venerdì 30 luglio 2010

Alla visione del proprio film il papa:Il Signore ci porta


Eminenza, Eccellenze, caro professor Fuchs, caro Mandlik, cari amici, signore e signori, in questo momento posso soltanto dire grazie alla Radio Bavarese per questo viaggio spirituale straordinario, che ci ha permesso di rivivere e rivedere momenti determinanti e culminanti di questi cinque anni del mio servizio petrino e della vita della Chiesa stessa. È stato per me personalmente molto commovente vedere alcuni momenti, soprattutto quello nel quale il Signore impose sulle mie spalle il servizio petrino. Un peso che nessuno potrebbe portare da sé con le sue sole forze, ma lo può portare soltanto perché il Signore ci porta e mi porta. Abbiamo visto in questo filmato, mi sembra, la ricchezza della vita della Chiesa, la molteplicità delle culture, dei carismi, dei doni diversi che vivono nella Chiesa e come in questa molteplicità e grande diversità vive sempre la stessa, unica, Chiesa. E il primato petrino ha questo mandato di rendere visibile e concreta l'unità, nella molteplicità storica, concreta, nell'unità di presente, passato, futuro e dell'eterno. Abbiamo visto che la Chiesa anche oggi benché soffra tanto, come sappiamo, tuttavia è una Chiesa gioiosa, non è una Chiesa invecchiata, ma abbiamo visto che la Chiesa è giovane e che la fede crea gioia. Perciò ho trovato molto interessante, un'idea bella, quella di inserire tutto nella cornice della nona sinfonia di Beethoven, dell'"Inno alla gioia", che esprime come dietro tutta la storia ci sia la gioia della nostra redenzione. Ho trovato anche bello che il film finisca con la visita presso la Madre di Dio, che ci insegna l'umiltà, l'obbedienza e la gioia che Dio è con noi. Herzliches Vergelt's Gott, lieber Herr Professor Fuchs, lieber Herr Mandlik, Ihnen und allen Ihren Mitarbeitern für diesen wunderbaren Augenblick, den Sie uns geschenkt haben. [Un cordiale "Dio ve ne renda merito" a voi, caro signor professor Fuchs, caro signor Mandlik e a tutti i vostri collaboratori, per questo magnifico momento che ci avete donato].
(©L'Osservatore Romano - 31 luglio 2010)

Perchè beato John Henry Newman!


Paolo Rodari intervista il card. Saraiva Martins: Benedetto XVI ha voluto fare beato Newman perché è come lui.

Diamo ancora spazio al futuro beato John Henry Newman.
LUG 29, 2010 IL FOGLIO
“Joseph Ratzinger è affascinato da John Henry Newman perché nel cardinale inglese convertito al cattolicesimo dall’anglicanesimo vede in qualche modo se stesso. Newman quando era anglicano fondò a Oxford un movimento religioso, il ‘Movimento di Oxford’, che aveva come obiettivo la salvezza della chiesa anglicana dal liberalismo del giorno, quel liberalismo che era antidogmatico per principio. Anche Ratzinger vuole liberare la cristianità da ogni liberalismo. E ancorarla sulla purezza della fede, della dottrina, del suo credere bimillenario. E, come Newman lo vuole fare salvando, integrando, non escludendo le fazioni estreme”.
José Saraiva Martins, portoghese, è un cardinale della curia romana oggi in pensione. Da due anni ha lasciato la guida della Congregazione per le cause dei santi. Ma è ancora pieno di energie. Nella sua abitazione adiacente il Vaticano scrive, studia e aspetta il 19 settembre, il giorno in cui il suo “allievo prediletto”, appunto Newman, verrà beatificato dal Papa in quel di Cofton Park, periferia di Birmingham. Newman un suo allievo? “In un certo senso sì – dice – Sono stato per diversi anni rettore dell’Università Urbaniana. Newman nel 1846-47 fu allievo dell’Urbaniana (allora si chiamava Collegio di Propaganda Fide, ndr). Nell’aula del Senato accademico, il cuore dell’Università, ho fatto mettere un ritratto dell’allievo ‘più illustre’, appunto Newman. Perché nessuno lo dimentichi”.
Quali sono le forze estreme che Ratzinger vuole salvare? “La via del Papa è in un certo senso la ‘via media’ di Newman. Il cardinale inglese prima di convertirsi sognava un anglicanesimo vicino a Roma, una confessione religiosa che mantenesse la propria identità senza cedere negli estremismi. Così vuole Benedetto XVI. I segnali, le aperture fatte oggi verso gli anglicani e ancora prima verso i lefebvriani dicono questo: la strada è quella dell’unità senza ledere le diversità. Nella chiesa ci sono sempre state spinte anti-romane, o semplicemente estreme. Il Papa non vuole che nessuno si senta escluso”.
Poi però Newman abbandonò il suo sogno e si convertì al cattolicesimo. Dice Saraiva: “Visse con dolore il distacco dall’anglicanesimo. Ma il suo non fu un rinnegamento. Era convinto che nella chiesa cattolica ci fosse la verità. Ed era convinto che la strada della ricerca della verità fosse percorribile da chiunque, anche da ogni anglicano. La ricerca della verità è stata una costante nella sua vita. Fin dalla giovanissima età. Come Ratzinger, anche Newman era uno studioso appassionato dei padri della chiesa dei primi secoli. Furono i padri a trascinarlo verso Roma, verso il Papa. Dai padri apprese la perfezione evangelica. La purezza del cristianesimo, quella purezza che oggi il Papa chiede che la chiesa cattolica riscopra. Newman nacque in un’epoca travagliata molto simile alla nostra. Ogni certezza vacillava. I credenti dovevano combattere contro la minaccia del razionalismo e del fideismo. Il razionalismo rifiutava l’autorità e la trascendenza, il fideismo distoglieva le persone dalle sfide della storia e generava in loro una dipendenza insana dall’autorità e dal soprannaturale. Per Newman l’unione di fede e ragione erano la sintesi necessaria contro queste derive. Fede e ragione erano per lui due ali per raggiungere la contemplazione della verità’”.
Newman morì l’11 agosto 1890. Il quotidiano londinese Times pubblicò il giorno successivo un lungo elogio funebre che terminava così: “Di una cosa possiamo essere certi, cioè che il ricordo di questa pura e nobile vita durerà e che egli sarà santificato nella memoria della gente pia di molte confessioni in Inghilterra. Il santo che è in lui sopravvivrà”. Spiega Saraiva: “Ha scritto bene il Times. Perché Newman è un esempio per tutti, anche e soprattutto per gli anglicani. Tutta la sua vita fu fondata su un sano ecumenismo. Questo non è ricerca di un qualcosa che accomuna fedi diverse. Non è anzitutto questo. E’ piuttosto ricerca assieme della verità. Newman questo dettame mise in pratica. La ricerca lo portò a Roma. Non è detto che per tutti l’approdo debba essere lo stesso. Credo che Ratzinger condivida in pieno questo esercizio ecumenico di Newman: verso le diverse fedi cristiane ha un approccio libero, non pone paletti, è aperto verso tutti e rispetta la storia di tutti. Non a caso ha promulgato la costituzione apostolica Anglicanorum coetibus. Non a caso ha parlato più volte del primato di Pietro, della necessità di salvaguardarlo ma nel rispetto delle diverse posizioni che in merito hanno ad esempio gli ortodossi”.
Il processo fino alla beatificazione di Newman non è stato breve. Newman è stato riconosciuto venerabile nel 1991. Il miracolo che gli ha permesso di divenire beato è invece recentissimo. Dice Saraiva: “Ho seguito da vicino tutte le fasi del processo. Quando si parlava del miracolo della guarigione per intercessione di Newman del diacono permanente Jack Sullivan mandai un esperto della Congregazione a verificare, ad appurare ogni cosa. Così abbiamo fatto in ogni fase del processo. Tutto deve essere fatto con rigore e senza errori. Per questo dico sempre, e lo ripeto anche per Newman: non esiste un processo lungo o un processo corto. Ogni processo ha i suoi tempi che dipendono dalla mole di documenti e testimonianze da verificare. Il ‘caso Newman’ aveva tantissimi documento da vagliare. E tutti sono stati visionati”.
Pubblicato sul Foglio giovedì 29 luglio 2010
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mercoledì 28 luglio 2010

Eccellenza della sanità lombarda

Bellissimo questo articolo che pone i giusti distinguo al calderone di considerazioni ed accuse per le quali chiunque se non educato a ragionare è tentato a non osservare il positivo!

Cronaca
IL CASO/ La vera colpa della sanità lombarda? Non essere gestita dagli eredi del ’68
Giulio Sapelli
martedì 27 luglio 2010
Caro direttore,

ci sono due figure retoriche che dominano l’italiano universo linguistico e quindi la politica e le relazioni sociali. La prima si presenta come non condivisione della memoria. La seconda come metonimia, ossia il prender la parte e farne il tutto, distruggendo così ogni possibilità di analisi sociale condotta con probità scientifica. La recente polemica contro la sanità lombarda riflette questo universo distorsivo dell’esserci nel mondo e via via si configura come una vera e propria antologia della falsificazione analitica.

Architrave di essa è il riferimento continuamente positivo al sessantotto, topos classico di un esteso ceto che oggi occupa i gangli del potere di una parte del nostro sistema sociale: chi si è schierato contro di esso è continuamente insultato e svillaneggiato ancora oggi. E si trattava, a quel tempo, da un lato, di uno sparuto gruppo di comunisti riformisti che furono dispersi e derisi. Invece, dall’altro lato, un nutrito gruppo di giovani guidati da un prete povero e carismatico, con Gioventù Studentesca apriva la via alla speranza che potesse sempre esistere una logica argomentativa non fondata sulla violenza fisica e verbale.

Da quella testimonianza cristiana sarebbero nate Comunione e Liberazione e poi la Compagnia delle Opere che invera il sogno di un aggregato d’imprese - e sono migliaia - che non siano solo capitalistiche, ma anche no profit, cooperative e che abbiano sempre al centro la persona e non il profitto come fine. In questo contesto culturale è cresciuto via via un formidabile e benefico assetto di government che ha avuto come epicentro la Regione Lombardia con il presidente Formigoni il quale non ha affatto tradito l’originaria ispirazione sociale del cattolicesimo lombardo, ma l’ha inverata pienamente, pur tra errori, debolezze, autocritiche.

Proprio nella sanità l’azione amministrativa, quindici, venti anni or sono, manifestava la sua debolezza nei confronti dei cittadini. La filosofia dell’umanesimo cristiano vivificata dal rapporto con la cultura della common law nordamericana rinverdì, invece, il sino ad allora dimenticato principio della sussidiarietà e della competizione tra pubblico e privato. E oggi le code non ci sono più come un tempo, le spese sono diminuite, i bilanci sono a posto, la cura del malato è al centro dell’operare, la sanità lombarda è la migliore al mondo, con quella dei paesi scandinavi.

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Certo i direttori delle unità sanitarie sono scelti anche tra affidabili membri della componente culturale del presidente, ma ci sono persone come il carissimo e grande sindaco indimenticabile Carlo Tognoli che hanno operato con libertà e sino a quando hanno voluto. In ogni caso non facciamo i nicodemisti: è vero che uno sforzo di trovare affidabilità in persone non direttamente omologabili con l’originario messaggio potrebbe essere compiuto con più coraggio. Il sistema ne guadagnerebbe, grazie alla libera diversità.

Ma non è questo il problema che si è posto nella polemica. Si è usata, invece, in modo sconvolgente, la metonimia: un’operazione coraggiosa e straordinaria di polizia, anti mafia, anti camorra, anti ’ndrangheta sotto la diretta responsabilità di un eccellente ministro degli Interni come Maroni colpisce anche - e come non potrebbe, in democrazia e in una società densa e differenziata e permeabile alle infiltrazioni criminali - alcuni esponenti che hanno rapporti con le cuspidi del potere politico.

Ebbene, la parte si trasforma con spregiudicatezza, allora, in tutto. È il sistema sanitario lombardo in quanto tale, infatti, a essere chiamato alla sbarra con una violenza ideologica e linguistica inaudita. E pensare che i processi non sono neppure iniziati. C’è un imbarbarimento: è innegabile.

Rimane un senso di grande tristezza. All’età di sessantatre anni mi guardo indietro e vedo che gli sforzi per inverare una società dell’argomentazione anziché dell’insulto, di diffondere una conoscenza scientifica e non propagandistica dei malesseri corruttivi, sono stati vani dinanzi all’accecamento ideologico.

Si vuole un esempio? Non si può esser d’accordo con l’inevitabile risultato analitico universalmente riconosciuto che corruzione e malaffare e clientelismo conducono al disastro economico e sociale in ogni settore della società e poi confrontare questa teoria con lo stato ottimo di salute della sanità lombarda… la contraddizione è evidente.

Pare, tuttavia, che la condivisione dell’analisi sia impossibile e solo la guerra ideologica sia la strada che si vuol intraprendere - ancora una volta - nell’Italia di oggi. E in Lombardia: nella regione più ricca al mondo e che vorremmo invece fosse, in guisa condivisa, anche la più civile.

Il vero Tesoro!!..anche per i laici


Nulla anteporre a Cristo: il pensiero del Papa sulle parabole della perla preziosa e del tesoro nascostoLa “perla preziosa” e il “tesoro nascosto nel campo” sono due celebri immagini delle parabole di Gesù. Il Vangelo della liturgia di oggi le ripropone alla meditazione dei fedeli e lo stesso Benedetto XVI, durante il suo Pontificato, le ha utilizzate in diversi discorsi per mettere in luce l’importanza del lasciare tutto per Cristo. Alcune riflessioni del Papa ritornano in questo servizio di Alessandro De Carolis: Capire dove sta il vantaggio economico di una certa operazione è una valutazione che l’uomo di ogni epoca ha sempre eseguito con grande disinvoltura. Nella sua perfetta conoscenza della natura umana, Gesù non esita a paragonare il divino al denaro per colpire l’immaginazione di chi lo ascolta e così spiegare in cosa consista, diremmo oggi, il “business” del Vangelo, quale sia la ricchezza del Regno che Lui è venuto ad annunciare sulla terra. “Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo…” o è simile a “una perla preziosa”: in entrambi i casi, i due che si imbattono in queste ricchezze vendono tutto ciò che hanno per assicurarsele. Scene chiare, dirette, di comprensione immediata: la ricchezza dell’amore di Dio è così esorbitante da essere, per ogni uomo, un irrinunciabile “affare”. E certamente come quel mercante della parabola, ha spiegato il Papa, si comportò duemila anni fa San Paolo, che ebbe della ricchezza del Vangelo una rivelazione folgorante:“Egli aveva compreso che quanto fino ad allora gli era parso un guadagno in realtà di fronte a Dio era una perdita e aveva deciso perciò di scommettere tutta la sua esistenza su Gesù Cristo. Il tesoro nascosto nel campo e la perla preziosa nel cui acquisto investire tutto il resto non erano più le opere della Legge, ma Gesù Cristo, il suo Signore”. (Udienza generale 19 novembre 2008)I Santi e le Sante sono stati i mercanti che lungo la storia della Chiesa sono andati di fretta a cedere i loro averi, ovvero le proprie aspirazioni e ambizioni, per darsi tutti e tutte a Cristo. E chi oggi si consacra nel sacerdozio o nella vita religiosa contribuisce a rendere carne viva quelle antiche parabole con la misura, ha notato una volta Benedetto XVI, che chiede “tutto il cuore”, “tutta l’anima” e “tutte le forze”:“Cercate in ogni modo di manifestare la vostra appartenenza a Cristo, il tesoro nascosto per il quale avete lasciato tutto. Fate vostro il ben noto motto programmatico di San Benedetto: 'Niente sia anteposto all'amore di Cristo'”. (Discorso ai religiosi della Diocesi di Roma, 10 dicembre 2005)Un invito, quello del Papa, che vale altrettanto per la vita di coppia e di famiglia. Anche un matrimonio cristiano è come un campo che custodisce una ricchezza nascosta, che alimenta il rapporto tra i coniugi, aiutandoli a superare – se in confidano in Dio – errori, stanchezza, difficoltà:“Questo può farlo solo Dio (…) per accostare le coppie, ascoltarle, aiutarle a riscoprire il tesoro nascosto del matrimonio, il fuoco rimasto sepolto sotto la cenere. E’ Lui che ravviva e torna a far ardere la fiamma; non certo allo stesso modo dell’innamoramento, bensì in maniera diversa, più intensa e profonda: sempre però la stessa fiamma”. (Discorso all’associazione Retrouvaille, 26 settembre 2008)Nei racconti di Gesù c’è una persona che non ha lo stesso “fiuto” per gli affari mostrato dall’uomo del campo o dal mercante della perla. E’ il giovane ricco del Vangelo, che preferisce tenersi i propri beni sonanti a quelli dello spirito promessigli dal Maestro. Ai giovani di Sulmona, qualche settimana fa, Benedetto XVI ha detto invece:“Per voi Gesù Cristo vale molto, anche se è impegnativo seguirlo, vale più di qualunque altra cosa. Avete creduto che Dio è la perla preziosa che dà valore a tutto il resto: alla famiglia, allo studio, al lavoro, all’amore umano… alla vita stessa. Avete capito che Dio non vi toglie nulla, ma vi dà il 'centuplo' e rende eterna la vostra vita, perché Dio è Amore infinito: l’unico che sazia il nostro cuore. (Sulmona, discorso ai giovani, 4 luglio 2010)Questa pagina del Vangelo, oltre alla sua carica ideale, si presta anche a una riflessione sul valore della ricchezza in sé. Fa porre una domanda: quale deve essere il nostro rapporto con i beni materiali? Questo è il pensiero del Papa:“La ricchezza, pur essendo in se un bene, non va considerata un bene assoluto. Soprattutto non assicura la salvezza, anzi potrebbe persino comprometterla seriamente. E’ saggezza e virtù non attaccare il cuore ai beni di questo mondo, perché tutto passa, tutto può finire bruscamente. Il tesoro vero che dobbiamo ricercare senza sosta per noi cristiani sta nelle ‘cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra del Padre’”. (Angelus, 5 agosto 2007)

domenica 25 luglio 2010

Pregare:tenere desta l'amicizia con Dio in Cristo e con Cristo

Angelus di Benedetto XVI a Castel Gandolfo - Testo integraleIl Vangelo di questa domenica ci presenta Gesù raccolto in preghiera, un po’ appartato dai suoi discepoli. Quando ebbe finito, uno di loro gli disse: “Signore, insegnaci a pregare” (Lc 11,1). Gesù non fece obiezioni, non parlò di formule strane o esoteriche, ma con molta semplicità disse: “Quando pregate, dite: «Padre…»”, e insegnò il Padre Nostro (cfr Lc 11,2-4), traendolo dalla sua stessa preghiera, con cui si rivolgeva a Dio, suo Padre. San Luca ci tramanda il Padre Nostro in una forma più breve rispetto a quella del Vangelo di san Matteo, che è entrata nell’uso comune. Siamo di fronte alle prime parole della Sacra Scrittura che apprendiamo fin da bambini. Esse si imprimono nella memoria, plasmano la nostra vita, ci accompagnano fino all’ultimo respiro. Esse svelano che “noi non siamo già in modo compiuto figli di Dio, ma dobbiamo diventarlo ed esserlo sempre di più mediante una nostra sempre più profonda comunione con Gesù. Essere figli diventa l’equivalente di seguire Cristo” (BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret, Milano 2007, p. 168).

Questa preghiera accoglie ed esprime anche le umane necessità materiali e spirituali: “Dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati” (Lc 11,3-4). E proprio a causa dei bisogni e delle difficoltà di ogni giorno, Gesù esorta con forza: “Io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto” (Lc 11,9-10). Non è un domandare per soddisfare le proprie voglie, quanto piuttosto per tenere desta l’amicizia con Dio, il quale – dice sempre il Vangelo – “darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!” (Lc 11,13). Lo hanno sperimentato gli antichi “padri del deserto” e i contemplativi di tutti i tempi, divenuti, a motivo della preghiera, amici di Dio, come Abramo, che implorò il Signore di risparmiare i pochi giusti dallo stermino della città di Sòdoma (cfr Gen 18,23-32). Santa Teresa d’Avila invitava le sue consorelle dicendo: “Dobbiamo supplicare Dio che ci liberi da ogni pericolo per sempre e ci tolga da ogni male. E per quanto imperfetto sia il nostro desiderio, sforziamoci di insistere in questa richiesta. Che ci costa chiedere molto, visto che ci rivolgiamo all’Onnipotente?» (Cammino, 60 (34), 4, in Opere complete, Milano 1998, p. 846). Ogniqualvolta recitiamo il Padre Nostro, la nostra voce s’intreccia con quella della Chiesa, perché chi prega non è mai solo. “Ogni fedele dovrà cercare e potrà trovare nella verità e ricchezza della preghiera cristiana, insegnata dalla Chiesa, la propria via, il proprio modo di preghiera… si lascerà quindi condurre… dallo Spirito Santo, il quale lo guida, attraverso Cristo, al Padre» (CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Alcuni aspetti della meditazione cristiana, 15 ottobre 1989, 29: AAS 82 [1990], 378).

Oggi ricorre la festa dell’apostolo san Giacomo detto “il Maggiore”, che lasciò il padre e il lavoro di pescatore per seguire Gesù e per Lui diede la vita, primo tra gli Apostoli. Di cuore rivolgo uno speciale pensiero ai pellegrini accorsi numerosi a Santiago de Compostela! La Vergine Maria ci aiuti a riscoprire la bellezza e la profondità della preghiera cristiana.

domenica 18 luglio 2010

Le ferie:cioè il primato di Dio

"dare il primo posto a ciò che effettivamente è più importante nella vita, vale a dire l’ascolto della Parola del Signore"

"Impariamo dunque, fratelli, ad aiutarci gli uni gli altri, a collaborare, ma prima ancora a scegliere insieme la parte migliore, che è e sarà sempre il nostro bene più grande”

BENEDETTO XVI
ANGELUS
Palazzo Apostolico di Castel GandolfoDomenica, 18 luglio 2010

Cari fratelli e sorelle!
Siamo ormai nel cuore dell’estate, almeno nell’emisfero boreale. E’ questo il tempo in cui sono chiuse le scuole e si concentra la maggior parte delle ferie. Anche le attività pastorali delle parrocchie sono ridotte, e io stesso ho sospeso per un periodo le udienze. E’ dunque un momento favorevole per dare il primo posto a ciò che effettivamente è più importante nella vita, vale a dire l’ascolto della Parola del Signore. Ce lo ricorda anche il Vangelo di questa domenica, con il celebre episodio della visita di Gesù a casa di Marta e Maria, narrato da san Luca (10,38-42).

Marta e Maria sono due sorelle; hanno anche un fratello, Lazzaro, che però in questo caso non compare. Gesù passa per il loro villaggio e – dice il testo – Marta lo ospitò (cfr 10,38). Questo particolare lascia intendere che, delle due, Marta è la più anziana, quella che governa la casa. Infatti, dopo che Gesù si è accomodato, Maria si mette a sedere ai suoi piedi e lo ascolta, mentre Marta è tutta presa dai molti servizi, dovuti certamente all’Ospite eccezionale. Ci sembra di vedere la scena: una sorella che si muove indaffarata, e l’altra come rapita dalla presenza del Maestro e dalle sue parole. Dopo un po’ Marta, evidentemente risentita, non resiste più e protesta, sentendosi anche in diritto di criticare Gesù: “Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti”. Marta vorrebbe addirittura insegnare al Maestro! Invece Gesù, con grande calma, risponde: “Marta, Marta – e questo nome ripetuto esprime l’affetto –, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta” (10,41-42). La parola di Cristo è chiarissima: nessun disprezzo per la vita attiva, né tanto meno per la generosa ospitalità; ma un richiamo netto al fatto che l’unica cosa veramente necessaria è un’altra: ascoltare la Parola del Signore; e il Signore in quel momento è lì, presente nella Persona di Gesù! Tutto il resto passerà e ci sarà tolto, ma la Parola di Dio è eterna e dà senso al nostro agire quotidiano.


Cari amici, come dicevo, questa pagina di Vangelo è quanto mai intonata al tempo delle ferie, perché richiama il fatto che la persona umana deve sì lavorare, impegnarsi nelle occupazioni domestiche e professionali, ma ha bisogno prima di tutto di Dio, che è luce interiore di Amore e di Verità. Senza amore, anche le attività più importanti perdono di valore, e non danno gioia. Senza un significato profondo, tutto il nostro fare si riduce ad attivismo sterile e disordinato. E chi ci dà l’Amore e la Verità, se non Gesù Cristo? Impariamo dunque, fratelli, ad aiutarci gli uni gli altri, a collaborare, ma prima ancora a scegliere insieme la parte migliore, che è e sarà sempre il nostro bene più grande.

martedì 13 luglio 2010

Bagnasco a tutto campo sulle grandi questioni del momento

Intervista al cardinale Angelo Bagnasco presidente della Conferenza episcopale italiana
Testimoni credibili in una società in crisi Da Benedetto XVI un'immensa forza rinnovatrice per una nuova generazione di laici

di Marco Bellizi
La questione sollevata dalla controversa sentenza della Corte di Strasburgo che vieta l'esposizione del crocifisso nelle scuole pubbliche da affrontare con un pizzico di buon senso; la malintesa e pervicace forma di laicità, che ignora il fatto religioso e anzi esplicitamente lo esclude; la necessità di un'autoriforma e di una purificazione della Chiesa indicata da Benedetto XVI; l'esigenza di una nuova generazione di politici cattolici auspicata già dal Papa e dal suo segretario di Stato; il persistere della crisi economica; l'anniversario dell'unità d'Italia come occasione per ritrovare coesione e convergenza secondo l'auspicio, tra gli altri, del presidente della Repubblica; il federalismo come intuizione già presente nella dottrina sociale della Chiesa; la bellezza, la gioia e la responsabilità dell'essere preti come frutti dell'Anno sacerdotale. Sono i questi i temi della lunga intervista che il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo metropolita di Genova e presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei) ha rilasciato al nostro giornale. Che ha espresso alla fine una convinzione: "Questi mesi difficili cederanno il passo a una rinnovata passione per l'annuncio di Dio con le parole e le opere. Di Dio, infatti, l'uomo contemporaneo sente forte il bisogno in un mondo confuso e incerto, ma pur sempre alla ricerca del senso della vita terrena e della felicità piena". Eminenza, il 30 giugno si è tenuta presso la Corte di Strasburgo l'udienza per il ricorso presentato dal Governo italiano contro la sentenza del novembre scorso che vieta l'esposizione del crocifisso nelle scuole pubbliche. Che aspettative ha rispetto a questa decisione? A quali conseguenze porterebbe una conferma della precedente sentenza? A dire la verità, mi aspetterei solo un pizzico di buon senso. È strano infatti che proprio oggi, quando il confronto interculturale si fa più esigente, a motivo della crescente mobilità, si pretenda poi di censurare una delle matrici fondamentali della storia del nostro continente. Ipotizzare, come taluni fanno, che il crocifisso leda la laicità dello Stato, il quale non dovrebbe inclinare verso nessuna opzione religiosa o confessionale, significa dimenticare che ben prima dello Stato vi è la gente; esiste infatti un humus profondo che identifica il sentire comune della gran parte della popolazione italiana. Nella scelta di mettere tra parentesi un segno come il crocifisso colgo peraltro una scarsa considerazione di quel principio di sussidiarietà per cui ciascuno Stato, nel contesto europeo, presenta una peculiare radice che merita rispetto e considerazione. Del resto, a essere sinceri, a chi mai è venuto in mente di eliminare festività nazionali che hanno una chiara impronta religiosa nel nostro o in altri Paesi del mondo? Volere eliminare le caratteristiche tradizioni culturali e religiose di un Paese, specie quelle legate agli ambienti di vita - siano essi la scuola o i luoghi di aggregazione giovanile - significa rinunciare proprio a quella ricchezza delle culture che si vorrebbe per altri versi tutelare e difendere. Sono stati in molti a ravvisare dietro alla precedente sentenza della Corte un'ispirazione culturale molto vicina a sentimenti di cristianofobia. Lo stesso si è detto a proposito degli attacchi subiti dalla Chiesa, come per esempio è avvenuto in Belgio. Da dove nasce tutta questa ostilità? Più semplicemente - ma vorrei dire ancora più gravemente - esiste una malintesa e pervicace forma di laicità, che sarebbe meglio definire laicismo; questa ignora il fatto religioso, anzi esplicitamente lo esclude. Si tratta in realtà di una grave amputazione del senso dello Stato, che ovviamente non ha competenze in campo religioso né persegue finalità religiose, ma deve riconoscere, rispettare e anzi promuovere la dimensione religiosa. Dietro la libertà religiosa infatti si cela la più decisiva esperienza della libertà umana, senza la quale è a rischio non solo la fede, ma ancor prima la democrazia. Dietro la cosiddetta neutralità dello Stato è presente un pregiudizio, tardo a morire, verso il quale giustamente Benedetto XVI da tempo va concentrando la sua riflessione: quello cioè di confinare Dio al di fuori dello spazio pubblico, riducendolo a una questione privata. Per quel che riguarda l'Europa, poi, si trascura il fatto che la nostra civiltà - delle cui conquiste relative alla libertà, all'uguaglianza, ai diritti individuali e sociali tutti godono - germoglia proprio dal crocifisso, riconosciuto come il suo simbolo più qualificato e universale. Benedetto XVI ha affermato che il pericolo più grande per la Chiesa è al suo interno. Come si affronta questa minaccia? Il Santo Padre chiama tutti i cattolici a un'opera di autoriforma e spinge tutta la Chiesa a compiere un cammino di purificazione. Questa indicazione è senza dubbio una provocazione non solo per il mondo ecclesiale, ma per la stessa società civile. Tale linea di marcia non è affatto "spiritualista", come afferma qualcuno; al contrario, racchiude un'immensa forza rinnovatrice, una forza di concretezza e di azione che la storia già conosce. In una stagione in cui tendenzialmente tutti cercano di difendere se stessi e, all'occorrenza di denigrare gli altri, il Papa invita a battersi il petto e a non guardare alle colpe altrui, chiamando in causa la coscienza individuale perché dinanzi a Dio ognuno si riconosca nella verità. È evidente che l'insidia maggiore nasce sempre dal di dentro e non dal di fuori. Ciò che fa vacillare, infatti, non sono gli attacchi, anche virulenti, che possono esserci da parte di chi nutre pregiudizi o ostilità nei riguardi della fede, ma quelli da parte di chi alla fede si appella, rinnegandola poi nel concreto con l'insipienza e lo scandalo dei suoi comportamenti. La minaccia dall'interno dunque è più subdola e chiede di essere smascherata attraverso un lineare riconoscimento dei fatti, seguendo un rigoroso percorso di penitenza che non ammette ritardi o attenuanti. Nel caso degli abusi su minori, che hanno coinvolto dolorosamente alcuni ecclesiastici, occorre aggiungere che l'accertamento dei fatti, nelle sedi e nei modi dovuti, garantisce alla giustizia i colpevoli di questi terribili delitti. Se, come credo, la crisi che si sta attraversando ha un senso, esso consiste proprio nel ritornare con umiltà alle sorgenti del Vangelo, che chiama ogni generazione di cristiani a dare ragione della propria speranza con le parole e con la vita. La questione educativa è da tempo indicata come elemento centrale dell'azione pastorale. In Italia, la Chiesa l'ha messa al centro degli orientamenti pastorali per il prossimo decennio. C'è un momento, o un processo, a partire dal quale, nella società civile, si può ravvisare l'inizio di questa emergenza? Come ricorda di frequente Benedetto XVI, ogni generazione è chiamata a raccogliere la sfida della libertà, e così a imparare sempre di nuovo cosa significhi essere liberi. Certamente ai nostri giorni esiste una serie di elementi che hanno reso più difficile l'esercizio di questa libertà, a fronte di un'aspirazione diffusa che la vede come un diritto e non anche come una responsabilità. In particolare, il mondo degli adulti ha smesso di generare alla vita. Ognuno di noi, infatti, cresce non tanto ascoltando quanto vedendo qualcuno. In concreto, genera alla vita chi si lascia sorprendere dalla vita e attraversare da essa. Ciò vuol dire che per essere generativi bisogna accettare il fatto che non si è all'origine della vita, ma che ci si fa attraversare da essa e con essa si dialoga. Diversamente si resta accecati e imprigionati dalla volontà di potenza e si finisce per distruggere il mondo. Credo che avere perso il senso dell'anteriorità, cioè di Dio, abbia prodotto mancanza di autorevolezza, e finito col creare una società senza padri, cioè fatalmente senza testimoni. La capacità di generare peraltro implica sempre una trasformazione personale, fatta di dedizione, di impegno, di passione, di successo e di fallimento. Fa parte dell'accoglienza della vita anche il sapere rinunciare a qualcosa di sé per gli altri. Mi sembra che questa serie elementare di atteggiamenti sia scomparsa dalla scena pubblica per dare adito a comportamenti per lo più narcisistici, quando non addirittura adolescenziali. Benedetto XVI, già nel 2008, ha fatto riferimento alla necessità di una nuova generazione di politici cattolici, messaggio rilanciato dal suo segretario di Stato, il cardinale Tarcisio Bertone, e da lei in occasione del Consiglio permanente della Cei dello scorso gennaio. Generalmente questo messaggio viene inteso come una chiamata ad assumere iniziative politiche conseguenti alla propria coscienza di cristiani. È questa l'interpretazione corretta? Il Papa a Cagliari ha auspicato una nuova generazione di politici cattolici e il suo segretario di Stato, il cardinale Bertone, gli ha fatto doverosamente eco, per segnalare una urgenza che è sotto gli occhi di tutti. L'affezione per la cosa pubblica sta scemando e sempre più rarefatto è il consenso intorno al bene comune, privilegiando ciascuno beni di piccolo cabotaggio e senza prospettiva alcuna. Per questa ragione anch'io ho fatto riferimento a un "sogno" per evocare una direzione di marcia verso cui camminare. Nella prolusione mi riferivo appunto a "una generazione nuova di italiani e di cattolici che, pur nel travaglio della cultura odierna e attrezzandosi a stare sensatamente dentro ad essa, sentono la cosa pubblica come importante e alta, in quanto capace di segnare il destino di tutti, e per essa sono disposti a dare il meglio dei loro pensieri, dei loro progetti, dei loro giorni". Penso che attorno a questo tema nevralgico della nostra società, che chiama in causa la testimonianza della Chiesa, occorra il concorso attivo di tutti. Come vescovi italiani ci impegneremo a una specifica riflessione in merito. Sui temi etici, in quasi tutti i partiti italiani si registrano al momento posizioni eterogenee. Esiste oggi un problema di rappresentanza politica delle posizioni cattoliche in Italia? Più che un problema di rappresentanza politica esiste un problema di coerenza personale. Credo che sempre più siano necessari fedeli laici capaci di imparare a vivere il mistero di Dio, esercitandosi ai beni fondamentali della libertà, della verità, della coscienza. Come detto nella citata prolusione dello scorso gennaio, "cresce l'urgenza di uomini e donne capaci, con l'aiuto dello Spirito, di incarnare questi ideali e di tradurli nella storia non cercando la via meno costosa della convenienza di parte comunque argomentata, ma la via più vera, che dispiega meglio il progetto di Dio sull'umanità, e perciò capaci di suscitare nel tempo l'ammirazione degli altri, anche di chi è mosso da logiche diverse". L'Italia, come il resto del mondo, sta vivendo un difficile passaggio economico. Ritiene che il peggio si possa considerare ormai superato o gli effetti della crisi devono ancora rivelarsi pienamente? Per quel che vedo con i miei occhi, c'è ancora molta disoccupazione. E non scorgo concreti e sicuri segnali di inversione di tendenza, anche in grandi realtà industriali della mia Genova. Serpeggiano tra la gente preoccupazioni serie e pungenti. Non mi riferisco ovviamente a un discorso di macroeconomia per il quale non ho le competenze. Semplicemente constato che se gli strateghi possono rassicurare sul medio periodo, ritenendo che la strada giusta sia stata imboccata, come vescovo vedo molta gente senza lavoro e sono turbato da tanta sofferenza e insicurezza su come arrivare alla fine del mese. Un certo assestamento c'è stato perché le famiglie si sono adattate, utilizzando meglio le risorse ed evitando gli sprechi. Però c'è una fascia che aveva ben poco da risparmiare e che obiettivamente è in affanno. Le misure che si stanno prendendo in risposta alla crisi stanno creando diverse tensioni fra parti sociali e contrasti a livello politico. Quali criteri dovrebbero essere seguiti nella previsione di interventi che si preannunciano molto severi? Credo che il criterio dell'equità economica sia quello da seguire, dovendo ciascuno dare in rapporto alle proprie capacità. Sta poi a chi ha la responsabilità politica affrontare in concreto la situazione, declinando l'equità economica dentro a una cornice di libertà politica e di coesione sociale. Solo così i tre valori in gioco - la libertà politica, la giustizia economica, la coesione sociale - si salvaguardano insieme. Da alcune parti, di frequente anche dal Quirinale, si osserva come il Paese stia perdendo il senso della coesione nazionale. La Chiesa in Italia condivide questa sensazione? L'anniversario dell'unità d'Italia è una provvidenziale occasione per ritrovare le comuni radici che hanno fatto il nostro Paese, ben prima del suo riconoscimento come Stato. Proprio riandando indietro nel tempo, si scopre che quando a prevalere sono state logiche di campanile e ci si è contrapposti in nome del proprio "particolare" si è registrata una battuta d'arresto. Al contrario, quando si è innescato il meccanismo virtuoso della cooperazione, allora le forze culturali, sociali, economiche e spirituali, si sono sommate e non annullate. Penso che la crisi in atto debba dunque spingere l'Italia a ritrovare se stessa. Per questo apprezzo lo sforzo di quanti, innanzitutto il presidente della Repubblica, invitano continuamente a ritrovare la coesione e la convergenza, al di là delle legittime differenze. Al Mezzogiorno la Cei ha dedicato un importante documento. La crisi, secondo gli osservatori, sembra aver aggravato ulteriormente il divario con il resto del Paese. Si discute anche dell'impatto del decentramento fiscale. Il federalismo è un pericolo o un'opportunità? Il federalismo non è una ricetta magica, ma rappresenta un'intuizione ben presente nella dottrina sociale della Chiesa, che sin dai tempi di Pio XI chiama in causa il principio di sussidiarietà - poi introdotto a Maastricht - per sottolineare che quel che può essere fatto dalle realtà intermedie non deve essere avocato a sé dall'istanza centrale. Infatti più si è vicini alla realtà, più la si può accompagnare con efficienza e oculatezza. Ciò posto, il principio suddetto va coniugato con quello di solidarietà per evitare che chi sta indietro resti ancora più arretrato. Dal 14 al 17 ottobre si terrà a Reggio Calabria la Settimana sociale dei cattolici italiani, con la quale si vuole proporre un'"agenda di speranza". È la speranza che manca maggiormente al Paese? L'agenda è un termine entrato nel linguaggio comune per richiamare concretezza di obiettivi e aderenza alla realtà. In quella preparata in vista della settimana di Reggio Calabria si elenca una serie di questioni non più rinviabili - come creare impresa, educare, includere nuove presenze nel nostro Paese, introdurre i giovani nel mondo del lavoro e della ricerca, compiere la transizione istituzionale - che oggi definiscono in modo puntuale il volto del bene comune, che solo garantisce la tenuta unitaria dell'Italia e la ripresa economica. Certamente è la speranza cristiana che fa da sfondo, e ancor prima da movente, a questa rinnovata stagione di impegno dei cattolici italiani dentro la società di oggi. Si è da poco concluso l'Anno sacerdotale. Cosa ha significato per i sacerdoti italiani, quale è l'eredità di questa iniziativa? L'Anno sacerdotale è stato, per volontà di Benedetto XVI, un'occasione straordinaria per riscoprire la bellezza, la gioia e la responsabilità del sacerdozio e del ministero pastorale. E per mettersi di più in gioco nella santità che richiede. La vocazione sacerdotale è infatti un dono inestimabile che non cancella la consapevolezza dei limiti umani, ma esalta la scelta del Signore Gesù, il quale si fa prossimo a ogni uomo attraverso il servizio discreto e fedele di tanti parroci e preti; e questi, attraverso il Vangelo e i sacramenti, aprono il mondo a Dio e rendono più umano il nostro territorio. Credo che l'eredità dell'Anno sacerdotale sia l'impegno a una testimonianza di vita che deve farsi ancor più trasparente per l'amore a Dio e alla sua Chiesa. "Per crucem ad lucem": ha usato più volte questa espressione per descrivere il momento che sta vivendo la Chiesa. Il tempo della croce sarà ancora molto lungo? Ogni momento di sofferenza, quando accolto con senso di responsabilità, prelude sempre a una rinascita. Sono convinto che anche questi mesi difficili cederanno il passo a una rinnovata passione per l'annuncio di Dio con le parole e le opere. Di Dio, infatti, l'uomo contemporaneo sente forte il bisogno in un mondo confuso e incerto, ma pur sempre alla ricerca del senso della vita terrena e della felicità piena.(©L'Osservatore Romano - 14 luglio 2010)

Imminenti donne vescovo nella Chiesa Anglicana

Da veri fedeli laici invitiamo i cari fratelli della chiesa anglicana a considerare l'immenso patrimonio di letteratura e pensiero cattolico sviluppatosi negli ultimi 2 secoli nell loro terra!

piange il cuore non poterli avere nella piena comunione con noi attorno all'unica garanzia della nostra fede :Pietro e la Chiesa Romana.

Che grande Grazia ci è toccata!!


il progetto per la nomina di vescovi ausiliari
Il sì alle donne vescovoirrevocabile per il Sinodo di York
York, 13. "Questa non segna certamente la fine del nostro cammino per l'unità", ha affermato l'arcivescovo di Canterbury Rowan Williams riferendosi alla decisione presa ieri sera dalla maggioranza dei membri del Sinodo generale della Chiesa d'Inghilterra, convocato a York, di procedere comunque nella riforma delle norme per consentire, nel prossimo futuro, la consacrazione di donne vescovo. Durante i lavori di ieri, il primate della Comunione anglicana è apparso molto contrariato dopo la notizia della mancata approvazione delle norme da lui proposte, insieme al vescovo di York, John Sentamu, per introdurre nell'attuale regolamentazione alcuni vescovi ausiliari, esclusivamente uomini, ai quali sarebbe spettata la cura pastorale delle parrocchie di fedeli che, per motivi di rispetto alla tradizione religiosa, non sono disponibili a riconoscere, neppure in futuro, l'autorità di donne vescovo. Dopo avere appreso che le norme da lui proposte, per evitare alla Chiesa d'Inghilterra la possibilità di uno scisma tra fedeli progressisti e conservatori, erano state bocciate dalla maggioranza dei rappresentanti della Camera del clero, per uno scarto di soli cinque voti, Williams, sopraffatto dallo scoraggiamento, ha esclamato: "In un periodo di grande difficoltà e preoccupazione come quello che abbiamo vissuto nei giorni scorsi, viene veramente la tentazione di gettare questo progetto nel cestino delle cose troppo difficili da realizzare!". Subito dopo, appena ripresosi dallo sconforto, ha tuttavia aggiunto: "Certamente, non penso proprio che questa sia una scelta possibile". Esprimendo la sua opinione, dopo la decisione presa dai membri del Sinodo di non accogliere le norme per salvaguardare l'autonomia dei fedeli che nutrono rispetto per la tradizione religiosa, il vescovo di York, John Sentamu, ha affermato che "certamente non è desiderabile appartenere a una Chiesa nella quale vengono chiuse le porte ai fedeli che hanno convinzioni teologiche fortemente fondate". Tuttavia il presule anglicano ha subito smentito le voci su possibili dimissioni e ha sottolineato, invece, che la Chiesa d'Inghilterra è la sua "casa spirituale". "I cambiamenti che si vorrebbero introdurre nella Chiesa d'Inghilterra rischiano di farla diventare irriconoscibile", ha affermato il reverendo David Houlding uno dei leader della corrente tradizionalista "Anglo-Catholic". Secondo il religioso, la decisione presa a York di procedere nella riforma per arrivare a consacrare donne vescovo "non lascia a noi grandi speranze di riuscire a ottenere uno spazio di autonomia nell'ambito della Chiesa d'Inghilterra, anzi sembra che stia prevalendo sempre più la volontà di escluderci". Houlding ha anche dichiarato che "i membri del Sinodo hanno preso in questi giorni delle decisioni molto gravi. Più si va avanti su questa strada e più le porte vengono chiuse. Da parte mia cercherò di restare fino a quando non sarò costretto ad andarmene. Questo non certamente avverrà a causa della mia volontà". Nel 1994, quando la Chiesa d'Inghilterra decise di consentire l'ordinazione di donne sacerdote, circa cinquecento religiosi lasciarono la Comunione anglicana per aderire alla Chiesa cattolica. La decisione di permettere la consacrazione di donne vescovo era inizialmente prevista per il 2005 ma questo impegno è progressivamente slittato sia per l'opposizione dei fedeli tradizionalisti sia per l'attenzione posta dagli elementi progressisti al tema dell'ordinazione religiosa di persone dichiaratamente omosessuali. Secondo alcuni pronostici, nel caso che si procedesse nel 2014 alla consacrazione di donne vescovo, circa milletrecento religiosi, un decimo del totale, potrebbe decidere di uscire fuori dalla Chiesa d'Inghilterra.(©L'Osservatore Romano - 14 luglio 2010)

Duns Scoto:un insegnamento occasione per riflettere sulla verità e libertà

Il passo sulla tendenza volontaristica di Duns scoto di staccare la libertà dalla Verità e quindi dal Logos è magistralmente e sorprendentemente semplice nella spiegazione .

La libertà quindi come coscienza di unità tra l'intelletto e volontà che richiede il lavoro di intrambe tali facoltà per superare le ferite e i nodi del peccato


In questo senso, il Popolo di Dio è “magistero che precede”, e che poi deve essere approfondito e intellettualmente accolto dalla teologia

“Ci sono grandi dotti, grandi specialisti, grandi teologi, maestri della fede, che ci hanno insegnato molte cose. Sono penetrati nei dettagli della Sacra Scrittura… ma non hanno potuto vedere il mistero stesso, il vero nucleo... L’essenziale è rimasto nascosto! Invece, ci sono anche nel nostro tempo i piccoli che hanno conosciuto tale mistero. Pensiamo a santa Bernardette Soubirous; a santa Teresa di Lisieux, con la sua nuova lettura della Bibbia ‘non scientifica’, ma che entra nel cuore della Sacra Scrittura” (Omelia. S. Messa con i Membri della Commissione Teologica Internazionale, 1 dicembre 2009).

Se è sganciata dalla verità, la libertà diventa tragicamente principio di distruzione dell’armonia interiore della persona umana, fonte di prevaricazione dei più forti e dei violenti, e causa di sofferenze e di lutti.


La libertà, come tutte le facoltà di cui l’uomo è dotato, cresce e si perfeziona, afferma Duns Scoto, quando l’uomo si apre a Dio, valorizzando quella disposizione all’ascolto della Sua voce, che egli chiama potentia oboedientialis: quando noi ci mettiamo in ascolto della Rivelazione divina, della Parola di Dio, per accoglierla, allora siamo raggiunti da un messaggio che riempie di luce e di speranza la nostra vita e siamo veramente liberi.

Cari fratelli e sorelle, il beato Duns Scoto ci insegna che nella nostra vita l’essenziale è credere che Dio ci è vicino e ci ama in Cristo Gesù, e coltivare, quindi, un profondo amore a Lui e alla sua Chiesa. Di questo amore noi siamo i testimoni su questa terra. Maria Santissima ci aiuti a ricevere questo infinito amore di Dio di cui godremo pienamente in eterno nel Cielo, quando finalmente la nostra anima sarà unita per sempre a Dio, nella comunione dei santi.

domenica 11 luglio 2010

san Tommaso: l'opera monumentale delle sue opere

Paolo VIMercoledì, 23 giugno 2010

San Tommaso d'Aquino (3)

Cari fratelli e sorelle,
vorrei oggi completare, con una terza parte, le mie catechesi su san Tommaso d’Aquino. Anche a più di settecento anni dopo la sua morte, possiamo imparare molto da lui. Lo ricordava anche il mio Predecessore, il Papa Paolo VI, che, in un discorso tenuto a Fossanova il 14 settembre 1974, in occasione del settimo centenario della morte di san Tommaso, si domandava: “Maestro Tommaso, quale lezione ci puoi dare?”. E rispondeva così: “la fiducia nella verità del pensiero religioso cattolico, quale da lui fu difeso, esposto, aperto alla capacità conoscitiva della mente umana” (Insegnamenti di Paolo VI, XII [1974], pp. 833-834). E, nello stesso giorno, ad Aquino, riferendosi sempre a san Tommaso, affermava: “tutti, quanti siamo figli fedeli della Chiesa possiamo e dobbiamo, almeno in qualche misura, essere suoi discepoli!” (Ibid., p. 836).
Mettiamoci dunque anche noi alla scuola di san Tommaso e del suo capolavoro, la Summa Theologiae. Essa è rimasta incompiuta, e tuttavia è un’opera monumentale: contiene 512 questioni e 2669 articoli. Si tratta di un ragionamento serrato, in cui l’applicazione dell’intelligenza umana ai misteri della fede procede con chiarezza e profondità, intrecciando domande e risposte, nelle quali san Tommaso approfondisce l’insegnamento che viene dalla Sacra Scrittura e dai Padri della Chiesa, soprattutto da sant’Agostino. In questa riflessione, nell’incontro con vere domande del suo tempo, che sono anche spesso domande nostre, san Tommaso, utilizzando anche il metodo e il pensiero dei filosofi antichi, in particolare di Aristotele, arriva così a formulazioni precise, lucide e pertinenti delle verità di fede, dove la verità è dono della fede, risplende e diventa accessibile per noi, per la nostra riflessione. Tale sforzo, però, della mente umana – ricorda l’Aquinate con la sua stessa vita – è sempre illuminato dalla preghiera, dalla luce che viene dall’Alto. Solo chi vive con Dio e con i misteri può anche capire che cosa essi dicono.
Nella Summa di Teologia, san Tommaso parte dal fatto che ci sono tre diversi modi dell’essere e dell'essenza di Dio: Dio esiste in se stesso, è il principio e la fine di tutte le cose, per cui tutte le creature procedono e dipendono da Lui; poi Dio è presente attraverso la sua Grazia nella vita e nell’attività del cristiano, dei santi; infine, Dio è presente in modo del tutto speciale nella Persona di Cristo unito qui realmente con l'uomo Gesù, e operante nei Sacramenti, che scaturiscono dalla sua opera redentrice. Perciò, la struttura di questa monumentale opera (cfr. Jean-Pierre Torrell, La «Summa» di San Tommaso, Milano 2003, pp. 29-75), una ricerca con “sguardo teologico” della pienezza di Dio (cfr. Summa Theologiae, Ia, q. 1, a. 7), è articolata in tre parti, ed è illustrata dallo stesso Doctor Communis – san Tommaso - con queste parole: “Lo scopo principale della sacra dottrina è quello di far conoscere Dio, e non soltanto in se stesso, ma anche in quanto è principio e fine delle cose, e specialmente della creatura ragionevole. Nell’intento di esporre questa dottrina, noi tratteremo per primo di Dio; per secondo del movimento della creatura verso Dio; e per terzo del Cristo, il quale, in quanto uomo, è per noi via per ascendere a Dio” (Ibid., I, q. 2). È un circolo: Dio in se stesso, che esce da se stesso e ci prende per mano, così che con Cristo ritorniamo a Dio, siamo uniti a Dio, e Dio sarà tutto in tutti.
La prima parte della Summa Theologiae indaga dunque su Dio in se stesso, sul mistero della Trinità e sull’attività creatrice di Dio. In questa parte troviamo anche una profonda riflessione sulla realtà autentica dell’essere umano in quanto uscito dalle mani creatrici di Dio, frutto del suo amore. Da una parte siamo un essere creato, dipendente, non veniamo da noi stessi; ma, dall’altra, abbiamo una vera autonomia, così che siamo non solo qualcosa di apparente — come dicono alcuni filosofi platonici — ma una realtà voluta da Dio come tale, e con valore in se stessa.
Nella seconda parte san Tommaso considera l’uomo, spinto dalla Grazia, nella sua aspirazione a conoscere e ad amare Dio per essere felice nel tempo e nell’eternità. Per prima cosa, l’Autore presenta i principi teologici dell’agire morale, studiando come, nella libera scelta dell’uomo di compiere atti buoni, si integrano la ragione, la volontà e le passioni, a cui si aggiunge la forza che dona la Grazia di Dio attraverso le virtù e i doni dello Spirito Santo, come pure l’aiuto che viene offerto anche dalla legge morale. Quindi l'essere umano è un essere dinamico che cerca se stesso, cerca di divenire se stesso e cerca, in questo senso, di compiere atti che lo costruiscono, lo fanno veramente uomo; e qui entra la legge morale, entra la Grazia e la propria ragione, la volontà e le passioni. Su questo fondamento san Tommaso delinea la fisionomia dell’uomo che vive secondo lo Spirito e che diventa, così, un’icona di Dio. Qui l’Aquinate si sofferma a studiare le tre virtù teologali - fede, speranza e carità -, seguite dall’esame acuto di più di cinquanta virtù morali, organizzate attorno alle quattro virtù cardinali - la prudenza, la giustizia, la temperanza e la fortezza. Termina poi con la riflessione sulle diverse vocazioni nella Chiesa.
Nella terza parte della Summa, san Tommaso studia il Mistero di Cristo - la via e la verità - per mezzo del quale noi possiamo ricongiungerci a Dio Padre. In questa sezione scrive pagine pressoché insuperate sul Mistero dell’Incarnazione e della Passione di Gesù, aggiungendo poi un’ampia trattazione sui sette Sacramenti, perché in essi il Verbo divino incarnato estende i benefici dell’Incarnazione per la nostra salvezza, per il nostro cammino di fede verso Dio e la vita eterna, rimane materialmente quasi presente con le realtà della creazione, ci tocca così nell'intimo.
Parlando dei Sacramenti, san Tommaso si sofferma in modo particolare sul Mistero dell’Eucaristia, per il quale ebbe una grandissima devozione, al punto che, secondo gli antichi biografi, era solito accostare il suo capo al Tabernacolo, come per sentire palpitare il Cuore divino e umano di Gesù. In una sua opera di commento alla Scrittura, san Tommaso ci aiuta a capire l’eccellenza del Sacramento dell’Eucaristia, quando scrive: “Essendo l’Eucaristia il sacramento della Passione di nostro Signore, contiene in sé Gesù Cristo che patì per noi. Pertanto tutto ciò che è effetto della Passione di nostro Signore, è anche effetto di questo sacramento, non essendo esso altro che l’applicazione in noi della Passione del Signore” (In Ioannem, c.6, lect. 6, n. 963). Comprendiamo bene perché san Tommaso e altri santi abbiano celebrato la Santa Messa versando lacrime di compassione per il Signore, che si offre in sacrificio per noi, lacrime di gioia e di gratitudine.
Cari fratelli e sorelle, alla scuola dei santi, innamoriamoci di questo Sacramento! Partecipiamo alla Santa Messa con raccoglimento, per ottenerne i frutti spirituali, nutriamoci del Corpo e del Sangue del Signore, per essere incessantemente alimentati dalla Grazia divina! Intratteniamoci volentieri e frequentemente, a tu per tu, in compagnia del Santissimo Sacramento!
Quanto san Tommaso ha illustrato con rigore scientifico nelle sue opere teologiche maggiori, come appunto la Summa Theologiae, anche la Summa contra Gentiles è stato esposto anche nella sua predicazione, rivolta agli studenti e ai fedeli. Nel 1273, un anno prima della sua morte, durante l’intera Quaresima, egli tenne delle prediche nella chiesa di San Domenico Maggiore a Napoli. Il contenuto di quei sermoni è stato raccolto e conservato: sono gli Opuscoli in cui egli spiega il Simbolo degli Apostoli, interpreta la preghiera del Padre Nostro, illustra il Decalogo e commenta l’Ave Maria. Il contenuto della predicazione del Doctor Angelicus corrisponde quasi del tutto alla struttura del Catechismo della Chiesa Cattolica. Infatti, nella catechesi e nella predicazione, in un tempo come il nostro di rinnovato impegno per l’evangelizzazione, non dovrebbero mai mancare questi argomenti fondamentali: ciò che noi crediamo, ed ecco il Simbolo della fede; ciò che noi preghiamo, ed ecco il Padre Nostro e l’Ave Maria; e ciò che noi viviamo come ci insegna la Rivelazione biblica, ed ecco la legge dell’amore di Dio e del prossimo e i Dieci Comandamenti, come esplicazione di questo mandato dell'amore.
Vorrei proporre qualche esempio del contenuto, semplice, essenziale e convincente, dell’insegnamento di san Tommaso. Nel suo Opuscolo sul Simbolo degli Apostoli egli spiega il valore della fede. Per mezzo di essa, dice, l’anima si unisce a Dio, e si produce come un germoglio di vita eterna; la vita riceve un orientamento sicuro, e noi superiamo agevolmente le tentazioni. A chi obietta che la fede è una stoltezza, perché fa credere in qualcosa che non cade sotto l’esperienza dei sensi, san Tommaso offre una risposta molto articolata, e ricorda che questo è un dubbio inconsistente, perché l’intelligenza umana è limitata e non può conoscere tutto. Solo nel caso in cui noi potessimo conoscere perfettamente tutte le cose visibili e invisibili, allora sarebbe un’autentica stoltezza accettare delle verità per pura fede. Del resto, è impossibile vivere, osserva san Tommaso, senza fidarsi dell’esperienza altrui, là dove la personale conoscenza non arriva. È ragionevole dunque prestare fede a Dio che si rivela e alla testimonianza degli Apostoli: essi erano pochi, semplici e poveri, affranti a motivo della Crocifissione del loro Maestro; eppure molte persone sapienti, nobili e ricche si sono convertite in poco tempo all’ascolto della loro predicazione. Si tratta, in effetti, di un fenomeno storicamente prodigioso, a cui difficilmente si può dare altra ragionevole risposta, se non quella dell’incontro degli Apostoli con il Signore Risorto.
Commentando l’articolo del Simbolo sull’Incarnazione del Verbo divino, san Tommaso fa alcune considerazioni. Afferma che la fede cristiana, considerando il mistero dell’Incarnazione, viene ad essere rafforzata; la speranza si eleva più fiduciosa, al pensiero che il Figlio di Dio è venuto tra noi, come uno di noi, per comunicare agli uomini la propria divinità; la carità è ravvivata, perché non vi è segno più evidente dell’amore di Dio per noi, quanto vedere il Creatore dell’universo farsi egli stesso creatura, uno di noi. Infine, considerando il mistero dell’Incarnazione di Dio, sentiamo infiammarsi il nostro desiderio di raggiungere Cristo nella gloria. Adoperando un semplice ed efficace paragone, san Tommaso osserva: “Se il fratello di un re stesse lontano, certo bramerebbe di potergli vivere accanto. Ebbene, Cristo ci è fratello: dobbiamo quindi desiderare la sua compagnia, diventare un solo cuore con lui” (Opuscoli teologico-spirituali, Roma 1976, p. 64).
Presentando la preghiera del Padre Nostro, san Tommaso mostra che essa è in sé perfetta, avendo tutte e cinque le caratteristiche che un’orazione ben fatta dovrebbe possedere: fiducioso e tranquillo abbandono; convenienza del suo contenuto, perché – osserva san Tommaso – “è assai difficile saper esattamente cosa sia opportuno chiedere e cosa no, dal momento che siamo in difficoltà di fronte alla selezione dei desideri” (Ibid., p. 120); e poi ordine appropriato delle richieste, fervore di carità e sincerità dell’umiltà.
San Tommaso è stato, come tutti i santi, un grande devoto della Madonna. L’ha definita con un appellativo stupendo: Triclinium totius Trinitatis, triclinio, cioè luogo dove la Trinità trova il suo riposo, perché, a motivo dell’Incarnazione, in nessuna creatura, come in Lei, le tre divine Persone inabitano e provano delizia e gioia a vivere nella sua anima piena di Grazia. Per la sua intercessione possiamo ottenere ogni aiuto.
Con una preghiera, che tradizionalmente viene attribuita a san Tommaso e che, in ogni caso, riflette gli elementi della sua profonda devozione mariana, anche noi diciamo: “O beatissima e dolcissima Vergine Maria, Madre di Dio..., io affido al tuo cuore misericordioso tutta la mia vita... Ottienimi, o mia dolcissima Signora, carità vera, con la quale possa amare con tutto il cuore il tuo santissimo Figlio e te, dopo di lui, sopra tutte le cose, e il prossimo in Dio e per Dio”.

giovedì 8 luglio 2010

Sulmona:il Papa con i giovani

"Sì, la memoria storica è veramente una “marcia in più” nella vita, perché senza memoria non c’è futuro...."

"il cristiano è uno che ha buona memoria, che ama la storia e cerca di conoscerla."

"come si può riconoscere la chiamata di Dio? Ebbene, il segreto della vocazione sta nella capacità e nella gioia di distinguere, ascoltare e seguire la sua voce"

"il segreto della vocazione sta nel rapporto con Dio, nella preghiera che cresce proprio nel silenzio interiore, nella capacità di ascoltare che Dio è vicino

Cari giovani: trovate sempre uno spazio nelle vostre giornate per Dio, per ascoltarlo e parlargli!


Stare con Dio, ascoltare la sua Parola, nel Vangelo, nella liturgia della Chiesa, difende dagli abbagli dell’orgoglio e della presunzione, dalle mode e dai conformismi, e dà la forza di essere veramente liberi, anche da certe tentazioni mascherate da cose buone


come possiamo essere “nel” mondo ma non “del” mondo? Vi rispondo: proprio grazie alla preghiera, al contatto personale con Dio.

Non si tratta di moltiplicare le parole – lo diceva già Gesù –, ma di stare alla presenza di Dio, facendo proprie, nella mente e nel cuore, le espressioni del “Padre Nostro”, che abbraccia tutti i problemi della nostra vita, oppure adorando l’Eucaristia, meditando il Vangelo nella nostra stanza, o partecipando con raccoglimento alla liturgia.

Gli eremi e i monasteri sono oasi e sorgenti di vita spirituale da cui tutti possono attingere


Dio è la perla preziosa che dà valore a tutto il resto: alla famiglia, allo studio, al lavoro, all’amore umano… alla vita stessa. Avete capito che Dio non vi toglie nulla, ma vi dà il “centuplo”