a Betlemme, e mi ha fatto conoscere le sofferenze come anche le speranze del suo Territorio. Tutto ciò che si può vedere in quei Paesi, invoca riconciliazione, giustizia, pace. La visita a Yad Vashem ha significato un incontro sconvolgente con la crudeltà della colpa umana, con l’odio di un’ideologia accecata che, senza alcuna giustificazione, ha consegnato milioni di persone umane alla morte e che con ciò, in ultima analisi, ha voluto cacciare dal mondo anche Dio, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe e il Dio di Gesù Cristo. Così questo è in primo luogo un monumento commemorativo contro l’odio, un richiamo accorato alla purificazione e al perdono, all’amore. Proprio questo monumento alla colpa umana ha reso poi tanto più importante la visita ai luoghi della memoria della fede e ha fatto percepire la loro inalterata attualità. In Giordania abbiamo visto il punto più basso della terra presso il fiume Giordano. Come si potrebbe non sentirsi richiamati alla parola della Lettera agli Efesini, secondo cui Cristo è “disceso nelle regioni più basse della terra” (Eph 4, 9). In Cristo Dio è disceso fin nell’ultima profondità dell’essere umano, fin nella notte dell’odio e dell’accecamento, fin nel buio della lontananza dell’uomo da Dio, per accendere lì la luce del suo amore. Egli è presente perfino nella notte più profonda: anche negli inferi, eccoti – questa parola del Salmo 139 [138], 8 è diventata realtà nella discesa di Gesù. Così l’incontro con i luoghi della salvezza nella chiesa dell’annunciazione a Nazaret, nella grotta della natività a Betlemme, nel luogo della crocifissione sul Calvario, davanti al sepolcro vuoto, testimonianza della risurrezione, è stato come un toccare la storia di Dio con noi. La fede non è un mito. È storia reale, le cui tracce possiamo toccare con mano. Questo realismo della fede ci fa particolarmente bene nei travagli del presente. Dio si è veramente mostrato. In Gesù Cristo Egli si è veramente fatto carne. Come Risorto Egli rimane vero Uomo, apre continuamente la nostra umanità a Dio ed è sempre il garante del fatto che Dio è un Dio vicino. Sì, Dio vive e sta in relazione con noi. In tutta la sua grandezza è tuttavia il Dio vicino, il Dio-con-noi, che continuamente ci chiama: Lasciatevi riconciliare con me e tra voi! Egli sempre pone nella nostra vita personale e comunitaria il compito della riconciliazione.
Infine vorrei ancora dire una parola di gratitudine e di gioia per il mio viaggio nella Repubblica Ceca. Prima di tale viaggio sono sempre stato avvertito che quello è un Paese con una maggioranza di agnostici e di atei, in cui i cristiani costituiscono ormai soltanto una minoranza. Tanto più gioiosa è stata la sorpresa nel costatare che dappertutto ero circondato da grande cordialità ed amicizia; che grandi liturgie venivano celebrate in un’atmosfera gioiosa di fede; che nell’ambito delle università e della cultura la mia parola trovava una viva attenzione; che le Autorità dello Stato mi hanno riservato una grande cortesia e hanno fatto tutto il possibile per contribuire al successo della visita. Sarei ora tentato di dire qualcosa sulla bellezza del Paese e sulle magnifiche testimonianze della cultura cristiana, le quali soltanto rendono tale bellezza perfetta. Ma considero importante soprattutto il fatto che anche le persone che si ritengono agnostiche o atee, devono stare a cuore a noi come credenti. Quando parliamo di una nuova evangelizzazione, queste persone forse si spaventano. Non vogliono vedere se stesse come oggetto di missione, né rinunciare alla loro libertà di pensiero e di volontà. Ma la questione circa Dio rimane tuttavia presente pure per loro, anche se non possono credere al carattere concreto della sua attenzione per noi. A Parigi ho parlato della ricerca di Dio come del motivo fondamentale dal quale è nato il monachesimo occidentale e, con esso, la cultura occidentale. Come primo passo dell’evangelizzazione dobbiamo cercare di tenere desta tale ricerca; dobbiamo preoccuparci che l’uomo non accantoni la questione su Dio come questione essenziale della sua esistenza. Preoccuparci perché egli accetti tale questione e la nostalgia che in essa si nasconde. Mi viene qui in mente la parola che Gesù cita dal profeta Isaia, che cioè il tempio dovrebbe essere una casa di preghiera per tutti i popoli (cfr Is 56, 7; Mc 11, 17). Egli pensava al cosiddetto cortile dei gentili, che sgomberò da affari esteriori perché ci fosse lo spazio libero per i gentili che lì volevano pregare l’unico Dio, anche se non potevano prendere parte al mistero, al cui servizio era riservato l’interno del tempio. Spazio di preghiera per tutti i popoli – si pensava con ciò a persone che conoscono Dio, per così dire, soltanto da lontano; che sono scontente con i loro dèi, riti, miti; che desiderano il Puro e il Grande, anche se Dio rimane per loro il “Dio ignoto” (cfr At 17, 23). Essi dovevano poter pregare il Dio ignoto e così tuttavia essere in relazione con il Dio vero, anche se in mezzo ad oscurità di vario genere. Io penso che la Chiesa dovrebbe anche oggi aprire una sorta di “cortile dei gentili” dove gli uomini possano in una qualche maniera agganciarsi a Dio, senza conoscerlo e prima che abbiano trovato l’accesso al suo mistero, al cui servizio sta la vita interna della Chiesa. Al dialogo con le religioni deve oggi aggiungersi soprattutto il dialogo con coloro per i quali la religione è una cosa estranea, ai quali Dio è sconosciuto e che, tuttavia, non vorrebbero rimanere semplicemente senza Dio, ma avvicinarlo almeno come Sconosciuto.
Alla fine, ancora una volta, una parola circa l’Anno Sacerdotale. Come sacerdoti siamo a disposizione di tutti: per coloro che conoscono Dio da vicino e per coloro per i quali Egli è lo Sconosciuto. Noi tutti dobbiamo conoscerlo sempre di nuovo e dobbiamo cercarlo continuamente per diventare veri amici di Dio. Come potremmo, in definitiva, arrivare a conoscere Dio, se non attraverso uomini che sono amici di Dio? Il nucleo più profondo del nostro ministero sacerdotale è quello di essere amici di Cristo (cfr Gv 15, 15), amici di Dio, per il cui tramite anche altre persone possano trovare la vicinanza a Dio. Così, insieme con il mio profondo ringraziamento per tutto l’aiuto resomi lungo l’intero anno, ecco il mio augurio per il Natale: che noi diventiamo sempre più amici di Cristo e quindi amici di Dio e che in questo modo possiamo essere sale della terra e luce del mondo. Un santo Natale e un buon Anno Nuovo!

martedì 15 dicembre 2009

L'odio non vince mai:Coletta

Dal Sussidiario.net una bellissima intervista alla vedova Coletta



Coletta: la vita civile rinasce dal perdono
Redazione
martedì 15 dicembre 2009



Il fatto grave dell’aggressione a Berlusconi lo hanno condannato tutti: leader di partito, cariche istituzionali, militanti, opinionisti. Chi è stato testimone di periodi ben peggiori della nostra storia lancia l’allarme, evocando gli anni ’70, gli scontri di piazza, la lotta armata. Il frutto di un clima deteriorato che, come ha scritto Mario Mauro su queste pagine, vede nell’avversario politico il nemico da abbattere, con ogni mezzo. Questo accade quando l’ideologia divide le persone, le mette le une contro le altre, si impadronisce del confronto politico e lo deforma. A quel punto non esistono più avversari politici, ma solo nemici. Poco importa che qualcuno li abbia eletti. E la dialettica, in un clima di individualismo esasperato, lascia il posto alla violenza.
La realtà è che le esortazioni alla calma, alla ragionevolezza e alla compostezza politica, che pure si ripetono da mesi, non hanno effetto. Verrebbe quasi da pensare che buona volontà non basta. Lo dice bene Margherita Coletta, vedova del brigadiere dei carabinieri ucciso nell’attentato di Nasiriyah del 2003. «Chi subisce violenza porta con sé il dolore per tutta la vita, chi commette il male, anche se non ne è ancora cosciente, pagherà portandone il peso nel cuore. Solo il bene spezza la catena del male». Buonismo? No. «Solo un Altro - dice Margherita Coletta - può perdonare».
Parole forti, dopo gli ultimi fatti di piazza Duomo a Milano, che vengono dal carcere Due Palazzi di Padova, dove Coletta venerdì scorso ha incontrato un gruppo di detenuti che lavorano dentro le mura del carcere. Un incontro privato e “inattuale” che insegna al paese molto di più sulla vita pubblica di tante esortazioni politicamente corrette al bene comune. Mentre il dolore ci riguarda e ci accompagna tutti, dice Coletta. Sia chi ha subito il male, sia chi lo ha fatto.
«Tra noi non ci sono differenze - dice la vedova ai detenuti -. Conoscete la mia storia, anche voi vivete come me la lontananza dai vostri cari. Il dolore ci unisce, ma Dio è padrone della vita e non lascia che le cose accadano senza motivo». La sua voce è la stessa che la sera di quel tragico giorno, appresa la notizia, aveva commosso il Paese citando un passo del Vangelo davanti alle telecamere del Tg2: «Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori». La voce di una madre che non aveva smesso di credere nel disegno di Dio anche dopo aver perso Paolo, il suo figlio di soli sei anni, malato di leucemia.
Come si può essere liberi in carcere, se si conosce e si accusa il proprio limite originale, e il proprio errore, per lo stesso motivo si può essere prigionieri fuori. E la vita diventa confusione, conflitto e violenza verso l’altro. Alberto, che sta dentro, capisce: «è un’emozione averla qui. Lei, vittima, in un luogo di colpe. Il dolore ci ha unito, la ringrazio perché è una testimonianza del fatto che a questo dolore si possa dare un senso».

Lei ha detto ai detenuti che una nuova vita, a cominciare dal perdono, è possibile. Nel nostro paese la vita politica è dominata dalla violenza e non si sa più ormai cosa fare per uscirne. Che ne pensa?

Ma non è solo questione di politica, perché la violenza è prima dentro di noi. Nel Vangelo il peccato più grave è quello di negare all’altro la possibilità di redimersi. Pensare che una persona non possa cambiare. Queste persone hanno sbagliato e stanno giustamente pagando, ma con l’aiuto di chi gli vuol bene e li fa lavorare, la circostanza dura della prigione sta ridando slancio alla loro vita. Come ho detto a loro, sono i prediletti di Cristo, i loro occhi mi hanno ricordato i bambini di cui parla il Vangelo.

Sentendola parlare sembra che lei non abbia mai odiato.

Se l’odio vincesse, quale sarebbe la differenza tra me e gli assassini di mio marito? Loro sono stati mossi dalla pazzia, o forse dalle minacce e dalle promesse false di un futuro migliore per la loro famiglia. Non possiamo saperlo. Il gesto va condannato, ma li penso sempre con pietà. Se li odiassi a mente lucida sarei peggio di loro.

Quello che le è successo l’ha cambiata?

Sono sempre la stessa, ma ho fatto un cammino. Rispetto a prima ho una consapevolezza e un approccio diverso alla fede e alla vita intera. La fede non cancella la fatica, gli attacchi subiti. Davanti a tutte queste lotte, però, so che Cristo c’è e la vita ha un senso diverso.

Quando le si chiede perché aiuta gli altri, lei risponde parlando di se stessa, del suo limite e del suo bisogno. Non ha mai pensato di aver già dato abbastanza?

Ognuno di noi ha un compito, nessuno nasce per caso e vive solo per se stesso. A volte ovviamente avverto la stanchezza, ma quello che faccio nasce da un’esigenza e non da un progetto. Dio ha fatto in modo che dal dolore nascesse qualcosa di più, che potesse dare speranza agli altri.

Cosa porterà con sé dopo la giornata di oggi?

L’incontro di oggi è stato il più bel regalo di Natale che potessi ricevere. Guardavo i loro occhi e pensavo alla loro vita, a tutto quello che hanno lasciato: le famiglie, i sogni che avevano da ragazzi, ma anche il dolore e la consapevolezza del male che hanno fatto. Chi non ha Cristo come può vivere un tormento del genere? Dopo l’incontro mi sono fermata a parlare con alcuni di loro e mi sono accorta che continuano a tormentarsi. Non si perdonano, non sono in grado di farlo. Ma nessuno di noi è in grado. È solo se un Altro ci perdona che possiamo accettare gli altri e, prima ancora, noi stessi.

domenica 6 dicembre 2009

Ai vescovi Brasiliani : L'educazione e scuola cattolica

Pubblichiamo il testo integrale del discorso del Papa ai presuli della Conferenza episcopale del Brasile (Regio­ne Sul 3 e Sul 4), a Roma per la visita «ad limina».


V enerati fratelli nell’episcopato, do il benvenu­to e saluto tutti e ciascuno di voi, nel ricevervi collegialmente nell’ambito della vostra visita ad limina. Ringrazio monsignor Murilo Krieger per le parole di devota stima che mi ha rivolto a nome di tut­ti voi e del popolo affidato alle vostre cure pastorali nel­le Regioni ecclesiastiche Sul 3 e 4, esponendo anche le vostre sfide e le vostre speranze. Nell’ascoltare queste cose, sento levarsi dal mio cuore azioni di rendimento di grazie al Signore per il dono della fede misericordio­samente concesso alle vostre comunità ecclesiali e da esse zelantemente conservato e coraggiosamente trasmesso, in ob­bedienza al mandato che Gesù ci ha lasciato di portare la sua Buo­na Novella a ogni creatura, cer­cando di pervadere di umanesimo cristiano la cultura attuale. R iguardo alla cultura, il pen­siero si volge a due ambi­ti classici in cui essa si for­ma e comunica – l’università e la scuola –, fissando l’attenzione principalmente sulle co­munità accademiche che sono nate all’ombra dell’u­manesimo cristiano e che s’ispirano a esso, onorando­si del nome di «cattoliche». Ora «è proprio nel riferi­mento esplicito e condiviso da tutti i membri della co­munità scolastica – sia pure in grado diverso – alla vi­sione cristiana, che la scuola è 'cattolica', poiché i prin­cipi evangelici diventano in essa norme educative, mo­tivazioni interiori e insieme mete finali» (Congregazio­ne per l’Educazione cattolica, L a scuola cattolica, n. 34). Possa essa, in una convinta sinergia con le famiglie e con la comunità ecclesiale, promuovere quella unità fra fede, cultura e vita che costituisce l’obiettivo fon­damentale dell’educazione cristiana. Anche le scuole statali, secondo diverse forme e modi, possono essere aiutate nel loro compito educativo dal­la presenza di professori credenti – in primo luogo, ma non esclusivamente, i professori di religione cattolica – e di alunni formati cristianamente, come pure dalla collaborazione delle famiglie e della stessa comunità cri­stiana. In effetti, una sana laicità della scuola non im­plica la negazione della trascendenza, e neppure una mera neutralità dinanzi a quei requisiti e valori mora­li che si trovano alla base di un’autentica formazione della persona, includendo l’educazione religiosa. L a scuola cattolica non può essere pensata né vi­vere separata dalle altre istituzioni educative. Es­sa è al servizio della società: svolge una funzione pubblica e un servizio di pubblica utilità, non riserva­to solo ai cattolici, ma aperto a tutti coloro che deside­rano usufruire di una proposta educativa qualificata. Il problema della sua equiparazione giuridica ed econo­mica alla scuola statale potrà essere correttamente im­postato solo se partiamo dal riconoscimento del ruo­lo primario delle famiglie e da quello sussidiario delle altre istituzioni educative. Nell’articolo 26 della Di­chiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo si legge: «I genitori hanno diritto di priorità nella scelta del gene­re di istruzione da impartire ai loro figli». L’impegno plurisecolare della scuola cattolica va in questa dire­zione, spinto da una forza ancora più radicale, ossia dalla forza che fa di Cristo il centro del processo edu­cativo. Questo processo, che ha inizio nelle scuole primaria e secondaria, si realizza in modo più alto e specializzato nelle università. La Chiesa è stata sempre solidale con l’università e con la sua vocazione di condurre l’uomo ai più alti livelli della conoscenza della verità e del do­minio del mondo in tutti i suoi aspetti. Mi compiaccio di esprimere la mia viva gratitudine ecclesiale alle di­verse congregazioni religiose che fra di voi hanno fon­dato e sostenuto rinomate università, ricordando loro tuttavia che queste non sono proprietà di chi le ha fon­date o di chi le frequenta, ma espressione della Chiesa e del suo patrimonio di fede. I n tal senso, amati fratelli, vale la pena ricordare che, lo scor­so agosto, ha compiuto venti­cinque anni l’Istruzione Libertatis nuntius della Congregazione per la dottrina della fede, su alcuni a­spetti della teologia della libera­zione; in essa si sottolineava il pe­ricolo che comportava l’accetta­zione acritica da parte di alcuni teologi di tesi e metodologie provenienti dal marxismo. Le sue conseguenze più o meno visibili fatte di ribel­lione, divisione, dissenso, offesa, anarchia, si fanno an­cora sentire, creando nelle vostre comunità diocesane grande sofferenza e una grave perdita di forze vive. Sup­plico quanti in qualche modo si sono sentiti attratti, coinvolti e toccati nel proprio intimo da certi principi ingannatori della teologia della liberazione, di con­frontarsi nuovamente con la suddetta Istruzione, ac­cogliendo la luce benigna che essa offre a mani tese; a tutti ricordo che «la 'regola suprema della propria fe­de' (della Chiesa) ... proviene dall’unità che lo Spirito ha posto tra la Sacra Tradizione, la Sacra Scrittura e il magistero della Chiesa in una reciprocità tale per cui i tre non possono sussistere in maniera indipendente» (Giovanni Paolo II, Fides et ratio , n. 55). Che, nell’am­bito degli organismi e comunità ecclesiali, il perdono offerto e accolto in nome e per amore della Santissima Trinità, che adoriamo nei nostri cuori, ponga fine alla sofferenza dell’amata Chiesa che peregrina nelle terre della Santa Croce. V enerati fratelli nell’episcopato, nell’unione con Cristo ci precede e ci guida la Vergine Maria, tanto amata e venerata nelle vostre diocesi e in tutto il Brasile. In Lei troviamo, pura e non deformata, la vera essenza della Chiesa e così, attraverso di Lei, im­pariamo a conoscere e ad amare il mistero della Chie­sa che vive nella storia, ci sentiamo profondamente parte di essa, diveniamo a nostra volta «anime eccle­siali », imparando a resistere a quella «secolarizzazione interna» che minaccia la Chiesa e i suoi insegnamenti. Mentre chiedo al Signore di effondere l’abbondanza della sua luce su tutto il mondo brasiliano della scuo­la, affido i suoi protagonisti alla protezione della Vergi­ne Santissima e imparto a voi, ai vostri sacerdoti, ai re­ligiosi e alle religiose, ai laici impegnati, e a tutti i fede­li delle vostre diocesi, una paterna benedizione apo­stolica. Benedetto XVI L’identità e il ruolo della scuola cattolica nelle parole di Ratzinger ai vescovi del Brasile. Poi il «no» rinnovato a «certi principi ingannatori» della teologia della liberazione

sabato 5 dicembre 2009

Guglielmo di Saint Thierry: cioè dell'amore

Mirabile sintesi da parte del Santo Padre su questo santo che ci insegna il centro del cristiane
simo: l'Amore

BENEDETTO XVI
UDIENZA GENERALE
Piazza San PietroMercoledì, 2 dicembre 2009

Guglielmo di Saint-Thierry
Cari fratelli e sorelle,
in una
precedente Catechesi ho presentato la figura di Bernardo di Chiaravalle, il “Dottore della dolcezza”, grande protagonista del secolo dodicesimo. Il suo biografo – amico ed estimatore – fu Guglielmo di Saint-Thierry, sul quale mi soffermo nella riflessione di questa mattina.
Guglielmo nacque a Liegi tra il 1075 e il 1080. Di nobile famiglia, dotato di un’intelligenza viva e di un innato amore per lo studio, frequentò famose scuole dell’epoca, come quelle della sua città natale e di Reims, in Francia. Entrò in contatto personale anche con Abelardo, il maestro che applicava la filosofia alla teologia in modo così originale da suscitare molte perplessità e opposizioni. Anche Guglielmo espresse le proprie riserve, sollecitando il suo amico Bernardo a prendere posizione nei confronti di Abelardo. Rispondendo a quel misterioso e irresistibile appello di Dio, che è la vocazione alla vita consacrata, Guglielmo entrò nel monastero benedettino di Saint-Nicaise di Reims nel 1113, e qualche anno dopo divenne abate del monastero di Saint-Thierry, in diocesi di Reims. In quel periodo era molto diffusa l’esigenza di purificare e rinnovare la vita monastica, per renderla autenticamente evangelica. Guglielmo operò in questo senso all’interno del proprio monastero, e in genere nell’Ordine benedettino. Tuttavia incontrò non poche resistenze di fronte ai suoi tentativi di riforma, e così, nonostante il consiglio contrario dell’amico Bernardo, nel 1135, lasciò l’abbazia benedettina, smise l’abito nero e indossò quello bianco, per unirsi ai cistercensi di Signy. Da quel momento fino alla morte, avvenuta nel 1148, si dedicò alla contemplazione orante dei misteri di Dio, da sempre oggetto dei suoi più profondi desideri, e alla composizione di scritti di letteratura spirituale, importanti nella storia della teologia monastica.
Una delle sue prime opere è intitolata De natura et dignitate amoris (La natura e la dignità dell’amore). Vi è espressa una delle idee fondamentali di Guglielmo, valida anche per noi. L’energia principale che muove l’animo umano - egli dice - è l’amore. La natura umana, nella sua essenza più profonda, consiste nell’amare. In definitiva, un solo compito è affidato a ogni essere umano: imparare a voler bene, ad amare, sinceramente, autenticamente, gratuitamente. Ma solo alla scuola di Dio questo compito viene assolto e l’uomo può raggiungere il fine per cui è stato creato. Scrive infatti Guglielmo: “L’arte delle arti è l’arte dell’amore… L’amore è suscitato dal Creatore della natura. L’amore è una forza dell’anima, che la conduce come per un peso naturale al luogo e al fine che le è proprio” (La natura e la dignità dell’amore 1, PL 184,379). Imparare ad amare richiede un lungo e impegnativo cammino, che è articolato da Guglielmo in quattro tappe, corrispondenti alle età dell’uomo: l’infanzia, la giovinezza, la maturità e la vecchiaia. In questo itinerario la persona deve imporsi un’ascesi efficace, un forte controllo di sé per eliminare ogni affetto disordinato, ogni cedimento all’egoismo, e unificare la propria vita in Dio, sorgente, mèta e forza dell’amore, fino a giungere al vertice della vita spirituale, che Guglielmo definisce come “sapienza”. A conclusione di questo itinerario ascetico, si sperimenta una grande serenità e dolcezza. Tutte le facoltà dell’uomo - intelligenza, volontà, affetti - riposano in Dio, conosciuto e amato in Cristo.
Anche in altre opere, Guglielmo parla di questa radicale vocazione all’amore per Dio, che costituisce il segreto di una vita riuscita e felice, e che egli descrive come un desiderio incessante e crescente, ispirato da Dio stesso nel cuore dell’uomo. In una meditazione egli dice che l’oggetto di questo amore è l’Amore con la “A” maiuscola, cioè Dio. È lui che si riversa nel cuore di chi ama, e lo rende atto a riceverlo. Si dona a sazietà e in modo tale, che di questa sazietà il desiderio non viene mai meno. Questo slancio d’amore è il compimento dell’uomo” (De contemplando Deo 6, passim, SC 61bis, pp. 79-83). Colpisce il fatto che Guglielmo, nel parlare dell’amore a Dio attribuisca una notevole importanza alla dimensione affettiva. In fondo, cari amici, il nostro cuore è fatto di carne, e quando amiamo Dio, che è l’Amore stesso, come non esprimere in questa relazione con il Signore anche i nostri umanissimi sentimenti, come la tenerezza, la sensibilità, la delicatezza? Il Signore stesso, facendosi uomo, ha voluto amarci con un cuore di carne!
Secondo Guglielmo, poi, l’amore ha un’altra proprietà importante: illumina l’intelligenza e permette di conoscere meglio e in modo profondo Dio e, in Dio, le persone e gli avvenimenti. La conoscenza che procede dai sensi e dall’intelligenza riduce, ma non elimina, la distanza tra il soggetto e l’oggetto, tra l’io e il tu. L’amore invece produce attrazione e comunione, fino al punto che vi è una trasformazione e un’assimilazione tra il soggetto che ama e l’oggetto amato. Questa reciprocità di affetto e di simpatia permette allora una conoscenza molto più profonda di quella operata dalla sola ragione. Si spiega così una celebre espressione di Guglielmo: “Amor ipse intellectus est - già in se stesso l’amore è principio di conoscenza”. Cari amici, ci domandiamo: non è proprio così nella nostra vita? Non è forse vero che noi conosciamo realmente solo chi e ciò che amiamo? Senza una certa simpatia non si conosce nessuno e niente! E questo vale anzitutto nella conoscenza di Dio e dei suoi misteri, che superano la capacità di comprensione della nostra intelligenza: Dio lo si conosce se lo si ama!
Una sintesi del pensiero di Guglielmo di Saint-Thierry è contenuta in una lunga lettera indirizzata ai Certosini di Mont-Dieu, presso i quali egli si era recato in visita e che volle incoraggiare e consolare. Il dotto benedettino Jean Mabillon già nel 1690 diede a questa lettera un titolo significativo: Epistola aurea (Lettera d’oro). In effetti, gli insegnamenti sulla vita spirituale in essa contenuti sono preziosi per tutti coloro che desiderano crescere nella comunione con Dio, nella santità. In questo trattato Guglielmo propone un itinerario in tre tappe. Occorre - egli dice - passare dall’uomo “animale” a quello “razionale”, per approdare a quello “spirituale”. Che cosa intende dire il nostro autore con queste tre espressioni? All’inizio una persona accetta la visione della vita ispirata dalla fede con un atto di obbedienza e di fiducia. Poi con un processo di interiorizzazione, nel quale la ragione e la volontà giocano un grande ruolo, la fede in Cristo è accolta con profonda convinzione e si sperimenta un’armoniosa corrispondenza tra ciò che si crede e si spera e le aspirazioni più segrete dell’anima, la nostra ragione, i nostri affetti. Si giunge così alla perfezione della vita spirituale, quando le realtà della fede sono fonte di intima gioia e di comunione reale e appagante con Dio. Si vive solo nell’amore e per amore. Guglielmo fonda questo itinerario su una solida visione dell’uomo, ispirata agli antichi Padri greci, soprattutto ad Origene, i quali, con un linguaggio audace, avevano insegnato che la vocazione dell’uomo è diventare come Dio, che lo ha creato a sua immagine e somiglianza. L’immagine di Dio presente nell’uomo lo spinge verso la somiglianza, cioè verso un’identità sempre più piena tra la propria volontà e quella divina. A questa perfezione, che Guglielmo chiama “unità di spirito”, non si giunge con lo sforzo personale, sia pure sincero e generoso, perché è necessaria un’altra cosa. Questa perfezione si raggiunge per l’azione dello Spirito Santo, che prende dimora nell’anima e purifica, assorbe e trasforma in carità ogni slancio e ogni desiderio d’amore presente nell’uomo. “Vi è poi un’altra somiglianza con Dio”, leggiamo nell’Epistola aurea, “che viene detta non più somiglianza, ma unità di spirito, quando l’uomo diventa uno con Dio, uno spirito, non soltanto per l’unità di un identico volere, ma per non essere in grado di volere altro. In tal modo l’uomo merita di diventare non Dio, ma ciò che Dio è: l’uomo diventa per grazia ciò che Dio è per natura” (Epistola aurea 262-263, SC 223, pp. 353-355).
Cari fratelli e sorelle, questo autore, che potremmo definire il “Cantore dell’amore, della carità”, ci insegna ad operare nella nostra vita la scelta di fondo, che dà senso e valore a tutte le altre scelte: amare Dio e, per amore suo, amare il nostro prossimo; solo così potremo incontrare la vera gioia, anticipo della beatitudine eterna. Mettiamoci quindi alla scuola dei Santi per imparare ad amare in modo autentico e totale, per entrare in questo itinerario del nostro essere. Con una giovane santa, Dottore della Chiesa,
Teresa di Gesù Bambino, diciamo anche noi al Signore che vogliamo vivere d’amore. E concludo proprio con una preghiera di questa Santa: “Io ti amo, e tu lo sai, divino Gesù! Lo Spirito d'amore mi incendia col suo fuoco. Amando Te attiro il Padre, che il mio debole cuore conserva, senza scampo. O Trinità! Sei prigioniera del mio amore. Vivere d'amore, quaggiù, è un darsi smisurato, senza chiedere salario … quando si ama non si fanno calcoli. Io ho dato tutto al Cuore divino, che trabocca di tenerezza! E corro leggermente. Non ho più nulla, e la mia sola ricchezza è vivere d'amore”.
Saluti:
Chers frères et soeurs, Chers pèlerins francophones, avec les saints et en particulier avec sainte Thérèse de l’Enfant-Jésus, demandons au Seigneur de nous enflammer de sa charité pour aimer sans calcul et pénétrer dans le mystère de l’amour trinitaire. Bon pèlerinage à tous!
Dear Brothers and Sisters, I offer a warm welcome to the English-speaking pilgrims present at today’s Audience, including the priests from Scotland celebrating their ordination jubilees and the students and staff from Saint Mary’s High School, Casino, Australia. May your advent visit to Rome be a time of deep spiritual renewal. Upon all of you I invoke God’s abundant blessings!
Liebe Brüder und Schwestern! Einen frohen Gruß richte ich an alle Gäste deutscher Sprache, besonders an die Pilger der Schönstattbewegung. In der Schule der Heiligen lernen wir, ganz und echt zu lieben. So können wir mit Wilhelm von Saint-Thierry beten: Gott, du hast uns zuerst geliebt, damit wir dich lieben, … weil wir nicht sein können, wozu du uns geschaffen hast, ohne daß wir dich lieben (vgl. De contemplando Deo, 10). Der Herr schenke euch seinen Geist und seine Liebe.
Queridos irmãos e irmãs, Amados peregrinos de língua portuguesa, uma cordial saudação de boas-vindas para todos. Que a prática do amor a Deus e ao próximo seja o propósito onde encontrais o sentido e o valor para todas as escolhas das vossas vidas. Que Deus abençoe a cada um de vós e vossas famílias! Ide em Paz!
Queridos hermanos y hermanas, Saludo a los peregrinos de lengua española, en particular a las Religiosas dominicas de la Presentación de la Santísima Virgen, al grupo de artistas del Estado de Yucatán, a los fieles de la Diócesis de Zacatecoluca, acompañados por el Señor Obispo, así como a los demás grupos procedentes de España, Bolivia y otros países latinoamericanos. Que siguiendo las enseñanzas de Guillermo de Saint-Thierry, al que podemos definir como cantor de la caridad, aprendamos a conocer a Dios amándolo. Muchas gracias.
Saluto in lingua polacca:
Serdecznie witam polskich pielgrzymów. W adwentowym czasie w sposób szczególny uświadamiamy sobie, że Syn Boży „przyjdzie w chwale sądzić żywych i umarłych, a królestwu Jego nie będzie końca”. Zanim to jednak nastąpi, przychodzi do nas każdego dnia i uświęca nas swoją łaską. Otwórzmy serca i umysły na dar Jego stałej obecności. Niech Bóg wam błogosławi!
Traduzione italiana:
Do un cordiale benvenuto ai pellegrini polacchi. Nel tempo dell’Avvento in modo particolare comprendiamo che il Figlio di Dio “verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine”. Prima però che questo accada, egli viene a noi ogni giorno e ci santifica con la sua grazia. Apriamo i cuori e le menti al dono della Sua costante presenza. Dio vi benedica!
Saluto in lingua slovacca:
S láskou vítam pútnikov zo Slovenska: osobitne študentov a pedagógov Cirkevného konzervatória v Bratislave. Bratia a sestry, milí mladí, v tomto milostivom čase Adventu prosme Ducha Svätého aby nás pretvoril na svedkov Božej lásky a na nositeľov pokoja. Zo srdca vás žehnám.Pochválený buď Ježiš Kristus!
Traduzione italiana:
Con affetto do il benvenuto ai pellegrini provenienti dalla Slovacchia: specialmente agli studenti ed ai docenti del Conservatorio ecclesiastico di Bratislava.Fratelli e sorelle, cari giovani, in questo tempo di grazia di Avvento chiediamo allo Spirito Santo che ci trasformi in testimoni dell’amore di Dio e portatori di pace. Cordialmente vi benedico.Sia lodato Gesù Cristo!
* * *
Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto voi, fedeli dell’Arcidiocesi di Catanzaro-Squillace, accompagnati dall’Arcivescovo Mons. Antonio Ciliberti, ed auguro che la sosta presso i luoghi sacri rinsaldi la vostra adesione a Cristo e faccia crescere la carità nelle vostre comunità. Accompagno tutti, specialmente voi Seminaristi, con un particolare ricordo nella preghiera, perché il Signore vi ricolmi di copiosi doni spirituali. Saluto i rappresentanti dell’Associazione Marinai d’Italia, convenuti così numerosi, ed auspico che questo incontro possa ravvivare in ciascuno il desiderio di amare Dio e il prossimo. Saluto, inoltre, i rappresentanti della Federazione Italiana Panificatori e Pasticcieri e li ringrazio per il generoso dono dei panettoni destinati alle opere di carità del Papa.
Saluto, infine i giovani, i malati e gli sposi novelli. Proprio oggi ricorre il 25° anniversario di promulgazione dell’Esortazione Apostolica
Reconciliatio et paenitentia, che richiamò l’attenzione sull’importanza del sacramento della penitenza nella vita della Chiesa. In questa significativa ricorrenza, desidero rievocare alcune figure straordinarie di “apostoli del confessionale”, instancabili dispensatori della misericordia divina: san Giovanni Maria Vianney, san Giuseppe Cafasso, san Leopoldo Mandić, san Pio da Pietrelcina. La loro testimonianza di fede e di carità incoraggi voi, cari giovani, a fuggire il peccato e a progettare il vostro futuro come un generoso servizio a Dio e al prossimo. Aiuti voi, cari malati, a sperimentare nella sofferenza la misericordia di Cristo crocifisso. E solleciti voi, cari sposi novelli, a creare in famiglia un clima costante di fede e di reciproca comprensione. L’esempio di questi Santi, assidui e fedeli ministri del perdono divino, sia infine per i sacerdoti – specialmente in questo Anno sacerdotale
– e per tutti i cristiani un invito a confidare sempre nella bontà di Dio, accostandosi e celebrando con fiducia il Sacramento della Riconciliazione.

© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana

venerdì 4 dicembre 2009

Sul caso Boffo:alla fine gli uomini di Dio trionfano

Oggi la liturgia ci parla di trionfo. Come non poter dire di trattarsi di trionfo da quello che ci racconta Avvenire
Dicembre 2009
L'AGGRESSIONE
Accuse a Boffo: Feltri ci ripensa
L'ammissione è finalmente esplicita: «La ricostruzione dei fatti descritti nella nota (il falso dossier elaborato non si sa da chi, ndr), oggi posso dire, non corrisponde al contenuto degli atti processuali». Questo il nocciolo della risposta che oggi Vittorio Feltri, direttore del Giornale in prima pagina dà ad una lettrice che lo interpella sul tema a tre mesi dall'episodio. «Da quelle carte, Dino Boffo non risulta implicato in vicende omosessuali - prosegue Feltri -, tantomeno si parla di omosessuale attenzionato. Questa è la verità. Oggi Boffo sarebbe ancora al vertice di Avvenire. Inoltre Boffo ha saputo aspettare, nonostante tutto quello che è stato detto e scritto, tenendo un atteggiamento sobrio e dignitoso che non può che suscitare ammirazione».Quella di Feltri è «una retromarcia clamorosa e importante» ha commentato il direttore di Avvenire Marco Tarquinio. «Dicemmo all'inizio della vicenda - ha proseguito - che con un galantuomo come Boffo il tempo sarebbe stato galantuomo. Questa volta abbiamo dovuto aspettare meno del consueto». «Le scuse pubbliche pubblicate sulla prima pagina del Giornale, tuttavia - ha aggiunto - non riparano completamente ai danni subiti non solo da Boffo ma anche da un metodo di informazione corretta fondata sui fatti, e non cancella le responsabilità di chi conduce battaglie mediatiche con mezzi tutt'altro che limpidi». Le affermazioni di oggi di Feltri - ha proseguito Tarquinio - sono importanti perché ridanno dignità «ad una vita brutalmente capovolta», ma devono «far riflettere noi giornalisti sulla responsabilità che abbiamo verso i lettori e verso noi stessi»."L'articolo di oggi de 'Il Giornale' conferma il valore della persona del dottor Boffo che, ancora prima delle tardive ammissioni di Feltri, si è volontariamente fatto da parte per non coinvolgere la Chiesa, che ha peraltro servito da sempre con intelligenza e passione": è quanto ha dichiarato ai giornalisti monsignor Domenico Pompili, portavoce della Cei, commentando l'editoriale di oggi di Vittorio Feltri..

martedì 1 dicembre 2009

Un giudizio sui minareti in Svizzera

I vescovi elvetici sull'esito del referendum svoltosi domenica
Il «no» svizzero a nuovi minareti danneggia la libertà religiosa

Berna, 30. "Un duro colpo alla libertà religiosa e all'integrazione"; una "tendenza che complica le cose per i cristiani" che vivono in Paesi dove tale libertà "è già limitata"; un ostacolo, "ma anche una grande sfida", sul cammino dell'integrazione nel dialogo e nel rispetto reciproco. La Conferenza dei vescovi svizzeri (Cvs) ha commentato così l'esito del referendum che, domenica, ha rivelato che la maggioranza dei cittadini - il 57,5 per cento - è contraria alla costruzione di nuovi minareti nel Paese. Su ventisei cantoni della Confederazione elvetica solo quattro (Basilea città, Ginevra, Neuchâtel e Vaud) hanno votato "no" al quesito referendario, respingendo la proposta sostenuta dall'Unione democratica di centro, il partito di destra che guidava il fronte del "sì", favorevole appunto al divieto di edificazione di nuovi minareti perché "simbolo di una rivendicazione del potere politico e sociale dell'islam". Secondo un comunicato a firma del portavoce della Cvs, Walter Müller, "il sì all'iniziativa aumenta i problemi di coabitazione tra le religioni e le culture". Difficoltà di coesistenza che non si limitano alla Svizzera: la Chiesa cattolica, prima del voto, ha sottolineato infatti più volte che il divieto di costruire minareti non sarebbe servito "ai cristiani oppressi o perseguitati nei Paesi islamici" ma che, anzi, avrebbe deteriorato "la credibilità del loro impegno in quei Paesi". Nella nota si afferma che "la campagna, con le sue esagerazioni e caricature, ha mostrato che la pace religiosa non va da sé e che essa deve sempre essere difesa". Da qui la sfida "a ridare alla popolazione la fiducia necessaria nel nostro ordine giuridico e l'adeguata attenzione agli interessi di tutti" e l'incoraggiamento "a impegnarsi ancora di più oggi per stare accanto ai cristiani" che vivono in nazioni a maggioranza musulmana. Don Felix Gmür, segretario generale della Conferenza episcopale, spiega così la vittoria dei sì: "La gente ha paura di chi viene da lontano, di chi non capisce, e si chiude". E poi "c'è stata una propaganda assai dura", in cui non si è parlato solo di minareti, ma anche di gruppi estremisti. I minareti come i crocifissi. La religione non può essere un fatto privato: "Quelli che sostenevano il referendum - ha dichiarato Gmür alla Radio Vaticana - dicono che la religione deve essere una cosa privata; ognuno può pregare dove vuole, ma non in luoghi pubblici. Nello stesso tempo si dicono cristiani, ma per un cristiano il culto non può essere solo un fatto privato. Su questo - ha affermato il segretario della Cvs - occorre aprire un dibattito che faccia chiarezza perché la società è disorientata, c'è una contraddizione in tutte le società europee, come dimostra la questione aperta sui crocifissi in Italia". Si vince la paura quando si vive insieme, ha osservato ancora Gmür, sottolineando il fatto che il referendum è stato respinto in città come Basilea e Ginevra dove vive il maggior numero di musulmani, mentre il "sì" ha preso voti in zone a minor presenza di immigrati islamici. "Amarezza" è stata espressa dalla Federazione delle chiese evangeliche svizzere, per la quale "il divieto di costruire minareti non risolve alcun problema ma ne crea di nuovi". Va precisato che il divieto non colpisce i quattro minareti già esistenti nel Paese, tanto meno l'edificazione di altre moschee. Ma la delusione dei musulmani è grande. Per l'imam Youssef Ibram, responsabile del Centro culturale islamico di Ginevra, è un "avvenimento catastrofico. Avevamo fiducia nella lucidità del popolo svizzero, è una delusione enorme", ha aggiunto. Reazioni negative anche dall'estero. Il gran mufti dell'Egitto, Ali Gomaa, ha definito l'esito del referendum "un insulto" a tutti i musulmani e "un attacco" alla libertà di religione. In Indonesia la principale organizzazione islamica del Paese, la Nahdlatul Ulama, parla di segnale di "odio e intolleranza" ma invita i fedeli musulmani a reagire "senza eccessi". (©L'Osservatore Romano - 30 novembre 1 dicembre 2009)

Inizia l'Anno Liturgico:Cristo che ci dona la Grazia

Il Santo Padre ci offre un nuovo inizio , l'inizio di un nuovo percorso.E' sempre lo stesso ma si rinnova sempre .
Infatti il centro di esso è Gesù Cristo Risorto attorno a cui , come il sole , gravitano come pianeti, i grandi santi tra i quali , la più vicina,la Sua Santa Madre.In riferimento a noi ancora pellegrini sui solchi di questa storia e non ancora capaci di vederlo con i nostri occhi ,abbiamo la possibilità di guardarlo con gli occhi della fede,cioè con gli occhi di una ragione allargata dalla conoscienza atrtaverso la fede .
All'Angelus il Papa ricorda che il messaggio di Gesù non riguarda solo i credenti
Cristo speranza affidabile per tutti gli uomini L'invito a moltiplicare gli sforzi per debellare l'Aids

La speranza di Gesù non riguarda solo i cristiani e i credenti ma tutti gli uomini. Lo ha detto il Papa all'Angelus del 29 novembre, prima domenica d'Avvento, in piazza San Pietro. Dopo la preghiera mariana Benedetto XVI ha lanciato un appello a moltiplicare e coordinare gli sforzi per debellare il flagello dell'Aids.


Cari fratelli e sorelle!
In questa domenica iniziamo, per grazia di Dio, un nuovo Anno liturgico, che si apre naturalmente con l'Avvento, tempo di preparazione al Natale del Signore. Il Concilio Vaticano II, nella Costituzione sulla liturgia, afferma che la Chiesa "nel ciclo annuale presenta tutto il mistero di Cristo, dall'Incarnazione e Natività fino all'Ascensione, al giorno di Pentecoste e all'attesa della beata speranza e del ritorno del Signore". In questo modo, "ricordando i misteri della Redenzione, essa apre ai fedeli le ricchezze delle azioni salvifiche e dei meriti del suo Signore, così che siano resi in qualche modo presenti in ogni tempo, perché i fedeli possano venirne a contatto ed essere ripieni della grazia della salvezza" (Sacrosanctum Concilium, 102). Il Concilio insiste sul fatto che il centro della liturgia è Cristo, come il sole intorno al quale, al modo dei pianeti, ruotano la Beata Vergine Maria - la più vicina - e quindi i martiri e gli altri santi che "in cielo cantano a Dio la lode perfetta e intercedono per noi" (ivi, 104). Questa è la realtà dell'Anno liturgico vista, per così dire, "dalla parte di Dio". E dalla parte - diciamo - dell'uomo, della storia e della società? Che rilevanza può avere? La risposta ce la suggerisce proprio il cammino dell'Avvento, che oggi intraprendiamo. Il mondo contemporaneo ha bisogno soprattutto di speranza: ne hanno bisogno i popoli in via di sviluppo, ma anche quelli economicamente evoluti. Sempre più ci accorgiamo che ci troviamo su un'unica barca e dobbiamo salvarci tutti insieme. Soprattutto ci rendiamo conto, vedendo crollare tante false sicurezze, che abbiamo bisogno di una speranza affidabile, e questa si trova solo in Cristo, il quale, come dice la Lettera agli Ebrei, "è lo stesso ieri e oggi e per sempre" (13, 8). Il Signore Gesù è venuto in passato, viene nel presente, e verrà nel futuro. Egli abbraccia tutte le dimensioni del tempo, perché è morto e risorto, è "il Vivente" e, mentre condivide la nostra precarietà umana, rimane per sempre e ci offre la stabilità stessa di Dio. È "carne" come noi ed è "roccia" come Dio. Chiunque anela alla libertà, alla giustizia, alla pace può risollevarsi e alzare il capo, perché in Cristo la liberazione è vicina (cfr. Lc 21, 28) - come leggiamo nel Vangelo di oggi. Possiamo pertanto affermare che Gesù Cristo non riguarda solo i cristiani, o solo i credenti, ma tutti gli uomini, perché Egli, che è il centro della fede, è anche il fondamento della speranza. E della speranza ogni essere umano ha costantemente bisogno. Cari fratelli e sorelle, la Vergine Maria incarna pienamente l'umanità che vive nella speranza basata sulla fede nel Dio vivente. Lei è la Vergine dell'Avvento: è ben piantata nel presente, nell'"oggi" della salvezza; nel suo cuore raccoglie tutte le promesse passate; ed è protesa al compimento futuro. Mettiamoci alla sua scuola, per entrare veramente in questo tempo di grazia e accogliere, con gioia e responsabilità, la venuta di Dio nella nostra storia personale e sociale. (©L'Osservatore Romano - 30 novembre 1 dicembre )

lunedì 30 novembre 2009

l'attesa ..dell'Avvento

L'omelia del Papa durante la celebrazione dei primi vespri nella basilica di San Pietro
L'attesa di Dio dà senso al presente

La speranza segna il cammino dell'umanità, ma per i cristiani essa è animata dalla certezza che Dio è presente e ci accompagna. Lo ha sottolineato Benedetto XVI presiedendo i primi vespri della prima domenica di Avvento, sabato pomeriggio 28 novembre, nella basilica Vaticana. Cari fratelli e sorelle, con questa celebrazione vespertina entriamo nel tempo liturgico dell'Avvento. Nella lettura biblica che abbiamo appena ascoltato, tratta dalla Prima Lettera ai Tessalonicesi, l'apostolo Paolo ci invita a preparare la "venuta del Signore nostro Gesù Cristo" (5, 23) conservandoci irreprensibili, con la grazia di Dio. Paolo usa proprio la parola "venuta", Parusìa, in latino adventus, da cui il termine Avvento. Riflettiamo brevemente sul significato di questa parola, che può tradursi con "presenza", "arrivo", "venuta". Nel linguaggio del mondo antico era un termine tecnico utilizzato per indicare l'arrivo di un funzionario, la visita del re o dell'imperatore in una provincia. Ma poteva indicare anche la venuta della divinità, che esce dal suo nascondimento per manifestarsi con potenza, o che viene celebrata presente nel culto. I cristiani adottarono la parola "avvento" per esprimere la loro relazione con Gesù Cristo: Gesù è il Re, entrato in questa povera "provincia" denominata terra per rendere visita a tutti; alla festa del suo avvento fa partecipare quanti credono in Lui, quanti credono nella sua presenza nell'assemblea liturgica. Con la parola adventus si intendeva sostanzialmente dire: Dio è qui, non si è ritirato dal mondo, non ci ha lasciati soli. Anche se non lo possiamo vedere e toccare come avviene con le realtà sensibili, Egli è qui e viene a visitarci in molteplici modi. Il significato dell'espressione "avvento" comprende quindi anche quello di visitatio, che vuol dire semplicemente e propriamente "visita"; in questo caso si tratta di una visita di Dio: Egli entra nella mia vita e vuole rivolgersi a me. Tutti facciamo esperienza, nell'esistenza quotidiana, di avere poco tempo per il Signore e poco tempo pure per noi. Si finisce per essere assorbiti dal "fare". Non è forse vero che spesso è proprio l'attività a possederci, la società con i suoi molteplici interessi a monopolizzare la nostra attenzione? Non è forse vero che si dedica molto tempo al divertimento e a svaghi di vario genere? A volte le cose ci "travolgono". L'Avvento, questo tempo liturgico forte che stiamo iniziando, ci invita a sostare in silenzio per capire una presenza. È un invito a comprendere che i singoli eventi della giornata sono cenni che Dio ci rivolge, segni dell'attenzione che ha per ognuno di noi. Quanto spesso Dio ci fa percepire qualcosa del suo amore! Tenere, per così dire, un "diario interiore" di questo amore sarebbe un compito bello e salutare per la nostra vita! L'Avvento ci invita e ci stimola a contemplare il Signore presente. La certezza della sua presenza non dovrebbe aiutarci a vedere il mondo con occhi diversi? Non dovrebbe aiutarci a considerare tutta la nostra esistenza come "visita", come un modo in cui Egli può venire a noi e diventarci vicino, in ogni situazione? Altro elemento fondamentale dell'Avvento è l'attesa, attesa che è nello stesso tempo speranza. L'Avvento ci spinge a capire il senso del tempo e della storia come "kairós", come occasione favorevole per la nostra salvezza. Gesù ha illustrato questa realtà misteriosa in molte parabole: nel racconto dei servi invitati ad attendere il ritorno del padrone; nella parabola delle vergini che aspettano lo sposo; o in quelle della semina e della mietitura. L'uomo, nella sua vita, è in costante attesa: quando è bambino vuole crescere, da adulto tende alla realizzazione e al successo, avanzando nell'età, aspira al meritato riposo. Ma arriva il tempo in cui egli scopre di aver sperato troppo poco se, al di là della professione o della posizione sociale, non gli rimane nient'altro da sperare. La speranza segna il cammino dell'umanità, ma per i cristiani essa è animata da una certezza: il Signore è presente nello scorrere della nostra vita, ci accompagna e un giorno asciugherà anche le nostre lacrime. Un giorno, non lontano, tutto troverà il suo compimento nel Regno di Dio, Regno di giustizia e di pace. Ma ci sono modi molto diversi di attendere. Se il tempo non è riempito da un presente dotato di senso, l'attesa rischia di diventare insopportabile; se si aspetta qualcosa, ma in questo momento non c'è nulla, se il presente cioè rimane vuoto, ogni attimo che passa appare esageratamente lungo, e l'attesa si trasforma in un peso troppo grave, perché il futuro rimane del tutto incerto. Quando invece il tempo è dotato di senso, e in ogni istante percepiamo qualcosa di specifico e di valido, allora la gioia dell'attesa rende il presente più prezioso. Cari fratelli e sorelle, viviamo intensamente il presente dove già ci raggiungono i doni del Signore, viviamolo proiettati verso il futuro, un futuro carico di speranza. L'Avvento cristiano diviene in questo modo occasione per ridestare in noi il senso vero dell'attesa, ritornando al cuore della nostra fede che è il mistero di Cristo, il Messia atteso per lunghi secoli e nato nella povertà di Betlemme. Venendo tra noi, ci ha recato e continua ad offrirci il dono del suo amore e della sua salvezza. Presente tra noi, ci parla in molteplici modi: nella Sacra Scrittura, nell'anno liturgico, nei santi, negli eventi della vita quotidiana, in tutta la creazione, che cambia aspetto a seconda che dietro di essa ci sia Lui o che sia offuscata dalla nebbia di un'incerta origine e di un incerto futuro. A nostra volta, noi possiamo rivolgergli la parola, presentargli le sofferenze che ci affliggono, l'impazienza, le domande che ci sgorgano dal cuore. Siamo certi che ci ascolta sempre! E se Gesù è presente, non esiste più alcun tempo privo di senso e vuoto. Se Lui è presente, possiamo continuare a sperare anche quando gli altri non possono più assicurarci alcun sostegno, anche quando il presente diventa faticoso. Cari amici, l'Avvento è il tempo della presenza e dell'attesa dell'eterno. Proprio per questa ragione è, in modo particolare, il tempo della gioia, di una gioia interiorizzata, che nessuna sofferenza può cancellare. La gioia per il fatto che Dio si è fatto bambino. Questa gioia, invisibilmente presente in noi, ci incoraggia a camminare fiduciosi. Modello e sostegno di tale intimo gaudio è la Vergine Maria, per mezzo della quale ci è stato donato il Bambino Gesù. Ci ottenga Lei, fedele discepola del suo Figlio, la grazia di vivere questo tempo liturgico vigilanti e operosi nell'attesa. Amen! (©L'Osservatore Romano - 30 novembre 1 dicembre )

giovedì 26 novembre 2009

Chiesto in Italia lo stop alla pillola Ru486

Pare chiaro dove stanno le forze che difendono esplicitamente i valori cristiani....!!



Chiesto in Italia lo stop alla pillola Ru486

Roma, 26. La commissione Sanità del Senato italiano ha approvato, con il voto favorevole del Partito della libertà e della Lega e quello contrario del Partito democratico, il documento finale dell'indagine conoscitiva condotta sulla pillola abortiva Ru486. Nel documento si chiede di fermare la procedura di immissione in commercio della pillola in attesa di un parere tecnico del ministero della Salute circa la compatibilità dell'uso della Ru486 con la legge 194 sull'interruzione volontaria di gravidanza. I voti a favore del documento sono stati 14, fra i quali quello del presidente della commissione, Antonio Tomassini, i contrari otto. (©L'Osservatore

Per i laici del Vietnam

Messaggio del Papa ai vescovi vietnamiti per l'anno giubilare [stralcio]


Il mio affetto paterno va anche a tutti i fedeli laici vietnamiti. Essi sono presenti nel mio ricordo e nella mia preghiera quotidiana. Possano impegnarsi più profondamente e attivamente nella vita e nella missione della Chiesa.

lunedì 23 novembre 2009

i laici partecipi della regalità di Cristo

Il cardinale Tarcisio Bertone ad Assisi
I laici partecipi della regalità di Cristo

Si è arricchita di diversi significati la celebrazione presieduta, domenica 22 novembre ad Assisi dal cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, nel decimo anniversario della riapertura al culto della basilica papale di San Francesco. Innanzitutto il ricordo di quel tragico terremoto del 1997 a causa del quale la basilica venne gravemente danneggiata. Quindi la poderosa opera di ricostruzione, in virtù della quale nel giro di poco meno di due anni, è stato restituito al culto un gioiello di architettura sacra. Infine la celebrazione della regalità di Cristo alla quale i laici, in forza del battesimo, sono chiamati a partecipare e a testimoniare nella vicinanza ai più poveri e agli emarginati. Motivi che il cardinale Bertone ha riassunto nella sua omelia. Dopo aver infatti salutato i presenti - dal custode del sacro Convento, padre Giuseppe Piemontese, e all'intera comunità dei Frati minori conventuali, al Legato Pontificio cardinale Attilio Nicora, al neo-eletto presidente della Conferenza episcopale umbra monsignor Vincenzo Paglia, all'arcivescovo-vescovo di Assisi, Domenico Sorrentino, e ad altre autorità religiose e civili - il cardinale ha preso lo spunto dalle letture dell'ultima domenica dell'Anno liturgico, e si è soffermato sulla regalità di Cristo, la quale, "trasmessa a noi attraverso la Croce, continua a manifestarsi al mondo di oggi mediante la comunità dei redenti". I laici, ha ricordato il porporato, proprio per questo loro identificarsi in Cristo, come insegna il concilio Vaticano ii, "sono chiamati ad operare per la promozione della persona umana, per animare di spirito evangelico le realtà temporali, e dare così testimonianza concreta che Cristo Re è liberatore e salvatore di tutto l'uomo e di tutti gli uomini". "Servire - ha concluso - è regnare, recita un'antica e sintetica formula usata per l'insegnamento catechistico. Cristo Re ha regnato sul legno della croce, dopo aver dato l'esempio ai discepoli con il gesto della lavanda dei piedi; san Francesco ha regnato amando sorella povertà, rivestito del solo saio ed animato da un sincero amore per il suo Signore e per i poveri", dunque anche "noi, cari fratelli e sorelle" "continuiamo il nostro cammino di fede per condividere, al di là della morte, la stessa corona di gloria". Successivamente il cardinale ha unito la sua voce al "grido di sofferenza" del vescovo Sorrentino per la situazione dei lavoratori della ditta Merloni, che rischiano il licenziamento. Rivolgendo parole di solidarietà a una loro rappresentanza, in basilica per partecipare alla messa, il cardinale ha chiesto ai responsabili un impeto di intelligenza creativa per affrontare con coraggio una situazione tanto grave e una povertà che si radica sempre di più tra le popolazioni. Propri0 in considerazione di queste sfide, il porporato, incontrando, al termine della messa, un gruppo di giornalisti, ha rinnovato ai politici italiani lo stesso appello che qualche giorno fa il cardinale Bagnasco aveva rilanciato a conclusione dell'assemblea della Conferenza episcopale italiana. In questo momento di crisi, ha detto in sostanza il segretario di Stato, è necessario l'impegno di tutti per affrontare le emergenze sociali create dai gravi problemi economici e sociali che affliggono il Paese. Tra le emergenze il cardinale ha anche ricordato quelle legate ai disastri naturali che hanno colpito di recente il Paese, in particolare l'Abruzzo. A proposito della situazione nelle zone terremotate di questa regione, egli ha ricordato le tante promesse fatte, anche da capi di Stato e di Governo, durante i lavori del g8 a Coppito, e anche successivamente nel corso di alcuni incontri in Vaticano. Promesse, ha detto, che ancora aspettano di divenire realtà. Molte di quelle promesse si riferivano alla ricostruzione delle chiese andate completamente distrutte.
(©L'Osservatore Romano - 23-24 novembre 2009)
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venerdì 20 novembre 2009

La Via della Bellezza

Grazie Santità per queste grandissime parole!



BENEDETTO XVI
UDIENZA GENERALE
Aula Paolo VIMercoledì, 18 novembre 2009

La Cattedrale dall'architettura romanica a quella gotica, il retroterra teologico
Cari fratelli e sorelle!
Nelle catechesi delle scorse settimane ho presentato alcuni aspetti della teologia medievale. Ma la fede cristiana, profondamente radicata negli uomini e nelle donne di quei secoli, non diede origine soltanto a capolavori della letteratura teologica, del pensiero e della fede. Essa ispirò anche una delle creazioni artistiche più elevate della civiltà universale: le cattedrali, vera gloria del Medioevo cristiano. Infatti, per circa tre secoli, a partire dal principio del secolo XI si assistette in Europa a un fervore artistico straordinario. Un antico cronista descrive così l’entusiasmo e la laboriosità di quel tempo: “Accadde che in tutto il mondo, ma specialmente in Italia e nelle Gallie, si incominciasse a ricostruire le chiese, sebbene molte, per essere ancora in buone condizioni, non avessero bisogno di tale restaurazione. Era come una gara tra un popolo e l’altro; si sarebbe creduto che il mondo, scuotendosi di dosso i vecchi cenci, volesse rivestirsi dappertutto della bianca veste di nuove chiese. Insomma, quasi tutte le chiese cattedrali, un gran numero di chiese monastiche, e perfino oratori di villaggio, furono allora restaurati dai fedeli” (Rodolfo il Glabro, Historiarum 3,4).
Vari fattori contribuirono a questa rinascita dell’architettura religiosa. Anzitutto, condizioni storiche più favorevoli, come una maggiore sicurezza politica, accompagnata da un costante aumento della popolazione e dal progressivo sviluppo delle città, degli scambi e della ricchezza. Inoltre, gli architetti individuavano soluzioni tecniche sempre più elaborate per aumentare le dimensioni degli edifici, assicurandone allo stesso tempo la saldezza e la maestosità. Fu però principalmente grazie all’ardore e allo zelo spirituale del monachesimo in piena espansione che vennero innalzate chiese abbaziali, dove la liturgia poteva essere celebrata con dignità e solennità, e i fedeli potevano sostare in preghiera, attratti dalla venerazione delle reliquie dei santi, mèta di incessanti pellegrinaggi. Nacquero così le chiese e le cattedrali romaniche, caratterizzate dallo sviluppo longitudinale, in lunghezza, delle navate per accogliere numerosi fedeli; chiese molto solide, con muri spessi, volte in pietra e linee semplici ed essenziali. Una novità è rappresentata dall’introduzione delle sculture. Essendo le chiese romaniche il luogo della preghiera monastica e del culto dei fedeli, gli scultori, più che preoccuparsi della perfezione tecnica, curarono soprattutto la finalità educativa. Poiché bisognava suscitare nelle anime impressioni forti, sentimenti che potessero incitare a fuggire il vizio, il male, e a praticare la virtù, il bene, il tema ricorrente era la rappresentazione di Cristo come giudice universale, circondato dai personaggi dell’Apocalisse. Sono in genere i portali delle chiese romaniche a offrire questa raffigurazione, per sottolineare che Cristo è la Porta che conduce al Cielo. I fedeli, oltrepassando la soglia dell’edificio sacro, entrano in un tempo e in uno spazio differenti da quelli della vita ordinaria. Oltre il portale della chiesa, i credenti in Cristo, sovrano, giusto e misericordioso, nell’intenzione degli artisti potevano gustare un anticipo della beatitudine eterna nella celebrazione della liturgia e negli atti di pietà svolti all’interno dell’edificio sacro.
Nel secoli XII e XIII, a partire dal nord della Francia, si diffuse un altro tipo di architettura nella costruzione degli edifici sacri, quella gotica, con due caratteristiche nuove rispetto al romanico, e cioè lo slancio verticale e la luminosità. Le cattedrali gotiche mostravano una sintesi di fede e di arte armoniosamente espressa attraverso il linguaggio universale e affascinante della bellezza, che ancor oggi suscita stupore. Grazie all’introduzione delle volte a sesto acuto, che poggiavano su robusti pilastri, fu possibile innalzarne notevolmente l’altezza. Lo slancio verso l’alto voleva invitare alla preghiera ed era esso stesso una preghiera. La cattedrale gotica intendeva tradurre così, nelle sue linee architettoniche, l’anelito delle anime verso Dio. Inoltre, con le nuove soluzioni tecniche adottate, i muri perimetrali potevano essere traforati e abbelliti da vetrate policrome. In altre parole, le finestre diventavano grandi immagini luminose, molto adatte ad istruire il popolo nella fede. In esse - scena per scena – venivano narrati la vita di un santo, una parabola, o altri eventi biblici. Dalle vetrate dipinte una cascata di luce si riversava sui fedeli per narrare loro la storia della salvezza e coinvolgerli in questa storia.
Un altro pregio delle cattedrali gotiche è costituito dal fatto che alla loro costruzione e alla loro decorazione, in modo differente ma corale, partecipava tutta la comunità cristiana e civile; partecipavano gli umili e i potenti, gli analfabeti e i dotti, perché in questa casa comune tutti i credenti erano istruiti nella fede. La scultura gotica ha fatto delle cattedrali una “Bibbia di pietra”, rappresentando gli episodi del Vangelo e illustrando i contenuti dell’anno liturgico, dalla Natività alla Glorificazione del Signore. In quei secoli, inoltre, si diffondeva sempre di più la percezione dell’umanità del Signore, e i patimenti della sua Passione venivano rappresentati in modo realistico: il Cristo sofferente (Christus patiens) divenne un’immagine amata da tutti, ed atta a ispirare pietà e pentimento per i peccati. Né mancavano i personaggi dell’Antico Testamento, la cui storia divenne in tal modo familiare ai fedeli che frequentavano le cattedrali come parte dell’unica, comune storia di salvezza. Con i suoi volti pieni di bellezza, di dolcezza, di intelligenza, la scultura gotica del secolo XIII rivela una pietà felice e serena, che si compiace di effondere una devozione sentita e filiale verso la Madre di Dio, vista a volte come una giovane donna, sorridente e materna, e principalmente rappresentata come la sovrana del cielo e della terra, potente e misericordiosa. I fedeli che affollavano le cattedrali gotiche amavano trovarvi anche espressioni artistiche che ricordassero i santi, modelli di vita cristiana e intercessori presso Dio. E non mancarono le manifestazioni “laiche” dell’esistenza; ecco allora apparire, qua e là, rappresentazioni del lavoro dei campi, delle scienze e delle arti. Tutto era orientato e offerto a Dio nel luogo in cui si celebrava la liturgia. Possiamo comprendere meglio il senso che veniva attribuito a una cattedrale gotica, considerando il testo dell’iscrizione incisa sul portale centrale di Saint-Denis, a Parigi: “Passante, che vuoi lodare la bellezza di queste porte, non lasciarti abbagliare né dall’oro, né dalla magnificenza, ma piuttosto dal faticoso lavoro. Qui brilla un’opera famosa, ma voglia il cielo che quest’opera famosa che brilla faccia splendere gli spiriti, affinché con le verità luminose s’incamminino verso la vera luce, dove il Cristo è la vera porta”.
Cari fratelli e sorelle, mi piace ora sottolineare due elementi dell’arte romanica e gotica utili anche per noi. Il primo: i capolavori artistici nati in Europa nei secoli passati sono incomprensibili se non si tiene conto dell’anima religiosa che li ha ispirati. Un artista, che ha testimoniato sempre l’incontro tra estetica e fede, Marc Chagall, ha scritto che “i pittori per secoli hanno intinto il loro pennello in quell'alfabeto colorato che era la Bibbia”. Quando la fede, in modo particolare celebrata nella liturgia, incontra l’arte, si crea una sintonia profonda, perché entrambe possono e vogliono parlare di Dio, rendendo visibile l’Invisibile. Vorrei condividere questo nell’incontro con gli artisti del 21 novembre, rinnovando ad essi quella proposta di amicizia tra la spiritualità cristiana e l’arte, auspicata dai miei venerati Predecessori, in particolare dai Servi di Dio Paolo VI e Giovanni Paolo II. Il secondo elemento: la forza dello stile romanico e lo splendore delle cattedrali gotiche ci rammentano che la via pulchritudinis, la via della bellezza, è un percorso privilegiato e affascinante per avvicinarsi al Mistero di Dio. Che cos’è la bellezza, che scrittori, poeti, musicisti, artisti contemplano e traducono nel loro linguaggio, se non il riflesso dello splendore del Verbo eterno fatto carne? Afferma sant’Agostino: “Interroga la bellezza della terra, interroga la bellezza del mare, interroga la bellezza dell’aria diffusa e soffusa. Interroga la bellezza del cielo, interroga l’ordine delle stelle, interroga il sole, che col suo splendore rischiara il giorno; interroga la luna, che col suo chiarore modera le tenebre della notte. Interroga le fiere che si muovono nell'acqua, che camminano sulla terra, che volano nell'aria: anime che si nascondono, corpi che si mostrano; visibile che si fa guidare, invisibile che guida. Interrogali! Tutti ti risponderanno: Guardaci: siamo belli! La loro bellezza li fa conoscere. Questa bellezza mutevole chi l’ha creata, se non la Bellezza Immutabile?” (Sermo CCXLI, 2: PL 38, 1134).
Cari fratelli e sorelle, ci aiuti il Signore a riscoprire la via della bellezza come uno degli itinerari, forse il più attraente ed affascinante, per giungere ad incontrare ed amare Dio.
Saluti:
Chers frères et soeurs, C’est avec plaisir que je vous accueille ce matin chers pèlerins de langue française. Je salue particulièrement les membres de la Conférence des Évêques latins dans les Régions arabes. Que la beauté de la création et des œuvres d’art, si nombreuses à Rome, vous aide tous à rencontrer et à aimer Dieu! Avec ma Bénédiction Apostolique!
My dear brothers and sisters, I am pleased to greet all the English-speaking pilgrims present at today’s audience, especially the board members of the World Union of Catholic Women’s Organizations. Upon you all I cordially invoke God’s abundant blessings!
Liebe Brüder und Schwestern! Ganz herzlich grüße ich alle deutschsprachigen Gäste. Die vielen Zeugnisse großer christlicher Kunst, die wir hier in Rom und in unserer Heimat sehen, laden uns ein, Gott für die Macht seiner Liebe zu danken, mit der er uns Menschen auch durch die Schönheit nahekommt. Euch allen wünsche ich einen gesegneten Aufenthalt in der Ewigen Stadt.
Queridos hermanos y hermanas: Saludo cordialmente a los fieles de lengua española. En particular, al grupo de la Caja de Ahorros, de Burgos, con su Arzobispo Monseñor Francisco Gil Hellín, y a la Caravana “por la paz y la liberación de los secuestrados”, de Colombia, así como a los peregrinos de España, México y de otros Países Latinoamericanos. Os invito a cultivar en vuestro espíritu el gusto por el arte religioso, para saber descubrir en él un reflejo del esplendor y hermosura de Cristo, el Hijo de Dios hecho carne. Muchas gracias.
Queridos irmãos e irmãs A minha saudação a todos peregrinos de língua portuguesa, com uma bênção particular para o grupo vindo do Brasil. Que Nossa Senhora vos acompanhe e ampare na caminhada da vida e no crescimento cristão, conservando a vós e a quantos vos são queridos na perene amizade de Deus.
Saluto in lingua polacca:
Witam polskich pielgrzymów. Przybyliście do grobów Apostołów Piotra i Pawła, aby umacniać swą wiarę i pogłębiać miłość do Chrystusa i do Kościoła. Dziś jest ku temu szczególna okazja: dziś przypada rocznica poświęcenia Bazylik św. Piotra w Watykanie i św. Pawła za Murami. Nawiedzając te miejsca, wnikajcie w tajemnice nauczania i męczeństwa pierwszych Świadków, aby kształtowały wasze chrześcijańskie życie. Niech Bóg wam błogosławi!
Traduzione italiana:
Do il benvenuto ai pellegrini polacchi. Siete giunti alle tombe degli Apostoli Pietro e Paolo, per consolidare la vostra fede e approfondire l’amore per Cristo e per la Chiesa. Oggi è un’occasione particolare: si celebra l’anniversario della dedicazione delle Basiliche di San Pietro in Vaticano e di San Paolo fuori le Mura. Visitando questi luoghi scrutate i misteri dell’insegnamento e del martirio dei primi Testimoni, affinché modellino la vostra vita cristiana. Dio vi benedica!
Saluto in lingua slovacca:
Srdečne pozdravujem pútnikov zo Slovenska, osobitne z Bratislavy. Bratia a sestry, v týchto dňoch si pripomínate dvadsiate výročie pádu totalitného režimu vo vašej vlasti a návratu slobody občianskej i náboženskej. Ďakujme Bohu za tento dar a nezabúdajme na našich bratov a sestry vo svete, ktorí trpia. S láskou žehnám vás i vašich drahých. Pochválený buď Ježiš Kristus!
Traduzione italiana:
Saluto cordialmente i pellegrini provenienti dalla Slovacchia, particolarmente quelli di Bratislava.Fratelli e sorelle, in questi giorni ricordate il ventesimo anniversario della caduta del regime totalitario nella vostra Patria ed il ritorno della libertà civile e religiosa. Ringraziamo Dio per questo dono e non dimentichiamo i nostri fratelli e sorelle nel mondo che soffrono. Con affetto benedico voi ed i vostri cari.Sia lodato Gesù Cristo!
Saluto in lingua ungherese:
Isten hozta az ezeréves Pécsi Egyházmegye küldöttségét, akik Mayer Mihály Püspök Atya vezetésével érkeztek. Szent Péter Apostol és Szent Mór Püspök, az egyházmegye védőszentjeinek közbenjárására a mindenható Isten áldását kérem Kedves Mindnyájukra. Dicsértessék a Jézus Krisztus!
Traduzione italiana:
Do il benvenuto ai Rappresentanti della millenaria Diocesi di Pécs, i quali sono arrivati con il loro Vescovo, Mons. Mihály Mayer. Chiedendo la protezione dei Santi Patroni diocesani San Pietro Apostolo e San Mauro Vescovo, imploro la benedizione dell'Onnipotente su tutti voi.Sia lodato Gesù Cristo!
* * *
Rivolgo ora un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, sono lieto di rivolgere il mio benvenuto ai Signori Cardinali, ai Vescovi e a tutti i membri dell’Assemblea Plenaria della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, presieduta dal Cardinale Ivan Dias. La vostra presenza mi offre l’opportunità di rinnovare a ciascuno l’espressione della mia viva gratitudine per il generoso impegno con il quale operate a favore della diffusione del messaggio evangelico. Affido alla protezione di Maria Santissima, Regina degli Apostoli, questa vostra Plenaria, invocando la sua materna assistenza su quanti sono coinvolti nell’azione missionaria in ogni angolo della terra. Saluto i sacerdoti dell’Arcidiocesi di Taranto, accompagnati dal loro Pastore Mons. Benigno Papa, e li esorto a cercare con sollecitudine “le cose di lassù” (Col, 3,1) per essere testimoni sempre più credibili del primato di Dio. Saluto i rappresentanti della Federazione Italiana degli Addetti al Culto ed esprimo il mio cordiale compiacimento per l’opera importante che essi svolgono nella preparazione e nella cura degli spazi liturgici, come pure dei Beni culturali custoditi nelle chiese.
Saluto, infine, i giovani, i malati e gli sposi novelli. Nell'odierna Liturgia celebriamo la Dedicazione della Basilica di San Pietro in Vaticano e di quella di San Paolo sulla via Ostiense. Questa festa ci offre l'occasione di porre in luce il significato ed il valore della Chiesa. Cari giovani, amate la Chiesa e cooperate con entusiasmo alla sua edificazione. Cari malati, vivete l'offerta della vostra sofferenza come un contributo prezioso alla crescita spirituale delle comunità cristiane. E voi, cari sposi novelli, siate nel mondo un segno vivo dell'amore di Cristo.
APPELLO
Dopodomani si terrà presso le Nazioni Unite la Giornata Mondiale di Preghiera e di Azione per i Bambini, in occasione del 20° anniversario dell’adozione della Convenzione sui diritti del fanciullo. Il mio pensiero va a tutti i bambini del mondo, specialmente a quanti vivono in condizioni difficili e soffrono a causa della violenza, degli abusi, della malattia, della guerra o della fame.
Vi invito ad unirvi alla mia preghiera e, al tempo stesso, faccio appello alla Comunità internazionale affinché si moltiplichino gli sforzi per offrire un’adeguata risposta ai drammatici problemi dell’infanzia. Non manchi il generoso impegno di tutti affinché siano riconosciuti i diritti dei fanciulli e rispettata sempre più la loro dignità.

© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana

lunedì 9 novembre 2009

Lo sport: occasione di sviluppo integrale

Messaggio del Papa a un seminario su sport, educazione e fede
L'attività agonistica va stimolata senza ricorrere al doping

Attraverso lo sport "sacerdoti, religiosi e laici possono diventare veri e propri educatori e maestri di vita dei giovani". Lo ha scritto Benedetto XVI nel messaggio indirizzato al cardinale Stanislaw Rylko, presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, in occasione del seminario internazionale di studi, svoltosi a Roma dal 6 al 7 novembre su iniziativa della sezione Chiesa e sport del dicastero.

Al Venerato Fratello StanisLaw Card. RyLko Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici
Con vero piacere, invio un cordiale saluto a Lei, al Segretario, ai collaboratori del Pontificio Consiglio per i Laici, ai rappresentanti degli Organismi Cattolici che operano nel mondo dello sport, ai responsabili delle associazioni sportive internazionali e nazionali e a tutti coloro che prendono parte al Seminario di studi sul tema: "Sport, educazione, fede: per una nuova stagione del movimento sportivo cattolico", organizzato dalla Sezione "Chiesa e sport" di codesto Dicastero. Lo sport possiede un notevole potenziale educativo soprattutto in ambito giovanile e, per questo, occupa grande rilievo non solo nell'impiego del tempo libero, ma anche nella formazione della persona. Il Concilio Vaticano ii lo ha voluto annoverare tra i mezzi che appartengono al patrimonio comune degli uomini e che sono adatti al perfezionamento morale ed alla formazione umana (cfr. Gravissimum Educationis, n. 4). Se questo è vero per l'attività sportiva in generale, tanto più lo è per quella svolta negli oratori, nelle scuole e nelle associazioni sportive, con lo scopo di assicurare una formazione umana e cristiana alle nuove generazioni. Come ho avuto modo di ricordare recentemente, non va dimenticato che "lo sport, praticato con passione e vigile senso etico, specialmente per la gioventù, diventa palestra di un sano agonismo e di perfezionamento fisico, scuola di formazione ai valori umani e spirituali, mezzo privilegiato di crescita personale e di contatto con la società" (cfr. Discorso ai partecipanti dei Mondiali di Nuoto, 1° agosto 2009). Attraverso le attività sportive, la comunità ecclesiale contribuisce alla formazione della gioventù, fornendo un ambito adatto alla sua crescita umana e spirituale. Infatti, quando sono finalizzate allo sviluppo integrale della persona e gestite da personale qualificato e competente, le iniziative sportive si rivelano occasione proficua in cui sacerdoti, religiosi e laici possono diventare veri e propri educatori e maestri di vita dei giovani. È pertanto necessario che, in questa nostra epoca - in cui si avverte urgente l'esigenza di educare le nuove generazioni -, la Chiesa continui a sostenere lo sport per i giovani, valorizzando appieno anche l'attività agonistica nei suoi aspetti positivi, come, ad esempio, nella capacità di stimolare la competitività, il coraggio e la tenacia nel perseguire gli obbiettivi, evitando, però, ogni tendenza che ne snaturi la natura stessa con il ricorso a pratiche persino dannose per l'organismo, come avviene nel caso del doping. In un'azione formativa coordinata, i dirigenti, i tecnici e gli operatori cattolici devono considerarsi sperimentate guide per gli adolescenti, aiutandoli a sviluppare le proprie potenzialità agonistiche senza trascurare quelle qualità umane e quelle virtù cristiane che rendono la persona completamente matura. In tale prospettiva, trovo quanto mai utile che questo terzo Seminario della Sezione "Chiesa e sport" del Pontificio Consiglio per i Laici, incentri la sua attenzione sulla specifica missione e sulla identità cattolica delle associazioni sportive, delle scuole e degli oratori gestiti dalla Chiesa. Auspico di cuore che esso aiuti a cogliere le molte e preziose opportunità che lo sport può offrire alla pastorale giovanile e, mentre auguro un incontro fruttuoso, assicuro la mia preghiera invocando sui partecipanti e su coloro che sono impegnati a promuovere una sana attività sportiva, in modo particolare nelle Istituzioni cattoliche, la guida dello Spirito Santo e la protezione materna di Maria. Con tali sentimenti, invio di cuore a tutti la mia Benedizione Apostolica. Dal Vaticano, 3 Novembre 2009