domenica 31 ottobre 2010

Guardini:Uomo del dialogo alla ricerca della verità


discorso del Papa ai partecipanti alla conferenza su Romano Guardini ricevuti in udienza venerdì 29 ottobre
Uomo del dialogo alla ricerca della verità
Pubblichiamo qui di seguito il testo del discorso rivolto, venerdì mattina, 29 ottobre, da Benedetto XVI ai partecipanti a un convegno su Romano Guardini, ricevuti in udienza nella Sala Clementina. Il Papa sintetizzandone il percorso umano, spirituale e teologico aveva descritto Guardini come un uomo di dialogo che ha osservato il mondo con uno sguardo comprensivo alla ricerca della verità di Dio e dell'uomo.



Eccellenze, Illustrissimo Signor Presidente Prof. von Pufendorf, Illustri Signore e Signori, Cari amici! È per me una gioia poter dare il benvenuto qui, nel Palazzo Apostolico, a voi tutti venuti a Roma in occasione del Convegno della Fondazione Guardini sul tema "Eredità spirituale e intellettuale di Romano Guardini". In particolare, ringrazio Lei, caro Professore von Pufendorf, per le cordiali parole che mi ha rivolto all'inizio di questo nostro incontro, nelle quali ha espresso l'intera "lotta" attuale, che ci lega a Guardini e, al tempo stesso, ci richiede di portare avanti l'opera della sua vita. Nel discorso di ringraziamento in occasione della celebrazione del suo 80° genetliaco, nel febbraio 1965 all'Università "Ludwig-Maximilian" di Monaco, Guardini descrive il compito della sua vita, quale egli lo intende, come un modo "di interrogarsi, in un continuo scambio spirituale, cosa significhi una Weltanschauung cristiana" (Stationen und Rückblicke, S. 41). La visione, questo sguardo complessivo sul mondo, è stato per Guardini non uno sguardo dall'esterno come di un mero oggetto di ricerca. Egli non intendeva nemmeno la prospettiva della storia dello spirito, che esamina e pondera quanto altri hanno detto o scritto sulla forma religiosa di un'epoca. Tutti questi punti di vista erano insufficienti secondo Guardini. Negli appunti sulla sua vita, egli affermava "Ciò che immediatamente mi interessava, non era la questione di cosa qualcuno avesse detto sulla verità cristiana, ma di cosa sia vero" (Berichte über mein Leben, S. 24). Ed era questa impostazione del suo insegnamento che colpì noi giovani, perché noi non volevamo conoscere uno "spettacolo pirotecnico" delle opinioni esistenti dentro o fuori della Cristianità: noi volevamo conoscere ciò che è. E lì c'era uno che senza timore e, al tempo stesso, con tutta la serietà del pensiero critico, poneva questa questione e ci aiutava a pensare insieme. Guardini non voleva conoscere qualcosa o molte cose, egli aspirava alla verità di Dio e alla verità sull'uomo. Lo strumento per avvicinarsi a questa verità, era per lui la Weltanschauung - come la si chiamava a quel tempo - che si realizza in uno scambio vivo con il mondo e con gli uomini. Lo specifico cristiano consiste nel fatto che l'uomo si sa in una relazione con Dio che lo precede e alla quale non può sottrarsi. Non è il nostro pensare il principio che stabilisce il metro di misura, ma Dio che supera il nostro metro di misura e non può essere ridotto ad alcuna entità creata da noi. Dio rivela sé stesso come la verità, ma essa non è astratta, bensí si trova nel concreto-vivente, infine, nella forma di Gesù Cristo. Chi, però, vuole vedere Gesù, la verità, deve "invertire la rotta", deve uscire dall'autonomia del pensiero arbitrario verso la disposizione all'ascolto, che accoglie ciò che è. E questo cammino a ritroso, che egli ha compiuto nella sua conversione, ha plasmato l'intero suo pensiero e l'intera sua vita come un continuo uscire dall'autonomia verso l'ascolto, verso il ricevere. Tuttavia perfino in un autentico rapporto con Dio l'uomo non sempre comprende ciò che Dio dice. Egli ha bisogno di un correttivo, e questo consiste nello scambio con gli altri, che nella Chiesa vivente di ogni tempo ha trovato la sua forma attendibile, che congiunge tutti gli uni con gli altri. Guardini era un uomo del dialogo. Le sue opere sono quasi senza eccezione sorte da un colloquio, perlomeno interiore. Le lezioni del Professore di filosofia della religione e di Weltanschauung cristiana all'Università di Berlino negli anni 20 rappresentavano soprattutto incontri con personalità della storia del pensiero. Guardini leggeva le opere di questi autori, li ascoltava, imparava da loro come vedevano il mondo ed entrava in dialogo con loro, per sviluppare in dialogo con essi ciò che egli, in quanto pensatore cattolico, aveva da dire al loro pensiero. Questa abitudine egli la continuò a Monaco, ed era anche la peculiarità dello stile delle sue lezioni, il fatto che egli fosse in dialogo con i Pensatori. La sua parola chiave era: "Vedete..." perché voleva guidarci a "vedere" ed egli stesso stava in un comune dialogo interiore con gli uditori. Questa era la novità rispetto alla retorica dei vecchi tempi: che egli non cercasse affatto alcuna retorica, bensì parlasse in modo del tutto semplice con noi e, insieme a ciò, parlasse con la verità e ci inducesse al dialogo con la verità. E questo è un ampio spettro di "dialoghi" con autori come Socrate, Sant'Agostino o Pascal, con Dante, Hölderlin, Mörike, Rilke e Dostojevskij. Egli vedeva in loro dei mediatori viventi, che scoprono in una parola del passato il presente, permettendo di vederlo e viverlo in modo nuovo. Essi ci donano una forza, che può condurci di nuovo a noi stessi. Dall'apertura dell'uomo per il vero segue, per Guardini, un ethos, una base per il nostro comportamento morale verso il nostro prossimo, come esigenza della nostra esistenza. Poiché l'uomo può incontrare Dio, può anche agire bene. Per lui vale questo primato dell'ontologia sull'ethos, dall'essere, dall'essere stesso di Dio rettamente compreso e ascoltato segue dunque il retto agire. Egli diceva: "Una prassi autentica, cioè un agire corretto, sorge dalla verità, e per questa si deve lottare" (ibid., S. 111). Un tale anelito verso il vero e il protendersi verso ciò che è originario ed essenziale, Guardini lo notava anzitutto anche presso i giovani. Nei suoi dialoghi con la gioventù, particolarmente al Castello di Rothenfels, che allora grazie a Guardini era diventato il centro del movimento giovanile cattolico, il sacerdote ed educatore portò avanti gli ideali del movimento giovanile quali l'autodeterminazione, la responsabilità propria e l'interiore disposizione alla verità; egli li purificò e li approfondì. Libertà. Sì, ma libero è solo - ci diceva - colui che "è completamente ciò che deve essere secondo la sua natura. [...] Libertà è verità" (Auf dem Wege, S. 20). La verità dell'uomo è per Guardini essenzialità e conformità all'essere. Il cammino porta alla verità quando l'uomo esercita "l'obbedienza del nostro essere nei confronti dell'essere di Dio" (ibid., S. 21). Ciò avviene ultimamente nell'adorazione, che per Guardini appartiene all'ambito del pensiero. Nell'accompagnare la gioventù, Guardini cercò anche un nuovo accesso alla liturgia. La riscoperta della liturgia era per lui una riscoperta dell'unità fra spirito e corpo nella totalità dell'unico essere umano, poiché l'atto liturgico è sempre allo stesso tempo un atto corporale e spirituale. Il pregare viene dilatato attraverso l'agire corporale e comunitario, e così si rivela l'unità di tutta la realtà. La liturgia è un agire simbolico. Il simbolo come quintessenza dell'unità tra lo spirituale e il materiale va perso dove ambedue si separano, dove il mondo viene spaccato in modo dualistico in spirito e corpo, in soggetto e oggetto. Guardini era profondamente convinto che l'uomo è spirito in corpo e corpo in spirito e che, pertanto, la liturgia e il simbolo lo conducono all'essenza di se stesso, in definitiva lo portano, tramite l'adorazione, alla verità. Tra i grandi temi di vita di Guardini il rapporto tra fede e mondo è di permanente attualità. Guardini vedeva soprattutto nell'Università il luogo della ricerca della verità. L'Università può esserlo, però, solo quando è libera da ogni strumentalizzazione e tornaconto per fini politici e di altro tipo. Oggi, in un mondo di globalizzazione e frammentazione, è ancora più necessario che venga portato avanti questo proposito, un proposito che sta molto a cuore alla Fondazione Guardini e per la cui realizzazione è stata creata la cattedra Guardini. Di nuovo esprimo il mio cordiale ringraziamento a tutti i presenti per essere venuti. Possa la frequentazione dell'opera di Guardini affinare la sensibilità per i fondamenti cristiani della nostra cultura e società. Volentieri imparto a tutti voi la Benedizione Apostolica. (©L'Osservatore Romano - 31 ottobre 2010)

Essere grandi, ovvero crescere nell’amicizia di Gesù





Centomila giovani dell’Azione Cattolica in Piazza San Pietro. Il Papa: solo in Gesù troviamo il vero amore e la vera libertàUna festa della fede, un momento di gioia ed entusiasmo: è quanto si è vissuto stamani in Piazza San Pietro invasa da centomila giovani dell’Azione Cattolica convenuti, da tutta l’Italia, a Roma per incontrare Benedetto XVI. Un evento incentrato sul tema “C’è di più. Diventiamo grandi insieme” che ha visto il momento culminante nel dialogo tra il Papa e i ragazzi su temi forti come l’amore, l’educazione e la testimonianza evangelica nella vita quotidiana. Il servizio di Alessandro Gisotti: CantiAbbiate il coraggio, “l’audacia di non lasciare nessun ambiente privo di Gesù”: è la sfida impegnativa che il Papa ha lanciato stamani ai centomila giovani dell’Azione Cattolica, in un clima di grande affetto e gioia. La parola del Papa, ha detto il presidente dell’associazione, Franco Miano, “ci aiuta ad avere fiducia e a credere anche nei momenti più difficili che la speranza continua ad essere l’orizzonte più degno dell’uomo”. Dal canto suo, l’assistente spirituale dell’Azione Cattolica, mons. Domenico Sigalini, ha osservato che “non è vero che le Chiese sono abbandonate dai giovani” e che i ragazzi di oggi “non vogliono mediocrità o adattamenti, ma sogni e voli alti”. Anche il cardinale Angelo Bagnasco, presidente dell’episcopato italiano, ha messo l’accento sulle grandi speranze che la Chiesa ripone nei giovani ai quali, ha detto, gli adulti sono chiamati a dare il buon esempio. Quindi, ha messo l’accento sul ruolo del Papa per i giovani:"Il Santo Padre ci parla di Gesù, ci indica il suo vero volto, ci garantisce di essere sulla strada giusta: stretti al Papa, sentiamo il calore e la gioia della Chiesa, la famiglia dei figli di Dio. Cari ragazzi e giovani dell’Azione Cattolica, siate amici di Gesù, amate la Chiesa, dite al Santo Padre il vostro affetto". E’ stata dunque la volta dell’atteso dialogo tra Benedetto XVI e i ragazzi. Il Papa ha risposto a tre domande di giovani ed educatori dell’Azione Cattolica, partendo dal tema dell’incontro “C’è di più”. Benedetto XVI ha rilevato che crescere in altezza non significa diventare davvero grandi. Ed ha confidato un ricordo personale:“Io quando sono stato ragazzo, alla vostra età, nella mia classe ero uno dei più piccoli e tanto più ho avuto il desiderio di essere un giorno molto grande e non solo grande di misura, ma volevo fare qualcosa di grande, di più della mia vita, anche se non conoscevo questa parola ‘C’è di più’”. Quindi, ha sottolineato cosa vuol dire davvero essere grandi, ovvero crescere nell’amicizia di Gesù. Un insegnamento che anche gli adulti non devono dimenticare:“Così Gesù ha insegnato agli adulti che anche voi siete 'grandi' e che gli adulti devono custodire questa grandezza, che è quella di avere un cuore che vuole bene a Gesù”. Essere “grandi” allora, ha soggiunto, “vuol dire amare tanto Gesù, ascoltarlo e parlare con Lui nella preghiera, incontrarlo nei Sacramenti, nella Santa Messa”. Ed ha ribadito che “amore di Dio” è sempre “amore degli amici”, specie di quelli in difficoltà. E il significato autentico della parola amore è stato anche il tema forte della seconda domanda, alla quale il Papa ha risposto mettendo in guardia dai messaggi sbagliati che spesso la società propone ai giovani:“E’ proprio vero: voi non potete e non dovete adattarvi ad un amore ridotto a merce di scambio, da consumare senza rispetto per sé e per gli altri, incapace di castità e di purezza. Questa non è libertà. Molto 'amore' proposto dai media, in internet, non è amore, ma è egoismo, chiusura, vi dà l’illusione di un momento, ma non vi rende felici, non vi fa grandi, ma vi lega come una catena che soffoca i pensieri e i sentimenti più belli, gli slanci veri del cuore, quella forza insopprimibile che è l’amore e che trova in Gesù la sua massima espressione e nello Spirito Santo la forza e il fuoco che incendia le vostre vite, i vostri pensieri, i vostri affetti”. “Certo – ha riconosciuto il Santo Padre – costa anche sacrificio vivere in modo vero l’amore”, ma si è detto sicuro che i giovani dell’Azione Cattolica non hanno “paura della fatica di un amore impegnativo e autentico” giacché è “l’unico che dà in fin dei conti la vera gioia!”. Anzi, ha proseguito il Papa, “c’è una prova che vi dice se il vostro amore sta crescendo bene: se non escludete dalla vostra vita gli altri, soprattutto i vostri amici che soffrono e sono soli, le persone in difficoltà, e se aprite il vostro cuore al grande Amico che è Gesù”. Il Papa ha infine risposto ad un’educatrice dell’Azione Cattolica, soffermandosi su cosa vuol dire essere educatori:“Direi che essere educatori significa avere una gioia nel cuore e comunicarla a tutti per rendere bella e buona la vita; significa offrire ragioni e traguardi per il cammino della vita, offrire la bellezza della persona di Gesù e far innamorare di Lui, del suo stile di vita, della sua libertà, del suo grande amore pieno di fiducia in Dio Padre”. “Voi – è stata la sua esortazione – siete dei buoni educatori se sapete coinvolgere tutti per il bene dei più giovani”. Ed ha aggiunto: “Non potete essere autosufficienti, ma dovete far sentire l’urgenza dell’educazione delle giovani generazioni a tutti i livelli”. Al momento dei saluti, il Papa ha risposto con affetto al grande entusiasmo dei ragazzi:“Anche io sono pieno di gioia! Mi sento ringiovanito (applausi). Grazie a tutti voi di cuore!” (applausi)

sabato 30 ottobre 2010

Guardini:un maestro per il Papa e per tutti noi!


La libertà è verità: la riflessione del Papa sugli insegnamenti del teologo Romano GuardiniLa visione cristiana sul mondo, come strumento per avvicinarsi alla verità di Dio. Lungo questo percorso interiore, intessuto di dialogo con l’altro, spese la sua vita di sacerdote e teologo Romano Guardini. Benedetto XVI, che di Guardini fu giovane allievo, ha parlato dei punti fondamentali della riflessione del teologo nell’udienza concessa questa mattina in Vaticano ai partecipanti al Congresso promosso dalla Fondazione “Romano Guardini”, dedicato all’analisi dell’“eredità spirituale ed intellettuale” dello studioso italo-tedesco, scomparso 40 anni fa. Il servizio di Alessandro De Carolis: “Un uomo del dialogo interiore” e dello scambio culturale con gli uomini, innamorato “della verità di Dio e della verità sull’uomo”: non come mero esercizio di astrazione, ma come ricerca che porta alla scelta del bene nei riguardi del prossimo. È uno sguardo competente – di chi ebbe modo di ascoltarlo e studiarlo sin da giovane – e ammirato quello che Benedetto XVI dedica a Romano Guardini, celebrato in questi giorni da un Congresso della Fondazione berlinese che porta il nome del teologo, nato a Verona nel 1885 e spentosi il primo ottobre del 1968 a Monaco di Baviera. Al teologo – ha ricordato il Papa – non interessava “conoscere una cosa qualunque o molte cose; egli voleva conoscere la verità di Dio e la verità sull’Uomo”, scoprire cosa significasse la “weltanschauung cristiana”, la visione cristiana del mondo:“Und diese Orientierung seiner Lehre war es...Ed era questo orientamento del suo insegnamento che aveva colpito noi giovani: noi, infatti, non volevamo conoscere un’esplosione di tutte le opinioni che esistevano all’interno o al di fuori della cristianità, perché noi volevamo conoscere ciò che è. E lì c’era uno che, senza paure e allo stesso tempo con tutta la serietà del pensiero critico, si poneva di fronte a questa domanda e ci aiutava a seguire il pensiero". Tuttavia, ha proseguito Benedetto XVI, anche se la verità di Dio “non è astratta o trascendente, ma si trova nel vivo-concreto, nella figura di Gesù Cristo”, talvolta anche l’uomo più disponibile “non sempre” comprende “quello che dice Dio”. Serve, allora, “un correttivo, e questo consiste nello scambio con l’altro”:“Guardini war ein Mann des Dialogs...Guardini era un uomo del dialogo. Le sue opere sono nate quasi senza eccezione da un dialogo, se non altro interiore (...) Dall’apertura dell’Uomo per la verità per Guardini ne consegue un ethos, un fondamento per il nostro comportamento morale nei riguardi del nostro prossimo, come esigenza della nostra esistenza. Proprio perché l’uomo può incontrare Dio può agire per il bene”.Guardini, ha detto il Papa, fu anche un sensibile pedagogo per i giovani. I loro ideali di autodeterminazione, responsabilità, sincerità interiore “li purificava e li approfondiva”, ha affermato, insegnando che la “libertà è verità” e che l’uomo è vero se lo è “secondo la sua natura” che porta a Dio. Inoltre, ha soggiunto il Pontefice, accompagnando i giovani, Guardini cercò anche un nuovo approccio alla liturgia:“Wiederentdeckung der Liturgie war für ihn Wiederentdeckung der Einheit ...La riscoperta della liturgia per lui era riscoperta dell’unità tra spirito e corpo nella completezza dell’uomo intero. Infatti, l’atteggiamento liturgico è sempre atteggiamento fisico e spirituale. La preghiera è allargata dall’agire fisico e comunitario e così l’unità si apre a tutta la realtà”.Auspicando che lo studio attento delle opere di Romano Guardini “approfondisca la consapevolezza dei fondamenti cristiani della nostra cultura e della nostra società”, Benedetto XVI ha terminato con una riflessione sulla “perenne attualità” del “rapporto tra fede e mondo”, che fu al centro del pensiero del teologo:“Er sah gerade in der Universität…Guardini vedeva nell’università il luogo della ricerca della verità. Questo, però, può essere solamente se essa è libera da qualsiasi strumentalizzazione e da qualsiasi coinvolgimento politico o di altro genere. Oggi più che mai, in un mondo fatto di globalizzazione e frammentazione, è necessario che questa esigenza venga portata avanti”.

lunedì 25 ottobre 2010

Ma, per salire al Cielo, la preghiera deve partire da un cuore umile, povero

Insegnamento sulla preghiera e sulla comunione




CAPPELLA PAPALE PER LA CONCLUSIONE DELL'ASSEMBLEA SPECIALE DEL SINODO DEI VESCOVIPER IL MEDIO ORIENTE
OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Basilica VaticanaDomenica, 24 ottobre 2010


Venerati Fratelli,illustri Signori e Signore,cari fratelli e sorelle!
A distanza di due settimane dalla Celebrazione di apertura, ci siamo radunati nuovamente nel giorno del Signore, intorno all’Altare della Confessione della Basilica di San Pietro, per concludere l’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi. Nei nostri cuori c’è una profonda gratitudine a Dio che ci ha donato questa esperienza davvero straordinaria, non solo per noi, ma per il bene della Chiesa, del Popolo di Dio che vive nelle terre tra il Mediterraneo e la Mesopotamia. Come Vescovo di Roma, desidero partecipare questa riconoscenza a voi, venerati Padri sinodali: Cardinali, Patriarchi, Arcivescovi, Vescovi. Ringrazio in particolare il Segretario Generale, i quattro Presidenti Delegati, il Relatore Generale, il Segretario Speciale e tutti i collaboratori, che in questi giorni hanno lavorato senza risparmio.
Stamani abbiamo lasciato l’Aula del Sinodo e siamo venuti “al tempio per pregare”; per questo, ci riguarda direttamente la parabola del fariseo e del pubblicano raccontata da Gesù e riportata dall’evangelista san Luca (cfr 18,9-14). Anche noi potremmo essere tentati, come il fariseo, di ricordare a Dio i nostri meriti, magari pensando all’impegno di queste giornate. Ma, per salire al Cielo, la preghiera deve partire da un cuore umile, povero. E quindi anche noi, al termine di questo evento ecclesiale, vogliamo anzitutto rendere grazie a Dio, non per i nostri meriti, ma per il dono che Lui ci ha fatto. Ci riconosciamo piccoli e bisognosi di salvezza, di misericordia; riconosciamo che tutto viene da Lui e che solo con la sua Grazia si realizzerà quanto lo Spirito Santo ci ha detto. Solo così potremo “tornare a casa” veramente arricchiti, resi più giusti e più capaci di camminare nelle vie del Signore.
La prima lettura e il Salmo responsoriale insistono sul tema della preghiera, sottolineando che essa è tanto più potente presso il cuore di Dio quanto più chi prega è in condizione di bisogno e di afflizione. “La preghiera del povero attraversa le nubi”, afferma il Siracide (35,21); e il salmista aggiunge: “Il Signore è vicino a chi ha il cuore spezzato, / egli salva gli spiriti affranti” (34,19). Il pensiero va a tanti fratelli e sorelle che vivono nella regione mediorientale e che si trovano in situazioni difficili, a volte molto pesanti, sia per i disagi materiali, sia per lo scoraggiamento, lo stato di tensione e talvolta di paura. La Parola di Dio oggi ci offre anche una luce di speranza consolante, là dove presenta la preghiera, personificata, che “non desiste finché l’Altissimo non sia intervenuto e abbia reso soddisfazione ai giusti e ristabilito l’equità” (Sir 35,21-22). Anche questo legame tra preghiera e giustizia ci fa pensare a tante situazioni nel mondo, in particolare nel Medio Oriente. Il grido del povero e dell’oppresso trova un’eco immediata in Dio, che vuole intervenire per aprire una via di uscita, per restituire un futuro di libertà, un orizzonte di speranza.
Questa fiducia nel Dio vicino, che libera i suoi amici, è quella che testimonia l’apostolo Paolo nell’epistola odierna, tratta dalla Seconda Lettera a Timoteo. Vedendo ormai prossima la fine della vita terrena, Paolo traccia un bilancio: “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede” (2 Tm 4,7). Per ognuno di noi, cari fratelli nell’episcopato, questo è un modello da imitare: ci conceda la Bontà divina di fare nostro un simile consuntivo! “Il Signore – prosegue san Paolo – mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare a compimento l’annuncio del Vangelo e tutte le genti lo ascoltassero” (2 Tm 4,16-17). E’ una parola che risuona con particolare forza in questa domenica in cui celebriamo la Giornata Missionaria Mondiale! Comunione con Gesù crocifisso e risorto, testimonianza del suo amore. L’esperienza dell’Apostolo è paradigmatica per ogni cristiano, specialmente per noi Pastori. Abbiamo condiviso un momento forte di comunione ecclesiale. Ora ci lasciamo per tornare ciascuno alla propria missione, ma sappiamo che rimaniamo uniti, rimaniamo nel suo amore.
L’Assemblea sinodale che oggi si chiude ha tenuto sempre presente l’icona della prima comunità cristiana, descritta negli Atti degli Apostoli: “La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola” (At 4,32). E’ una realtà sperimentata nei giorni scorsi, in cui abbiamo condiviso le gioie e i dolori, le preoccupazioni e le speranze dei cristiani del Medio Oriente. Abbiamo vissuto l’unità della Chiesa nella varietà delle Chiese presenti in quella Regione. Guidati dallo Spirito Santo, siamo diventati “un cuore solo e un’anima sola” nella fede, nella speranza e nella carità, soprattutto durante le Celebrazioni eucaristiche, fonte e culmine della comunione ecclesiale, come pure nella Liturgia delle Ore, celebrata ogni mattina in uno dei 7 Riti cattolici del Medio Oriente. Abbiamo così valorizzato la ricchezza liturgica, spirituale e teologica delle Chiese Orientali Cattoliche, oltre che della Chiesa Latina. Si è trattato di uno scambio di doni preziosi, di cui hanno beneficiato tutti i Padri sinodali. E’ auspicabile che tale esperienza positiva si ripeta anche nelle rispettive comunità del Medio Oriente, favorendo la partecipazione dei fedeli alle celebrazioni liturgiche degli altri Riti cattolici e quindi ad aprirsi alle dimensioni della Chiesa universale.
La preghiera comune ci ha aiutato anche ad affrontare le sfide della Chiesa Cattolica
nel Medio Oriente. Una di esse è la comunione all’interno di ogni Chiesa sui iuris, come pure nei rapporti tra le varie Chiese Cattoliche di diverse tradizioni. Come ci ha ricordato l’odierna pagina del Vangelo (cfr Lc 18,9-14), abbiamo bisogno di umiltà, per riconoscere i nostri limiti, i nostri errori ed omissioni, per poter veramente formare “un cuore solo e un’anima sola”. Una più piena comunione all’interno della Chiesa Cattolica favorisce anche il dialogo ecumenico con le altre Chiese e Comunità ecclesiali. La Chiesa Cattolica ha ribadito anche in quest’Assise sinodale la sua profonda convinzione di proseguire tale dialogo, affinché si realizzi compiutamente la preghiera del Signore Gesù “perché tutti siano una sola cosa” (Gv 17,21).
Ai cristiani nel Medio Oriente si possono applicare le parole del Signore Gesù: “Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno” (Lc 12,32). Infatti, anche se poco numerosi, essi sono portatori della Buona Notizia dell’amore di Dio per l’uomo, amore che si è rivelato proprio in Terra Santa nella persona di Gesù Cristo. Questa Parola di salvezza, rafforzata con la grazia dei Sacramenti, risuona con particolare efficacia nei luoghi in cui, per divina Provvidenza, è stata scritta, ed è l’unica Parola in grado di rompere il circolo vizioso della vendetta, dell’odio, della violenza. Da un cuore purificato, in pace con Dio e con il prossimo, possono nascere propositi ed iniziative di pace a livello locale, nazionale ed internazionale. In tale opera, alla cui realizzazione è chiamata tutta la comunità internazionale, i cristiani, cittadini a pieno titolo, possono e debbono dare il loro contributo con lo spirito delle beatitudini, diventando costruttori di pace ed apostoli di riconciliazione a beneficio di tutta la società.
Da troppo tempo nel Medio Oriente perdurano i conflitti, le guerre, la violenza, il terrorismo. La pace, che è dono di Dio, è anche il risultato degli sforzi degli uomini di buona volontà, delle istituzioni nazionali ed internazionali, in particolare degli Stati più coinvolti nella ricerca della soluzione dei conflitti. Non bisogna mai rassegnarsi alla mancanza della pace. La pace è possibile. La pace è urgente. La pace è la condizione indispensabile per una vita degna della persona umana e della società. La pace è anche il miglior rimedio per evitare l’emigrazione dal Medio Oriente. “Chiedete pace per Gerusalemme” – ci dice il Salmo (122,6). Preghiamo per la pace in Terra Santa. Preghiamo per la pace nel Medio Oriente, impegnandoci affinché tale dono di Dio offerto agli uomini di buona volontà si diffonda nel mondo intero.
Un altro contributo che i cristiani possono apportare alla società è la promozione di un’autentica libertà religiosa e di coscienza, uno dei diritti fondamentali della persona umana che ogni Stato dovrebbe sempre rispettare. In numerosi Paesi del Medio Oriente esiste la libertà di culto, mentre lo spazio della libertà religiosa non poche volte è assai limitato. Allargare questo spazio di libertà diventa un’esigenza per garantire a tutti gli appartenenti alle varie comunità religiose la vera libertà di vivere e professare la propria fede. Tale argomento potrebbe diventare oggetto di dialogo tra i cristiani e i musulmani, dialogo la cui urgenza ed utilità è stata ribadita dai Padri sinodali.
Durante i lavori dell’Assemblea è stata spesso sottolineata la necessità di riproporre il Vangelo alle persone che lo conoscono poco, o che addirittura si sono allontanate dalla Chiesa. Spesso è stato evocato l’urgente bisogno di una nuova evangelizzazione anche per il Medio Oriente. Si tratta di un tema assai diffuso, soprattutto nei Paesi di antica cristianizzazione. Anche la recente creazione del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione risponde a questa profonda esigenza. Per questo, dopo aver consultato l’episcopato del mondo e dopo aver sentito il Consiglio Ordinario della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi, ho deciso di dedicare la prossima Assemblea Generale Ordinaria, nel 2012, al seguente tema: “Nova evangelizatio ad christianam fidem tradendam - La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana”.
Cari fratelli e sorelle del Medio Oriente! L’esperienza di questi giorni vi assicuri che non siete mai soli, che vi accompagnano sempre la Santa Sede e tutta la Chiesa, la quale, nata a Gerusalemme, si è diffusa nel Medio Oriente e in seguito nel mondo intero. Affidiamo l’applicazione dei risultati dell’Assemblea Speciale per il Medio Oriente, come pure la preparazione di quella Generale Ordinaria, all’intercessione della Beata Vergine Maria, Madre della Chiesa e Regina della Pace. Amen.

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giovedì 14 ottobre 2010

santa Angela vuol farci attenti a questi segni con i quali il Signore ci tocca l'anima



BENEDETTO XVI
UDIENZA GENERALE
Piazza San PietroMercoledì, 13 ottobre 2010
[Video]


Beata Angela da Foligno
Cari fratelli e sorelle,
oggi vorrei parlarvi della beata Angela da Foligno, una grande mistica medioevale vissuta nel XIII secolo. Di solito, si è affascinati dai vertici dell’esperienza di unione con Dio che ella ha raggiunto, ma si considerano forse troppo poco i primi passi, la sua conversione, e il lungo cammino che l’ha condotta dal punto di partenza, il “grande timore dell’inferno”, fino al traguardo, l’unione totale con la Trinità. La prima parte della vita di Angela non è certo quella di una fervente discepola del Signore. Nata intorno al 1248 in una famiglia benestante, rimase orfana di padre e fu educata dalla madre in modo piuttosto superficiale. Venne introdotta ben presto negli ambienti mondani della città di Foligno, dove conobbe un uomo, che sposò a vent’anni e dal quale ebbe dei figli. La sua vita era spensierata, tanto da permettersi di disprezzare i cosiddetti “penitenti” - molto diffusi in quell’epoca – coloro, cioè, che per seguire Cristo vendevano i loro beni e vivevano nella preghiera, nel digiuno, nel servizio alla Chiesa e nella carità.
Alcuni avvenimenti, come il violento terremoto del 1279, un uragano, l’annosa guerra contro Perugia e le sue dure conseguenze incidono nella vita di Angela, la quale progressivamente prende coscienza dei suoi peccati, fino ad un passo decisivo: invoca san Francesco, che le appare in visione, per chiedergli consiglio in vista di una buona Confessione generale da compiere: siamo nel 1285, Angela si confessa da un Frate a San Feliciano. Tre anni dopo, la strada della conversione conosce un’altra svolta: lo scioglimento dai legami affettivi, poiché, in pochi mesi, alla morte della madre seguono quelle del marito e di tutti i figli. Allora vende i suoi beni e nel 1291 aderisce al Terz’Ordine di San Francesco. Muore a Foligno il 4 gennaio 1309.
Il Libro della beata Angela da Foligno, in cui è raccolta la documentazione sulla nostra Beata, racconta questa conversione; ne indica i mezzi necessari: la penitenza, l’umiltà e le tribolazioni; e ne narra i passaggi, il susseguirsi delle esperienze di Angela, iniziate nel 1285. Ricordandole, dopo averle vissute, ella cercò di raccontarle attraverso il Frate confessore, il quale le trascrisse fedelmente tentando poi di sistemarle in tappe, che chiamò “passi o mutazioni”, ma senza riuscire a ordinarle pienamente (cfr Il Libro della beata Angela da Foligno, Cinisello Balsamo 1990, p. 51). Questo perché l’esperienza di unione per la beata Angela è un coinvolgimento totale dei sensi spirituali e corporali, e di ciò che ella “comprende” durante le sue estasi rimane, per così dire, solo un’“ombra” nella sua mente. “Sentii davvero queste parole - ella confessa dopo un rapimento mistico -, ma quello che vidi e compresi, e che egli [cioè Dio] mi mostrò, in nessun modo so o posso dirlo, sebbene rivelerei volentieri quello che capii con le parole che udii, ma fu un abisso assolutamente ineffabile”. Angela da Foligno presenta il suo “vissuto” mistico, senza elaborarlo con la mente, perché sono illuminazioni divine che si comunicano alla sua anima in modo improvviso e inaspettato. Lo stesso Frate confessore fa fatica a riportare tali eventi, “anche a causa della sua grande e mirabile riservatezza riguardo ai doni divini” (Ibid., p. 194). Alla difficoltà per Angela di esprimere la sua esperienza mistica si aggiunge anche la difficoltà per i suoi ascoltatori di comprenderla. Una situazione che indica con chiarezza come l’unico e vero Maestro, Gesù, vive nel cuore di ogni credente e desidera prenderne totale possesso. Così in Angela, che scriveva ad un suo figlio spirituale: “Figlio mio, se vedessi il mio cuore, saresti assolutamente costretto a fare tutte le cose che Dio vuole, perché il mio cuore è quello di Dio e il cuore di Dio è il mio”. Risuonano qui le parole di san Paolo: “Non vivo più io, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20).
Consideriamo allora solo qualche “passo” del ricco cammino spirituale della nostra Beata. Il primo, in realtà, è una premessa: “Fu la conoscenza del peccato, - come ella precisa – in seguito alla quale l’anima ebbe un gran timore di dannarsi; in questo passo pianse amaramente” (Il Libro della beata Angela da Foligno, p. 39). Questo “timore” dell’inferno risponde al tipo di fede che Angela aveva al momento della sua “conversione”; una fede ancora povera di carità, cioè dell’amore di Dio. Pentimento, paura dell’inferno, penitenza aprono ad Angela la prospettiva della dolorosa “via della croce” che, dall’ottavo al quindicesimo passo, la porterà poi sulla “via dell’amore”. Racconta il Frate confessore: “La fedele allora mi disse: Ho avuto questa divina rivelazione: «Dopo le cose che avete scritto, fa’ scrivere che chiunque vuole conservare la grazia non deve togliere gli occhi dell’anima dalla Croce, sia nella gioia sia nella tristezza che gli concedo o permetto»” (Ibid., p. 143). Ma in questa fase Angela ancora “non sente amore”; ella afferma: “L’anima prova vergogna e amarezza e non sperimenta ancora l’amore, ma il dolore” (Ibid., p. 39), ed è insoddisfatta.
Angela sente di dover dare qualcosa a Dio per riparare i suoi peccati, ma lentamente comprende di non aver nulla da darGli, anzi di “essere nulla” davanti a Lui; capisce che non sarà la sua volontà a darle l’amore di Dio, perché questa può solo darle il suo “nulla”, il “non amore”. Come ella dirà: solo “l’amore vero e puro, che viene da Dio, sta nell’anima e fa sì che riconosca i propri difetti e la bontà divina […] Tale amore porta l’anima in Cristo e lei comprende con sicurezza che non si può verificare o esserci alcun inganno. Insieme a questo amore non si può mischiare qualcosa di quello del mondo” (Ibid., p. 124-125). Aprirsi solamente e totalmente all’amore di Dio, che ha la massima espressione in Cristo: “O mio Dio - prega - fammi degna di conoscere l’altissimo mistero, che il tuo ardentissimo e ineffabile amore attuò, insieme all’amore della Trinità, cioè l’altissimo mistero della tua santissima incarnazione per noi. […]. Oh incomprensibile amore! Al di sopra di quest’amore, che ha fatto sì che il mio Dio si è fatto uomo per farmi Dio, non c’è amore più grande” (Ibid., p. 295). Tuttavia, il cuore di Angela porta sempre le ferite del peccato; anche dopo una Confessione ben fatta, ella si trovava perdonata e ancora affranta dal peccato, libera e condizionata dal passato, assolta ma bisognosa di penitenza. E anche il pensiero dell’inferno l’accompagna perché quanto più l’anima progredisce sulla via della perfezione cristiana, tanto più essa si convincerà non solo di essere “indegna”, ma di essere meritevole dell’inferno.
Ed ecco che, nel suo cammino mistico, Angela comprende in modo profondo la realtà centrale: ciò che la salverà dalla sua “indegnità” e dal “meritare l’inferno” non sarà la sua “unione con Dio” e il suo possedere la “verità”, ma Gesù crocifisso, “la sua crocifissione per me”, il suo amore. Nell’ottavo passo, ella dice: “Ancora però non capivo se era bene maggiore la mia liberazione dai peccati e dall’inferno e la conversione a penitenza, oppure la sua crocifissione per me” (Ibid., p. 41). E’ l’instabile equilibrio fra amore e dolore, avvertito in tutto il suo difficile cammino verso la perfezione. Proprio per questo contempla di preferenza il Cristo crocifisso, perché in tale visione vede realizzato il perfetto equilibrio: in croce c’è l’uomo-Dio, in un supremo atto di sofferenza che è un supremo atto di amore. Nella terza Istruzione la Beata insiste su questa contemplazione e afferma: “Quanto più perfettamente e puramente vediamo, tanto più perfettamente e puramente amiamo. […] Perciò quanto più vediamo il Dio e uomo Gesù Cristo, tanto più veniamo trasformati in lui attraverso l’amore. […] Quello che ho detto dell’amore […] lo dico anche del dolore: l’anima quanto contempla l’ineffabile dolore del Dio e uomo Gesù Cristo, tanto si addolora e viene trasformata in dolore” (Ibid., p. 190-191). Immedesimarsi, trasformarsi nell’amore e nelle sofferenze del Cristo crocifisso, identificarsi con Lui. La conversione di Angela, iniziata da quella Confessione del 1285, arriverà a maturazione solo quando il perdono di Dio apparirà alla sua anima come il dono gratuito di amore del Padre, sorgente di amore: “Non c’è nessuno che possa portare scuse – ella afferma - perché chiunque può amare Dio, ed egli non chiede all’anima se non che gli voglia bene, perché egli l’ama ed è il suo amore” (Ibid., p. 76).
Nell’itinerario spirituale di Angela il passaggio dalla conversione all’esperienza mistica, da ciò che si può esprimere all’inesprimibile, avviene attraverso il Crocifisso. E’ il “Dio-uomo passionato”, che diventa il suo “maestro di perfezione”. Tutta la sua esperienza mistica è, dunque, tendere ad una perfetta “somiglianza” con Lui, mediante purificazioni e trasformazioni sempre più profonde e radicali. In tale stupenda impresa Angela mette tutta se stessa, anima e corpo, senza risparmiarsi in penitenze e tribolazioni dall’inizio alla fine, desiderando di morire con tutti i dolori sofferti dal Dio-uomo crocifisso per essere trasformata totalmente in Lui: “O figli di Dio, - ella raccomandava - trasformatevi totalmente nel Dio-uomo passionato, che tanto vi amò da degnarsi di morire per voi di morte ignominiosissima e del tutto ineffabilmente dolorosa e in modo penosissimo e amarissimo. Questo solo per amor tuo, o uomo!” (Ibid., p. 247). Questa identificazione significa anche vivere ciò che Gesù ha vissuto: povertà, disprezzo, dolore, perché – come ella afferma - “attraverso la povertà temporale l’anima troverà ricchezze eterne; attraverso il disprezzo e la vergogna otterrà sommo onore e grandissima gloria; attraverso poca penitenza, fatta con pena e dolore, possederà con infinita dolcezza e consolazione il Bene Sommo, Dio eterno” (Ibid., p. 293).
Dalla conversione all’unione mistica con il Cristo crocifisso, all’inesprimibile. Un cammino altissimo, il cui segreto è la preghiera costante: “Quanto più pregherai – ella afferma - tanto maggiormente sarai illuminato; quanto più sarai illuminato, tanto più profondamente e intensamente vedrai il Sommo Bene, l’Essere sommamente buono; quanto più profondamente e intensamente lo vedrai, tanto più lo amerai; quanto più lo amerai, tanto più ti diletterà; e quanto più ti diletterà, tanto maggiormente lo comprenderai e diventerai capace di capirlo. Successivamente arriverai alla pienezza della luce, perché capirai di non poter comprendere” (Ibid., p. 184).
Cari fratelli e sorelle, la vita di santa Angela comincia con un’esistenza mondana, abbastanza lontana da Dio. Ma poi l'incontro con la figura di san Francesco e, finalmente, l'incontro col Cristo Crocifisso risveglia l'anima per La presenza di Dio, per il fatto che solo con Dio la vita diventa vera vita, perché diventa, nel dolore per il peccato, amore e gioia. E così parla a noi santa Angela. Oggi siamo tutti in pericolo di vivere come se Dio non esistesse: sembra così lontano dalla vita odierna. Ma Dio ha mille modi, per ciascuno il suo, di farsi presente nell'anima, di mostrare che esiste e mi conosce e mi ama. E santa Angela vuol farci attenti a questi segni con i quali il Signore ci tocca l'anima, attenti alla presenza di Dio, per imparare così la via con Dio e verso Dio, nella comunione con Cristo Crocifisso. Preghiamo il Signore che ci renda attenti ai segni della sua presenza, che ci insegni a vivere realmente. Grazie.
Saluti:
Je salue cordialement les pèlerins venus de Guadeloupe, du diocèse d’Arras et de celui d’Évry accompagné par Mgr Michel Dubost. Je salue aussi les choristes de la cathédrale de Saint-Malo et les paroissiens de Malonne, en Belgique. Que la bienheureuse Angèle de Foligno soit pour vous un exemple et un guide spirituel qui vous conduira vers le Christ. Bon pèlerinage et que Dieu vous bénisse!
I am pleased to welcome the delegates of the International Association of Financial Executives Institutes. I also extend greetings to all the English speaking pilgrims and visitors, especially those from England, Scotland, Ireland, Denmark, Norway, South Africa, Australia, Indonesia, the Philippines, Thailand and the United States. May God bless you all!
Von Herzen grüße ich alle Pilger deutscher Sprache, heute besonders die Ministranten aus dem Erzbistum Köln, die sich mit Kardinal Meisner nach Rom aufgemacht haben, und ebenso die Meßdiener aus Borken in Westfalen. Ich grüße auch die Neupriester aus dem Germanikum mit ihren Gästen und nicht zuletzt die Schwestern der heiligen Elisabeth. Der Aufenthalt in Rom schenke euch geistliche Kraft für euren Alltag. Gott segne euch alle.
Saludo a los peregrinos de lengua española, en particular a las Hermanas de la Compañía de la Cruz; a los miembros de la Hermandad de Nuestra Señora de la Estrella, de Sevilla; a los representantes de la Cofradía de Investigadores de Toledo, acompañados por el Señor Cardenal Antonio Cañizares Llovera; a los fieles de la Arquidiócesis de Santiago de los Caballeros, con su Arzobispo, Monseñor Ramón Benito de la Rosa Carpio, así como a los demás grupos procedentes de España, México, Honduras, Argentina y otros países latinoamericanos. Que la Beata Ángela de Foligno nos ayude a comprender que la verdadera felicidad consiste en la amistad con Cristo, crucificado por amor nuestro. A su divina bondad sigo encomendando con esperanza a los mineros de la región de Atacama, en Chile. Muchas gracias y que Dios os bendiga.
Saúdo com profunda amizade os peregrinos lusófonos presentes nesta Audiência, particularmente os fiéis portugueses de Valongo e os brasileiros de Ribeirão Pires, Porto Alegre e São Paulo. Sobre todos invoco as luzes e bênçãos do Céu que possam, a exemplo da Baeta Ângela de Foligno, ajudar-vos a compreender o quanto Cristo nos amou e nos ama. Ide com Deus. Obrigado!
Saluto in lingua polacca:
Z serdecznym pozdrowieniem zwracam się do Polaków. Zbliża się rocznica wyboru Jana Pawła II. Wraz z Wami dziękuję Bogu za świadectwo wiary, nadziei i miłości, jakie dawał nam mój wielki poprzednik na Stolicy Piotrowej. Modlę się, aby owoce jego życia, posługi i nauczania trwały w Kościele i w sercach ludzi. Waszym modlitwom polecam prace Synodu Biskupów dla Bliskiego Wschodu. Niech będzie pochwalony Jezus Chrystus!
Traduzione italiana:
Con un cordiale saluto mi rivolgo ai polacchi. Si avvicina l’anniversario dell’elezione di Giovanni Paolo II. Insieme a voi ringrazio Dio per la testimonianza della fede, della speranza e dell’amore che ci ha dato il mio grande predecessore sulla Sede di Pietro. Prego, che i frutti della sua vita, del ministero e dell’insegnamento permangano nella Chiesa e nei cuori degli uomini. Alle vostre preghiere raccomando i lavori del Sinodo dei Vescovi per il Medio Oriente. Sia lodato Gesù Cristo!
Saluto in lingua croata:
Od srca pozdravljam i blagoslivljam sve hrvatske hodočasnike, a na poseban način svećenike i vjernike riječke nadbiskupije predvođene njihovim nadbiskupom monsinjorom Ivanom Devčićem, kao i vjernike iz župe Gospe Fatimske iz Splita te Zbor Kraljica Jelena iz Solina. Dragi prijatelji, Crkva polaže veliku nadu u vas, vaše obitelji i župne zajednice kako biste neprestano u vašoj domovini gradili ljubav i pomirenje. Ojačani u vjeri, molite zagovor Blažene Djevice Marije da ustrajete. Hvaljen Isus i Marija!
Traduzione italiana:
Di cuore saluto e benedico i pellegrini croati, ed in modo particolare i sacerdoti ed i fedeli tutti dell’Arcidiocesi di Rijeka, guidati dal loro Arcivescovo Mons. Ivan Devčić, come pure i fedeli della Parrocchia di Nostra Signora di Fatima di Split ed il Coro Kraljica Jelena di Solin. Cari amici, la Chiesa pone grande speranza in voi, nelle vostre famiglie e comunità parrocchiali affinché costantemente costruiate l’amore e la riconciliazione nella vostra patria. Rafforzati nella fede, invocate l’intercessione della Beata Vergine Maria perché vi aiuti a perseverare. Siano lodati Gesù e Maria!
Saluto in lingua slovacca:
Srdečne pozdravujem slovenských pútnikov, osobitne z Nitry, zo Spiša, z farnosti svätého Michala z Bajerova ako aj skupinu diakonov Košickej arcidiecézy. Bratia a sestry, ruženec je pre nás školou modlitby. Nech vaša púť v tomto ružencovom mesiaci októbri, vám pomôže odkryť krásu tejto modlitby, takej jednoduchej, ale účinnej. S týmto želaním žehnám vás i vašich drahých. Pochválený buď Ježiš Kristus!
Traduzione italiana :
Saluto cordialmente i pellegrini slovacchi, specialmente quelli provenienti da Nitra, Spiš, dalla Parrocchia di San Michele di Bajerov, come pure il gruppo dei diaconi dell’Arcidiocesi di Košice.Fratelli e sorelle, il Rosario è per noi una scuola di preghiera. Auguro che il vostro pellegrinaggio in questo mese del Rosario di ottobre, vi aiuti a scoprire la bellezza di questa preghiera semplice, ma efficace. Con questo desiderio benedico voi ed i vostri cari.Sia lodato Gesù Cristo!
Saluto in lingua ungherese:
Szeretettel köszöntöm a magyar híveket, különösen azokat, akik Miskolcról, Tesmagról, Gödről, Dányból és Kislétáról jöttek. Megemlékezem a kolontáriakról, akiknek el kellett hagyniuk otthonukat és mindenkiről, akiket a mérgező iszap sújtott. Imáimba zárom azokat, akik életüket veszítették.Szívesen adom apostoli áldásomat Rátok és mindazokra, akik az érintettek segítségére sietnek.Dicsértessék a Jézus Krisztus!
Traduzione italiana:
Con grande affetto saluto i fedeli ungheresi, specialmente quelli che sono arrivati da Miskolc, Tesmák, Göd, Dány, Kisléta.Ricordo nelle preghiere gli abitanti di Kolontár, che hanno dovuto lasciare le loro case, e tutti coloro i quali sono stati colpiti dal fango tossico, specialmente coloro che hanno perso la vita. Volentieri imparto la Benedizione Apostolica a voi ed anche a tutti che aiutano alle persone colpite.Sia lodato Gesù Cristo!
Saluto in lingua ucraina:
Щиро вітаю українських паломників і закликаючи їх повсюдно давати великодушне християнське свідчення, уділяю кожному Апостольське Благословення. Слава Ісусу Христу!
Traduzione italiana:
Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini ucraini e mentre li esorto a rendere ovunque una generosa testimonianza cristiana, invoco su ciascuno la Benedizione Apostolica. Sia lodato Gesù Cristo!
* * *
Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i partecipanti al pellegrinaggio promosso dalle Suore Francescane del Signore, guidato dal Vescovo di Caltanissetta Mons. Mario Russotto e, nell’associarmi alla loro gioia per la ricorrenza giubilare dell’Istituto religioso fondato dal Servo di Dio Angelico Lipani, auspico per ciascuno una rinnovata effusione di favori celesti, perché siano rafforzati i generosi propositi di testimonianza evangelica. Saluto il gruppo “Amici e Benefattori di Telepace”, che ricordano il 20° anniversario di presenza a Roma: possa la vostra benemerita emittente continuare a crescere sotto lo sguardo materno di Maria. Saluto i fedeli di Piani d’Imperia e li esorto a vivere con entusiasmo la fede cristiana, nella consapevolezza che essa è la risposta pienamente valida alle speranze e alle attese di ogni uomo e di ogni società
Mi rivolgo ora ai giovani, agli ammalati ed agli sposi novelli. Il mio pensiero va alla Madonna di Fatima, di cui proprio oggi ricordiamo l'ultima apparizione. Alla celeste Madre di Dio affido voi, cari giovani, perché possiate generosamente rispondere alla chiamata del Signore. Maria sia per voi, cari malati, conforto nelle vostre pene; ed accompagni voi, cari sposi novelli, nel vostro incipiente cammino familiare.

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domenica 10 ottobre 2010

Cosa è la mediazione:ce lo insegna il Papa

Essere cattolico non significa salvarsi da solo nè tanto meno attraverso strumenti .La salvezza ,intendendo con essa la fuoriuscita dalla gabbia del nostro io, accade ora attraverso il mezzo, la "porta",la cosiddetta "mediazione" di uomini che vivono con Lui ,in Lui ,per Lui.




CAPPELLA PAPALE PER L’APERTURA DELL'ASSEMBLEA SPECIALE DEL SINODO DEI VESCOVIPER IL MEDIO ORIENTE
OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Basilica VaticanaDomenica, 10 ottobre 2010


Venerati Fratelli,illustri Signori e Signore,cari fratelli e sorelle!
La Celebrazione eucaristica, rendimento di grazie a Dio per eccellenza, è segnata oggi per noi, radunati presso il Sepolcro di San Pietro, da un motivo straordinario: la grazia di vedere riuniti per la prima volta in un’Assemblea Sinodale, intorno al Vescovo di Roma e Pastore Universale, i Vescovi della regione mediorientale. Tale singolare evento dimostra l’interesse dell’intera Chiesa per la preziosa e amata porzione del Popolo di Dio che vive in Terra Santa e in tutto il Medio Oriente.
Anzitutto eleviamo il nostro ringraziamento al Signore della storia, perché ha permesso che, nonostante vicende spesso difficili e tormentate, il Medio Oriente vedesse sempre, dai tempi di Gesù fino ad oggi, la continuità della presenza dei cristiani. In quelle terre l’unica Chiesa di Cristo si esprime nella varietà di Tradizioni liturgiche, spirituali, culturali e disciplinari delle sei venerande Chiese Orientali Cattoliche sui iuris, come pure nella Tradizione latina. Il fraterno saluto, che rivolgo con grande affetto ai Patriarchi di ognuna di esse, vuole estendersi in questo momento a tutti i fedeli affidati alle loro cure pastorali nei rispettivi Paesi e anche nella diaspora.
In questa Domenica 28.ma del Tempo per annum, la Parola di Dio offre un tema di meditazione che si accosta in modo significativo all’evento sinodale che oggi inauguriamo. La lettura continua del Vangelo di Luca ci conduce all’episodio della guarigione dei dieci lebbrosi, dei quali uno solo, un samaritano, torna indietro a ringraziare Gesù. In connessione con questo testo, la prima lettura, tratta dal Secondo Libro dei Re, racconta la guarigione di Naaman, capo dell’esercito arameo, anch’egli lebbroso, che viene guarito immergendosi sette volte nelle acque del fiume Giordano, secondo l’ordine del profeta Eliseo. Anche Naaman ritorna dal profeta e, riconoscendo in lui il mediatore di Dio, professa la fede nell’unico Signore. Dunque, due malati di lebbra, due non ebrei, che guariscono perché credono alla parola dell’inviato di Dio. Guariscono nel corpo, ma si aprono alla fede, e questa li guarisce nell’anima, cioè li salva.
Il Salmo responsoriale canta questa realtà: “Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza, / agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia. / Egli si è ricordato del suo amore, / della sua fedeltà alla casa d’Israele” (Sal 98,2-3). Ecco allora il tema: la salvezza è universale, ma passa attraverso una mediazione determinata, storica: la mediazione del popolo di Israele, che diventa poi quella di Gesù Cristo e della Chiesa. La porta della vita è aperta per tutti, ma, appunto, è una “porta”, cioè un passaggio definito e necessario. Lo afferma sinteticamente la formula paolina che abbiamo ascoltato nella Seconda Lettera a Timoteo: “la salvezza che è in Cristo Gesù” (2 Tm 2,10). E’ il mistero dell’universalità della salvezza e al tempo stesso del suo necessario legame con la mediazione storica di Gesù Cristo, preceduta da quella del popolo di Israele e prolungata da quella della Chiesa. Dio è amore e vuole che tutti gli uomini abbiano parte alla sua vita; per realizzare questo disegno Egli, che è Uno e Trino, crea nel mondo un mistero di comunione umano e divino, storico e trascendente: lo crea con il “metodo” – per così dire – dell’alleanza, legandosi con amore fedele e inesauribile agli uomini, formandosi un popolo santo, che diventi una benedizione per tutte le famiglie della terra (cfr Gen 12,3). Si rivela così come il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe (cfr Es 3,6), che vuole condurre il suo popolo alla “terra” della libertà e della pace. Questa “terra” non è di questo mondo; tutto il disegno divino eccede la storia, ma il Signore lo vuole costruire con gli uomini, per gli uomini e negli uomini, a partire dalle coordinate di spazio e di tempo in cui essi vivono e che Lui stesso ha dato.
Di tali coordinate fa parte, con una sua specificità, quello che noi chiamiamo il “Medio Oriente”. Anche questa regione del mondo Dio la vede da una prospettiva diversa, si direbbe “dall’alto”: è la terra di Abramo, di Isacco e di Giacobbe; la terra dell’esodo e del ritorno dall’esilio; la terra del tempio e dei profeti; la terra in cui il Figlio Unigenito è nato da Maria, dove ha vissuto, è morto ed è risorto; la culla della Chiesa, costituita per portare il Vangelo di Cristo sino ai confini del mondo. E noi pure, come credenti, guardiamo al Medio Oriente con questo sguardo, nella prospettiva della storia della salvezza. E’ l’ottica interiore che mi ha guidato nei viaggi apostolici in Turchia, nella Terra Santa - Giordania, Israele, Palestina - e a Cipro, dove ho potuto conoscere da vicino le gioie e le preoccupazioni delle comunità cristiane. Anche per questo ho accolto volentieri la proposta di Patriarchi e Vescovi di convocare un’Assemblea sinodale per riflettere insieme, alla luce della Sacra Scrittura e della Tradizione della Chiesa, sul presente e sul futuro dei fedeli e delle popolazioni del Medio Oriente.
Guardare quella parte del mondo nella prospettiva di Dio significa riconoscere in essa la “culla” di un disegno universale di salvezza nell’amore, un mistero di comunione che si attua nella libertà e perciò chiede agli uomini una risposta. Abramo, i profeti, la Vergine Maria sono i protagonisti di questa risposta, che però ha il suo compimento in Gesù Cristo, figlio di quella stessa terra, ma disceso dal Cielo. Da Lui, dal suo Cuore e dal suo Spirito, è nata la Chiesa, che è pellegrina in questo mondo, ma gli appartiene. La Chiesa è costituita per essere, in mezzo agli uomini, segno e strumento dell’unico e universale progetto salvifico di Dio; essa adempie questa missione semplicemente essendo se stessa, cioè “comunione e testimonianza”, come recita il tema dell’Assemblea sinodale che oggi si apre, e che fa riferimento alla celebre definizione lucana della prima comunità cristiana: “La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola” (At 4,32). Senza comunione non può esserci testimonianza: la grande testimonianza è proprio la vita di comunione. Lo disse chiaramente Gesù: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35). Questa comunione è la vita stessa di Dio che si comunica nello Spirito Santo, mediante Gesù Cristo. E’ dunque un dono, non qualcosa che dobbiamo anzitutto costruire noi con le nostre forze. Ed è proprio per questo che interpella la nostra libertà e attende la nostra risposta: la comunione ci chiede sempre conversione, come dono che va sempre meglio accolto e realizzato. I primi cristiani, a Gerusalemme, erano pochi. Nessuno avrebbe potuto immaginare ciò che poi è accaduto. E la Chiesa vive sempre di quella medesima forza che l’ha fatta partire e crescere. La Pentecoste è l’evento originario ma è anche un dinamismo permanente, e il Sinodo dei Vescovi è un momento privilegiato in cui si può rinnovare nel cammino della Chiesa la grazia della Pentecoste, affinché la Buona Novella sia annunciata con franchezza e possa essere accolta da tutte le genti.
Pertanto, lo scopo di questa Assise sinodale è prevalentemente pastorale. Pur non potendo ignorare la delicata e a volte drammatica situazione sociale e politica di alcuni Paesi, i Pastori delle Chiese in Medio Oriente desiderano concentrarsi sugli aspetti propri della loro missione. Al riguardo, l’Instrumentum laboris, elaborato da un Consiglio Presinodale i cui Membri ringrazio vivamente per il lavoro svolto, ha sottolineato questa finalità ecclesiale dell’Assemblea, rilevando che essa intende, sotto la guida dello Spirito Santo, ravvivare la comunione della Chiesa Cattolica in Medio Oriente. Anzitutto all’interno di ciascuna Chiesa, tra tutti i suoi membri: Patriarca, Vescovi, sacerdoti, religiosi, persone di vita consacrata e laici. E, quindi, nei rapporti con le altre Chiese. La vita ecclesiale, così corroborata, vedrà svilupparsi frutti assai positivi nel cammino ecumenico con le altre Chiese e Comunità ecclesiali presenti in Medio Oriente. Questa occasione è poi propizia per proseguire costruttivamente il dialogo con gli ebrei, ai quali ci lega in modo indissolubile la lunga storia dell’Alleanza, come pure con i musulmani.
I lavori dell’Assise sinodale sono, inoltre, orientati alla testimonianza dei cristiani a livello personale, familiare e sociale. Questo richiede di rafforzare la loro identità cristiana mediante la Parola di Dio e i Sacramenti. Tutti auspichiamo che i fedeli sentano la gioia di vivere in Terra Santa, terra benedetta dalla presenza e dal glorioso mistero pasquale del Signore Gesù Cristo. Lungo i secoli quei Luoghi hanno attirato moltitudini di pellegrini ed anche comunità religiose maschili e femminili, che hanno considerato un grande privilegio il poter vivere e rendere testimonianza nella Terra di Gesù. Nonostante le difficoltà, i cristiani di Terra Santa sono chiamati a ravvivare la coscienza di essere pietre vive della Chiesa in Medio Oriente, presso i Luoghi santi della nostra salvezza. Ma quello di vivere dignitosamente nella propria patria è anzitutto un diritto umano fondamentale: perciò occorre favorire condizioni di pace e di giustizia, indispensabili per uno sviluppo armonioso di tutti gli abitanti della regione. Tutti dunque sono chiamati a dare il proprio contributo: la comunità internazionale, sostenendo un cammino affidabile, leale e costruttivo verso la pace; le religioni maggiormente presenti nella regione, nel promuovere i valori spirituali e culturali che uniscono gli uomini ed escludono ogni espressione di violenza. I cristiani continueranno a dare il loro contributo non soltanto con le opere di promozione sociale, quali gli istituti di educazione e di sanità, ma soprattutto con lo spirito delle Beatitudini evangeliche, che anima la pratica del perdono e della riconciliazione. In tale impegno essi avranno sempre l’appoggio di tutta la Chiesa, come attesta solennemente la presenza qui dei Delegati degli Episcopati di altri continenti.
Cari amici, affidiamo i lavori dell’Assemblea sinodale per il Medio Oriente ai numerosi Santi e Sante di quella terra benedetta; invochiamo su di essa la costante protezione della Beata Vergine Maria, affinché le prossime giornate di preghiera, di riflessione e di comunione fraterna siano portatrici di buoni frutti per il presente e il futuro delle care popolazioni mediorientali. Ad esse rivolgiamo con tutto il cuore il saluto augurale: “Pace a te e pace alla tua casa e pace a quanto ti appartiene!” (1Sam 25,6).

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