domenica 17 luglio 2011
domenica 10 luglio 2011
Lo Straniero - Il blog di Antonio Socci
SUDAN, GLORIA DI UNA CHIESA CROCIFISSA E MISERIE DELL'IDEOLOGIA
Posted: 09 Jul 2011 11:49 PM PDT
Da oggi il sud del Sudan è finalmente uno stato libero e indipendente (se non verrà strozzato nella culla).
Lì è stato perpetrato l'ultimo genocidio del Novecento, ma un genocidio ignorato dai media e dal "partito umanitario" nostrano. Forse perché le vittime non erano "politically correct", trattandosi di neri cristiani e animisti.
Autore di quell'orrore è stato il regime arabo- musulmano del nord che ospitò negli anni novanta anche Osama bin Laden e che, da qualche anno, è in combutta con la Cina comunista interessata al petrolio sudanese.
I media si sono occupati del Sudan solo di recente, quando è scoppiata l'emergenza Darfur, che derivava da un conflitto non religioso (erano tutti musulmani).
Invece per la Jihad – la guerra santa islamica – che per decenni ha sterminato il Sud cristiano e animista non hanno avuto tempo.
Eppure le cifre sono terrificanti: due milioni di vittime, tre milioni di profughi, migliaia di donne e bambini catturati e venduti come schiavi nel Nord islamico del Paese.
Il regime di Karthoum ha fatto del Sudan – che sarebbe ricchissimo di petrolio e altre risorse – uno dei paesi più poveri della terra (è al 150° posto su 182), un paese dove si vive ancora in capanne di fango, seminudi e si muore come mosche per fame e malaria. Per questo molti fuggono, cercando di arrivare all'Italia e in Europa.
Siccome scrivo e parlo del genocidio sudanese da quindici anni, su giornali e in tv (prendendomi anche qualche insulto), permettetemi di togliermi un po' di sassolini dalle scarpe.
Perché il "caso Sudan" è un'occasione preziosa per riflettere sulla famosa coscienza "umanitaria" a intermittenza che caratterizza questa sinistra che ci è toccata in sorte e i nostri media che in gran parte vengono culturalmente da lì.
Piazze urlanti
C'era una volta il Vietnam. Ricordate? E' stato il mito fondativo della sinistra sessantottina la quale poi ha riempito giornali e tv continuando l'intossicazione ideologica con altre armi.
Quella del Vietnam è stata la madre di tutte le cause umanitarie della sinistra e conteneva tutte le sue contraddizioni e le sue ipocrisie.
Per anni manifestazioni, cortei, assemblee, articolesse, indignazione a senso unico.
Uno dei famosi inviati, Giorgio Bocca, anni dopo, confessò: "feci dei servizi che piacquero alla sinistra italiana: in parte perché raccontavo la verità sulla formidabile guerriglia vietnamita, in parte perché mi autocensuravo".
Poi spiega: "la mitizzazione della rivolta vietnamita e la demonizzazione degli americani erano giunte a un tale livello che non era possibile raccontare una verità che avesse però il marchio di informazione Usa".
Non c'era posto per la verità. E questa era la stampa libera e indipendente.
Finalmente i comunisti del Nord conquistarono il Sud Vietnam e iniziarono dittatura e massacri: di colpo nessuno degli indignati più si curò del Vietnam e di quello che stava capitando ai vietnamiti "liberati" dai comunisti di Ho Chi Min.
Migliaia di quei poveri vietnamiti – a cui avevamo imposto di subire la conquista comunista – fuggirono dal "paradiso marxista" su barche di fortuna. Molti annegarono, altri furono divorati dagli squali. Alcuni furono soccorsi. E cosa dicevano i compagni italiani di quei "boat people"?
Rossi di vergogna
Posso testimoniarlo in prima persona. A quel tempo frequentavo il liceo a Siena.
Collaboravo con la Caritas per organizzare l'ospitalità in Italia per quei profughi che riuscirono ad arrivare vivi e ricordo bene che distribuendo i volantini in piazza a Siena ci prendevamo gli insulti dei compagni che chiamavano quei profughi "fascisti e reazionari".
Essendo in fuga dal comunismo, agli occhi loro quei profughi non erano da considerare come oggi consideriamo quelli che arrivano con i barconi a Lampedusa.
Questa era la coscienza umanitaria della sinistra. Che in questi mesi, peraltro, vede i profughi e ne reclama l'accoglienza, ma non vede le cause della loro fuga: per esempio quell'orrida guerra contro la Libia tanto voluta dal compagno-presidente Napolitano.
Anche in questo caso la coscienza umanitaria e pacifista dei compagni è andata in vacanza (bombardiamo pure Tripoli, il pacifismo pensa all'abbronzatura).
Errori e orrori
Torno al Vietnam. L'altro mito gemello del '68 fu la Cambogia. Anche quella doveva essere "liberata" dall'okkupazione americana. "I Khmer rossi ci sembravano l'unica via d'uscita dall'incubo della guerra", scriverà anni dopo Tiziano Terzani in un famoso articolo su "Repubblica" intitolato "Pol Pot, tu non mi piaci più".
Questo articolo di revisione uscì nel 1985 e ormai già si sapeva tutto del genocidio di due milioni di cambogiani innocenti perpetrato dai Khmer rossi.
Quello che il "grande inviato" avrebbe dovuto fare e non fece era raccontare prima, quando era sul posto, mentre accadevano i fatti, la mostruosità sanguinaria dei guerriglieri comunisti.
Ma sebbene abbia visto, non credette a quei "massacri comunisti". Sospettò che fossero manipolazioni della Cia. E oggi viene celebrato dal pensiero conformista come un grande giornalista testimone delle atrocità del Novecento.
Chi invece, come il missionario padre Gheddo, denunciò le stragi comuniste in Indocina mentre accadevano, negli anni Settanta, si prese del "reazionario" e "finanziato dalla Cia". "Nessuno mi credette", ricorda. E nessuno poi gli ha riconosciuto il coraggio della verità, né ha chiesto scusa.
Nei decenni successivi la "sinistra umanitaria" ha continuato ad alimentare le sue mitologie, sebbene più in sordina. Ma sempre con un'accurata selezione ideologica.
Contro l'invasione sovietica dell'Afghanistan dei primi anni Ottanta – per esempio – non fiatarono (a quel tempo scendevano in piazza per protestare contro gli euromissili americani, risposta a quelli sovietici).
Ma contro la guerra di Bush all'Afghanistan dei talebani e di Bin Laden hanno scatenato il finimondo (ovviamente senza mai chiedere il parere delle donne afghane).
Contro la Cina che massacrava gli studenti in piazza Tien an men nessuna manifestazione, né indignazione di massa. Così pure sull'oppressione del Tibet. Silenzio anche sui lager cinesi tuttora funzionanti.Invece è divampata la polemica su Guantanamo e, da anni, la protesta contro Israele che sarebbe reo di opprimere i palestinesi.
Gli "umanitari" indignati infine hanno protestato per anni contro gli Stati Uniti rei di aver posto l'embargo a Cuba (ovviamente senza denunciare la schifosa dittatura comunista di Fidel Castro).
Perciò, con tutte queste "cause umanitarie" che permettevano loro di sentirsi buoni e puri, denunciando come oppressori Stati Uniti e Israele, gli umanitari progressisti di casa nostra non ebbero tempo di accorgersi del genocidio sudanese, cioè della "più lunga guerra del '900" (dal 1956 al 2005) nel paese più grande dell'Africa.
Erano tutti distratti e così in Italia nessuno sa qualcosa di quel genocidio che è stato definito dall'africanista Giampaolo Calchi Novati "la più dura operazione di islamizzazione forzata del '900".
Solo la voce della Chiesa
L'unica voce, inerme e martire, come al solito, è stata quella della Chiesa, una "Chiesa crocifissa", come l'ha definita Giovanni Paolo II.
Una Chiesa che ha il volto del grande vescovo missionario monsignor Mazzolari, che "comprende in sé una capacità di denuncia del male unita a un'indomita fantasia di bene che ha costruito scuole, ospedali, missioni, chiese, dispensari, vite future di ragazzi un tempo schiavi e poi laureatisi a Oxford", come scrive Lorenzo Fazzini nel bel libro "Un Vangelo per l'Africa", dedicato a Mazzolari e al Sudan.
Il cristianesimo è arrivato nei regni nubiani addirittura nel VI secolo. Poi ha portato libertà e dignità umana in Sudan, nell'Ottocento, con un grande santo, padre Comboni.
Oggi la Chiesa accompagna questo popolo alla libertà e all'indipendenza. Il cristianesimo si conferma come culla di umanità e come l'unica vera forza liberazione dei popoli. Mentre i nostri intellettuali gli riservano (oggi come ieri) parole sprezzanti…
Antonio Socci
Da "Libero", 10 luglio 2011
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venerdì 8 luglio 2011
GIORGIO VITTADINI
Luci e ombre della manovra
di Paolo Viana
07/07/2011 - I tagli alla sanità, le strette sulle pensioni, le nuove imposte... Su "Avvenire", il presidente della Fondazione per la Sussidiarietà commenta la misura appena varata dal Governo
Giorgio Vittadini.
«Troppi tagli orizzontali in questa manovra». Luce e buio entrano decisi nell'analisi, anzi diciamo che vi irrompono come nel Caravaggio appeso a questo muro. «Quando tagli lo Stato centrale devi allargare gli spazi del terzo settore»: qui invece è la dialettica che si fa sintesi, come avveniva tra Peppone e don Camillo, altro poster che gli è caro (quasi) quanto quello del Gius. Il fondatore di Comunione e Liberazione campeggia sul muro, di fronte alla scrivania di Giorgio Vittadini, nello studio del presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, al Carrobbio, pieno centro di Milano.
Sono ore di fuoco per la manovra. A caldo: promossa o bocciata?
Il rigore di Tremonti era necessario per salvare il Paese dalla deriva greca. Non posso però condividere i tagli orizzontali che penalizzano gli enti locali virtuosi per trattarli alla stregua di quelli che per decenni hanno governato a debito; non ci si può fermare sulla soglia dei costi della politica, non ci sono enti "intoccabili", come le Provincie o enti tenuti in vita solo per finanziare posti di lavoro.
Esiste ancora un blocco sociale statalista?
Come no? Ha ragione Tremonti: tagli selettivi sono impossibili con questa classe politica. Destra e sinistra sono partiti arlecchino dove trovano spazio i difensori del sindacalismo massimalista, delle caste degli intoccabili, delle imprese che si alimentano alla greppia della spesa pubblica, e anche chi vuole escludere dalla scuola negli anni a venire i giovani insegnanti con criteri estranei al merito. Mentre molti elettori temono "a prescindere" i tagli, pensando che allo snellimento dello Stato centrale non segua la costruzione di un nuovo welfare.
Ieri è scoppiato il caso dell'assistenza. Il governo si sta impegnando seriamente?
Non abbastanza, anche se la delega assistenziale, come certi spunti delle deleghe sul federalismo fiscale, contengono in nuce il nuovo Stato sociale sussidiario caro alla dottrina sociale della Chiesa perché mette al centro il valore della persona. Secondo il principio di sussidiarietà, le realtà sociali note come Terzo settore devono accrescere il proprio contributo. Questa è una strada obbligata per ogni governo che voglia il bene comune.
Concretamente, quali misure dovranno essere attuate nei prossimi anni?
Quelle misure, come il 5 per mille, la dote, i voucher e una detassazione "nel merito" cioè non indiscriminata, che permettono di finanziare le scelte del cittadino, che così può scegliere i servizi in base alle proprie esigenze. Questo andrebbe contro l'uso inefficiente e non equo delle risorse pubbliche, oltre a rispondere ad esigenze che diventano più complesse, come quelle sanitarie per via dell'innalzamento dell'aspettativa di vita.
In Italia, chi la pensa come Vittadini?
Ad esempio nel governo, Sacconi, nel sindacato Bonanni, tra i governatori Formigoni, ma non solo. In Parlamento, tutto l'Intergruppo per la sussidiarietà, che è trasversale. Bisogna aprire un discorso serio sul nuovo welfare, che potrebbe essere il terreno d'incontro dei riformisti di destra e sinistra, oggi zittiti dagli estremisti, quelli della politica urlata, dei talk show, anche di chi ha trasformato l'elezione del sindaco di Milano in un test di anticomunismo stile guerra fredda.
Come dire Berlusconi. Quindi il professor Vittadini voterà Formigoni alle primarie del PdL?
Quella di Formigoni è un'aspirazione personale, pur legittima. Per noi «le forze che cambiano la storia sono quelle che cambiano il cuore dell'uomo», come disse don Giussani: per cambiare le cose non basta cambiare leader. L'alternativa all'estremismo e a un bipolarismo ideologico che ci sta soggiogando, è la vita di tanti "io" che fanno esperienza di una corrispondenza tra i loro desideri e la realtà e perciò costruiscono opere che rispondono ai bisogni sociali, nel solco di solidarietà e sussidiarietà. "Più società, meno stato" come disse ancora Giussani: la politica è solo uno strumento che aiuta o ostacola questa creatività sociale ed economica.
Si direbbe un programma bell'e pronto per i "riformisti di destra e di sinistra". Ma a furia di esplorare i riformismi altrui non si corre il rischio di trovarsi con compagni di strada imbarazzanti?
Nessun imbarazzo a lavorare con chi ha il coraggio di difendere politiche riformiste che pongano l'uomo al centro. Questo è un tempo di condivisioni necessarie con tutti coloro che partendo da diverse posizioni culturali e politiche si battono per la sussidiarietà.
(da Avvenire, 7 luglio 2007)
Inviato da iPhone
martedì 5 luglio 2011
Cari fratelli e sorelle, sono lieto di potervi incontrare nella sede del quotidiano "L'Osservatore Romano", dove ogni giorno voi svolgete il vostro lavoro, un lavoro prezioso e qualificato, al servizio della Santa Sede. Vi saluto tutti con affetto. Saluto il Direttore, prof. Giovanni Maria Vian, il Vicedirettore, i redattori e tutta la grande famiglia di questo giornale. Pochi giorni fa, il 1° luglio, "L'Osservatore Romano" ha raggiunto il notevole traguardo dei 150 anni di vita. Vorrei dirvi di vero cuore come si fa in casa: buon compleanno! Questa ricorrenza suscita sentimenti di gratitudine e di legittima fierezza, ma, accanto alle commemorazioni particolari e solenni ho voluto venire anche qui, in mezzo a voi, per esprimere la mia riconoscenza a ciascuno di coloro che il giornale concretamente lo "fanno", con passione umana e cristiana e con professionalità. Da molto tempo ero realmente curioso di vedere come si fa oggi un giornale, dove nasce il giornale, e conoscere almeno per un momento le persone che fanno questo nostro giornale. Ho avuto adesso la gioia di scoprire il modo moderno, totalmente diverso da quello di cinquant'anni fa, in cui un giornale nasce. Esige molta più, diciamo, creatività umana che lavoro tecnico. E così questa "officina" è certamente dedicata al fare, ma prima, soprattutto, al conoscere, al pensare, al giudicare, al riflettere. Non è nemmeno solo una "officina": è soprattutto un grande osservatorio, come dice il nome. Osservatorio per vedere le realtà di questo mondo e informarci di queste realtà. Mi sembra che da questo osservatorio si vedano sia le cose lontane come quelle vicine. Lontane in un duplice senso: anzitutto lontane in tutte le parti del mondo, come sono le Filippine, l'Australia, l'America Latina; questo per me è uno dei grandi vantaggi dell'"Osservatore Romano", che offre realmente un'informazione universale, che realmente vede il mondo intero e non solo una parte. Per questo sono molto grato, perché normalmente nei giornali si danno informazioni, ma con una preponderanza del proprio mondo e ciò fa dimenticare molte altre parti della terra, che sono non meno importanti. Qui si vede qualcosa della coincidenza di Urbs et Orbis che è caratteristica della cattolicità e, in un certo senso, è anche una eredità romana: veramente vedere il mondo e non solo se stessi.
In secondo luogo, da questo osservatorio si vedono le cose lontane anche in un altro senso: "L'Osservatore" non rimane alla superficie degli avvenimenti, ma va alle radici. Oltre la superficie ci mostra le radici culturali e il fondo delle cose. È per me non solo un giornale, ma anche una rivista culturale. Ammiro come è possibile ogni giorno dare dei grandi contributi che ci aiutano a capire meglio l'essere umano, le radici da cui vengono le cose e come devono essere comprese, realizzate, trasformate. Ma questo giornale vede anche le cose vicine. Qualche volta è proprio difficile vedere vicino, il nostro piccolo mondo, che tuttavia è un mondo grande. C'è un altro fenomeno che mi fa pensare e del quale sono grato, cioè che nessuno può informare su tutto. Anche i mezzi più universalistici, per così dire, non possono dire tutto: è impossibile. È sempre necessaria una scelta, un discernimento. E perciò è decisivo nella presentazione dei fatti il criterio di scelta: non c'è mai il fatto puro, c'è sempre anche una scelta che determina che cosa appare e che cosa non appare. E sappiamo bene che le scelte delle priorità oggi sono spesso, in molti organi dell'opinione pubblica, molto discutibili. E "L'Osservatore Romano", come ha detto il Direttore, nella sua testata si è dato da sempre due criteri: Unicuique suum e Non praevalebunt. Questa è una sintesi caratteristica per la cultura del mondo occidentale. Da una parte, il grande diritto romano, il diritto naturale, la cultura naturale dell'uomo concretizzata nella cultura romana, con il suo diritto e il senso di giustizia; e dall'altra parte il Vangelo. Si potrebbe anche dire: con questi due criteri - quello del diritto naturale e quello del Vangelo - abbiamo come criterio la giustizia e, dall'altra parte, la speranza che viene dalla fede. Questi due criteri insieme - la giustizia che rispetta ognuno e la speranza che vede anche le cose negative nella luce di una bontà divina della quale siamo sicuri per la fede - aiutano ad offrire realmente un'informazione umana, umanistica, nel senso di un umanesimo che ha le sue radici nella bontà di Dio. E così non è solo informazione, ma realmente formazione culturale. Per tutto questo vi sono grato. Di cuore imparto a tutti voi, ai vostri cari la Benedizione Apostolica.
lunedì 4 luglio 2011
Abbandonare l'arroganza per una ragionevole mitezza
Questo sguardo che ci seguirà questa settimana è la cosa più importante!
Questo sguardo che speriamo ci seguirà per sempre noi vogliamo!
Lo sguardo di Un Umile e di un Mite generato dal ventre di Una Umile e di Una Mite,
che ci alza ci solleva e ci risolleva ,
come alla emorroissa , come alla figlia del capo (Mt 9) della Liturgia di oggi ,come in ogni Litutrgia , sempre nell'ora di adesso!
BENEDETTO XVI
ANGELUS
Piazza San Pietro
Domenica, 3 luglio 2011
Cari fratelli e sorelle!
Oggi, nel Vangelo, il Signore Gesù ci ripete quelle parole che conosciamo così bene, ma che sempre ci commuovono: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero” (Mt 11,28-30). Quando Gesù percorreva le strade della Galilea annunciando il Regno di Dio e guarendo molti malati, sentiva compassione delle folle, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore” (cfr Mt 9,35-36). Quello sguardo di Gesù sembra estendersi fino ad oggi, fino al nostro mondo. Anche oggi si posa su tanta gente oppressa da condizioni di vita difficili, ma anche priva di validi punti di riferimento per trovare un senso e una meta all’esistenza. Moltitudini sfinite si trovano nei Paesi più poveri, provate dall’indigenza; e anche nei Paesi più ricchi sono tanti gli uomini e le donne insoddisfatti, addirittura malati di depressione. Pensiamo poi ai numerosi sfollati e rifugiati, a quanti emigrano mettendo a rischio la propria vita. Lo sguardo di Cristo si posa su tutta questa gente, anzi, su ciascuno di questi figli del Padre che è nei cieli, e ripete: “Venite a me, voi tutti…”.
Gesù promette di dare a tutti “ristoro”, ma pone una condizione: “Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore”. Che cos’è questo “giogo”, che invece di pesare alleggerisce, e invece di schiacciare solleva? Il “giogo” di Cristo è la legge dell’amore, è il suo comandamento, che ha lasciato ai suoi discepoli (cfr Gv 13,34; 15,12). Il vero rimedio alle ferite dell’umanità, sia quelle materiali, come la fame e le ingiustizie, sia quelle psicologiche e morali causate da un falso benessere, è una regola di vita basata sull’amore fraterno, che ha la sua sorgente nell’amore di Dio. Per questo bisogna abbandonare la via dell’arroganza, della violenza utilizzata per procurarsi posizioni di sempre maggiore potere, per assicurarsi il successo ad ogni costo. Anche verso l’ambiente bisogna rinunciare allo stile aggressivo che ha dominato negli ultimi secoli e adottare una ragionevole “mitezza”. Ma soprattutto nei rapporti umani, interpersonali, sociali, la regola del rispetto e della non violenza, cioè la forza della verità contro ogni sopruso, è quella che può assicurare un futuro degno dell’uomo.
Cari amici, ieri abbiamo celebrato una particolare memoria liturgica di Maria Santissima lodando Dio per il suo Cuore Immacolato. Ci aiuti la Vergine a “imparare” da Gesù la vera umiltà, a prendere con decisione il suo giogo leggero, per sperimentare la pace interiore e diventare a nostra volta capaci di consolare altri fratelli e sorelle che percorrono con fatica il cammino della vita.
venerdì 1 luglio 2011
Referendum sull'acqua, mons. Crepaldi: «"L'integralismo progressista" di molti cattolici ha fatto vincere il vento del mondo»
Pubblichiamo le riflessioni sulla mobilitazione del mondo cattolico in occasione del referendum sull'acqua del 12 e 13 giugno di mons. Giampaolo Crepaldi, vescovo di Trieste, apparse su Vita cattolica, rivista diocesana di Trieste.
In occasione del recente referendum, e specialmente a proposito dei quesiti sull’acqua, si può parlare di una mobilitazione del mondo cattolico in quanto tale e dell’espressione di una posizione, se non comune, certamente maggioritaria e globale. Era da tempo che questo non avveniva. Forse nemmeno ai tempi dei referendum contro divorzio e aborto si era vista una militanza di questo genere. Dichiarazioni di vescovi e di uffici pastorali delle diocesi, proclami di associazioni cattoliche, volantinaggi davanti alle chiese, manifesti con l’invito ad andare a votare posti sotto gli altari, militanza attiva di ordini religiosi, compatta presa di posizione delle riviste cattoliche, specialmente quelle missionarie, catene di messaggi in rete, indicazioni molto precise per gli studenti delle scuole cattoliche.
Davanti al test referendario sembra che il mondo cattolico abbia ritrovato l’unità perduta. Ci sono state certamente voci dissonanti, anche importanti e autorevoli, ma non si può non vedere una diffusa tendenza di fondo a condividere alcuni schemi mentali per affrontare il problema acqua. Il fatto è che questi schemi destano molte perplessità e l’“unità ritrovata”, che a prima vista sembra una forza — il raggiungimento del quorum non sarebbe stato possibile senza le parrocchie — evidenzia anche molti aspetti di debolezza. Sorge infatti la domanda: con queste categorie di pensiero e di azione, con la strumentazione messa in campo in questa occasione, i cattolici sono in grado di affrontare i problemi di oggi per dire qualcosa di proprio, di originale, di vero e di utile? Oppure vanno a rimorchio di altri?
Un nuovo integralismo
Solitamente, quando la Chiesa entra in questioni politiche viene accusata di integralismo. Ricordo che quando il cardinale Ruini suggerì di non recarsi a votare in occasione del referendum sulla legge 40 sulla fecondazione assistita ci fu una levata di scudi contro questa “ingerenza”. Levata di scudi non solo da parte di ambienti laici, ma anche e forse soprattutto da parte di ambienti cattolici contrari alla guida del magistero nelle questioni pubbliche e favorevoli alla totale libertà di coscienza individuale in campo sociale e politico. Sul recente referendum, invece, niente di tutto questo. Non si è letto su nessun giornale “progressista” la minima accusa ai numerosi esponenti ecclesiastici che hanno invitato apertamente ad andare a votare e a votare in un certo modo. A mettere in evidenza questa contraddizione è stata anche Radio Radicale, che si è chiesta il motivo per questo opposto atteggiamento e ha affermato che forse sarebbe meglio valutare ciò che si dice e non chi lo dice.
Il Vangelo alla lettera
Durante la campagna referendaria c’è stata anche un’altra forma di integralismo, legata all’ampio abuso di citazioni bibliche ed evangeliche adoperate in modo avventuroso. Si è sentito di tutto, purtroppo; è stata perfino utilizzata la richiesta di Gesù sulla croce — “ho sete!” — per sostenere l’esigenza di andare a votare. Dove sono finiti gli esperti, di solito così attenti a distinguere i piani, a rimandare alle diverse competenze, ad evitare interpretazioni letterali? Durante la campagna referendaria ci sono stati diversi convegni di esperti di questo genere, dai quali però sono usciti slogan più che attente riflessioni rispettose della complessità, anche tecnica, del problema. Un aspetto tipico di questo integralismo metodologico è stata l’enunciazione di principi astratti ed assoluti — “l’acqua bene comune”, “l’acqua diritto universale”, “l’acqua bene primario creato da Dio” — dai quali si sono dedotti impropriamente immediati comportamenti elettorali.
L’utilizzo della Dottrina sociale della Chiesa
Questo metodo, che potremmo chiamare di “integralismo progressista” e che non aiuta a comprendere né la concretezza delle problematiche storiche né la fecondità orientativa del Vangelo, è stato purtroppo ampiamente applicato anche alla Dottrina sociale della Chiesa. Ora è stata citata una frase del Compendio ora una della Caritas in veritate, ma in modo molto discutibile e fuori del contesto. Non è stata tenuta presente la connessione reciproca tra i principi della Dottrina sociale della Chiesa, per esempio tra quello della destinazione universale dei beni e quello della sussidiarietà. Si sono trascurati interi capitoli delle recenti encicliche. Non si è distinto tra beni pubblici, beni collettivi, beni comuni. Non si è chiarito che un bene può essere pubblico e non gestito dallo Stato. Si è confuso il problema dell’acqua in Italia con quello dell’acqua in Africa. Questi approcci approssimativi e queste incertezze di metodo devono indurci ad una seria riflessione su come viene insegnata la Dottrina sociale della Chiesa, se nella sua integralità e originalità di messaggio oppure in modo funzionale a posizioni ideologiche previe. Come è possibile che tutto lo sforzo delle istituzioni educative cattoliche, anche di alto livello, produca poi risultati così deludenti quando bisogna orientare il popolo cristiano a delle scelte pubbliche alla luce degli insegnamenti ricevuti? Queste semplificazioni e perfino distorsioni si pagheranno in futuro: se non applico il principio di sussidiarietà al tema dell’acqua, mortificando la società civile, come potrò poi far valere quello stesso principio per chiedere la libertà di educazione? Ed infatti sulla libertà di educazione non è ipotizzabile un coinvolgimento del mondo cattolico nemmeno lontanamente paragonabile a quello ottenuto sull’acqua.
Il profetismo mondano
Molti esponenti cattolici hanno chiamato “profetico” l’impegno a favore del referendum sull’acqua. Si tratta di una concezione piuttosto strampalata di profezia, che si ispira ad uno strumentalizzato San Francesco e ad una interpretazione riduttiva del Cantico di Frate Sole appiattito sulla problematica della gestione dell’acqua. Se il messaggio profetico francescano, o addirittura cristiano, è ridotto a questo, non ne consegue un appiattimento della nostra vita religiosa, con conseguenze negative anche di ordine spirituale? Che profetismo a buon mercato è quello che si esprime con una crocetta in cabina elettorale? Che profetismo è quello che combatte per un diritto all’acqua che nessuno nega, nemmeno quelli che a votare non ci sono andati; che distoglie lo sguardo dalle molteplici colpevoli rendite di posizione sulla distribuzione dell’acqua; che nasconde i problemi concreti sotto il manto dei richiami alle belle frasi evangeliche; che trasforma una questione opinabile, legata alle diverse situazioni concrete e oggetto di umana deliberazione, in una specie di imperativo etico? Dobbiamo porci il problema: perché una così diffusa mobilitazione per una questione pratica e oggetto di volta in volta di deliberazione, ed invece una scarsissima o addirittura inesistente mobilitazione per la vita? Non c’è un preoccupante sbilanciamento? Dedicassero le nostre riviste, comprese quelle missionarie, alla vita almeno un centesimo dell’attenzione rivolta all’acqua…
Ingenuità cattolica?
Molti cattolici saranno contenti di aver contribuito ad evitare una inesistente “privatizzazione” dell’acqua. Trasformare il quesito referendario nel dilemma “privatizzazione sì privatizzazione no” è un vero e proprio non senso. Però molti cattolici penseranno di avere “vinto” o di aver contribuito a far vincere la causa giusta. In realtà hanno fatto vincere il vento del mondo, e ad un prezzo piuttosto alto. Una minore ingenuità, a questo proposito, sarebbe stata molto utile. Può capitare che uno pensi di andare a votare per l’acqua e invece voti per il divorzio breve. Ogni appuntamento referendario ha anche una ricaduta sul quadro politico. Si vota sull’acqua ma le ripercussioni politiche aprono (o chiudono) altre porte. Può capitare che uno pensi di andare a votare per l’acqua insieme ad associazioni che promuovono i diritti umani. Poi però si accorge che quelle associazioni che promuovono i diritti umani e votano con lui per l’acqua sono anche a favore dell’aborto, lo sostengono teoricamente e lo promuovono praticamente. Il voto sull’acqua non è stato solo un voto sull’acqua. Di quel voto altri ne approfitteranno per fare cose che ai cattolici non dovrebbero andar bene.
In conclusione
Mi auguro che possa continuare una approfondita discussione sulle posizioni assunte dal cosiddetto mondo cattolico in occasione del recente referendum, sulle categorie di pensiero che orientano il discernimento. A mio avviso non c’è molto da festeggiare. Sono emerse infatti discrepanze, scollamenti, incertezze sugli obiettivi da raggiungere e sulla strada da percorrere.