domenica 17 febbraio 2013

QUANDO, NEL SETTEMBRE 2011, SEPPI DELLE DIMISSIONI. E PERCHE’ OGGI….. QUELLE INQUIETANTI PROFEZIE – lo Straniero

QUANDO, NEL SETTEMBRE 2011, SEPPI DELLE DIMISSIONI. E PERCHE' OGGI….. QUELLE INQUIETANTI PROFEZIE

Le dimissioni di Benedetto XVI non sono soltanto una notizia esplosiva, ma un evento epocale, senza precedenti moderni (si può citare il caso di Celestino V, settecento anni fa, ma fu una vicenda diversissima in tutt'altro contesto). 
Quello che accade davanti ai nostri occhi è un avvenimento che, per la sua stessa natura planetaria e spirituale, fa impallidire tutte le altre notizie di cronaca di questi giorni e certamente non ha alcun legame con esse (a cominciare dalle elezioni italiane).
Ieri Ezio Mauro, nella riunione di redazione di "Repubblica" trasmessa sul sito e che ovviamente è stata dedicata al pontefice, ha rivelato che Benedetto XVI è arrivato a questa decisione "dopo una lunga riflessione. Stamattina" ha aggiunto Mauro "ci hanno detto che la decisione l'ha presa da tempo e comunque l'ha tenuta segreta".
In effetti la decisione risale almeno all'estate 2011 e non è più una notizia segreta dal 25 settembre 2011, quando, su questo giornale, io la portai alla luce, avendola saputa da diverse fonti, tutte credibili e indipendenti l'una dalle altre. In quell'occasione scrissi che il passaggio di mano era stato pensato, da Ratzinger, per il compimento dei suoi 85 anni, cioè nella primavera del 2012.
Sennonché due mesi dopo il mio articolo, nell'autunno del 2011, cominciò a scoppiare il caso Vatileaks e fu subito evidente che – finché non si fosse chiusa quella vicenda – il Santo Padre non avrebbe dato corso alla sua decisione.
Infatti nel libro intervista di qualche anno fa, "Luce del mondo", con Peter Seewald, analizzando la cosa in via teorica, aveva spiegato che quando la Chiesa si trova nel mezzo ad una tempesta un Papa non può dimettersi.
Per questo l'11 marzo 2012, a un mese dall'85° compleanno del Pontefice (che è il 16 aprile), io scrissi su queste colonne: "va detto che la tempesta che ha travolto in questi mesi la Curia vaticana, in particolare la Segreteria di stato, allontana l'ipotesi di dimissioni del papa, il quale ha sempre precisato che esse sono da escludere quando la Chiesa è in grandi difficoltà e perciò potrebbero sembrare una fuga dalle responsabilità".
Lo svolgimento dei fatti successivi conferma questa ricostruzione. Perché infine le dimissioni del Papa arrivano puntualmente un mese dopo la definitiva chiusura della vicenda Vatileaks, con la grazia concessa al maggiordomo Paolo Gabriele.
Segno che tali dimissioni effettivamente erano già state decise nell'estate 2011.

Ecco le ragioni addotte ieri dal Papa: "sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l'età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino".
Con la sua abituale limpidezza il Papa ha detto la semplice verità e ha fatto la scelta che ritiene migliore per il bene della Chiesa, fra l'altro una scelta di umiltà, che è un tratto importante della sua umanità e della sua fede.
Noi tuttavia possiamo e dobbiamo osservare che quasi tutti i papi precedenti sono invecchiati e sono rimasti in carica con forze ridotte, governando attraverso i loro collaboratori.

Si può dunque ipotizzare che Benedetto XVI non abbia ritenuto di fare questa scelta perché non giudica di avere collaboratori all'altezza di un tale compito (con le sue dimissioni tutte le cariche di Curia sono azzerate).
Di certo si può dire che Benedetto XVI è stato un grande pontefice e che il suo pontificato è stato – almeno in parte – azzoppato da una Curia non all'altezza, ma anche dalla scarsa rispondenza al Papa di parte dell'episcopato.
Joseph Ratzinger, che si conferma un papa straordinario anche con questa uscita di scena, ha portato la croce del ministero petrino certamente soffrendo molto e dando tutto se stesso (non gli sono mancate né le incomprensioni, né il dileggio).

E' stata una pena vedere come il suo splendido magistero è rimasto spesso inascoltato.
Quando pubblicai il mio scoop scrissi che mi auguravo di essere smentito dai fatti e auspicavo che noi cattolici pregassimo perché Dio ci conservasse a lungo questo grande Papa.
Purtroppo molti credenti invece di ascoltare questo mio appello alla preghiera si scatenarono ad attaccare me, come se dare la notizia del Papa che stava pensando alle dimissioni fosse lesa maestà. Una reazione bigotta che segnalava un certo diffuso clericalismo.
Benedetto XVI – con la sua continua apologia della coscienza e della ragione – è fra i pochi con una mentalità non clericale.

Basti ricordare che non ha esitato a chiamare col loro nome tutte le piaghe della Chiesa e a denunciarle come mai prima era stato fatto.
Nella sua ammirevole libertà morale non esitò nemmeno a smentire qualche suo stretto collaboratore sul "segreto di Fatima". Accadde nel 2010, quando decise un repentino pellegrinaggio al santuario portoghese e là dichiarò:

"Si illuderebbe chi pensasse che la missione profetica di Fatima sia conclusa… Nella Sacra Scrittura appare frequentemente che Dio sia alla ricerca di giusti per salvare la città degli uomini e lo stesso fa qui, in Fatima […] Possano questi sette anni che ci separano dal centenario delle Apparizioni affrettare il preannunciato trionfo del Cuore Immacolato di Maria a gloria della Santissima Trinità".
Un'espressione che certamente fa pensare (il centenario delle apparizioni di Fatima è il 2017), anche in riferimento ai famosi "dieci segreti" di Medjugorje.

D'altra parte lo stesso annuncio delle dimissioni è arrivato in una data gloriosamente mariana, l'11 febbraio ricorrenza (e festa liturgica) delle apparizioni della Vergine a Lourdes.
E' facile prevedere che ora si scateneranno anche dietrologie fantasiose, si evocheranno i detti di Malachia, la monaca di Dresda e quant'altro.

Ma resta il fatto che il Papa, con la pesantezza epocale della decisione che ha assunto, pone tutta la Chiesa davanti alla gravità dei tempi che viviamo.
Gravità che la Madonna ha dolorosamente sottolineato in tutte le sue apparizioni moderne, da La Salette, a Lourdes, da Fatima a Medjugorje (passando per la misteriosa e miracolosa lacrimazione della Madonnina di Civitavecchia).
C'è solo da augurarsi che invece non si riferisca a questo nostro amato Papa, ciò che è stato attribuito a un suo predecessore, Pio X, che la Chiesa ha proclamato santo.

E' un episodio che da qualche mese viene diffuso fra alcuni ambienti cattolici e anche in Curia.
Risulterebbe che Pio X, nel 1909, abbia avuto durante un'udienza una visione che lo sconvolse: "Ciò che ho veduto è terribile! Sarò io o un mio successore? Ho visto il Papa fuggire dal Vaticano camminando tra i cadaveri dei suoi preti. Si rifugerà da qualche parte, in incognito, e dopo una breve pausa morrà di morte violenta".
Sembra che sia tornato su quella visione nel 1914, in punto di morte. Ancora lucido riferì di nuovo il contenuto di quella visione e commentò: "Il rispetto di Dio è scomparso dai cuori. Si cerca di cancellare perfino il suo ricordo".

Da tempo circola questa "profezia" anche perché si dice che Pio X avrebbe altresì dichiarato che si trattava di "uno dei miei successori con il mio stesso nome".
Il nome di Pio X era Giuseppe Sarto. Giuseppe dunque. Joseph. Mi auguro vivamente che non sia una profezia autentica o da riferirsi ad oggi.

Ma la sua diffusione segnala quanto il pontificato di Benedetto XVI – come quello del predecessore – sia circondato da inquietudini.
Del resto fu lui stesso a inaugurarlo chiedendo le preghiere dei fedeli per non fuggire davanti ai lupi. Il Papa non è fuggito.

Ha sofferto e ha svolto la sua missione finché ha potuto e oggi chiede alla Chiesa un successore che abbia le forze per assumere questo pesante ministero.
D'altra parte è evidente a tutti che da trecento anni il papato è tornato ad essere un luogo di martirio bianco, come nei primi secoli esponeva al sicuro martirio di sangue.
Infatti i tempi moderni si sono aperti con un altro evento mistico accaduto a papa Leone XIII, il papa della "questione sociale" e della "Rerum novarum". Il 13 ottobre 1884 (il 13 ottobre peraltro è il giorno del miracolo del sole a Fatima) il pontefice ebbe una visione durante la celebrazione eucaristica.
Ne fu scioccato e sconvolto. Il pontefice spiegò che riguardava il futuro della Chiesa. Rivelò che Satana nei cento anni successivi avrebbe raggiunto l'apice del suo potere e che avrebbe fatto di tutto per distruggere la Chiesa.

Pare che abbia visto anche la Basilica di San Pietro assalita dai demoni che la facevano tremare.
Fatto sta che papa Leone si raccolse subito in preghiera e scrisse quella meravigliosa preghiera a San Michele Arcangelo, vincitore di Satana e protettore della Chiesa, che da allora fu recitata in tutte le chiese, alla fine di ogni Messa.
Quella preghiera fu abolita con la riforma liturgica seguita al Concilio Vaticano II, la riforma liturgica che Benedetto XVI ha tanto cercato di ridisegnare.

Mai come oggi la Chiesa avrebbe bisogno di quella preghiera di protezione a San Michele Arcangelo.

Antonio Socci
Da "Libero", 12 febbraio 2013

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GRANDI MANOVRE DEL CONCLAVE. IL PAPA TEME I MEDIA (LA TRISTE LEZIONE DEGLI ANNI DEL CONCILIO) – lo Straniero

GRANDI MANOVRE DEL CONCLAVE. IL PAPA TEME I MEDIA (LA TRISTE LEZIONE DEGLI ANNI DEL CONCILIO)

E' possibile che Benedetto XVI tema l'interferenza dei mass media sul prossimo Conclave? Vuol mettere in guardia la Chiesa e specialmente i cardinali dal rischio che siano questi pervasivi strumenti a influenzarli nelle scelte decisive che devono fare?

La domanda sorge considerando gli straordinari interventi che in queste ore sta ci regala Benedetto XVI quasi a voler preparare spiritualmente i porporati alla scelta migliore.

Mi riferisco in particolare alla sorprendente conversazione di giovedì scorso con i parroci romani, durante la quale ha denunciato, pur col suo stile mite, gli effetti devastanti che i media hanno prodotto al tempo del Concilio sulla Chiesa.

 

IL PRECEDENTE

 

Rileggiamo le sue parole:

"Vorrei adesso aggiungere ancora un terzo punto: c'era il Concilio dei Padri – il vero Concilio –, ma c'era anche il Concilio dei media. Era quasi un Concilio a sé, e il mondo ha percepito il Concilio tramite questi, tramite i media. Quindi il Concilio immediatamente efficiente arrivato al popolo, è stato quello dei media, non quello dei Padri.

E mentre il Concilio dei Padri si realizzava all'interno della fede, era un Concilio della fede che cerca l'intellectus, (…) il Concilio dei giornalisti non si è realizzato, naturalmente, all'interno della fede, ma all'interno delle categorie dei media di oggi, cioè fuori dalla fede, con un'ermeneutica diversa.

Era un'ermeneutica politica: per i media, il Concilio era una lotta politica, una lotta di potere tra diverse correnti nella Chiesa. Era ovvio che i media prendessero posizione per quella parte che a loro appariva quella più confacente con il loro mondo".

Il Papa ha pure ricordato quali erano (e sono) i caposaldi ideologici dei media:

"C'erano quelli che cercavano la decentralizzazione della Chiesa, il potere per i Vescovi e poi, tramite la parola 'Popolo di Dio', il potere del popolo, dei laici (…). Naturalmente, per loro era questa la parte da approvare, da promulgare, da favorire.

E così anche per la liturgia: non interessava la liturgia come atto della fede, ma come una cosa dove si fanno cose comprensibili, una cosa di attività della comunità, una cosa profana (…).

Sacralità quindi da terminare, profanità anche del culto: il culto non è culto, ma un atto dell'insieme, della partecipazione comune, e così anche partecipazione come attività. Queste traduzioni, banalizzazioni dell'idea del Concilio", ha aggiunto il Pontefice "sono state virulente nella prassi dell'applicazione della Riforma liturgica; esse erano nate in una visione del Concilio al di fuori della sua propria chiave, della fede.

E così, anche nella questione della Scrittura: la Scrittura è un libro, storico, da trattare storicamente e nient'altro, e così via".

Ed ecco il bilancio tragico che il Papa ha tirato:

"Sappiamo come questo Concilio dei media fosse accessibile a tutti. Quindi, questo era quello dominante, più efficiente, ed ha creato tante calamità, tanti problemi, realmente tante miserie: seminari chiusi, conventi chiusi, liturgia banalizzata … e il vero Concilio ha avuto difficoltà a concretizzarsi, a realizzarsi; il Concilio virtuale era più forte del Concilio reale".

Naturalmente il Pontefice ha concluso proclamando il fallimento del "Concilio dei media" e ha sottolineato che "la vera forza" e il "vero rinnovamento della Chiesa" si trovano nei testi del Concilio autentico. Perciò ha incitato a non scoraggiarsi: "insieme andiamo avanti con il Signore, nella certezza: Vince il Signore!"

Tuttavia fa impressione quella diagnosi ("tante calamità, tanti problemi, realmente tante miserie: seminari chiusi, conventi chiusi, liturgia banalizzata").

 

MAGISTERO PARALLELO

 

Il discorso del Papa ricorda precedenti analisi di grandi personalità cattoliche, come il cardinale De Lubac che parlava di "magistero parallelo", a proposito di certi teologi e intellettuali.

O la famosa pagina di monsignor Luigi Maria Carli, secondo il quale al Concilio si è poi accompagnata "l'attività del cosiddetto 'paraconcilio', cioè di quell'ambiente di persone e di idee che, dopo aver cercato di influire sul Concilio mentre esso si svolgeva, è rimasto in piedi anche a Concilio finito, ingrandendosi e direi quasi istituzionalizzandosi.

Questo paraconcilio, con le sue vittorie e le sue sconfitte, con le sue soddisfazioni e le sue insoddisfazioni, con i suoi propositi e i suoi spropositi" concludeva Carli "è quello che anima la crisi attuale e contrappone la sua opera alla serena fruttificazione delle idee seminate dal Concilio. Il paraconcilio, pretendendo di essere l'autentica vestale dello spirito del Concilio, deve necessariamente abusare dei testi conciliari. Ma di quali mai santissime cose l'uomo non è capace di abusare?".

E' facile riconoscere in questo identikit l'intellettualismo  progressista che imperversa sui media. Ma rispetto alle denunce di De Lubac e Carli, il discorso di Benedetto XVI, giovedì scorso, ha sottolineato soprattutto l'azione perniciosa dei media, gli stessi che potrebbero interferire nelle scelte del prossimo Conclave.

 

CHI ELEGGE IL PAPA?

 

Benedetto XVI dunque cerca di difendere la Chiesa Cattolica dalla "chiesa catodica". Ma come si può temere una simile "interferenza", obietterà qualcuno, se i credenti sostengono che è lo Spirito Santo a eleggere i Successori di Pietro?

Diversamente da quanto molti pensano (e scrivono) a eleggere il Papa, per la dottrina della Chiesa, non è affatto (automaticamente) lo Spirito Santo, ma sono gli uomini, vestiti di porpora, che si trovano riuniti nella Cappella Sistina.

Papa Benedetto lo sa bene: lo Spirito Santo, che viene invocato in Conclave, dà la sua ispirazione, ma poi i prelati sono liberi di ascoltarlo o invece di far prevalere altri loro interessi. Per questo San Vincenzo di Lérins diceva che "Dio alcuni papi li dona, altri li tollera, altri ancora li infligge".

Poi, una volta eletto regolarmente, qualunque Papa, per la dottrina cattolica, riceve l'assistenza straordinaria dello Spirito Santo. Dio saprà scrivere diritto anche su righe storte.

Ma gli errori degli uomini di Chiesa e le resistenze all'ispirazione divina, anche nella scelta dei pontefici, provocano comunque guai immensi, tragedie e sofferenze, per la Chiesa e per il mondo.

Come appare chiaro dalla storia della Chiesa stessa e da alcuni pontificati che ben difficilmente si possono considerare "decisi" dallo Spirito Santo.

Non a caso un grande principe della Chiesa (e valentissimo teologo) come il cardinale Siri, proprio nell'omelia dei novendiali per la morte di Paolo VI, nel 1978, rivolgendosi ai cardinali elettori, che presto si sarebbero riuniti in Conclave, disse: "mi pare doveroso che io mi rivolga ai Venerati Confratelli del Sacro Collegio e ricordi loro come il compito al quale ci accingiamo non sarebbe decorosamente accolto dicendo: 'ci pensa lo Spirito Santo!'. Ed abbandonandoci senza lavoro e senza sofferenza al primo impulso, alla irragionevole suggestione".

Come le facili suggestioni mediatiche. Colpisce e commuove rileggere adesso quella straordinaria omelia del cardinal Ratzinger alla Messa "Pro eligendo romano pontefice" del 18 aprile 2005, la stessa in cui denunciò la "dittatura del relativismo" che è il grande dramma di oggi e che suscitò il dissenso di tanti media.

Il suo pontificato sta in queste parole:

"l'amore, l'amicizia di Dio" disse Ratzinger "ci è stata data perché arrivi anche agli altri. E dobbiamo portare un frutto che rimanga. Tutti gli uomini vogliono lasciare una traccia che rimanga. Ma che cosa rimane? Il denaro no. Anche gli edifici non rimangono; i libri nemmeno.

L'unica cosa, che rimane in eterno, è l'anima umana, l'uomo creato da Dio per l'eternità. Il frutto che rimane è perciò quanto abbiamo seminato nelle anime umane – l'amore, la conoscenza; il gesto capace di toccare il cuore; la parola che apre l'anima alla gioia del Signore.

Allora andiamo e preghiamo il Signore, perché ci aiuti a portare frutto, un frutto che rimane. Solo così la terra viene cambiata da valle di lacrime in giardino di Dio".

 

Antonio Socci

Da "Libero", 16 febbraio 2013

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Corigliano: la vittoria di Benedetto XVI | Tempi.it

La vittoria del Pastore di Roma sull'onda di morte della nostra epoca

Caro, carissimo Papa Ratzinger. Vorrei testimoniare con due righe l'affetto che ho per lui.

Negli anni Ottanta feci la grande scoperta del suo libro Introduzione al cristianesimo: un libro che con dolcezza, profondità, cultura spiegava il mistero dell'amore di Dio in termini comprensibili per l'uomo moderno. Quel libro mi entusiasmò talmente che confezionai un video che invitasse a leggerlo: un video di un'ora che ora ho messo su Youtube (col titolo Illustrazione del credo).

Il cristianesimo ha il punto di maggior contraddizione proprio in Occidente. La ribellione protestante, nella sua veste secolarizzata e illuminista tenta di soffocare il messaggio di Gesù e il Papa come un campione affronta quest'onda di morte che porta con sé la dissoluzione della famiglia, degli affetti e soprattutto della fede. Le encicliche, i suoi libri su Gesù e i vigorosi discorsi di Parigi, di Berlino e di Londra sono pietre miliari con cui il Pastore di Roma ha guidato il suo gregge.

La civiltà europea nasce da san Benedetto (non a caso il Papa ne ha scelto il nome) – ha ricordato a Parigi – le leggi dello Stato devono rispettare la natura dell'uomo – discorso al Bundestag –, la dottrina sociale della Chiesa è il criterio a cui ispirare il governo della società – discorso di Londra. Un Papa umile che non s'intimidisce di fronte a nessuno: è il vero vincente dell'epoca che è cominciata con Giovanni Paolo II, il cui pontificato s'è intrecciato ed è continuato con Papa Benedetto. Grazie caro Papa.


Categorie: Chiesa
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Formigoni e intercettazioni sui giornali | Tempi.it

Cosa racconta meglio la Lombardia: 122 mila pagine e il buco della serratura o 18 anni di storia?

I giornali che mettono in pagina le intercettazioni che nessuna attinenza hanno con le indagini ma servono a mostrare il volto meschino e fragile che ha ogni persona messa sotto torchio con la minaccia di essere sbattuta in galera e buttare via le chiavi, perché lo fanno?

Perché grufolano nella cacchetta e pubblicano chiacchiere al telefono di amici che ti accoltellano appena volti loro le spalle o che se la fanno nei pantaloni appena vedono il pubblico ministero, e niente ricordano delle proprie responsabilità, libere scelte, compromessi accettati per stare in posizioni burocratiche pagate profumatamente?

E perché il bravo cronista inzuppa il biscotto nelle chiacchiere in cui ciascuno può riflettere pezzi della propria stessa meschinità, miserie, invidie, rivalse, gelosie, che credevi aver raccontato in privato e poi te le vedi sbattute in faccia, crogiolate con la cacchetta che il bravo cronista ti fa annusare come il più sofisticato verduraio ti farebbe annusare una rosa prendendola da un peduncolo con le pinzette di un chirurgo?

Che peccato. Vorremmo tanto avere anche noi a disposizione i brogliacci della vita privata dei signori che conducono questo gioco al massacro. Anche a noi piacerebbe sbattere in faccia ai signori delle mani pulite le intercettazioni della loro buona e irreprensibile, in parole e opere, vita privata; le intercettazioni di conversazioni tra i direttori di grandi giornali e i loro editori che trafficano in sanità, tra capi procuratori e giornalistoni, tra topi di archivio giudiziario e topi della cronaca giudiziaria, tra poliziotti e becchini, tra magistrati e amanti, tra politici e giornalisti lottizzati… Purtroppo tutte queste intercettazioni non le abbiamo e perciò non possiamo servirvele, farvele compulsare, odorare come fanno loro con il Roberto Formigoni&son che devono ammazzare. E ammazzare solo perché il 24-25 febbraio devono portare in cima al Pirellone e in cima al Parlamentone i loro cavalli.

E dire che devono cancellare tutto, ma proprio tutto, di quello che ha fatto il massacrato Formigoni. È sotto gli occhi di tutti? Sì. Ma queste indagini qui e questo gioco qui sono fatti apposta per scartavetrare 18 anni di storia e appenderle a quelle 122mila (122mila!) pagine di teorema giudiziario. Un teorema che prova a dimostrare l'assurdo: e cioè che un sistema efficiente e certificato di buona sanità (in Italia si crepa di malasanità); un sistema per cui ogni anno centinaia di migliaia di pazienti migrano da tutta Italia per venire qui a curarsi; un sistema che di eguali ce n'è solo in un paio di paesi al mondo (Stati Uniti e Francia); ecco quel sistema lì è frutto di un'associazione a delinquere.

E va bene. Ma cosa ne guadagnerà la collettività se la luce di cosa sono stati 18 anni di Lombardia sarà oscurata dalle (male che vada, ma proprio male) debolezze private di un grande Governatore e dalla dubbia congruità dei profitti fatti da qualche avventuriero? E cosa sarà mai, male che vada, ma proprio male, la condanna di una mezza dozzina di supposti delinquenti, davanti al bene fatto dalle giunte Pdl-Lega a dieci milioni di lombardi e ai milioni di italiani che in questi vent'anni sono venuti a curarsi in Lombardia?

Non lo dobbiamo ripetere fino alla noia noi che siamo amici di Formigoni. Bastano gli occhi e, per chi non ce li ha, basta informarsi. Se uno non è un malato mentale e non ha la bava alla bocca, si informi, analizzi i dati, faccia comparazioni con il resto d'Italia. È già tutto scritto e tutto analizzato. Come la Lombardia non ce n'è. Non solo nella sanità. Ma in tutti gli altri comparti. Per cui, potete scaricare tutti gli insulti che volete, ma è così. Condannassero all'ergastolo Formigoni, nessuno potrà cancellare il bene fatto dalle sue amministrazioni.

Ma insomma, che peccato che per provare a far vincere Umberto Ambrosoli – quello che per il Corriere della Sera rappresenta un consigliere di amministrazione del proprio editore e per La Repubblica l'alleato di Pier Luigi Bersani – si debbano massacrare le persone. Che peccato. E quanto sono lontani i tempi in cui ci si poteva dividere e attaccarsi onestamente, lealmente, combattendo tra comunisti e democristiani, e magari mettersi le mani addosso, e magari ammazzarsi, ma non disumanizzando il volto dell'avversario, rendendolo odioso, miserabile, viscido come un verme impiccato all'amo degli origliamenti dei pm. Attaccarlo e calpestarlo fino a negare che sia mai esistita qualcosa che tutti, in giro per il mondo, chiamavano "modello Lombardia". Un vero peccato. Perché tutto ciò significa che se per caso Bobo Maroni non ce la fa, in Lombardia ce la fanno loro. Quelli che coniugano senza vergogna l'euforia del loro potere con l'ebbrezza per il massacro dei loro rari e deboli avversari.

@LuigiAmicone
Categorie: Politica
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