domenica 30 maggio 2010

P. Matteo Ricci:sintesi tra annuncio del Vangelo e dialogo con la cultura a cui lo si porta


L'udienza del Papa alle diocesi marchigiane per il quarto centenario della morte di Matteo Ricci
Preghiere e stima per la Chiesa e per il nobile popolo cinese

L'attenzione della Chiesa per il "nobile popolo cinese" è stata ribadita dal Papa questa mattina, sabato 29 maggio, in occasione dell'udienza concessa ai partecipanti al pellegrinaggio organizzato in occasione del IV centenario della morte del padre Matteo Ricci, il vero protagonista dell'inculturazione cinese dell'annuncio evangelico. Signor Cardinale, venerati fratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio, distinte Autorità, cari fratelli e sorelle, sono lieto di incontrarvi per ricordare il iv Centenario della morte di Padre Matteo Ricci, s.j. Saluto fraternamente il Vescovo di Macerata-Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia, Mons. Claudio Giuliodori, che guida questo numeroso pellegrinaggio. Con lui saluto i Confratelli della Conferenza Episcopale marchigiana e le rispettive Diocesi, le Autorità civili, militari e accademiche; i sacerdoti, i seminaristi e gli studenti, ed anche i Pueri Cantores. Macerata è fiera di un cittadino, un religioso e un sacerdote così illustre! Saluto i Membri della Compagnia di Gesù, di cui fece parte P. Ricci, in particolare il Preposito Generale, P. Adolfo Nicolás, i loro amici e collaboratori e le istituzioni educative a loro legate. Un pensiero anche a tutti i Cinesi. ! [Salve!] L'11 maggio del 1610, a Pechino, terminava la vita terrena di questo grande missionario, vero protagonista dell'annuncio del Vangelo in Cina nell'era moderna dopo la prima evangelizzazione dell'Arcivescovo Giovanni da Montecorvino. Di quale stima fosse circondato nella capitale cinese e nella stessa corte imperiale ne è segno il privilegio straordinario che gli fu concesso, impensabile per uno straniero, di essere sepolto in terra cinese. Anche oggi è possibile venerare la sua tomba a Pechino, opportunamente restaurata dalle Autorità locali. Le molteplici iniziative promosse in Europa e in Cina per onorare P. Ricci, mostrano il vivo interesse che la sua opera continua a riscuotere nella Chiesa e in ambienti culturali diversi. La storia delle missioni cattoliche comprende figure di grande statura per lo zelo e il coraggio di portare Cristo in terre nuove e lontane, ma P. Ricci è un caso singolare di felice sintesi fra l'annuncio del Vangelo e il dialogo con la cultura del popolo a cui lo si porta, un esempio di equilibrio tra chiarezza dottrinale e prudente azione pastorale. Non solo l'apprendimento profondo della lingua, ma anche l'assunzione dello stile di vita e degli usi delle classi colte cinesi, frutto di studio e di esercizio paziente e lungimirante, fecero sì che P. Ricci venisse accettato dai cinesi con rispetto e stima, non più come uno straniero, ma come il "Maestro del grande Occidente". Nel "Museo del Millennio" di Pechino solo due stranieri sono ricordati fra i grandi della storia della Cina: Marco Polo e P. Matteo Ricci. L'opera di questo missionario presenta due versanti che non devono essere separati: l'inculturazione cinese dell'annuncio evangelico e la presentazione alla Cina della cultura e della scienza occidentali. Spesso gli aspetti scientifici hanno riscosso maggiore interesse, ma non bisogna dimenticare la prospettiva con cui P. Ricci è entrato in rapporto con il mondo e la cultura cinesi: un umanesimo che considera la persona inserita nel suo contesto, ne coltiva i valori morali e spirituali, cogliendo tutto ciò che di positivo si trova nella tradizione cinese e offrendo di arricchirlo con il contributo della cultura occidentale ma, soprattutto, con la sapienza e la verità di Cristo. P. Ricci non si reca in Cina per portarvi la scienza e la cultura dell'Occidente, ma per portarvi il Vangelo, per far conoscere Dio. Egli scrive: "Per più di vent'anni ogni mattina e ogni sera ho pregato in lacrime verso il Cielo. So che il Signore del Cielo ha pietà delle creature viventi e le perdona (...) La verità sul Signore del Cielo è già nei cuori degli uomini. Ma gli esseri umani non la comprendono immediatamente e, inoltre, non sono inclini a riflettere su una simile questione" (Il vero significato del "Signore del Cielo", Roma 2006, pp.69-70). Ed è proprio mentre porta il Vangelo, che P. Ricci trova nei suoi interlocutori la domanda di un confronto più ampio, così che l'incontro motivato dalla fede, diventa anche dialogo fra culture; un dialogo disinteressato, libero da mire di potere economico o politico, vissuto nell'amicizia, che fa dell'opera di P. Ricci e dei suoi discepoli uno dei punti più alti e felici nel rapporto fra la Cina e l'Occidente. Al riguardo, il "Trattato dell'amicizia" (1595), una delle sue prime e più note opere in cinese, è eloquente. Nel pensiero e nell'insegnamento di P. Ricci scienza, ragione e fede trovano una naturale sintesi: "Chi conosce il cielo e la terra - scrive nella prefazione alla terza edizione del mappamondo - può provare che Colui che governa il cielo e la terra è assolutamente buono, assolutamente grande e assolutamente uno. Gli ignoranti rigettano il Cielo, ma la scienza che non risale all'Imperatore del Cielo come alla prima causa, non è per niente scienza". L'ammirazione verso P. Ricci non deve, però, far dimenticare il ruolo e l'influsso dei suoi interlocutori cinesi. Le scelte da lui compiute non dipendevano da una strategia astratta di inculturazione della fede, ma dall'insieme degli eventi, degli incontri e delle esperienze che andava facendo, per cui ciò che ha potuto realizzare è stato grazie anche all'incontro con i cinesi; un incontro vissuto in molti modi, ma approfonditosi attraverso il rapporto con alcuni amici e discepoli, specie i quattro celebri convertiti, "pilastri della nascente Chiesa cinese". Di questi il primo e più famoso è Xu Guangqi, nativo di Shanghai, letterato e scienziato, matematico, astronomo, studioso di agricoltura, giunto ai più alti gradi della burocrazia imperiale, uomo integro, di grande fede e vita cristiana, dedito al servizio del suo Paese, e che occupa un posto di rilievo nella storia della cultura cinese. È lui, ad esempio, a convincere e aiutare P. Ricci a tradurre in cinese gli "Elementi" di Euclide, opera fondamentale della geometria, o ad ottenere che l'Imperatore affidasse agli astronomi gesuiti la riforma del calendario cinese. Come è un altro degli studiosi cinesi convertiti al Cristianesimo - Li Zhizao - ad aiutare P. Ricci nella realizzazione delle ultime e più sviluppate edizioni del mappamondo, che avrebbe dato ai cinesi una nuova immagine del mondo. Egli descriveva P. Ricci con queste parole: "Io l'ho creduto un uomo singolare perché vive nel celibato, non briga le cariche, parla poco, ha una condotta regolata e questo tutti i giorni, coltiva la virtù di nascosto e serve Dio continuamente". È giusto dunque associare a P. Matteo Ricci anche i suoi grandi amici cinesi, che con lui condivisero l'esperienza di fede. Cari fratelli e sorelle, il ricordo di questi uomini di Dio dediti al Vangelo e alla Chiesa, il loro esempio di fedeltà a Cristo, il profondo amore verso il popolo cinese, l'impegno di intelligenza e di studio, la loro vita virtuosa, siano occasione di preghiera per la Chiesa in Cina e per l'intero popolo cinese, come facciamo ogni anno, il 24 maggio, rivolgendoci a Maria Santissima, venerata nel celebre Santuario di Sheshan a Shanghai; e siano anche di stimolo ed incoraggiamento a vivere con intensità la fede cristiana, nel dialogo con le diverse culture, ma nella certezza che in Cristo si realizza il vero umanesimo, aperto a Dio, ricco di valori morali e spirituali e capace di rispondere ai desideri più profondi dell'animo umano. Anch'io, come P. Matteo Ricci, esprimo oggi la mia profonda stima al nobile popolo cinese e alla sua cultura millenaria, convinto che un loro rinnovato incontro con il Cristianesimo apporterà frutti abbondanti di bene, come allora favorì una pacifica convivenza tra i popoli. Grazie.

venerdì 28 maggio 2010

le Radici dell' Emergenza Educativa


Riportiamo un eccellente spiegazione delle radici profonde per le quali si dà motivo di parlare e di occupursi di Emergenza Educativa.
Pensiamo che questo sia un discorso esaustivo per quanti questi giorni cercavano di trovare spiegazioni sugli ultimi dati Istat circa la questione dei cosiddetti "bamboccioni".
La politica, o meglio un certo modo di politica abituata a stare nei salotti televisivi, spesso non ci restituisce un chiaro senso ed una chiara spiegazione di questa realtà
Invece da queste parole del Santo Padre sembra evidente che tutto possa ricondursi alla grande questione educativa, attualmente al centro degli interessi culturali e pastorali della Chiesa.


Il discorso di Benedetto XVI all'assemblea generale della Conferenza episcopale italiana

Venerati e cari Fratelli, nel Vangelo proclamato domenica scorsa, Solennità di Pentecoste, Gesù ci ha promesso: "Il Paraclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto" (Gv 14, 26). Lo Spirito Santo guida la Chiesa nel mondo e nella storia. Grazie a questo dono del Risorto, il Signore resta presente nello scorrere degli eventi; è nello Spirito che possiamo riconoscere in Cristo il senso delle vicende umane. Lo Spirito Santo ci fa Chiesa, comunione e comunità incessantemente convocata, rinnovata e rilanciata verso il compimento del Regno di Dio. È nella comunione ecclesiale la radice e la ragione fondamentale del vostro convenire e del mio essere ancora una volta con voi, con gioia, in occasione di questo appuntamento annuale; è la prospettiva con la quale vi esorto ad affrontare i temi del vostro lavoro, nel quale siete chiamati a riflettere sulla vita e sul rinnovamento dell'azione pastorale della Chiesa in Italia. Sono grato al Cardinale Angelo Bagnasco per le cortesi e intense parole che mi ha rivolto, facendosi interprete dei vostri sentimenti: il Papa sa di poter contare sempre sui Vescovi italiani. In voi saluto le comunità diocesane affidate alle vostre cure, mentre estendo il mio pensiero e la mia vicinanza spirituale all'intero popolo italiano. Corroborati dallo Spirito, in continuità con il cammino indicato dal Concilio Vaticano ii, e in particolare con gli orientamenti pastorali del decennio appena concluso, avete scelto di assumere l'educazione quale tema portante per i prossimi dieci anni. Tale orizzonte temporale è proporzionato alla radicalità e all'ampiezza della domanda educativa. E mi sembra necessario andare fino alle radici profonde di questa emergenza per trovare anche le risposte adeguate a questa sfida. Io ne vedo soprattutto due. Una radice essenziale consiste - mi sembra - in un falso concetto di autonomia dell'uomo: l'uomo dovrebbe svilupparsi solo da se stesso, senza imposizioni da parte di altri, i quali potrebbero assistere il suo autosviluppo, ma non entrare in questo sviluppo. In realtà, è essenziale per la persona umana il fatto che diventa se stessa solo dall'altro, l'"io" diventa se stesso solo dal "tu" e dal "voi", è creato per il dialogo, per la comunione sincronica e diacronica. E solo l'incontro con il "tu" e con il "noi" apre l'"io" a se stesso. Perciò la cosiddetta educazione antiautoritaria non è educazione, ma rinuncia all'educazione: così non viene dato quanto noi siamo debitori di dare agli altri, cioè questo "tu" e "noi" nel quale si apre l'"io" a se stesso. Quindi un primo punto mi sembra questo: superare questa falsa idea di autonomia dell'uomo, come un "io" completo in se stesso, mentre diventa "io" anche nell'incontro collettivo con il "tu" e con il "noi". L'altra radice dell'emergenza educativa io la vedo nello scetticismo e nel relativismo o, con parole più semplici e chiare, nell'esclusione delle due fonti che orientano il cammino umano. La prima fonte dovrebbe essere la natura secondo la Rivelazione. Ma la natura viene considerata oggi come una cosa puramente meccanica, quindi che non contiene in sé alcun imperativo morale, alcun orientamento valoriale: è una cosa puramente meccanica, e quindi non viene alcun orientamento dall'essere stesso. La Rivelazione viene considerata o come un momento dello sviluppo storico, quindi relativo come tutto lo sviluppo storico e culturale, o - si dice - forse c'è rivelazione, ma non comprende contenuti, solo motivazioni. E se tacciono queste due fonti, la natura e la Rivelazione, anche la terza fonte, la storia, non parla più, perché anche la storia diventa solo un agglomerato di decisioni culturali, occasionali, arbitrarie, che non valgono per il presente e per il futuro. Fondamentale è quindi ritrovare un concetto vero della natura come creazione di Dio che parla a noi; il Creatore, tramite il libro della creazione, parla a noi e ci mostra i valori veri. E poi così anche ritrovare la Rivelazione: riconoscere che il libro della creazione, nel quale Dio ci dà gli orientamenti fondamentali, è decifrato nella Rivelazione, è applicato e fatto proprio nella storia culturale e religiosa, non senza errori, ma in una maniera sostanzialmente valida, sempre di nuovo da sviluppare e da purificare. Così, in questo "concerto" - per così dire - tra creazione decifrata nella Rivelazione, concretizzata nella storia culturale che sempre va avanti e nella quale noi ritroviamo sempre più il linguaggio di Dio, si aprono anche le indicazioni per un'educazione che non è imposizione, ma realmente apertura dell'"io" al "tu", al "noi" e al "Tu" di Dio. Quindi le difficoltà sono grandi: ritrovare le fonti, il linguaggio delle fonti, ma, pur consapevoli del peso di queste difficoltà, non possiamo cedere alla sfiducia e alla rassegnazione. Educare non è mai stato facile, ma non dobbiamo arrenderci: verremmo meno al mandato che il Signore stesso ci ha affidato, chiamandoci a pascere con amore il suo gregge. Risvegliamo piuttosto nelle nostre comunità quella passione educativa, che è una passione dell'"io" per il "tu", per il "noi", per Dio, e che non si risolve in una didattica, in un insieme di tecniche e nemmeno nella trasmissione di principi aridi. Educare è formare le nuove generazioni, perché sappiano entrare in rapporto con il mondo, forti di una memoria significativa che non è solo occasionale, ma accresciuta dal linguaggio di Dio che troviamo nella natura e nella Rivelazione, di un patrimonio interiore condiviso, della vera sapienza che, mentre riconosce il fine trascendente della vita, orienta il pensiero, gli affetti e il giudizio. I giovani portano una sete nel loro cuore, e questa sete è una domanda di significato e di rapporti umani autentici, che aiutino a non sentirsi soli davanti alle sfide della vita. È desiderio di un futuro, reso meno incerto da una compagnia sicura e affidabile, che si accosta a ciascuno con delicatezza e rispetto, proponendo valori saldi a partire dai quali crescere verso traguardi alti, ma raggiungibili. La nostra risposta è l'annuncio del Dio amico dell'uomo, che in Gesù si è fatto prossimo a ciascuno. La trasmissione della fede è parte irrinunciabile della formazione integrale della persona, perché in Gesù Cristo si realizza il progetto di una vita riuscita: come insegna il Concilio Vaticano ii, "chiunque segue Cristo, l'uomo perfetto, diventa anch'egli più uomo" (Gaudium et spes, 41). L'incontro personale con Gesù è la chiave per intuire la rilevanza di Dio nell'esistenza quotidiana, il segreto per spenderla nella carità fraterna, la condizione per rialzarsi sempre dalle cadute e muoversi a costante conversione. Il compito educativo, che avete assunto come prioritario, valorizza segni e tradizioni, di cui l'Italia è così ricca. Necessita di luoghi credibili: anzitutto la famiglia, con il suo ruolo peculiare e irrinunciabile; la scuola, orizzonte comune al di là delle opzioni ideologiche; la parrocchia, "fontana del villaggio", luogo ed esperienza che inizia alla fede nel tessuto delle relazioni quotidiane. In ognuno di questi ambiti resta decisiva la qualità della testimonianza, via privilegiata della missione ecclesiale. L'accoglienza della proposta cristiana passa, infatti, attraverso relazioni di vicinanza, lealtà e fiducia. In un tempo nel quale la grande tradizione del passato rischia di rimanere lettera morta, siamo chiamati ad affiancarci a ciascuno con disponibilità sempre nuova, accompagnandolo nel cammino di scoperta e assimilazione personale della verità. E facendo questo anche noi possiamo riscoprire in modo nuovo le realtà fondamentali. La volontà di promuovere una rinnovata stagione di evangelizzazione non nasconde le ferite da cui la comunità ecclesiale è segnata, per la debolezza e il peccato di alcuni suoi membri. Questa umile e dolorosa ammissione non deve, però, far dimenticare il servizio gratuito e appassionato di tanti credenti, a partire dai sacerdoti. L'anno speciale a loro dedicato ha voluto costituire un'opportunità per promuoverne il rinnovamento interiore, quale condizione per un più incisivo impegno evangelico e ministeriale. Nel contempo, ci aiuta anche a riconoscere la testimonianza di santità di quanti - sull'esempio del Curato d'Ars - si spendono senza riserve per educare alla speranza, alla fede e alla carità. In questa luce, ciò che è motivo di scandalo, deve tradursi per noi in richiamo a un "profondo bisogno di ri-imparare la penitenza, di accettare la purificazione, di imparare da una parte il perdono, ma anche la necessità della giustizia" (Benedetto XVI, Intervista ai giornalisti durante il volo verso il Portogallo, 11 maggio 2010). Cari Fratelli, vi incoraggio a percorrere senza esitazioni la strada dell'impegno educativo. Lo Spirito Santo vi aiuti a non perdere mai la fiducia nei giovani, vi spinga ad andare loro incontro, vi porti a frequentarne gli ambienti di vita, compreso quello costituito dalle nuove tecnologie di comunicazione, che ormai permeano la cultura in ogni sua espressione. Non si tratta di adeguare il Vangelo al mondo, ma di attingere dal Vangelo quella perenne novità, che consente in ogni tempo di trovare le forme adatte per annunciare la Parola che non passa, fecondando e servendo l'umana esistenza. Torniamo, dunque, a proporre ai giovani la misura alta e trascendente della vita, intesa come vocazione: chiamati alla vita consacrata, al sacerdozio, al matrimonio, sappiano rispondere con generosità all'appello del Signore, perché solo così potranno cogliere ciò che è essenziale per ciascuno. La frontiera educativa costituisce il luogo per un'ampia convergenza di intenti: la formazione delle nuove generazioni non può, infatti, che stare a cuore a tutti gli uomini di buona volontà, interpellando la capacità della società intera di assicurare riferimenti affidabili per lo sviluppo armonico delle persone. Anche in Italia la presente stagione è marcata da un'incertezza sui valori, evidente nella fatica di tanti adulti a tener fede agli impegni assunti: ciò è indice di una crisi culturale e spirituale, altrettanto seria di quella economica. Sarebbe illusorio - questo vorrei sottolinearlo - pensare di contrastare l'una, ignorando l'altra. Per questa ragione, mentre rinnovo l'appello ai responsabili della cosa pubblica e agli imprenditori a fare quanto è nelle loro possibilità per attutire gli effetti della crisi occupazionale, esorto tutti a riflettere sui presupposti di una vita buona e significativa, che fondano quell'autorevolezza che sola educa e ritorna alle vere fonti dei valori. Alla Chiesa, infatti, sta a cuore il bene comune, che ci impegna a condividere risorse economiche e intellettuali, morali e spirituali, imparando ad affrontare insieme, in un contesto di reciprocità, i problemi e le sfide del Paese. Questa prospettiva, ampiamente sviluppata nel vostro recente documento su Chiesa e Mezzogiorno, troverà ulteriore approfondimento nella prossima Settimana Sociale dei cattolici italiani, prevista in ottobre a Reggio Calabria, dove, insieme alle forze migliori del laicato cattolico, vi impegnerete a declinare un'agenda di speranza per l'Italia, perché "le esigenze della giustizia diventino comprensibili e politicamente realizzabili" (Enc. Deus caritas est, 28). Il vostro ministero, cari Confratelli, e la vivacità delle comunità diocesane alla cui guida siete posti, sono la migliore assicurazione che la Chiesa continuerà responsabilmente ad offrire il suo contributo alla crescita sociale e morale dell'Italia. Chiamato per grazia ad essere Pastore della Chiesa universale e della splendida Città di Roma, porto costantemente con me le vostre preoccupazioni e le vostre attese, che nei giorni scorsi ho deposto - con quelle dell'intera umanità - ai piedi della Madonna di Fátima. A Lei va la nostra preghiera: "Vergine Madre di Dio e nostra Madre carissima, la tua presenza faccia rifiorire il deserto delle nostre solitudini e brillare il sole sulle nostre oscurità, faccia tornare la calma dopo la tempesta, affinché ogni uomo veda la salvezza del Signore, che ha il nome e il volto di Gesù, riflesso nei nostri cuori, per sempre uniti al tuo! Così sia!" (Fátima, 12 maggio 2010). Di cuore vi ringrazio e vi benedico. (©L'Osservatore Romano - 28 maggio 2010)

mercoledì 26 maggio 2010

26/05/2010 14.44.12

Benedetto XVI all’udienza generale: l’autorità della Chiesa è il servizio d’amore a Cristo.
Il Papa è custode dell’obbedienza al Signore

La Chiesa esercita un’autorità che è servizio d’amore nel nome di Gesù Cristo: è quanto affermato da Benedetto XVI all’udienza generale di stamani in Piazza San Pietro, gremita di pellegrini. Nella catechesi, il Papa si è soffermato sul compito di governare del presbitero ed ha offerto una riflessione sul concetto di autorità nella Chiesa, ribadendo che non esiste contrasto tra dimensione pastorale e gerarchia. Il servizio di Alessandro Gisotti: “Che cos’è realmente per noi cristiani l’autorità?”: muove da questo interrogativo la riflessione di Benedetto XVI sul mandato del Signore a guidare il proprio gregge. Il Papa rileva che le esperienze dittatoriali del recente passato hanno reso l’uomo contemporaneo “sospettoso nei confronti” del concetto di autorità. Un sospetto che, non di rado, “si traduce nel sostenere come necessario l’abbandono di ogni autorità”: “Ma proprio lo sguardo sui regimi che, nel secolo scorso, seminarono terrore e morte, ricorda con forza che l’autorità, in ogni ambito, quando viene esercitata senza un riferimento al Trascendente, prescindendo dall’Autorità suprema, che è Dio stesso, finisce inevitabilmente per volgersi contro l’uomo”. Di qui, parlando a braccio, il Papa ha rivolto il suo pensiero al rapporto tra gerarchia e dimensione pastorale della Chiesa. Nell’opinione pubblica, ha rilevato, si è affermata l’idea di un contrasto tra la gerarchia e la vitalità ed umiltà del Vangelo: “Ma questo è un male inteso senso della gerarchia, storicamente anche causato da abusi di autorità e da carrierismo”. Ciò, ha proseguito, deriva dunque da una interpretazione sbagliata del concetto di gerarchia, che significa in realtà “sacra origine” e richiama perciò un’autorità che viene da un Altro. La gerarchia, ha spiegato il Papa, implica che la persona sia sottoposta al Mistero di Cristo. Solo in quanto servo di Cristo il pastore può governare: “Chi entra nel sacro Ordine del Sacramento, la 'gerarchia', non è un autocrate, ma entra in un legame nuovo di obbedienza a Cristo ... E anche il Papa - punto di riferimento di tutti gli altri Pastori e della comunione della Chiesa - non può fare quello che vuole; al contrario, il Papa è custode dell’obbedienza a Cristo, alla sua parola riassunta nella 'regula fidei', nel Credo della Chiesa, e deve precedere nell’obbedienza a Cristo e alla sua Chiesa".La Chiesa, ha aggiunto, esercita un’“autorità che è servizio” non a titolo proprio, “ma nel nome di Gesù Cristo”. La Chiesa pasce dunque il gregge del Signore attraverso i suoi Pastori che sono il “tramite attraverso il quale Cristo stesso ama gli uomini”. Tale compito, fondato sul Sacramento, ha constatato, non può però essere separato “dall’esistenza personale del presbitero”: “Per essere Pastore secondo il cuore di Dio (cfr Ger 3,15) occorre un profondo radicamento nella viva amicizia con Cristo, non solo dell’intelligenza, ma anche della libertà e della volontà, una chiara coscienza dell’identità ricevuta nell’Ordinazione Sacerdotale, una disponibilità incondizionata a condurre il gregge affidato là dove il Signore vuole e non nella direzione che, apparentemente, sembra più conveniente o più facile”. Bisogna lasciare che Cristo stesso “governi l’esistenza sacerdotale dei presbiteri”, ha soggiunto. “Il modo di governare di Gesù – ha detto ancora – non è quello del dominio, ma l’umile ad amoroso servizio della Lavanda dei piedi”. Ed ha ribadito che “nessuno è realmente capace di pascere il gregge se non vive una profonda e reale obbedienza a Cristo e alla Chiesa”. Per questo, alla base del ministero pastorale, “c’è sempre l’incontro personale e costante con il Signore”. Il Papa ha quindi esortato i sacerdoti a non avere paura di guidare a Cristo i fratelli affidati: “Non c’è, infatti, bene più grande, in questa vita terrena, che condurre gli uomini a Dio, risvegliare la fede, sollevare l’uomo dall’inerzia e dalla disperazione, dare la speranza che Dio è vicino e guida la storia personale e del mondo: questo, in definitiva, è il senso profondo ed ultimo del compito di governare che il Signore ci ha affidato”. Il Papa ha invitato i sacerdoti a partecipare alle celebrazioni conclusive dell’Anno Sacerdotale, dal 9 all’11 giugno prossimo. Quindi ha chiesto ai fedeli di pregare per lui, i vescovi e i sacerdoti: “Pregate perché sappiamo prenderci cura di tutte le pecore, anche quelle smarrite, del gregge a noi affidato”. Al momento dei saluti ai pellegrini, Benedetto XVI ha rivolto un saluto speciale ai fedeli provenienti da San Giovanni Rotondo, dove l’anno scorso si era recato in visita per venerare le spoglie di San Pio da Pietrelcina. Infine, ha ricordato la figura di San Filippo Neri di cui si celebra oggi la memoria liturgica: “La Chiesa ricorda oggi San Filippo Neri, che si distinse per la sua allegria e per la speciale dedizione alla gioventù, che educò ed evangelizzò attraverso l'ispirata iniziativa pastorale dell'Oratorio. Cari giovani, guardate a questo Santo per imparare a vivere con semplicità evangelica”.

domenica 9 maggio 2010

Maria in ogni luogo per ogni aiuto!

Ringraziamo l'autore di questo articolo che coglie l'esigenza di questo mese come ci viene consigliato dal Papa al Regina Caeli ( vedi sotto)
8 MAGGIO 2010
IL MESE MARIANO
Maria e l’Italia minoreabbraccio che continua
Accanto al cartello che, lungo l’Autosole, indica l’uscita di Monte San Savino, in provincia di Arezzo, ce n’è uno in cui si legge: «Santuario della Madonna delle Vertighe». Sulla collina che si nota passando con l’auto, una chiesa custodisce l’icona della patrona dell’A1. Una tavola che, secondo la tradizione, si trovava in un’edicola di Asciano ospitata su un terreno conteso fra due fratelli. Davanti all’immagine volarono parole forti. E lì venne fissato un duello per decidere a chi fosse destinato il fazzoletto di terra. Era la sera del 6 luglio 1100. Di notte l’edicola scomparve e si trasferì alle Vertighe che deve il suo nome al vocabolo latino «vertex», che significa cima, e la sua fama alla Vergine del prodigio.La storia del Santuario dell’autostrada è soltanto una delle "cronache" mariane che l’Italia racconta. Storie minori, spesso semisconosciute, specchio di una devozione a Maria capillare e diffusa, antica e sempre nuova, memoria viva della presenza della Madre di Dio che nei secoli si è manifestata attraverso eventi soprannaturali, apparizioni e guarigioni. Segni con cui la «donna del piano superiore», come l’aveva definita Tonino Bello, vescovo di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi, «non ha disdegnato il domicilio della povera gente». E ha fatto dei luoghi dove ha lasciato traccia uno spazio d’incontro dell’uomo con Dio, ai quali in particolare in questo mese di maggio si rivolge la devozione popolare.Un incontro che a Capurso, in provincia di Bari, ha per protagonista nel 1705 un sacerdote, don Domenico Tanzella, gravemente infermo. A lui la Vergine rivela di bere da un antico pozzo, detto di Santa Maria, e di erigere una chiesa in suo onore. Sorseggiata l’acqua, il prete ritrova la salute e per adempiere al voto visita il pozzo. Sarà fra i sassi che scoprirà un affresco in stile bizantino della Vergine con il Bambino. Due volti che da tre secoli sono il fulcro della basilica di Santa Maria del Pozzo.Una guarigione è il primo miracolo attribuito alla Beata Vergine delle Grazie di Udine. Nella seconda metà del Quattrocento una domestica del luogotenente del governo veneziano si ritrova con una mano quasi staccata lavorando in cucina. La donna e il magistrato invocano l’effige esposta nel castello e la mano viene risanata. L’immagine taumaturga è oggi collocata nel santuario che da sempre è luogo di grazie come dimostrano gli ex voto sulle pareti fra cui protesi ortopediche, grucce e bastoni.Altro «miracolo del corpo» è quello attribuito alla Madonna dell’Ambro, ospitata nel piccolo santuario di Montefortino in provincia di Ascoli Piceno sui monti Sibillini dove forse nacque la leggenda del giovane poeta Tannhäuser. L’origine del culto è legata alla vicenda di una ragazza muta che passa le giornate a pascolare le pecore e davanti all’immagine della Vergine riacquista la parola dopo averle offerto un mazzo di fiori. È la forza della preghiera che risana. O che converte. Come avviene alla Mentorella, in provincia di Roma, nel santuario della Madonna delle Grazie, uno dei più antichi della Penisola, sorto nella località dove, secondo la tradizione, un ufficiale pagano dell’imperatore Traiano, Placido, ha una visione di Gesù che lo invita a seguirlo. Tornato a Roma, si fa battezzare col nome di Eustachio ed entrerà fra i santi martiri uccisi per la fede. Davanti alla statua lignea della Madonna si inginocchia come semplice pellegrino il cardinale Karol Wojtyla. È il 7 ottobre 1978. Pochi giorni dopo iniziava il conclave da cui Wojtyla uscirà Papa col nome di Giovanni Paolo II.Nella geografia della devozione mariana un comune denominatore è quello della supplica di fronte alle calamità. Come per il terremoto. È il caso della Vergine di Borgo Maggiore a San Marino venerata in origine come Madonna del Greppo o della Rupe e, dopo il sisma del 1781, col titolo di Madonna della Consolazione. La festa viene celebrata la prima domenica di giugno ed è un gesto di ringraziamento alla Madre per aver preservato la Repubblica dal cataclisma. Oppure è la storia della Madonna dei sette veli a Foggia, comparsa nel 1067 sulle acque della Puglia per sfuggire alla furia iconoclasta. È nel 1731, mentre la città è distrutta dal terremoto, che Maria appare «ripetutamente a tutto il popolo». Poi c’è la peste che diventa occasione per invocare la Vergine. A Macerata, il 3 agosto 1447, il Consiglio di credenza delibera di «erigere in un sol giorno alla Madre della Misericordia una chiesetta affinché per la sua intercessione presso l’Altissimo avesse all’istante a cessare il terribile flagello». A distanza di cinque secoli, nel 1952, Macerata viene proclamata «città di Maria». A Città di Castello, in provincia di Perugia, la peste del 1348 raccontata da Boccaccio uccide un terzo della popolazione. Nel vicino colle di Canoscio un abitante fa costruire una cappella dedicata alla Madonna del Transito. Su questa «maestà» sorge l’attuale santuario. Un complesso crivellato dalle cannonate durante la seconda guerra mondiale. Il conflitto segna anche parte della storia di Nostra Signora dell’Arena a San Terenzo a Mare, in provincia di La Spezia. A lei si rivolge la popolazione in occasione della peste spagnola del 1804 e durante gli anni Quaranta del secolo scorso. Proprio per un voto fatto l’8 settembre 1944 dalla gente di San Terenzo è stata ottenuta dal Capitolo di San Pietro in Vaticano la speciale incoronazione della Vergine. Alla peste del 1630 descritta da Alessandro Manzoni è legata la venerazione della Madonna della Creta e delle Grazie, nel santuario di Castellazzo Bormida, in provincia di Alessandria. Meta di pellegrinaggi, è dal 1947 la patrona dei motociclisti grazie alla frase scritta sulla volta dell’altare maggiore: «iter centaurorum para tutum» (mantieni sicuro il viaggio dei centauri).E la Vergine si fa percepire nel quotidiano. A Pomigliano, sulle pendici del Vesuvio, la Madonna dell’Arco viene vista con un rivolo di sangue sulla guancia mentre, nel Quattrocento, un giocatore impreca per aver perso una partita di bocce. A Mazara del Vallole pupille della Madonna del Paradiso «si alzano fino quasi a celarsi» nel 1797. E a Firenze, nel santuario della Santissima Annunziata, sarà una mano invisibile a dipingere il volto di Maria: infatti, l’autore che a lungo aveva invocato la Vergine perché gli fosse data la capacità di realizzare la sua vera immagine si ritrova una mattina del 1252 «la figura della Madonna, che aveva già dipinta nel corpo, finita anche sul volto». Da oltre settecento anni i critici d’arte si interrogano su quei lineamenti a cui la città continua a guardare affidandosi a Maria, bussola di speranza fra le difficoltà della vita.
Giacomo Gambassi

Una settimana particolarmente mariana!!

Come non sintonizzarci subito nelle parole del Santo Padre di questo Regina Caeli .Questa settimana è gravida di avvenimenti importanti
BENEDETTO XVI
REGINA CÆLI
Piazza San PietroDomenica, 9 maggio 2010


Cari fratelli e sorelle!
Maggio è un mese amato e giunge gradito per diversi aspetti. Nel nostro emisfero la primavera avanza con tante e colorate fioriture; il clima è favorevole alle passeggiate e alle escursioni. Per la Liturgia, maggio appartiene sempre al Tempo di Pasqua, il tempo dell’“alleluia”, dello svelarsi del mistero di Cristo nella luce della Risurrezione e della fede pasquale; ed è il tempo dell’attesa dello Spirito Santo, che scese con potenza sulla Chiesa nascente a Pentecoste. Ad entrambi questi contesti, quello “naturale” e quello liturgico, si intona bene la tradizione della Chiesa di dedicare il mese di maggio alla Vergine Maria. Ella, in effetti, è il fiore più bello sbocciato dalla creazione, la “rosa” apparsa nella pienezza del tempo, quando Dio, mandando il suo Figlio, ha donato al mondo una nuova primavera. Ed è al tempo stesso protagonista, umile e discreta, dei primi passi della Comunità cristiana: Maria ne è il cuore spirituale, perché la sua stessa presenza in mezzo ai discepoli è memoria vivente del Signore Gesù e pegno del dono del suo Spirito.

Il Vangelo di questa domenica, tratto dal capitolo 14 di san Giovanni, ci offre un implicito ritratto spirituale della Vergine Maria, là dove Gesù dice: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23). Queste espressioni sono rivolte ai discepoli, ma si possono applicare al massimo grado proprio a Colei che è la prima e perfetta discepola di Gesù. Maria infatti ha osservato per prima e pienamente la parola del suo Figlio, dimostrando così di amarlo non solo come madre, ma prima ancora come ancella umile e obbediente; per questo Dio Padre l’ha amata e in Lei ha preso dimora la Santissima Trinità. E inoltre, là dove Gesù promette ai suoi amici che lo Spirito Santo li assisterà aiutandoli a ricordare ogni sua parola e a comprenderla profondamente (cfr Gv 14,26), come non pensare a Maria, che nel suo cuore, tempio dello Spirito, meditava e interpretava fedelmente tutto ciò che il suo Figlio diceva e faceva? In questo modo, già prima e soprattutto dopo la Pasqua, la Madre di Gesù è diventata anche la Madre e il modello della Chiesa.
Cari amici, nel cuore di questo mese mariano, avrò la gioia di recarmi nei prossimi giorni in Portogallo. Visiterò la capitale Lisbona e Porto, seconda città del Paese. Meta principale del mio viaggio sarà Fátima, in occasione del decimo anniversario della beatificazione dei due pastorelli Giacinta e Francesco. Per la prima volta come Successore di Pietro mi recherò a quel Santuario mariano, tanto caro al Venerabile Giovanni Paolo II. Invito tutti ad accompagnarmi in questo pellegrinaggio, partecipando attivamente con la preghiera: con un cuore solo ed un’anima sola invochiamo l’intercessione della Vergine Maria per la Chiesa, in particolare per i sacerdoti, e per la pace nel mondo.

mercoledì 5 maggio 2010

Bagnasco e l'unità di Italia

Un giudizio complessivamente positivo quello del Cardinale sull'unità di Italia!Consapevoli che il tempo ha creato vincoli profondi tra i popoli così diversi che costituivano le parti di questo paese unificate.In prospettiva dell'unico vero cemento che è la fede è possibile ritrovare il vero fattore unificante che ha dato modo nei secoli alla nascita della cultura italiana prima ancora che alterne vicende talvolta anche contraddittorie comportassero la creazione dello stato nazionale.
Ma noi , ed è questo il criterio culturale derivante dalla fede, dobbiamo discernere il male dal bene e salvare quest' ultimo.

Bagnasco: lavorare insiemeper costruire il bene comune
"L'indifferenza verso le istituzioni è una mancanza grave e crescente, e prelude alle più varie forme di frattura nel Paese (verticali ed orizzontali) che lo renderebbero incapace di affrontare le sfide che gli si presentano". Lo denuncia il presidente della Cei Angelo Bagnasco, in un discorso tenuto a Genova in apertura di uno degli incontri preparatori della prossima Settimana Sociale dei cattolici italiani, che si terrà in ottobre a Reggio Calabria. In proposito Bagnasco, che è stato ordinario militare, confida: "da vescovo ho vissuto episodi drammatici, penso alla tragedia di Nassirija, e penso anche alle recenti calamità naturali che hanno segnato alcuni regioni d'Italia". "Il nostro popolo, specialmente la gente semplice che tira la vita, sa sempre - sottolinea il porporato - quando è in gioco la causa comune, il bene comune".Secondo Bagnasco, il 150esimo anniversario dell'Unità d'Italia che si avvicina, "senza indulgere ad alcuna retorica, deve aiutare anche un nuovo incontro tra quelle che, con una espressione molto imprecisa, ma efficace, qualcuno ha chiamato cultura 'altà e cultura 'diffusà". "Chiediamo a chi fa ricerca - spiega - di aiutarci a crescere nella consapevolezza del valore umano e civile delle istituzioni, politiche, economiche, familiari e di altro tipo". "Credo fermamente che sia opportuno partecipare con tutte le nostre energie culturali e nelle forme più varie alle celebrazioni del prossimo anno". È quanto ha sottolineato il presidente della Cei, Card. Angelo Bagnasco spiegando - in un suo intervento ad un seminario a Genova - che la "ricorrenza per i 150 anni dell'Unità d'Italia dovrebbe trasformarsi in una felice occasione per un nuovo innamoramentodel nostro essere italiani". "Se sapremo cogliere in modo adeguato questo appuntamento, che cade proprio in un momento in cui anche il nostro Paese è alle prese con dure prove, renderemo un dono a tutti quegli uomini e quelle donne, quelle famiglie e quelle associazioni, quelle istituzioni che si stanno spendendo per la ripresa", ha proseguito il card. Bagnasco parlando al Convegno sull'Unità d'Italia, promosso dal Comitato per le Settimane sociali della Conferenza Episcopale Italiana e dall'arcidiocesidi Genova.La storia di questi 150 anni di unità politica d'Italia "testimonia in modo inequivoco come, a condizione di una elevata tensione morale, anche nei momenti più difficili, certo non meno di quelli attuali - ha proseguito Bagnasco - sia possibile perseguire e conseguire accordi che per lunghi periodi consentono una convivenza civile di grande qualità"."L'unica cosa che dobbiamo temere - ha aggiunto il presidente della Cei - è una cattiva ricerca storica, una propaganda ideologica, di qualsiasi segno, spacciata per verità storica".