venerdì 27 febbraio 2009

CL con Bagnasco sulla legge sul fine vita

Comunicato stampaCL: sul “fine vita” siamo col cardinale Bagnasco


In relazione al dibattito intorno a una legge sul fine vita, Comunione e Liberazione condivide le ragioni più volte espresse dal cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, e rese ancora più attuali dopo la morte di Eluana Englaro: «Il vero diritto di ogni persona umana, che è necessario riaffermare e garantire, è il diritto alla vita che infatti è indisponibile. Quando la Chiesa segnala che ogni essere umano ha un valore in se stesso, anche se appare fragile agli occhi dell’altro, o che sono sempre sbagliate le decisioni contro la vita, comunque questa si presenti, vengono in realtà enunciati principi che sono di massima garanzia per qualunque individuo» (Prolusione al Consiglio permanente della Cei, 26 gennaio 2009).
Lo stesso Benedetto XVI, nell’Angelus del 1° febbraio 2009, ha ricordato che «la vera risposta non può essere dare la morte, per quanto “dolce”, ma testimoniare l’amore che aiuta ad affrontare il dolore e l’agonia in modo umano».
Per questo, di fronte alle polemiche suscitate da ambienti laici e anche da cattolici, restano per noi valide le preoccupazioni del cardinale Bagnasco e della Cei sulla necessità di «una legge sul fine vita, resasi necessaria a seguito di alcune decisioni della giurisprudenza. Con questa tecnica si sta cercando di far passare nella mentalità comune una pretesa nuova necessità, il diritto di morire, e si vorrebbe dare ad esso addirittura la copertura dell’art. 32 della Costituzione».
Chi si impegna in politica secondo ragione può trarre da queste preoccupazioni della Chiesa uno sguardo più vero alla vita degli uomini, nel difficile compito di servire il bene comune.
l’ufficio stampa di CLMilano, 26 febbraio 2009.

mercoledì 25 febbraio 2009

La Santa Sede spiega la crisi

Intervento della Santa Sede alla sessione speciale del Consiglio dei diritti dell'uomo sulla crisi economica mondiale

L'attività finanziaria deve basarsi sui principi etici

Pubblichiamo la traduzione italiana dell'intervento pronunciato il 20 febbraio dall'arcivescovo Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l'Ufficio delle Nazioni Unite ed Istituzioni Specializzate a Ginevra, durante la decima sessione speciale del Consiglio dei diritti dell'uomo (Hrc) circa l'impatto della crisi economica e finanziaria mondiale sulla realizzazione e il godimento effettivo dei diritti umani.

Come i mezzi di comunicazione sociale ci ricordano ogni giorno, la crisi finanziaria mondiale ha causato una recessione globale con conseguenze sociali drammatiche, inclusa la perdita di milioni di posti di lavoro e il grave rischio che per molti Paesi in via di sviluppo gli Obiettivi di sviluppo del millennio non si possano raggiungere. I diritti umani di innumerevoli persone sono compromessi, incluso quelli all'acqua, al cibo, alla salute e a un lavoro decoroso. Soprattutto, quando ampi segmenti di una popolazione nazionale vedono i loro diritti sociali ed economici vanificati, la perdita di speranza mette a repentaglio la pace. La comunità internazionale ha la responsabilità legittima di chiedere perché si è creata questa situazione, di chi è la responsabilità e in che modo una soluzione concertata può farci uscire dalla crisi e facilitare il ripristino dei diritti. La crisi è stata causata, in parte, dal comportamento problematico di alcuni attori del sistema finanziario ed economico, inclusi amministratori bancari e quanti avrebbero dovuto essere più diligenti per quanto riguarda i sistemi di monitoraggio e di affidabilità. Quindi sono loro ad avere la responsabilità dei problemi attuali. Tuttavia, le cause della crisi sono più profonde. Nel 1929, riflettendo sulla crisi di allora, Papa Pio xi osservò: "Ai nostri tempi non vi è solo concentrazione della ricchezza, ma l'accumularsi altresì di una potenza enorme, di una dispotica padronanza dell'economia in mano di pochi, e questi sovente neppure proprietari, ma solo depositari e amministratori del capitale, di cui essi però dispongono a loro grado e piacimento" (Quadragesimo anno, n. 105). Osservò anche che la libera concorrenza si era autodistrutta basandosi sul profitto come unico criterio. La crisi attuale ha dimensioni economiche, giuridiche e culturali. L'attività finanziaria non può ridursi a ottenere facili profitti, ma deve includere anche la promozione del bene comune fra quanti prestano, prendono in prestito e lavorano. L'assenza di un fondamento etico ha portato la crisi a tutti i Paesi, a basso, medio e alto reddito. Signor presidente, la delegazione della Santa Sede esorta a prestare una rinnovata "attenzione alla necessità di un approccio etico alla creazione di collaborazioni positive fra mercati, società civile e Stati" (Papa Benedetto XVI). L'impatto delle conseguenze negative è comunque più drammatico sul mondo in via di sviluppo e sui gruppi più vulnerabili in tutte le società. In un recente documento, la Banca Mondiale stima che, nel 2009, l'attuale crisi economica globale potrebbe spingere altri 53 milioni di persone al di sotto della soglia dei 2 dollari al giorno. Questa cifra si aggiunge a quella di 130 milioni di persone costrette alla povertà nel 2008 dall'aumento dei prezzi dei prodotti alimentari e dell'energia. Queste tendenze minacciano gravemente l'esito della lotta alla povertà negli Obiettivi di sviluppo del millennio entro il 2015. È evidente che a risentire di più delle difficoltà economiche saranno i bambini e per il 2009 è previsto un ingente aumento del tasso di mortalità infantile nei Paesi poveri. È noto che i Paesi a basso reddito sono estremamente dipendenti da due flussi finanziari: l'aiuto estero e le rimesse degli emigrati. Nei prossimi mesi entrambi i flussi diminuiranno in maniera significativa a causa del peggioramento della crisi economica. Nonostante la rinnovata affermazione ufficiale dell'impegno dei donatori ad aumentare l'Official development assistance (Oda) secondo l'accordo di Gleneagles, attualmente la maggior parte dei donatori non sono in condizioni di soddisfare il loro obiettivo di aumentare gradualmente l'Oda entro il 2010. Inoltre, le cifre più recenti rivelano una diminuzione dei flussi di aiuto. Questo fa pensare con preoccupazione che un eventuale effetto diretto della crisi economica mondiale possa essere una maggiore riduzione degli aiuti ai Paesi poveri. D'altro canto, le rimesse dei lavoratori emigrati si sono già ridotte in modo significativo. Questo minaccia la sopravvivenza economica di famiglie intere che ricavano una parte consistente del loro reddito dal trasferimento di fondi effettuato dai parenti che lavorano all'estero. Signor presidente, la delegazione della Santa Sede desidera concentrarsi su un aspetto specifico di questa crisi: il suo impatto sui diritti umani dei bambini, il che spiega anche che cosa è sintomatico del distruttivo impatto di tutti gli altri diritti sociali ed economici. Attualmente, alcuni importanti diritti dei poveri dipendono molto dai flussi ufficiali di aiuto e dalle rimesse dei lavoratori. Fra questi vi sono i diritti alla salute, all'istruzione e al cibo. In diversi Paesi poveri, infatti, i programmi educativi, sanitari e alimentari vengono realizzati grazie ai flussi di aiuto dei donatori ufficiali. Se la crisi economica ridurrà quest'assistenza, la realizzazione di questi programmi potrebbe essere messa a repentaglio. Parimenti, in molte regioni povere, intere famiglie possono avere figli istruiti e decentemente nutriti grazie alle rimesse degli emigrati. Se la riduzione di entrambi i flussi continuerà, priverà i bambini del diritto di essere educati, creando una doppia conseguenza negativa. Non solo impediremo ai bambini il pieno esercizio del loro talento, che, a sua volta, potrebbe essere messo al servizio del bene comune, ma si porranno anche le precondizioni di difficoltà economiche a lungo termine. Un minore investimento nell'istruzione oggi si tradurrà in una minore crescita domani. Al contempo, un'alimentazione povera dei bambini peggiora in maniera significativa l'aspettativa di vita, aumentando i tassi di mortalità sia infantile sia adulta. Le negative conseguenze economiche di questo vanno oltre la dimensione personale e colpiscono società intere. Signor presidente, mi permetta di menzionare un'altra conseguenza della crisi economica globale che potrebbe essere particolarmente importante per il mandato delle Nazioni Unite. Troppo spesso, periodi di gravi difficoltà economiche sono stati contraddistinti dall'aumento di potere di Governi caratterizzati da una dubbia propensione alla democrazia. La Santa Sede prega affinché questo tipo di conseguenze possa essere evitato nella crisi attuale, perché sfocerebbe in una grave minaccia per la diffusione dei diritti umani fondamentali per i quali quest'istituzione ha lottato con tanta tenacia. Negli ultimi cinquant'anni si sono raggiunti alcuni importanti risultati nella riduzione della povertà. Signor presidente, questi risultati sono a rischio ed è necessario un approccio coerente per tutelarli mediante un rinnovato senso di solidarietà, in particolare per quei segmenti di popolazione e per quei Paesi più colpiti dalla crisi. Tuttavia si ripeteranno errori vecchi e più recenti, se non si intraprenderà un'azione internazionale concertata volta a promuovere e tutelare tutti i diritti umani e se le dirette attività finanziarie ed economiche non verranno poste su una strada etica che possa anteporre le persone, la loro produttività e i loro diritti all'avidità che può scaturire dall'attenzione al solo profitto.
(©L'Osservatore Romano - 25 febbraio 2009)

domenica 22 febbraio 2009

Ricordiamo Don Gius


Non per un comandamento ma per l'amore di un Altro
Alle prime ore del 22 febbraio 2005 moriva a Milano don Luigi Giussani. Uno dei suoi primi allievi - oggi superiore generale della Fraternità sacerdotale dei missionari di San Carlo Borromeo - lo ricorda con un volume giunto in questi giorni in libreria (Don Giussani. La sua esperienza dell'uomo e di Dio, Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo, 2009, pagine 165, euro 14). Del libro proponiamo ampi stralci tratti dal capitolo intitolato "La vita come vocazione".
di Massimo Camisasca
Nella sua polemica contro l'intellettualismo, il moralismo, il volontarismo, contro le accentuazioni giansenistiche che avevano allontanato sempre più gli uomini dalla Chiesa, il fondatore di Cl descrive l'uomo cristiano come l'uomo realizzato, protagonista della storia. Tutto in lui è opera di Dio, per questo la strada dei consigli evangelici è un dono realizzato dalla fede, dalla speranza e dalla carità. Anche queste parole si possono comprendere soltanto in rapporto a Gesù Cristo. Descrivono il suo rapporto col Padre, con gli uomini, con il mondo, con la storia. Giussani vuol far uscire dalla scontatezza questi termini, che sono sulle labbra di tutti i credenti. Togliere le parole dal loro uso abitudinario è sempre stata una delle sue preoccupazioni pedagogiche fondamentali. Perché per esempio ha usato così tanto la parola "Destino"? Perché essa, pur non essendo una parola confessionale, è aperta all'infinito, all'oltre. Nello stesso tempo non è una parola bigotta, scontata, clericale. Per lui verginità, obbedienza e povertà descrivono il vertice dell'umano e ciò a cui tutti gli uomini sono chiamati in un modo o in un altro, all'interno di qualunque storia personale e vocazionale. (...) L'uomo vero, l'uomo realizzato, l'uomo non confinato ai margini della storia, non bigotto, non ridotto nella sua umanità, il laico, direbbero gli intellettuali d'oggi, è per Giussani l'uomo che vive povertà, obbedienza e verginità. Ma c'è un altro paradosso. Mentre don Giussani accoglie da una parte la tradizione della Chiesa, dall'altra la rinnova completamente. (...) Mentre per una gran parte della storia cristiana i consigli evangelici sono la condizione di vita di taluni, per Giussani, come ho detto, essi sono l'ideale a cui tutti sono chiamati. Non solo: per la coscienza diffusa degli uomini, penetrata anche in vasti settori della Chiesa, i consigli evangelici indicano un di meno di umanità. Si fa di tutto per spiegare i limiti dell'obbedienza, si considera sventurata la povertà e una follia impossibile la verginità. Per don Giussani è esattamente l'opposto. Per lui "obbedienza" è seguire ciò che ci attrae, ciò che è ragionevole, ciò in cui il nostro cuore trova il suo compimento. Non si può vivere umanamente se non si ama la propria umanità, ma per questo occorre seguire il disegno di un Altro, perché noi siamo creature. Per Giussani, come per Agostino, amore di sé e donazione coincidono. "La nostra vita, se obbedisce, diventa più grande di quanto sarebbe mai stata, cioè si realizza. L'obbedienza per noi, cioè il seguire il disegno di un Altro, il fare la sua volontà, è ragionevole in un solo caso: deve essere consapevole che in essa sta la riuscita della vita". Per questo Giussani vede nell'amicizia il vertice dell'obbedienza. Dalla meditazione sui consigli evangelici e sulle virtù teologali, in particolare la carità, nasce spontaneamente la riflessione morale: se Dio ci ama così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri (cfr. Prima Lettera di Giovanni, 4, 11). La morale è proprio questa imitazione del Padre. D'altra parte Gesù stesso aveva detto: "Siate perfetti come lo è il Padre vostro" (cfr. Matteo, 5, 48), indicando con queste parole non una misura, impossibile per l'uomo, ma una tensione. La vita morale è un cammino, un cammino verso il Padre. E tutta la sproporzione, tutto il limite umano non è obiezione a questo: "Santità non è non sbagliare", afferma Giussani riprendendo sant'Ambrogio, "ma cercare continuamente di non cadere". Come un bambino che, pur disubbidendo alla mamma, le rimane attaccato e, col tempo, quando diventa più cosciente di questa affezione e dell'amore gratuito della madre, gli rincresce di farle del male e allora cerca di non farlo più. Dall'amore di cui è fatto oggetto nasce nell'uomo lo sforzo morale, dalla coscienza della dignità ontologica di cui lo ha rivestito il Padre sgorga in lui la preghiera alla Madonna perché "ci costringa a rendere il nostro esistere coincidente con il nostro essere". Per una gratitudine, per un amore, non semplicemente per rispettare un comando. Ma se l'amore è Dio stesso (cfr. Prima Lettera di Giovanni, 4, 8), allora "la morale è imitare Dio in questo, è seguire Gesù o imitare il Padre". "Perfetto come il Padre nostro: ma chi è capace? Come raccomandazione è sconsiderata, come raccomandazione produce l'inverso: la paura. Invece c'é il passo parallelo di san Luca che spiega cosa vuol dire: "Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre che sta nei cieli''. La perfezione è questa commozione in atto verso il bisogno dell'uomo". Per il fondatore di Cl, come per i grandi della Chiesa, per esempio Agostino e Tommaso, tutta la morale si riconduce all'amore, non è nient'altro che il comandamento di Gesù: "Amerai il prossimo tuo come te stesso" (Marco, 12, 31; Matteo, 22, 39). La legge dell'io è una sola: amare, perché Amore è lo stesso nome di Dio. Giussani ha una visione assolutamente positiva della vita morale. Anche per lui essa implica rinunce e sacrifici, ma è definita in primo luogo da ciò che amiamo, non da ciò che non amiamo. Il cambiamento della vita avviene in un possesso sempre più grande che Cristo realizza legandoci sempre più a sé. Adrienne von Speyr ha espresso bene questa stessa tensione: "La santità non consiste nel fatto che l'uomo dà tutto, ma nel fatto che il Signore prende tutto". La perfezione indicata da Gesù ci rivela che la moralità è una traiettoria verso l'infinito. Quanto più Cristo prende possesso della mia vita, tanto più io avverto l'urgenza di donare me stesso. Questa tensione è stata descritta infinite volte (...) (da Giussani, ndr) ma soprattutto nei capitoli di un volumetto pubblicato dalla Jaca Book nel 1990 e significativamente intitolato Moralità: memoria e desiderio. Qui la moralità è identificata alla santità. Il santo per Giussani è un uomo che aderisce a Dio dentro la sua umanità che rimane tale, eppure diventa diversa. Rimangono in lui tanti limiti, tanti difetti, tanti peccati, ma essi non lo definiscono più, è abitato da un Altro, ha una nuova coscienza di sé. È questo che rende possibile anche il sacrificio. Fa impressione veder tornare in Giussani molte volte parole come sacrificio e mortificazione. A prima vista sembrano contraddire la sua positività, la sua esaltazione della vita. Ma egli sa benissimo che senza sacrificio non c'è vita, che senza mortificazione non c'è cammino in avanti. Conosce troppo bene il peccato originale e le sue conseguenze per non sapere che vivere è seguire uno che ci rende capaci di bene e in tale sequela opera il nostro cambiamento. "Ciò che brama il santo non è la santità come perfezione; è la santità come incontro, appoggio, adesione, immedesimazione con Gesù Cristo". Egli "non rinuncia a qualcosa per Cristo, ma vuole Cristo. vuole l'avvenimento di Cristo in modo tale che la sua vita ne venga permeata". La moralità dunque è l'adesione a una presenza, alla vita di Gesù che diventa familiare per noi nella vita della Chiesa. "L'immanenza di sé al mistero comunionale... fa penetrare... l'essere personale di una misura e di una sensibilità nuove... e rende possibile... una nuova gioia... che rende la speranza capace di motivi "contro ogni speranza"".
(©L'Osservatore Romano - 22 febbraio 2009)

venerdì 20 febbraio 2009

La Speranza:una Fede nell'Avvenimento di Gesù Cristo

Una Fede che è implicata con la vita, una Fede che hauno"spessore carnale",una fede che ha a che fare cn l mie domande con le tue domande che ci inquietano.
La Speranza è ripartire da quell'Avvenimento che è iniziato 2000 anni fa e che permane nella storia attraverso la Chiesa.
Questa è la Speranza dell'Occidente , dei nostri paesi, delle nostre città.Città dove non esistono più i borghi , città deframmentate senza più un tessuto comunitario,avvolte dalla paura e dalla solitudine.

CATTOLICI, LAICI E SOCIETÀ CIVILE: RIFLESSIONE DEL PATRIARCA DI VENEZIA Altro che egemonia mondana. Offerta di una speranza da «investire» quaggiù ANGELO SCOLA « L’ Occidente deve decidersi a capire quale peso ha la fede nella vita pubblica dei suoi cittadini, non può rimuovere il problema». Queste parole fulminanti, espresse da un vescovo mediorientale durante il Comitato scientifico internazionale di Oasis ad Amman, mi sono tornate alla mente in questi giorni, nei quali si è acceso sui media un vivo dibattito circa l’azione dei cristiani nella società civile, il dialogo tra laici e cattolici - che secondo qualcuno sarebbe addirittura giunto al capolinea - , la presunta sconfitta del Cristianesimo e l’ingerenza degli uomini di Chiesa nelle vicende pubbliche. In una parola circa lo stile con cui i cattolici dovrebbero intervenire o meno sui delicati temi della vita comune, quali quelli della bioetica. Mi sembra che spesso si perda di vista il cuore della questione: ogni fede va sempre soggetta ad un’interpretazione culturale pubblica. È un dato inevitabile. Da una parte perché, come scrisse Giovanni Paolo II, «una fede che non diventi cultura sarebbe non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta». Dall’altra, essendo la fede - quella giudaica e quella cristiana - frutto di un Dio che si è compromesso con la storia, ha inevitabilmente a che fare con la concretezza della vita e della morte, dell’amore e del dolore, del lavoro e del riposo e dell’azione civica. Perciò è essa stessa inevitabilmente investita da diverse letture culturali, che possono entrare in conflitto tra di loro. In questa fase di 'post-secolarismo', nella società italiana si confrontano, in particolare, due interpretazioni culturali del Cristianesimo. A me sembrano entrambe riduttive. La prima è quella che tratta il Cristianesimo come una religione civile, come mero cemento etico, capace di fungere da collante sociale per la nostra democrazia e per le democrazie europee in grave affanno. Se una simile posizione è plausibile in chi non crede, a chi crede deve essere evidente la sua strutturale insufficienza. L’altra, più sottile, è quella che tende a ridurre il Cristianesimo all’annuncio della pura e nuda Croce per la salvezza di 'ogni altro'. Occuparsi, per esempio, di bioetica o biopolitica distoglierebbe dall’autentico messaggio di misericordia di Cristo. Come se questo messaggio fosse in sé astorico e non possedesse implicazioni antropologiche, sociali e cosmologiche. Un simile atteggiamento produce una dispersione (diaspora) dei cristiani nella società e finisce per nascondere (cripto) la rilevanza umana della fede in quanto tale. Al punto che di fronte ai drammi anche pubblici della vita si giunge a domandare un silenzio che rischia di svuotare il senso dell’appartenenza a Cristo e alla Chiesa agli occhi degli altri. Nessuna di queste due interpretazioni culturali, secondo me, riesce ad esprimere in maniera adeguata la vera natura del Cristianesimo e della sua azione nella società civile: la prima perché lo riduce alla sua dimensione secolare, separandolo dalla forza sorgiva del soggetto cristiano, dono dell’incontro con l’avvenimento personale di Gesù Cristo nella Chiesa; la seconda perché priva la fede del suo spessore carnale. A me sembra più rispettosa della natura dell’uomo e del suo essere in relazione un’altra interpretazione culturale. Essa corre lungo il crinale che separa la religione civile dalla cripto-diaspora. Propone l’avvenimento di Gesù Cristo in tutta la sua interezza ­irriducibile ad ogni umano schieramento ­, ne mostra il cuore che vive nella fede della Chiesa a beneficio di tutto il popolo. In che modo? Attraverso l’annuncio, ad opera del soggetto ecclesiale, di tutti i misteri della fede nella loro integralità, sapientemente compendiati nel catechismo della Chiesa. Giungendo però ad esplicitare tutti gli aspetti e le implicazioni che da tali misteri sempre sgorgano. Essi si intrecciano con le vicende umane di ogni tempo, mostrando la bellezza e la fecondità della fede per la vita di tutti i giorni. Solo un esempio: se credo che l’uomo è creato a immagine e somiglianza di Dio, avrò una certa concezione della nascita e della morte, del rapporto tra uomo e donna, del matrimonio e della famiglia. Concezione che inevitabilmente incontra e chiede di confrontarsi con l’esperienza di tutti gli uomini, anche dei non credenti. Qualunque sia il loro modo di concepire questi dati elementari dell’esistenza. Rispettando lo specifico compito dei fedeli laici in campo politico, è tuttavia evidente che se ogni fedele, dal Papa all’ultimo dei battezzati, non mettesse in comune le risposte che ritiene valide alle domande che quotidianamente agitano il cuore dell’uomo, cioè se non testimoniasse le implicazioni pratiche della propria fede, toglierebbe qualcosa agli altri. Sottrarrebbe un positivo, non contribuirebbe al bene civile di edificare la vita buona. Oggi poi, in una società plurale e perciò tendenzialmente molto conflittuale, questo paragone deve essere a 360° e con tutti, nessuno escluso. In un simile confronto, che porta i cristiani, Papa e vescovi compresi, a dialogare umilmente ma tenacemente con tutti, si vede che l’azione ecclesiale non ha come scopo l’egemonia, non punta a usare l’ideale della fede in vista di un potere. Il suo vero scopo, a imitazione del suo Fondatore, è offrire a tutti la consolante speranza nella vita eterna. Una speranza che, già godibile nel 'centuplo quaggiù', aiuta ad affrontare i problemi cruciali che rendono affascinante e drammatico il quotidiano di tutti. Solo attraverso questo instancabile racconto, teso al riconoscimento reciproco, rispettoso delle procedure pattuite in uno stato di diritto, si può mettere a frutto quel grande valore pratico che scaturisce dal fatto di vivere insieme.

giovedì 19 febbraio 2009

Che cosa è essere di sinistra?




CRISI PD/ Ostellino: Bersani guardi a Manzoni, Sturzo e don Giussani
INT.
Piero Ostellino
giovedì 19 febbraio 2009

Lo psicodramma del Partito democratico non si attenua, e la conferenza stampa tenuta ieri da Walter Veltroni è servita ad aumentare ancor di più le tensioni interne al gruppo dirigente. Non si intravede una via d’uscita a una crisi che non è solo strategica, ma assai più profonda, e cioè di cultura politica. Che cos’è la sinistra italiana oggi? Quali sono le sue radici culturali e il suo radicamento nella società? Senza un chiarimento intorno a questi punti sarà difficile che l’Italia possa avere una opposizione credibile nel prossimo futuro.
Ma il problema non è di facile soluzione, e la debolezza culturale della sinistra è strutturale. Ne è convinto Piero Ostellino, editorialista del Corriere della Sera, di cui è in uscita a breve, per Rizzoli, il libro dal titolo “Lo Stato canaglia”. Un titolo significativo, che indica l’esistenza di un problema irrisolto nell’intera struttura politica e sociale italiana.

Ostellino, la crisi del Pd di questi giorni è solo l’ultimo sintomo di un problema molto più profondo: cosa c’è dietro alle dimissioni di Walter Veltroni?

Rispondo riportando un test, che io faccio spesso per capire che cos’è la sinistra oggi in Italia; lo sottopongo regolarmente ai miei amici di Milano che sono di sinistra, o che si definiscono tali. È un test molto semplice: basta chiedere loro: “che cosa vuol dire essere di sinistra?”, e non sanno rispondere. Il che vuol dire che c’è una crisi di identità del concetto stesso di sinistra, una crisi culturale che distrugge chiunque oggi faccia il segretario del Partito democratico. Non è la sovrastruttura “Veltroni”, o un domani la sovrastruttura “Bersani”, che entra in crisi: è la struttura stessa che non regge.

E qual è questo problema strutturale della sinistra italiana?

Il punto è che la società civile che vota per la sinistra lo fa per un elemento identitario – non culturale – che è l’anti-berlusconismo. Ora, una cultura politica non si può reggere su un “contro”, che è per di più semplicemente contro una persona, e nemmeno contro ciò che quella persona politicamente rappresenta. Come è possibile che esista un’opposizione di sinistra che non sa nemmeno essa stessa cos’è? Chiunque diventi segretario del Partito democratico, sarà segretario di un partito culturalmente inesistente. Perso il referente dell’Unione Sovietica, la sinistra italiana non è stata più nulla: non è diventata socialdemocratica, non è diventata liberale, e ha ovviamente smesso di essere comunista. Ma cosa sia adesso, nessuno lo sa. Soprattutto non lo sa la base, e quindi questo crea un disagio che si riflette su chi governa il partito.

Dunque non regge nemmeno la sintesi che l’Unione prima e il Pd poi hanno cercato di fare tra il cattolicesimo democratico e la sinistra riformista?

È una sintesi improponibile, o comunque valida solo per alcuni elementi all’interno dell’ex Margherita. Basta guardare ad alcune figure di quell’area: Rosy Bindi, ad esempio, è più assimilabile a un ex o post comunista che non a un cattolico democratico, come lei si vorrebbe definire. Allora che sintesi è? Il problema quindi è un altro: bisognerebbe recuperare (i cattolici almeno la devono recuperare, la sinistra la deve acquistare ex novo) la grande tradizione sociale e solidale del cattolicesimo liberale, che ha avuto grandi esempi soprattutto nella borghesia lombarda. È una tradizione di grande contenuto sociale, in cui la solidarietà non è imposta per legge, ma nasce come un moto di spirito, un moto del cuore, e come opera della società civile. Quanto bene ha fatto la borghesia cattolica liberale lombarda, sia in termini di donazioni a istituti di beneficenza, sia in termini di aiuto allo sviluppo della socialità in Italia? È un patrimonio che i cattolici stessi devono recuperare.

Ora che cosa si prospetta nel prossimo futuro della sinistra italiana?

Lo scenario più probabile che si prospetta è quello di Pierluigi Bersani alla guida del partito. Il che non risolve nulla. Bersani è figlio di una delle regioni rosse, le quali – anche se i dirigenti del partito non lo sanno – sono figlie dell’organicismo di Giovanni Gentile, il filosofo del fascismo. In quelle regioni il funzionario del partito è funzionario della cooperativa, dell’amministrazione locale, forse è anche assessore, e magari diventa pure parlamentare. Vuol dire che in quelle regioni società civile e società politica sono diventate, organicisticamente, un tutt’uno. Il che è il massimo dell’illibertà. Questi sono ritardi culturali che hanno una ricaduta politica: chi vota Veltroni prima o Bersani poi, quando si scontra con questa cultura si interroga su cosa sta votando. Ecco spiegato perché poi i voti scendono, e si assiste alle sconfitte della sinistra nell’ultimo periodo.

La mancanza di un’opposizione crea però problemi a tutto il sistema politico.

Certo: una democrazia che funzioni ha bisogno di un’opposizione forte. Però deve essere appunto un’opposizione credibile, che abbia cioè un’alternativa programmatica credibile. Se l’unica alternativa che viene proposta è invece: “votate noi, che cacciamo Berlusconi”, quale che sia il giudizio su Berlusconi, significa che l’opposizione non esiste. Non c’è problema che si possa risolvere se non si affronta il nodo culturale di cui parlavo prima.

Da quello che lei dice si ha però l’impressione che questa carenza culturale riguardi tutta la politica italiana: qual è allora la strada da seguire per recuperare questa dimensione?

Quello che io auspico è che il cattolicesimo recuperi la propria tradizione liberale, che nell’Italia repubblicana non ha avuto seguito. I cattolici infatti possono dare all’Italia una cultura che è contemporaneamente solidaristica e liberale. Lo dico io, che non sono un credente, ma solo uno straordinario ammiratore di quel cattolicesimo liberale, soprattutto lombardo (pensiamo ad esempio a Manzoni), che è stato un fenomeno di grandissima importanza, sociale prima ancora che politica. Noi invece siamo schiavi di schemi ereditati per metà dal fascismo e per metà dal comunismo. Dobbiamo recuperare lo spirito che ad esempio emerge nei discorsi che don Sturzo fece durante la Costituente, mettendo in guardia dal fatto che si stava dando vita a una Costituzione, se non proprio sovietica, almeno statalista. Un vero maestro del pensiero liberale, ma che al tempo stesso aveva ben presente l’importanza dell’aspetto solidale. E sul fronte più moderno, lo stesso pensiero lo si ritrova in don Giussani, il quale dava grandissima importanza al ruolo della società civile, e che insisteva sul valore della libertà della persona, che viene prima della politica. È stato l’ultimo rappresentante di questa tradizione, la quale potrebbe dare un contributo fondamentale al recupero delle basi culturali della politica italiana.

mercoledì 18 febbraio 2009

Udienza: San Beda illumina il fedele laico sulla sua vocazione


Benedetto XVI ci introduce alla storia di questa grande figura di dottore dell'alto medioevo in quella terra che oggi chiamiamo Gran Bretagna.

San Beda ci illumina per ciò che concerne le radici culturali e religiose dell'Europa. Il Papa spiega come era suo convincimento che l'orgine e il fine di ogni volto culturale con cui si manifesti la Chiesa sia quello di Cristo.

Il fedele laico dentro la la cultura dove Dio lo ha posto deve risplendere di questo volto che non è il suo ma di Cristo che è la luce

Leggiamola questa udienza nel fascino di una lezione che ci racconta cose lontane, di uomini antichi ma anche di cose attuali ed eterne!

Udienza del (18 febbraio 2009) «Ritrovare le radice cristiane dell'Europa»
Cari fratelli e sorelle,
il Santo che oggi avviciniamo si chiama Beda e nacque nel Nord-Est dell’Inghilterra, esattamente in Northumbria, nell’anno 672/673. Egli stesso racconta che i suoi parenti, all’età di sette anni, lo affidarono all’abate del vicino monastero benedettino perché venisse educato: "In questo monastero – egli ricorda – da allora sono sempre vissuto, dedicandomi intensamente allo studio della Scrittura e, mentre osservavo la disciplina della Regola e il quotidiano impegno di cantare in chiesa, mi fu sempre dolce o imparare o insegnare o scrivere" (Historia eccl. Anglorum, V, 24). Di fatto, Beda divenne una delle più insigni figure di erudito dell’alto Medioevo, potendo avvalersi dei molti preziosi manoscritti che i suoi abati, tornando dai frequenti viaggi in continente e a Roma, gli portavano. L’insegnamento e la fama degli scritti gli procurarono molte amicizie con le principali personalità del suo tempo, che lo incoraggiarono a proseguire nel suo lavoro da cui in tanti traevano beneficio. Ammalatosi, non smise di lavorare, conservando sempre un’interiore letizia che si esprimeva nella preghiera e nel canto. Concludeva la sua opera più importante la Historia ecclesiastica gentis Anglorum con questa invocazione: "Ti prego, o buon Gesù, che benevolmente mi hai permesso di attingere le dolci parole della tua sapienza, concedimi, benigno, di giungere un giorno da te, fonte di ogni sapienza, e di stare sempre di fronte al tuo volto". La morte lo colse il 26 maggio 735: era il giorno dell’Ascensione.
Le Sacre Scritture sono la fonte costante della riflessione teologica di Beda. Premesso un accurato studio critico del testo (ci è giunta copia del monumentale Codex Amiatinus della Vulgata, su cui Beda lavorò), egli commenta la Bibbia, leggendola in chiave cristologica, cioè riunisce due cose: da una parte ascolta che cosa dice esattamente il testo, vuole realmente ascoltare, comprendere il testo stesso; dall’altra parte, è convinto che la chiave per capire la Sacra Scrittura come unica Parola di Dio è Cristo e con Cristo, nella sua luce, si capisce l’Antico e il Nuovo Testamento come "una" Sacra Scrittura. Le vicende dell’Antico e del Nuovo Testamento vanno insieme, sono cammino verso Cristo, benché espresse in segni e istituzioni diverse (è quella che egli chiama concordia sacramentorum). Ad esempio, la tenda dell’alleanza che Mosè innalzò nel deserto e il primo e secondo tempio di Gerusalemme sono immagini della Chiesa, nuovo tempio edificato su Cristo e sugli Apostoli con pietre vive, cementate dalla carità dello Spirito. E come per la costruzione dell’antico tempio contribuirono anche genti pagane, mettendo a disposizione materiali pregiati e l’esperienza tecnica dei loro capimastri, così all’edificazione della Chiesa contribuiscono apostoli e maestri provenienti non solo dalle antiche stirpi ebraica, greca e latina, ma anche dai nuovi popoli, tra i quali Beda si compiace di enumerare gli Iro-Celti e gli Anglo-Sassoni. San Beda vede crescere l’universalità della Chiesa che non è ristretta a una determinata cultura, ma si compone di tutte le culture del mondo che devono aprirsi a Cristo e trovare in Lui il loro punto di arrivo.
Un altro tema amato da Beda è la storia della Chiesa. Dopo essersi interessato all’epoca descritta negli Atti degli Apostoli, egli ripercorre la storia dei Padri e dei Concili, convinto che l’opera dello Spirito Santo continua nella storia. Nei Chronica Maiora Beda traccia una cronologia che diventerà la base del Calendario universale "ab incarnatione Domini". Già da allora si calcolava il tempo dalla fondazione della città di Roma. Beda, vedendo che il vero punto di riferimento, il centro della storia è la nascita di Cristo, ci ha donato questo calendario che legge la storia partendo dall’Incarnazione del Signore. Registra i primi sei Concili Ecumenici e i loro sviluppi, presentando fedelmente la dottrina cristologica, mariologica e soteriologica, e denunciando le eresie monofisita e monotelita, iconoclastica e neo-pelagiana. Infine redige con rigore documentario e perizia letteraria la già menzionata Storia Ecclesiastica dei Popoli Angli, per la quale è riconosciuto come "il padre della storiografia inglese". I tratti caratteristici della Chiesa che Beda ama evidenziare sono: a) la cattolicità come fedeltà alla tradizione e insieme apertura agli sviluppi storici, e come ricerca della unità nella molteplicità, nella diversità della storia e delle culture, secondo le direttive che Papa Gregorio Magno aveva dato all’apostolo dell’Inghilterra, Agostino di Canterbury; b) l’apostolicità e la romanità: a questo riguardo ritiene di primaria importanza convincere tutte le Chiese Iro-Celtiche e dei Pitti a celebrare unitariamente la Pasqua secondo il calendario romano. Il Computo da lui scientificamente elaborato per stabilire la data esatta della celebrazione pasquale, e perciò l’intero ciclo dell’anno liturgico, è diventato il testo di riferimento per tutta la Chiesa Cattolica.
Beda fu anche un insigne maestro di teologia liturgica. Nelle Omelie sui Vangeli domenicali e festivi, svolge una vera mistagogia, educando i fedeli a celebrare gioiosamente i misteri della fede e a riprodurli coerentemente nella vita, in attesa della loro piena manifestazione al ritorno di Cristo, quando, con i nostri corpi glorificati, saremo ammessi in processione offertoriale all’eterna liturgia di Dio nel cielo. Seguendo il "realismo" delle catechesi di Cirillo, Ambrogio e Agostino, Beda insegna che i sacramenti dell’iniziazione cristiana costituiscono ogni fedele "non solo cristiano ma Cristo". Ogni volta, infatti, che un’anima fedele accoglie e custodisce con amore la Parola di Dio, a imitazione di Maria concepisce e genera nuovamente Cristo. E ogni volta che un gruppo di neofiti riceve i sacramenti pasquali, la Chiesa si "auto-genera", o con un’espressione ancora più ardita, la Chiesa diventa "madre di Dio", partecipando alla generazione dei suoi figli, per opera dello Spirito Santo.
Grazie a questo suo modo di fare teologia intrecciando Bibbia, Liturgia e Storia, Beda ha un messaggio attuale per i diversi "stati di vita": a) agli studiosi (doctores ac doctrices) ricorda due compiti essenziali: scrutare le meraviglie della Parola di Dio per presentarle in forma attraente ai fedeli; esporre le verità dogmatiche evitando le complicazioni eretiche e attenendosi alla "semplicità cattolica", con l’atteggiamento dei piccoli e umili ai quali Dio si compiace di rivelare i misteri del Regno; b) i pastori, per parte loro, devono dare la priorità alla predicazione, non solo mediante il linguaggio verbale o agiografico, ma valorizzando anche icone, processioni e pellegrinaggi. Ad essi Beda raccomanda l’uso della lingua volgare, com’egli stesso fa, spiegando in Northumbro il "Padre Nostro", il "Credo" e portando avanti fino all’ultimo giorno della sua vita il commento in volgare al Vangelo di Giovanni; c) alle persone consacrate che si dedicano all’Ufficio divino, vivendo nella gioia della comunione fraterna e progredendo nella vita spirituale mediante l’ascesi e la contemplazione, Beda raccomanda di curare l’apostolato - nessuno ha il Vangelo solo per sé, ma deve sentirlo come un dono anche per gli altri - sia collaborando con i Vescovi in attività pastorali di vario tipo a favore delle giovani comunità cristiane, sia rendendosi disponibili alla missione evangelizzatrice presso i pagani, fuori del proprio paese, come "peregrini pro amore Dei".
Ponendosi da questa prospettiva, nel commento al Cantico dei Cantici Beda presenta la Sinagoga e la Chiesa come collaboratrici nella diffusione della Parola di Dio. Cristo Sposo vuole una Chiesa industriosa, "abbronzata dalle fatiche dell’evangelizzazione" – è chiaro l’accenno alla parola del Cantico dei Cantici (1, 5), dove la sposa dice: "Nigra sum sed formosa" (Sono abbronzata, ma bella) –, intenta a dissodare altri campi o vigne e a stabilire fra le nuove popolazioni "non una capanna provvisoria ma una dimora stabile", cioè a inserire il Vangelo nel tessuto sociale e nelle istituzioni culturali. In questa prospettiva il santo Dottore esorta i fedeli laici ad essere assidui all’istruzione religiosa, imitando quelle "insaziabili folle evangeliche, che non lasciavano tempo agli Apostoli neppure di prendere un boccone". Insegna loro come pregare continuamente, "riproducendo nella vita ciò che celebrano nella liturgia", offrendo tutte le azioni come sacrificio spirituale in unione con Cristo. Ai genitori spiega che anche nel loro piccolo ambito domestico possono esercitare "l’ufficio sacerdotale di pastori e di guide", formando cristianamente i figli ed afferma di conoscere molti fedeli (uomini e donne, sposati o celibi) "capaci di una condotta irreprensibile che, se opportunamente seguiti, potrebbero accostarsi giornalmente alla comunione eucaristica" (Epist. ad Ecgberctum, ed. Plummer, p. 419)
La fama di santità e sapienza di cui Beda godette già in vita, valse a guadagnargli il titolo di "Venerabile". Lo chiama così anche Papa Sergio I, quando nel 701 scrive al suo abate chiedendo che lo faccia venire temporaneamente a Roma per consulenza su questioni di interesse universale. Dopo la morte i suoi scritti furono diffusi estesamente in Patria e nel Continente europeo. Il grande missionario della Germania, il Vescovo san Bonifacio (+ 754), chiese più volte all’arcivescovo di York e all'abate di Wearmouth che facessero trascrivere alcune sue opere e gliele mandassero in modo che anch'egli e i suoi compagni potessero godere della luce spirituale che ne emanava. Un secolo più tardi Notkero Galbulo, abate di San Gallo (+ 912), prendendo atto dello straordinario influsso di Beda, lo paragonò a un nuovo sole che Dio aveva fatto sorgere non dall’Oriente ma dall’Occidente per illuminare il mondo. A parte l’enfasi retorica, è un fatto che, con le sue opere, Beda contribuì efficacemente alla costruzione di una Europa cristiana, nella quale le diverse popolazioni e culture si sono fra loro amalgamate, conferendole una fisionomia unitaria, ispirata alla fede cristiana. Preghiamo perché anche oggi ci siano personalità della statura di Beda, per mantenere unito l’intero Continente; preghiamo affinché tutti noi siamo disponibili a riscoprire le nostre comuni radici, per essere costruttori di una Europa profondamente umana e autenticamente cristiana.

lunedì 16 febbraio 2009

Nella lebbra è possibile intravedere un simbolo del peccato

Il Papa ci invita al sacramento della riconciliazione frequente!!



All'Angelus il Papa riafferma il valore del sacramento della Penitenza nella vita cristiana
Gesù guarisce l'uomo da ogni morte religiosa e civile

Il sacramento del Perdono "oggi va riscoperto ancor più nel suo valore e nella sua importanza per la nostra vita cristiana".
Lo ha affermato Benedetto XVI all'Angelus di domenica 15 febbraio, nella riflessione con i fedeli in piazza San Pietro.

Cari fratelli e sorelle! In queste domeniche, l'evangelista san Marco ha offerto alla nostra riflessione una sequenza di varie guarigioni miracolose. Oggi ce ne presenta una molto singolare, quella di un lebbroso sanato (cfr. Mc 1, 40-45), che si avvicinò a Gesù e, in ginocchio, lo supplicò: "Se vuoi, puoi purificarmi!". Egli, commosso, stese la mano, lo toccò e gli disse: "Lo voglio, sii purificato!". Istantanea si verificò la guarigione di quell'uomo, al quale Gesù domandò di non rivelare il fatto, e di presentarsi ai sacerdoti per offrire il sacrificio prescritto dalla legge mosaica. Quel lebbroso sanato, invece, non riuscì a tacere ed anzi proclamò a tutti ciò che gli era accaduto, così che - riferisce l'evangelista - ancor più numerosi i malati accorrevano da Gesù da ogni parte, sino a costringerlo a rimanere fuori delle città per non essere assediato dalla gente. Disse Gesù al lebbroso: "Sii purificato!". Secondo l'antica legge ebraica (cfr. Lv 13-14), la lebbra era considerata non solo una malattia, ma la più grave forma di "impurità" rituale. Spettava ai sacerdoti diagnosticarla e dichiarare immondo il malato, il quale doveva essere allontanato dalla comunità e stare fuori dall'abitato, fino all'eventuale e ben certificata guarigione. La lebbra perciò costituiva una sorta di morte religiosa e civile, e la sua guarigione una specie di risurrezione. Nella lebbra è possibile intravedere un simbolo del peccato, che è la vera impurità del cuore, capace di allontanarci da Dio. Non è in effetti la malattia fisica della lebbra, come prevedevano le vecchie norme, a separarci da Lui, ma la colpa, il male spirituale e morale. Per questo il Salmista esclama: "Beato l'uomo a cui è tolta la colpa / e coperto il peccato". E poi, rivolto a Dio: "Ti ho fatto conoscere il mio peccato, / non ho coperto la mia colpa. / Ho detto: Confesserò al Signore le mie iniquità, / e tu hai tolto la mia colpa e il mio peccato" (Sal 31/32, 1.5). I peccati che commettiamo ci allontanano da Dio, e, se non vengono confessati umilmente confidando nella misericordia divina, giungono sino a produrre la morte dell'anima. Questo miracolo riveste allora una forte valenza simbolica. Gesù, come aveva profetizzato Isaia, è il Servo del Signore che "si è caricato delle nostre sofferenze, / si è addossato i nostri dolori" (Is 53, 4). Nella sua passione, diventerà come un lebbroso, reso impuro dai nostri peccati, separato da Dio: tutto questo farà per amore, al fine di ottenerci la riconciliazione, il perdono e la salvezza. Nel Sacramento della Penitenza Cristo crocifisso e risorto, mediante i suoi ministri, ci purifica con la sua misericordia infinita, ci restituisce alla comunione con il Padre celeste e con i fratelli, ci fa dono del suo amore, della sua gioia e della sua pace. Cari fratelli e sorelle, invochiamo la Vergine Maria, che Dio ha preservato da ogni macchia di peccato, affinché ci aiuti ad evitare il peccato e a fare frequente ricorso al Sacramento della Confessione, il Sacramento del Perdono, che oggi va riscoperto ancor più nel suo valore e nella sua importanza per la nostra vita cristiana. (©L'Osservatore Romano - 16-17 febbraio 2009)

domenica 15 febbraio 2009

Caffarra su Englaro


«Uccisa un’innocente Col permesso del tribunale» Caffarra: vere eroine sono le suore misericordine A proposito del tragico epilogo della vicenda di Eluana Englaro, il cardinale arcivescovo di Bologna si rivolge ai fedeli con questa ri­flessione che viene pubblicata oggi sul settimanale diocesano Avveni­re- Bologna Sette DI CARLO CAFFARRA


C ari fedeli, sento il dovere di inviarvi alcune riflessioni che possano guidarvi in questi giorni, dopo la tragica fine di Eluana Englaro. È come se sentissi voi tutti rivolgermi la domanda del profeta: «Sentinella, quanto resta della notte? (Is 21,11)». Oso pensare e sperare che queste mie riflessioni raggiungano anche uomini e donne non credenti, e pensosi del destino del nostro popolo. 1. La prima cosa da fare è di chiamare cose ed avvenimenti col loro nome: fare chiarezza è la prima necessità nel percorso della vita. È stata uccisa una persona umana innocente, e per giunta con l’autorizzazione di un tribunale umano. Risuonano tragicamente solenni le parole del servo di Dio Giovanni Paolo II: «Niente e nessuno può autorizzare l’uccisione di un essere umano innocente, feto o embrione che sia, bambino o adulto, vecchio, ammalato o agonizzante. Nessuno, inoltre, può richiedere per se stesso o per un altro affidato alle sue responsabilità questo gesto omicida, né può acconsentirvi esplicitamente o implicitamente. Nessuna autorità può legittimamente imporlo, né permetterlo» [Lett. Enc. Evangelium Vitae 57, 5]. Non è la prima volta nella storia che un tribunale dà questa autorizzazione. Ma le sentenze dei tribunali non cambiano la realtà. Né lasciamoci confondere dalle pur legittime discussioni sulla Costituzione, sulle competenze degli organi costituzionali, e da cose di questo genere. Prima che cittadini di uno Stato, siamo uomini e donne partecipi della stessa umanità. Prima della legge scritta sulle Carte costituzionali e nei Codici, c’è la legge scritta nel cuore umano. Essa insegna che l’uccisione diretta e volontaria di un essere umano innocente è sempre gravemente immorale; lo è anche quando la morte fosse causata da semplice omissione di un atto che invece avrebbe potuto tenerlo in vita. 2. Ma è accaduto anche un altro fatto sul quale vorrei che riflettessimo profondamente: è stato messo in essere il primo tentativo di delegittimare nella coscienza del nostro popolo la pietas e l’operosità della carità cristiana, di offuscarne la splendente bellezza. Se infatti si afferma il principio che esistono uomini e donne la cui «qualità di vita» rende la loro esistenza indegna di essere vissuta, che senso ha stare loro vicini con l’amore che se ne prende cura, con la tenerezza che condivide la loro umanità devastata? Ci sono dei gesti che hanno una portata simbolica che va molto oltre a chi li compie, ed il cui significato obiettivo si insedia dentro al vissuto umano, devastandolo. Notte tragica quella in cui Eluana Englaro fu tolta alle Suore Misericordine! L’essere umano fragile è stato tolto alla carità cristiana per consegnarlo nella sua impotenza all’arbitrio della decisione di altri. Ed allora le vere eroine in questa vicenda sono state loro, le Suore Misericordine. Sono le suore che nelle nostre Case della carità continuano ad affermare non colle parole, ma con la vita, l’unica vera libertà: la libertà di amare, la libertà di donare. E con loro vedo tutte le nostre religiose, e tutte le altre persone, famiglie ed aggregazioni dedite ai più diseredati: a chi «non ha più senso che viva». 3. Di fronte al mistero della sofferenza e del male, alla ragione che non sa rispondere alla domanda: «perché?», non resta che riconoscere umilmente che il mistero, senza negare la ragione, la trascende. Non c’è altra possibilità di salvezza per una ragione che non voglia dissolversi nell’assurdo. Cari fedeli, a questo punto forse mi chiederete: ed allora che fare? A voi rispondo che c’è una cosa sola che ci salva dalla perdizione totale: radicarci in Cristo, vivendo un’intensa esperienza di fede nella Chiesa. È da comunità di uomini e donne che in Cristo hanno trovato la perla preziosa che dà senso alla vita, che nasce quel nuovo modo di pensare e di vivere, di giudicare ed introdurci nella realtà che afferma il valore infinito di ogni persona umana. In una parola: solo una fede profondamente pensata e vissuta genera una cultura vera; solo una fede quotidianamente praticata potrà tenere viva nella nostra società quella grande tradizione umanistico-cristiana, la cui necessità è riconosciuta anche da non credenti. È il grande impegno educativo: la rigenerazione di tutto l’umano in Cristo; è la via che la nostra Chiesa vuole percorrere. A Maria affidiamo la causa dell’uomo: perché «in Lei si raccese l’amore». «È stato messo in essere il primo tentativo di delegittimare la pietas e l’operosità della carità»

Un giudizio su Englaro da parte delle monache trappiste i Vitorchiano




«Noi, come Eluana donate al mistero» «Qui in clausura tutte commosse dalla dedizione delle sorelle di Lecco, come Cristo chinate sul dolore» DI MARINA CORRADI


I n clausura non c’è la te­levisione, in clausura non entrano i quotidia­ni, tranne Avvenire e l’Os­servatore Romano. E dun­que le settantacinque fra sorelle e novizie e postu­lanti del monastero trappi­sta di Vitorchiano sono sta­te tra le ultime a sapere, il mattino dopo, della morte di Eluana Englaro. Aveva­no pregato molto per lei, nel ciclo costante di pre­ghiere che abbraccia tutta la giornata in convento, e che comincia con quelle della vigilia, nella notte fon­da, ben lontana dall’alba. «La storia di Eluana si è im­posta alla nostra attenzio­ne - dice dalla clausura la superiora, madre Rosaria Spreafico - perché il dibat­tito attorno a lei tocca temi troppo importanti per tut­ti noi. Abbiamo seguito il suo dramma attraverso Av­venire, e ringraziamo il giornale per il coraggio con cui sostiene costantemen­te il valore della vita. Noi abbiamo potuto sostenere Eluana con la preghiera, e abbiamo anche cercato di accompagnarla facendo personalmente scelte che affermassero la vita, la ve­rità e il rispetto reciproco: questo ci sembrava più im­portante delle parole che a­vremmo potuto dire». Eluana è morta per disi­dratazione, è morta di se­te. È stata abbandonata al­la sua impotenza. Che pensieri ha suscitato tra voi questa morte? Direi, quasi, che abbiamo faticato a credere che sia accaduto davvero. Ci è im­possibile pensare che si possa stare a guardare una persona morire di sete. Co­me può una donna essere lasciata morire in questo modo, quando sappiamo che oggi in Italia si è de­nunciati - giustamente - se si usa crudeltà verso gli a­nimali? Diciassette anni di stato vegetativo sono un tempo eccezionale, un destino fuori dal comune. Sorge anche fra voi, come tra tanti altri, e anche creden­ti, la domanda, o la ribel­lione, circa il senso di una vita così? A noi sembra che il cuore di tutta questa vicenda sia proprio questo: qual è il senso di una vita? Chi lo de­cide? Non solo la vita di E­luana in quelle condizioni, ma quella di tutti noi. Il no­stro tempo sembra aver smarrito le domande e le risposte sul senso della vi- ta, o almeno il desiderio di affrontarle seriamente. Forse nella vita normale di tutti i giorni, fuori da que­ste mura, non ci si interro­ga più sul significato della propria vita, e una doman­da così essenziale per chiunque viene alla ribalta solo di fronte a situazioni estreme. Il modello di 'sen­so' che oggi si propone è quello della persona di suc­cesso, efficiente, in ottima salute e forma: questo è davvero un 'significato' e­sauriente che giustifica l’e­sistenza di tanti? È l’unico parametro sul quale giudicare la credibi­lità di una vita? Vede, anche la nostra vita in clausura viene spesso guardata come una vita senza senso, senza opere e risultati. Mentre noi speri­mentiamo che l’opera vera della vita è vivere, questo porta a scoprire tutta l’esi­stenza come dono gratui­to, in qualsiasi situazione. Nessuna vita è esente dal dolore, dal limite, dalla sof­ferenza e dalla morte. Noi lo vediamo concretamen­te nel declino delle nostre madri anziane, molto spes­so bisognose di tutto, ma anche nel nostro stesso es­sere più che imperfette. È l’accettazione semplice delle circostanze che porta a riconoscere che tutto, proprio tutto, è degno di es­sere vissuto. Dentro l’affer­mazione di una ipotesi po­sitiva su tutto quello che accade, ciò che si impara e si afferma è la dignità di noi stessi e degli altri, che nes­sun condizionamento può intaccare; questa esperien­za è per noi la più vicina al­l’amore e alla felicità. Il padre ha lottato per di­ciassette anni perché fosse data la morte alla figlia. Tra chi ha dei figli, suscita stu­pore questa determinazio­ne: preferirei un figlio in coma a un figlio morto, di­cono in molti. Come inter­pretate voi la lunga lotta del signor Englaro? La Sacra Scrittura dice che 'il cuore dell’uomo è un a­bisso' e che solo Dio può conoscerlo. Ci sembra che la lunga lotta del signor En­glaro sia stata quella di chi non può accettare che do­lore e sofferenza apparten­gono al mistero della vita, che la vita non ci appartie­ne. Se non ci apriamo a questo mistero il dolore di­venta un’obiezione insor­montabile, qualcosa che è necessario eliminare. Le suore Misericordine di Lecco hanno per molti an­ni curato Eluana come madri. Sembrano il sim­bolo della più grande del­le maternità, della gratuità pura; di un altro amore, tuttavia, possibile. È vero. La dedizione di que­ste sorelle ci ha commosso, e ci chiediamo come si pos­sa inneggiare alla morte di fronte al fatto che esistono delle persone che difendo­no la vita, donando la loro. Ma ripetiamo: è la fede in Cristo che suscita l’amore alla vita, perché con Cristo abbiamo imparato che la risurrezione e l’eternità so­no la vera 'stoffa' della vi­ta, e lo sperimentiamo fin da quaggiù. Il corpo di Eluana, abban­donato alla morte per sete, non sembra esso stesso un simbolo di Cristo? Di quel crocifisso che oggi spesso si rimuove dai muri perché simbolo di una inaccetta­bile sofferenza? Una volta ho sentito dire che l’unica cosa che i cri­stiani hanno saputo fare in duemila anni è stata co­struire una mistica del do­lore, a partire dalla loro i­dolatria per il corpo soffe­rente di Cristo sulla croce. Quanta ignoranza occorre per dire una cosa simile. Se noi amiamo Cristo in cro­ce, e così possiamo ab­bracciare senza scandalo il dolore, è proprio perché la croce è la sconfitta della sofferenza sterile. Gesù Cri­sto non ha fatto un discor­so sul dolore: lo ha assun­to su di sé e lo ha trasfor­mato nella via della resur­rezione. Ha sperimentato cosa significhi la solitudi­ne estrema del dolore, ed in questo modo è diventa­to la vera compagnia per chiunque soffre. È una compagnia, la sua, che si fa molto concreta: perché chinarsi sul dolore degli al­tri come hanno fatto quel­le suore di Lecco rende pre­sente la tenerezza di Cristo, che attraverso mani umane continua a ripetere: non te­mete, io ho vinto, e dove so­no io sarete anche voi con me. Fuori dalla clinica di Udi­ne alla notizia della morte alcuni hanno applaudito, quasi che Eluana avesse vinto la sua liberazione. Voi avete la percezione di quanto un favor mortis nemmeno tanto tacito si vada diffondendo, nel mondo esterno? Sì. Legislazioni come quel­le sull’aborto, e l’eutanasia che oggi si tenta di intro­durre in molti Paesi, sono fatte passare per strumen­ti di diritto e di pietà, ma mostrano un favor mortis, più che il gusto di vivere. Sicuramente far morire è più facile, sbri­gativo ed eco­nomico che fa­vorire la nasci­ta, lo sviluppo e il declinare na­turale della vita. A questo propo­sito ci sembra che se in Euro­pa il nazismo ha perso la guerra, il nichilismo di cui era alimentato stia vincen­do nelle società occidenta­li. Per molti anni nessun giu­dice ha raccolto la richie­sta del signor Englaro. Poi un’abile regia politica si è servita di questa storia per scardinare il sentire di un grande numero di italiani. Si è parlato molto di 'giu­stizia', di una sentenza che 'doveva essere applicata'. Cosa pensate voi di questa 'giustizia'? L’unica cosa che riusciamo a rispondere è che noi in questa vicenda ci siamo sentite vittime di una e­strema ingiustizia. Ci sia­mo trovate di fronte a un giudizio inappellabile, co­me se la giustizia fosse una divinità intoccabile. E ci preoccupa la strada che sembra aprirsi: chi e come deciderà come dovremo morire, se l’unico criterio è che c’è una sentenza da ri­spettare? Temiamo che quella che oggi viene pre­sentata come una senten­za che giustifica una scel­ta, preceda un domani in cui altre sentenze obbli­gheranno a una scelta. Cosa direste oggi a questo padre, così tenace nel chie­dere la morte della figlia, e oggi, probabilmente, così solo? Che esiste una vita che nes­suno potrà mai togliere a E­luana. Che esiste il perdo­no di Dio, e che il Suo a­more è più forte della mor­te. «Aborto ed eutanasia non sono strumenti di diritto e di pietà, ma mostrano un «favor mortis», più che il gusto di vivere»


Avvenire 15/02/09

venerdì 13 febbraio 2009

in Cristo si trova la risposta all'enigma del dolore e della morte.


L'incontro di Benedetto XVI con gli ammalati nella basilica Vaticana
La vita umana va sempre custodita e curata

"La fede ci aiuta a ritenere la vita umana bella e degna di essere vissuta in pienezza pur quando è fiaccata dal male". Lo ha ribadito Benedetto XVI al termine della celebrazione eucaristica, mercoledì pomeriggio 11 febbraio, nella basilica di San Pietro, in occasione della memoria liturgica della Beata Vergine Maria di Lourdes, XVIi Giornata mondiale del malato.
Cari ammalati, cari fratelli e sorelle! Assume un singolare valore e significato questo nostro incontro: esso ha luogo in occasione della Giornata Mondiale del Malato, che ricorre oggi, memoria della Beata Vergine di Lourdes. Il mio pensiero va a quel Santuario dove, in occasione del 150° anniversario delle apparizioni a santa Bernadetta, mi sono recato anch'io; e di quel pellegrinaggio conservo un vivo ricordo, che si focalizza in particolare sul contatto che ho potuto avere con i malati raccolti presso la Grotta di Massabielle. Sono venuto molto volentieri a salutarvi a conclusione della Celebrazione eucaristica, che ha presieduto il Cardinale Javier Lozano Barragán, Presidente del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute, al quale rivolgo un cordiale pensiero. Insieme a lui saluto i Presuli presenti, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i volontari, i pellegrini, specialmente i cari malati e quanti se ne prendono quotidiana cura. È sempre emozionante rivivere in questa circostanza qui, nella Basilica di San Pietro, quel tipico clima di preghiera e di spiritualità mariana che caratterizza il Santuario di Lourdes. Grazie, dunque, per questa vostra manifestazione di fede e di amore a Maria; grazie a quanti l'hanno promossa ed organizzata, in particolare all'Unitalsi e all'Opera Romana Pellegrinaggi. Questa Giornata invita a far sentire con maggiore intensità ai malati la vicinanza spirituale della Chiesa, la quale, come ho scritto nell'Enciclica Deus caritas est, è la famiglia di Dio nel mondo, all'interno della quale nessuno dovrebbe soffrire per mancanza del necessario, soprattutto per la mancanza di amore (cfr. n. 25 b). Al tempo stesso, quest'oggi ci è data l'opportunità di riflettere sull'esperienza della malattia, del dolore, e più in generale sul senso della vita da realizzare pienamente anche quando è sofferente. Nel messaggio per l'odierna ricorrenza ho voluto porre in primo piano i bambini ammalati, che sono le creature più deboli e indifese. È vero! Se già si resta senza parole davanti a un adulto che soffre, che dire quando il male colpisce un piccolo innocente? Come percepire anche in situazioni così difficili l'amore misericordioso di Dio, che mai abbandona i suoi figli nella prova? Sono frequenti e talora inquietanti tali interrogativi, che in verità sul piano semplicemente umano non trovano adeguate risposte, poiché il dolore, la malattia e la morte restano, nel loro significato, insondabili per la nostra mente. Ci viene però in aiuto la luce della fede. La Parola di Dio ci svela che anche questi mali sono misteriosamente "abbracciati" dal disegno divino di salvezza; la fede ci aiuta a ritenere la vita umana bella e degna di essere vissuta in pienezza pur quando è fiaccata dal male. Dio ha creato l'uomo per la felicità e per la vita, mentre la malattia e la morte sono entrate nel mondo come conseguenza del peccato. Ma il Signore non ci ha abbandonati a noi stessi; Lui, il Padre della vita, è il medico per eccellenza dell'uomo e non cessa di chinarsi amorevolmente sull'umanità sofferente. Il Vangelo mostra Gesù che "scaccia gli spiriti con la sua parola e guarisce coloro che sono ammalati" (Mt 8, 16), indicando la strada della conversione e della fede come condizioni per ottenere la guarigione del corpo e dello spirito, è la guarigione voluta dal Signore sempre. È la guarigione integrale, di corpo e anima, perciò scaccia gli spiriti con la parola. La sua parola è parola d'amore, parola purificatrice: scaccia gli spiriti del timore, della solitudine, dell'opposizione a Dio, perché così purifica la nostra anima e dà pace interiore. Così ci dà lo spirito dell'amore e la guarigione che comincia dall'interno. Ma Gesù non ha solo parlato; è Parola incarnata. Ha sofferto con noi, è morto. Con la sua passione e morte Egli ha assunto e trasformato fino in fondo la nostra debolezza. Ecco perché - secondo quanto ha scritto il Servo di Dio Giovanni Paolo II nella Lettera apostolica Salvifici doloris - "soffrire significa diventare particolarmente suscettibili, particolarmente aperti all'opera delle forze salvifiche di Dio, offerte all'umanità in Cristo" (n. 23). Cari fratelli e sorelle, ci rendiamo conto sempre più che la vita dell'uomo non è un bene disponibile, ma un prezioso scrigno da custodire e curare con ogni attenzione possibile, dal momento del suo inizio fino al suo ultimo e naturale compimento. La vita è mistero che di per se stesso chiede responsabilità, amore, pazienza, carità, da parte di tutti e di ciascuno. Ancor più è necessario circondare di premure e rispetto chi è ammalato e sofferente. Questo non è sempre facile; sappiamo però dove poter attingere il coraggio e la pazienza per affrontare le vicissitudini dell'esistenza terrena, in particolare le malattie e ogni genere di sofferenza. Per noi cristiani è in Cristo che si trova la risposta all'enigma del dolore e della morte. La partecipazione alla Santa Messa, come voi avete appena fatto, ci immerge nel mistero della sua morte e della sua risurrezione. Ogni Celebrazione eucaristica è il memoriale perenne di Cristo crocifisso e risorto, che ha sconfitto il potere del male con l'onnipotenza del suo amore. È dunque alla "scuola" del Cristo eucaristico che ci è dato di imparare ad amare la vita sempre e ad accettare la nostra apparente impotenza davanti alla malattia e alla morte. Il mio venerato e amato predecessore Giovanni Paolo II ha voluto che la Giornata Mondiale del Malato coincidesse con la festa della Vergine Immacolata di Lourdes. In quel luogo sacro, la nostra Madre celeste è venuta a ricordarci che su questa terra siamo solo di passaggio e che la vera e definitiva dimora dell'uomo è il Cielo. Verso tale meta dobbiamo tutti tendere. La luce che viene "dall'Alto" ci aiuti a comprendere e a dare senso e valore anche all'esperienza del soffrire e del morire. Domandiamo alla Madonna di volgere il suo sguardo materno su ogni ammalato e sulla sua famiglia, per aiutarli a portare con Cristo il peso della croce. Affidiamo a Lei, Madre dell'umanità, i poveri, i sofferenti, gli ammalati del mondo intero, con un pensiero speciale per i bambini sofferenti. Con questi sentimenti vi incoraggio a confidare sempre nel Signore e di cuore tutti vi benedico.
(©L'Osservatore Romano - 13 febbraio 2009)

giovedì 12 febbraio 2009

Compendio di Fede,Speranza,Carità:l'udienza di ieri

Un piccolo compendio della fede, speranza e carità l'udienza di ieri sulla figura di Giovanni Climaco("scala").
Ci aiuta con semplicità a ricollocarci sull'essenzialità del cammino cristiano.
Ci fa capire in profondtà i significati di queste parole.
Ci riattualizza la figura di questo eremita che conserva la sua freschezza tutt'oggi attraverso la semplice e magisteriale interpretazione del Papa.
Andiamo a riprenderla nel sito www:vatican.va
Fede:...Occorre invece affidarsi solo alla Sacra Scrittura, alla Parola del Signore, affacciarsi con umiltà all'orizzonte della fede, per entrare così nella vastità enorme del mondo universale, del mondo di Dio. In questo modo cresce la nostra anima, cresce la sensibilità del cuore verso Dio.
Speranza:...Giustamente dice Giovanni Climaco che solo la speranza ci rende capaci di vivere la carità. La speranza nella quale trascendiamo le cose di ogni giorno, non aspettiamo il successo nei nostri giorni terreni, ma aspettiamo alla fine la rivelazione di Dio stesso. Solo in questa estensione della nostra anima, in questa autotrascendenza, la vita nostra diventa grande e possiamo sopportare le fatiche e le delusioni di ogni giorno, possiamo essere buoni con gli altri senza aspettarci ricompensa. Solo se c'è Dio, questa speranza grande alla quale tendo, posso ogni giorno fare i piccoli passi della mia vita e così imparare la carità.
Carità:...Nella carità si nasconde il mistero della preghiera, della conoscenza personale di Gesù: una preghiera semplice, che tende soltanto a toccare il cuore del divino Maestro. E così si apre il proprio cuore, si impara da Lui la stessa sua bontà, il suo amore.
Conclusioni:...Usiamo dunque di questa "scalata" della fede, della speranza e della carità; arriveremo così alla vera vita.

martedì 10 febbraio 2009

Don Aldo Trento restituisce l'onorificenza a Napolitano

da Il Foglio di oggi 10 febbraio 2009
Aldo Trento è dal 1989 uno dei più noti missionari della Fraternità San Carlo Borromeo in Paraguay. Ha sessantadue anni ed è responsabile di una clinica per malati terminali di Asunción. Il 2 giugno scorso il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, gli aveva conferito il titolo di Cavaliere dell’Ordine della Stella della solidarietà. Ieri Trento ha restituito l’onorificenza a Napolitano a causa della mancata firma del decreto che avrebbe arrestato il protocollo medico per Eluana Englaro. “Come posso io, cittadino italiano, ricevere simile onore quando Lei, con il suo intervento, permette la morte di Eluana, a nome della Repubblica italiana?”. “Ho più di un caso come Eluana Englaro”, racconta Aldo Trento al Foglio. “Penso al piccolo Victor, un bambino in coma, che stringe i pugni, l’unica cosa che facciamo è dargli da mangiare con la sonda. Di fronte a queste situazioni come posso reagire al caso Eluana? Ieri mi portano una ragazza nuda, una prostituta, in coma, scaricata davanti a un ospedale, si chiama Patrizia, ha diciannove anni, l’abbiamo lavata e pulita. E ieri ha iniziato a muovere gli occhi. Celeste ha undici anni, soffre di una leucemia gravissima, non era mai stata curata, me l’hanno portata soltanto per seppellirla. Oggi Celeste cammina. E sorride. Ho portato al cimitero più di seicento di questi malati. Come si può accettare una simile operazione come quella su Eluana? Cristina è una bambina abbandonata in una discarica, è cieca, sorda, trema quando la bacio, vive con una sondina come Eluana. Non reagisce, trema e basta, ma pian piano recupera le facoltà. Sono padrino di decine di questi malati. Non mi interessa la loro pelle putrefatta. Vedesse i miei medici con quale umiltà li curano”. Don Aldo Trento dice di provare un “dolore immenso” per la storia di Eluana Englaro. “E’ come se mi dicessero: ‘Ora ti prendiamo i tuoi figli malati’. Il caso di Udine ha sconvolto tutti, medici e infermieri. L’uomo non si può ridurre a questione chimica. Come può il presidente della Repubblica offrirmi una stella alla solidarietà nel mondo? Così ho preso la stella e l’ho portata all’ambasciata italiana del Paraguay. Qui il razionalismo crolla lasciando spazio al nichilismo. Ci dicono che una donna ancora in vita sarebbe praticamente già morta. Ma allora è assurdo anche il cimitero e il culto dell’immortalità che anima la nostra civiltà”.

Ora solo Silenzio e Preghiera

Si consuma nel peggior dei modi anche per la sua sorprendente accelerazione il dramma della povera Eluana.
Da parte nostra, da parte di noi piccoli fedeli laici il dolore di esserci forse in certi istanti abituati alla sua storia e di averla vissuta come tanti reality show, comodi sulla nostra poltrona di casa. In questi momenti però, se una preghiera può essere innalzata nell'intimo della nostra coscienza è quella di capire un giorno per quale destino buono è stato necessario questo sacrificio.
Preghiamo inoltre il Padre Misericordioso di conservarci nell'umiltà e continuare, per quanto possiamo, ad essere quelle sentinelle del 3° millennio vigilanti nei confronti della cultura della morte che rappresenta una delle sfide antropologiche degli anni futuri.


Dopo la morte di Eluana Englaro si attende in tempi brevi una legge sul fine vita
Il tempo della preghiera e del raccoglimento

Un profondo dolore. E una grande amarezza per un epilogo che tutti temevano. Pur in presenza di forti polemiche, sono questi i sentimenti predominanti nelle reazioni in Italia alla morte di Eluana Englaro, avvenuta ieri sera nella clinica "La Quiete" di Udine. La donna è deceduta per arresto cardiocircolatorio dopo quattro giorni di sospensione dell'alimentazione e dell'idratazione. Mentre questo accadeva, il Senato stava esaminando il disegno di legge (ddl) presentato sabato scorso, con il quale si voleva interrompere subito la procedura che ha poi presumibilmente portato alla morte di Eluana diciassette anni dopo il tragico incidente del quale era rimasta vittima. L'epilogo della vicenda azzera, nei fatti, i passaggi parlamentari di queste ultime ore. Dopo alcuni momenti di aspro confronto, il ddl, con l'accordo di maggioranza e opposizione, è tornato in commissione Sanità del Senato per essere integrato in un provvedimento organico sul fine vita, da approvare, questa volta, in tempi brevi. Si parla di due settimane. Il tentativo è quello di evitare che altri casi del genere possano verificarsi nel persistere del vuoto normativo. Appresa la notizia della morte di Eluana, la Conferenza episcopale italiana (Cei) ha diffuso il seguente comunicato: "In questo momento di grandissimo dolore, affidiamo al Dio della vita Eluana Englaro. Le preghiere e gli appelli di tanti uomini di buona volontà non sono bastati a preservare la sua fragile esistenza, bisognosa solo di amorevole cura. Siamo affranti in questa grave circostanza, ma non viene meno la speranza, che nasce dalla fede e consegna alla misericordia del Padre Eluana, la sua anima e il suo corpo. È questa speranza a renderci una cosa sola, accomunando quanti credono nella dignità della persona e nel valore indisponibile della vita, soprattutto quando è indifesa. Facciamo appello a tutti perché non venga meno questa passione per la vita umana, dal concepimento alla sua fine naturale". Concetti ribaditi questa mattina dal presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco, nel corso di una trasmissione televisiva: la vicenda Englaro ha suscitato "un grande dolore" ma anche "grande sconcerto", ha detto il porporato. E ha aggiunto: "Speriamo che il Signore illumini per fermare questa deriva davanti alla quale diventa evidente che una legge giusta è necessaria per impedire casi del genere. Non si può accettare a cuor leggero che questo possa accadere di nuovo". Questi - ha concluso il presidente della Cei - "sono i giorni della preghiera e del raccoglimento: considerazioni più profonde verranno più avanti". Intanto davanti agli occhi di tutti c'è "la risposta delle suore di Lecco che con tanto amore si sono prese cura per anni di Eluana". Le suore misericordine della clinica "Beato Luigi Talamoni" di Lecco, non appena ricevuta la notizia della morte di Eluana, si sono riunite nella cappella della struttura sanitaria nella quale operano, per la recita del rosario. A poca distanza dalla clinica si è contestualmente tenuto un altro momento di preghiera, organizzato nella basilica di San Nicolò. Padre Federico Lombardi, in una nota comparsa sul sito della Radio Vaticana, ha affermato: "Ora che Eluana è nella pace, ci auguriamo che la sua vicenda, dopo tante discussioni, sia motivo per tutti di riflessione pacata". Lo stesso auspicio è venuto da don Tarcisio Puntel, parroco di Paluzza (Udine), paese di origine della famiglia Englaro: "Sono vicino a Beppino - ha detto don Puntel - ma non posso non soffrire perché ha vinto la cultura della morte". In questa vicenda, ha aggiunto, "sono entrati tali e tanti elementi che alla fine forse hanno distratto un po' tutti. E quando si imbocca la strada del non ritorno non c'è veramente più nulla da fare".(©L'Osservatore Romano - 11 febbraio 2009)

lunedì 9 febbraio 2009

Se chiudiamo gli occhi a cio' che accade perdiamo la Speranza

Uno stralcio dall'Osservatore Romano di ieri che riferisce un passaggio di un'intervista sull'Avvenire.

Difronte al mistero della morte e del dolore ci è chiesto di guardare chi riesce a manternere una posizione di Speranza come le suore di Lecco. Imitarle in tutto per quanto si può senza abdicare immediatamente ad una scelta apparentemente ragionevole che invece preclude ogni spiraglio minimo che si realizzerebbe proprio osservando cio' che accade nella realtà di queste straordinarie suore!!
....Il presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei), il cardinale Angelo Bagnasco, nell'editoriale pubblicato sul quotidiano "Avvenire" di oggi, ha ricordato anzitutto la realtà che in queste stesse ore stanno vivendo Eluana e i suoi familiari, ai quali comunque va la vicinanza della Chiesa. Ma il porporato ha richiamato anche il dolore di chi in questi anni ha materialmente assistito Eluana ogni giorno: "Di fronte al dramma della vita debole o ferita, l'unica risposta ragionevole e umana che traduce lo struggimento interiore che tutti prende è quello delle suore di Lecco. Per quindici anni esse hanno accolto amorevolmente Eluana, vegliandola giorno e notte ed esprimendo sino alla fine il desiderio di generarla ancora ogni giorno con l'amore. Così hanno mostrato, non a parole, come si reagisce all'imprevedibilità del dolore e come si attesta l'indisponibilità della vita. Una luce si sta spegnendo, la luce di una vita. E l'Italia è più buia". ..

giovedì 5 febbraio 2009

La deriva eutanasica grave ferita per l'Italia


In questo mondo stufo di tutto è palesemente diventata cultura dominante il fatto d poter tagliare , semplificandola a proprio ozioso gudizio, parti della realtà entro la quale non sappiamo più rintracciare il benchè minimo stupore di un mistero.

Sono tutti diventati uomini dal ventre pieno ? Uomini con il ventre da riempire e basta ?!


Il presidente della Cei sulla vicenda Englaro
La deriva eutanasica grave ferita per l'Italia

Roma, 5. Siamo in "un momento molto grave e molto triste nella storia del nostro amato Paese" e la morte per "eutanasia" di Eluana Englaro rappresenterebbe "una grave ferita" e uno "scivolamento" che si spera "non irreversibile". Il presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei), cardinale Angelo Bagnasco, è tornato ieri sulla vicenda della giovane da diciassette anni in stato vegetativo persistente. Una vicenda che ormai da mesi, ma soprattutto in questi ultimi giorni, sta scuotendo e interpellando la coscienza del Paese. Per la Chiesa italiana, la vicenda della giovane donna - che attualmente si trova in una clinica di Udine dove a breve, in ossequio a una sentenza della Corte d'appello di Milano, dovrebbero essere avviate le procedure per la sospensione dell'alimentazione e dell'idratazione - rappresenta uno snodo cruciale nella battaglia per affermare l'intangibilità della vita umana. "Siamo molto preoccupati - ha affermato il porporato ai microfoni di Sat2000 - perché una deriva eutanasica di questo tipo, se arriverà a dolorosa conclusione, sarà una grave ferita nella nostra cultura che è, da sempre, una cultura di promozione, custodia, difesa della vita in tutte le sue forme, soprattutto in quelle più fragili, come ha ricordato il nostro Papa". Una preoccupazione, quella di Bagnasco, che investe anche il dibattito in corso sulla legge sul testamento biologico o sul fine vita. "È un momento molto grave, molto triste della storia del nostro amato Paese - ha aggiunto - perché vede uno scivolamento, speriamo non irreversibile, della dolorosa vicenda che riguarda non solo Eluana ma tutti quelli che le vogliono bene". Molto del futuro dell'Italia è insomma anche legato alla sorte di questa ragazza. "Il grado di civiltà di un popolo, di una cultura - ha detto ancora il presidente della Cei - è segnato, in primo luogo, dalla capacità di rispettare e accogliere, nel modo più bello, più responsabile, la vita quando è fragile. Dall'inizio del concepimento fino al suo naturale tramonto". Una preoccupazione simile a quella di Bagnasco ha spinto nelle ultime ore alla mobilitazione organizzazioni e movimenti cattolici. Davanti alla casa di riposo "La Quiete" di Udine, dove da martedì è ricoverata Eluana Englaro, stazionano alcune decine di aderenti della Comunità Giovanni XXIII e di altri gruppi ecclesiali. Il Movimento per la vita esorta tutti i suoi aderenti a cominciare un digiuno da venerdì, giorno in cui dovrebbe cominciare la sospensione dell'alimentazione e dell'idratazione a Eluana. E il vescovo di Udine, monsignor Pietro Brollo, "affida al Signore i drammi, le angosce e le sofferenze degli uomini" e rinnova l'invito "a intensificare la preghiera perché il Signore sostenga quanti sono nella sofferenza e illumini coloro che hanno responsabilità nel prendere decisioni così drammatiche". In una nota diffusa dall'ufficio stampa diocesano, il vescovo auspica "che in Friuli prevalga, come nel passato, la cultura della vita su quella della morte".(©L'Osservatore Romano - 6 febbraio 2009)

martedì 3 febbraio 2009

Radice di ogni scelta del consacrato : La parola di Dio meditata nella pratica della lectio divina

uno stralcio del discorso del papa ieri nella giornata della presentazione al tempio, giornata dedicata ai consacrati...Questo fa pensare all'invito a voi indirizzato dalla recente Istruzione su Il servizio dell'autorità e l'obbedienza, a cercare "ogni mattina il contatto vivo e costante con la Parola che in quel giorno è proclamata, meditandola e custodendola nel cuore come tesoro, facendone la radice d'ogni azione e il criterio primo d'ogni scelta" (n. 7). Auspico, pertanto, che l'Anno Paolino alimenti ancor più in voi il proposito di accogliere la testimonianza di san Paolo, meditando ogni giorno la Parola di Dio con la pratica fedele della lectio divina, pregando "con salmi, inni e canti ispirati, con gratitudine" (Col 3, 16). Egli vi aiuti inoltre a realizzare il vostro servizio apostolico nella e con la Chiesa con uno spirito di comunione senza riserve, facendo dono agli altri dei propri carismi (cfr. 1 Cor 14, 12), e testimoniando in primo luogo il carisma più grande che è la carità (cfr. 1 Cor 13). ..

http://www.vatican.va/news_services/or/or_quo/text.html#1

Digiuno: aiuta ad ascoltare Dio ed amare il prossimo

Nel messaggio per la Quaresima
una grande lezione facendo passare le varie figure della Bibbia che hanno avuto a cuore la pratica del digiuno.


Per questa prossima quaresima siamo istruito bene dal Papa che ci stimola ed incoraggia anche tramite i padri della chiesa a questa pratica insieme a quella della parola e della carita'


Ma c'è da dire che proprio il digiuno si configura come il cuore della preghiera senza la quale non vi è ascolto di Dio e quindi amore del prossimo.


...Scrive san Pietro Crisologo: "Il digiuno è l'anima della preghiera e la misericordia la vita del digiuno, perciò chi prega digiuni. Chi digiuna abbia misericordia. Chi nel domandare desidera di essere esaudito, esaudisca chi gli rivolge domanda. Chi vuol trovare aperto verso di sé il cuore di Dio non chiuda il suo a chi lo supplica" (Sermo 43: PL 52, 320. 332).

Ai nostri giorni, la pratica del digiuno pare aver perso un po' della sua valenza spirituale e aver acquistato piuttosto, in una cultura segnata dalla ricerca del benessere materiale, il valore di una misura terapeutica per la cura del proprio corpo. Digiunare giova certamente al benessere fisico, ma per i credenti è in primo luogo una "terapia" per curare tutto ciò che impedisce loro di conformare se stessi alla volontà di Dio. ..

Sant'Agostino, che ben conosceva le proprie inclinazioni negative e le definiva "nodo tortuoso e aggrovigliato" (Confessioni, ii, 10.18), nel suo trattato L'utilità del digiuno, scriveva: "Mi dò certo un supplizio, ma perché Egli mi perdoni; da me stesso mi castigo perché Egli mi aiuti, per piacere ai suoi occhi, per arrivare al diletto della sua dolcezza" (Sermo 400, 3, 3: PL 40, 708).


...Privarsi del cibo materiale che nutre il corpo facilita un'interiore disposizione ad ascoltare Cristo e a nutrirsi della sua parola di salvezza. Con il digiuno e la preghiera permettiamo a Lui di venire a saziare la fame più profonda che sperimentiamo nel nostro intimo: la fame e sete di Dio...


...Digiunare volontariamente ci aiuta a coltivare lo stile del Buon Samaritano...

...come scriveva il Servo di Dio Papa Giovanni Paolo II, a fare di sé dono totale a Dio (cfr. Enc. Veritatis splendor, 21).


..La Quaresima sia pertanto valorizzata in ogni famiglia e in ogni comunità cristiana per allontanare tutto ciò che distrae lo spirito e per intensificare ciò che nutre l'anima aprendola all'amore di Dio e del prossimo. Penso in particolare ad un maggior impegno nella preghiera, nella lectio divina, nel ricorso al Sacramento della Riconciliazione e nell'attiva partecipazione all'Eucaristia, soprattutto alla Santa Messa domenicale..

domenica 1 febbraio 2009

Obama deve restituire il favore

Interessante l'articolo sulla questione etica e finanza della presidenza Obama che deve fare i conti con il fatto che deve restituire il favore dei finanziamenti avuti dai colossi biotech che lo hanno sostenuto in campagna elettorale !

Etica & finanza (29 gennaio 2009) Gli embrioni, Obama e gli affari di Wall Street
di Giulia Lantini
Barack Obama è presidente. E la California va alla cassa. Tra le decisioni attese dal nuovo inquilino della Casa Bianca, infatti, spicca la rimozione del veto ai finanziamenti federali per la ricerca sulle staminali embrionali, posto da George W. Bush nel 2001. Una promessa fatta in campagna elettorale, che Obama vorrebbe saldare attraverso un voto democratico del Congresso ma che in caso di inerzia di quest’ultimo passerà tramite un decreto presidenziale. Una sorta di rassicurazione che è arrivata proprio mentre venerdì scorso l’autorità americana che vigila sui farmaci (la Food and drug administration, Fda) dava il via libera ai primi test clinici su un farmaco a base di staminali embrionali, quello per la cura delle lesioni del midollo dell’azienda biotech californiana Geron. Ovvero una delle principali società americane attive nella ricerca sulle staminali embrionali – un ramo di attività che entro il 2012 potrebbe generare un mercato globale da 32,3 miliardi di dollari – che aveva presentato la richiesta la scorsa primavera e attendeva il responso fin da settembre.
Forse è un caso che l’insediamento di Obama e il via libera dell’Fda siano arrivati quasi in contemporanea. Quel che è certo è che tra i primi beneficiari di questi due eventi ci sono e ci saranno in futuro non solo Geron, quotata a Wall Street, ma anche i principali finanziatori della corsa di Obama alla Casa Bianca: lo Stato della California e la sua principale università. Secondo i dati dell’osservatorio indipendente «Center for responsive politics» infatti la California, caposaldo della ricerca sugli embrioni – tanto da stanziare nel 2004 ben 3 miliardi di dollari in 10 anni in aperta polemica con Bush –, figura al primo posto nella classifica degli Stati Usa che hanno finanziato la campagna elettorale dell’ex senatore dell’Illinois con 75,91 milioni di dollari, il 20% del totale, contro l’8% (28,36 milioni di dollari) dello Stato di provenienza di Obama. L’Università della California, dal canto suo, è in cima alla lista dei sostenitori del candidato democratico, con donazioni per 1,12 milioni di dollari. Nella stessa classifica al quinto posto troviamo l’Università di Harvard con 779.460 dollari, al nono la Stanford University con 558.184 dollari e al diciannovesimo l’Università di Chicago con 456.209 dollari. Non sono cifre strabilianti, ma saltano all’occhio per gli immaginabili vantaggi che la California e le istituzioni accademiche citate otterranno dall’apertura presidenziale sulla quota destinata alle staminali embrionali dai fondi (608 milioni di dollari nel 2007) che il National Institute of Health devolve ogni anno alla ricerca scientifica.
«Negli Stati Uniti il legame tra le aziende biotech e le università è molto forte – spiega ad Avvenire l’analista finanziario Alessandro Faccioli, esperto di biotecnologie per WM Consulting –, molto più che in Europa. L’università è il cuore del biotech, e un taglio dei fondi pubblici alla ricerca può bloccare tutta la filiera: funziona come una sorta di volano al contrario. E infatti negli ultimi 8 anni anche le università erano rimaste senza fondi: negli anni di Bush il settore ha dovuto ricorrere a finanziamenti privati», molto difficili da reperire perché privi di una garanzia di restituzione. Quanto alla California, Stato che si candida oggi a divenire polo mondiale nella ricerca nel campo delle staminali embrionali, sono evidenti i vantaggi che potrà trarre dall’elargizione di fondi federali, sia in termini economici che occupazionali, fattori non da poco coi tempi che corrono. Tanto più che la rimozione del veto-Bush, dovrebbe riportare in patria le filiali che le aziende biotech, per ridurre al minimo i rischi delle restrizioni statunitensi, avevano aperto in Asia negli scorsi anni.
L’aveva fatto la stessa Geron (con l’apertura della controllata TA Therapeutics di stanza a Hong Kong) che in questi anni ha speso 45 milioni di dollari di fondi propri per finanziare il progetto appena autorizzato dall’Fda. Soldi che ora può tranquillamente recuperare anche solo sul mercato finanziario, viste le reazioni della Borsa alla notizia. Venerdì scorso infatti il titolo dell’azienda, che la scorsa estate languiva intorno ai 3 dollari per azione, poi saliti a 4 a fine settembre sulle attese per la vittoria di Obama, ha registrato il più alto picco degli ultimi 5 anni: + 36% a 7,09 dollari per azione. E nel giro di tre giorni è arrivato a toccare gli 8 dollari, stabilizzandosi poi a quota 7,24 (+50% circa). Un fulmineo guadagno, che ha portato in positivo il saldo borsistico dell’ultimo anno (+ 59,82%). Una performance che spicca ancor di più se confrontata con le fortissime perdite registrate dalle piazze finanziarie mondiali nel 2008, anno in cui soltanto il principale indice americano, il Dow Jones, ha perso il 32%. Grazie all’effetto-Obama, Geron – che dalla nascita a oggi non ha mai prodotto utili – può ora scambiare le sue azioni con denaro contante. Non solo. Le attese del mercato sono altissime: «La società ha un’infinità di brevetti e una tecnologia avanzatissima – spiega Faccioli –: tutti dovranno passare dalla Geron. Se nei prossimi 8-10 anni il farmaco sperimentato dovesse andare sul mercato, l’azienda (che oggi vale 573 milioni di dollari) potrebbe arrivare a valere oltre 100 miliardi». Cioè quanto un colosso come la farmaceutica Pfizer o poco meno dell’attuale leader di mercato, Johnson & Johnson (157 miliardi circa).
Intanto i benefici borsistici di Geron hanno iniziato a riflettersi anche sulle altre società del settore. Come la (californiana) Advanced Cell Technology di Robert Lanza, già nota per le mancate promesse sulle tecniche per prelevare staminali da un embrione senza danneggiarlo, che da giovedì 22 gennaio a lunedì 26 è passata da una quotazione di 0,09 dollari a 0,29 dollari (+ 222%), o la Cord Blood America che dal 22 gennaio a martedì 27 ha messo a segno un balzo del 167%. Più in generale, a Wall Street si è scatenata una vera e propria caccia alle future stelle del biotech. La prima preda è CV Therapeutics, su cui la giapponese Astellas Pharma ha lanciato un’offerta da 1 miliardo di dollari. Che secondo il mercato potrebbe lievitare del 30%. Tutto "grazie" a Obama.