giovedì 1 dicembre 2011

Amici, il Papa ieri ha iniziato ad insegnarci come pregava Gesù .Penso che imparare questo non sia assolutamente da trascurare!

BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 30 novembre 2011

[Video]

La preghiera attraversa tutta la vita di Gesù

Cari fratelli e sorelle,

nelle ultime catechesi abbiamo riflettuto su alcuni esempi di preghiera nell'Antico Testamento, oggi vorrei iniziare a guardare a Gesù, alla sua preghiera, che attraversa tutta la sua vita, come un canale segreto che irriga l'esistenza, le relazioni, i gesti e che lo guida, con progressiva fermezza, al dono totale di sé, secondo il progetto di amore di Dio Padre. Gesù è il maestro anche delle nostre preghiere, anzi Egli è il sostegno attivo e fraterno di ogni nostro rivolgerci al Padre. Davvero, come sintetizza un titolo del Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, «la preghiera è pienamente rivelata ed attuata in Gesù» (541-547). A Lui vogliamo guardare nelle prossime catechesi.

Un momento particolarmente significativo di questo suo cammino è la preghiera che segue il battesimo a cui si sottopone nel fiume Giordano. L'Evangelista Luca annota che Gesù, dopo aver ricevuto, insieme a tutto il popolo, il battesimo per mano di Giovanni il Battista, entra in una preghiera personalissima e prolungata: «Mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo» (Lc 3,21-22). Proprio questo «stare in preghiera», in dialogo con il Padre illumina l'azione che ha compiuto insieme a tanti del suo popolo, accorsi alla riva del Giordano. Pregando, Egli dona a questo suo gesto, del battesimo, un tratto esclusivo e personale.

Il Battista aveva rivolto un forte appello a vivere veramente come «figli di Abramo», convertendosi al bene e compiendo frutti degni di tale cambiamento (cfr Lc 3,7-9). E un gran numero di Israeliti si era mosso, come ricorda l'Evangelista Marco, che scrive: «Accorrevano… [a Giovanni] tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati» (Mc 1,5). Il Battista portava qualcosa di realmente nuovo: sottoporsi al battesimo doveva segnare una svolta determinante, lasciare una condotta legata al peccato ed iniziare una vita nuova. Anche Gesù accoglie questo invito, entra nella grigia moltitudine dei peccatori che attendono sulla riva del Giordano. Ma, come ai primi cristiani, anche in noi sorge la domanda: perché Gesù si sottopone volontariamente a questo battesimo di penitenza e di conversione? Non ha da confessare peccati, non aveva peccati, quindi anche non aveva bisogno di convertirsi. Perché allora questo gesto? L'Evangelista Matteo riporta lo stupore del Battista che afferma: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?» (Mt 3,14) e la risposta di Gesù: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia» (v. 15). Il senso della parola «giustizia» nel mondo biblico è accettare pienamente la volontà di Dio. Gesù mostra la sua vicinanza a quella parte del suo popolo che, seguendo il Battista, riconosce insufficiente il semplice considerarsi figli di Abramo, ma vuole compiere la volontà di Dio, vuole impegnarsi perché il proprio comportamento sia una risposta fedele all'alleanza offerta da Dio in Abramo. Discendendo allora nel fiume Giordano, Gesù, senza peccato, rende visibile la sua solidarietà con coloro che riconoscono i propri peccati, scelgono di pentirsi e di cambiare vita; fa comprendere che essere parte del popolo di Dio vuol dire entrare in un'ottica di novità di vita, di vita secondo Dio.

In questo gesto Gesù anticipa la croce, dà inizio alla sua attività prendendo il posto dei peccatori, assumendo sulle sue spalle il peso della colpa dell'intera umanità, adempiendo la volontà del Padre. Raccogliendosi in preghiera, Gesù mostra l'intimo legame con il Padre che è nei Cieli, sperimenta la sua paternità, coglie la bellezza esigente del suo amore, e nel colloquio con il Padre riceve la conferma della sua missione. Nelle parole che risuonano dal Cielo (cfr Lc 3,22) vi è il rimando anticipato al mistero pasquale, alla croce e alla risurrezione. La voce divina lo definisce «Il Figlio mio, l'amato», richiamando Isacco, l'amatissimo figlio che il padre Abramo era disposto a sacrificare, secondo il comando di Dio (cfr Gen 22,1-14). Gesù non è solo il Figlio di Davide discendente messianico regale, o il Servo di cui Dio si compiace, ma è anche il Figlio unigenito, l'amato, simile a Isacco, che Dio Padre dona per la salvezza del mondo. Nel momento in cui, attraverso la preghiera, Gesù vive in profondità la propria figliolanza e l'esperienza della paternità di Dio (cfr Lc 3,22b), discende lo Spirito Santo (cfr Lc 3,22a), che lo guida nella sua missione e che Egli effonderà dopo essere stato innalzato sulla croce (cfr Gv 1,32-34; 7,37-39), perché illumini l'opera della Chiesa. Nella preghiera, Gesù vive un ininterrotto contatto con il Padre per realizzare fino in fondo il progetto di amore per gli uomini.

Sullo sfondo di questa straordinaria preghiera sta l'intera esistenza di Gesù vissuta in una famiglia profondamente legata alla tradizione religiosa del popolo di Israele. Lo mostrano i riferimenti che troviamo nei Vangeli: la sua circoncisione (cfr Lc 2,21) e la sua presentazione al tempio (cfr Lc 2,22-24), come pure l'educazione e la formazione a Nazaret, nella santa casa (cfr Lc 2,39-40 e 2,51-52). Si tratta di «circa trent'anni» (Lc 3,23), un tempo lungo di vita nascosta e feriale, anche se con esperienze di partecipazione a momenti di espressione religiosa comunitaria, come i pellegrinaggi a Gerusalemme (cfr Lc 2,41). Narrandoci l'episodio di Gesù dodicenne nel tempio, seduto in mezzo ai maestri (cfr Lc 2,42-52), l'evangelista Luca lascia intravedere come Gesù, che prega dopo il battesimo al Giordano, ha una lunga abitudine di orazione intima con Dio Padre, radicata nelle tradizioni, nello stile della sua famiglia, nelle esperienze decisive in essa vissute. La risposta del dodicenne a Maria e Giuseppe indica già quella filiazione divina, che la voce celeste manifesta dopo il battesimo: «Perché mi cercavate? Non sapete che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» (Lc 2,49). Uscito dalle acque del Giordano, Gesù non inaugura la sua preghiera, ma continua il suo rapporto costante, abituale con il Padre; ed è in questa unione intima con Lui che compie il passaggio dalla vita nascosta di Nazaret al suo ministero pubblico.

L'insegnamento di Gesù sulla preghiera viene certo dal suo modo di pregare acquisito in famiglia, ma ha la sua origine profonda ed essenziale nel suo essere il Figlio di Dio, nel suo rapporto unico con Dio Padre. Il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica risponde alla domanda: Da chi Gesù ha imparato a pregare?, così: «Gesù, secondo il suo cuore di uomo, ha imparato a pregare da sua Madre e dalla tradizione ebraica. Ma la sua preghiera sgorga da una sorgente più segreta, poiché è il Figlio eterno di Dio che, nella sua santa umanità, rivolge a suo Padre la preghiera filiale perfetta» (541).

Nella narrazione evangelica, le ambientazioni della preghiera di Gesù si collocano sempre all'incrocio tra l'inserimento nella tradizione del suo popolo e la novità di una relazione personale unica con Dio. «Il luogo deserto» (cfr Mc 1,35; Lc 5,16) in cui spesso si ritira, «il monte» dove sale a pregare (cfr Lc 6,12; 9,28), «la notte» che gli permette la solitudine (cfr Mc 1,35; 6,46-47; Lc 6,12) richiamano momenti del cammino della rivelazione di Dio nell'Antico Testamento, indicando la continuità del suo progetto salvifico. Ma al tempo stesso, segnano momenti di particolare importanza per Gesù, che consapevolmente si inserisce in questo piano, fedele pienamente alla volontà del Padre.

Anche nella nostra preghiera noi dobbiamo imparare, sempre di più, ad entrare in questa storia di salvezza di cui Gesù è il vertice, rinnovare davanti a Dio la nostra decisione personale di aprirci alla sua volontà, chiedere a Lui la forza di conformare la nostra volontà alla sua, in tutta la nostra vita, in obbedienza al suo progetto di amore per di noi.

La preghiera di Gesù tocca tutte le fasi del suo ministero e tutte le sue giornate. Le fatiche non la bloccano. I Vangeli, anzi, lasciano trasparire una consuetudine di Gesù a trascorrere in preghiera parte della notte. L'Evangelista Marco racconta una di queste notti, dopo la pesante giornata della moltiplicazione dei pani e scrive: «E subito costrinse i suoi discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull'altra riva, a Betsàida, finché non avesse congedato la folla. Quando li ebbe congedati, andò sul monte a pregare. Venuta la sera, la barca era in mezzo al mare ed egli, da solo, a terra» (Mc 6,45-47). Quando le decisioni si fanno urgenti e complesse, la sua preghiera diventa più prolungata e intensa. Nell'imminenza della scelta dei Dodici Apostoli, ad esempio, Luca sottolinea la durata notturna della preghiera preparatoria di Gesù: «In quei giorni egli se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio. Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede anche il nome di apostoli» (Lc 6,12-13).

Guardando alla preghiera di Gesù, deve sorgere in noi una domanda: come prego io? come preghiamo noi? Quale tempo dedico al rapporto con Dio? Si fa oggi una sufficiente educazione e formazione alla preghiera? E chi può esserne maestro? Nell'Esortazione apostolica Verbum Domini ho parlato dell'importanza della lettura orante della Sacra Scrittura. Raccogliendo quanto emerso nell'Assemblea del Sinodo dei Vescovi, ho posto un accento particolare sulla forma specifica della lectio divina. Ascoltare, meditare, tacere davanti al Signore che parla è un'arte, che si impara praticandola con costanza. Certamente la preghiera è un dono, che chiede, tuttavia, di essere accolto; è opera di Dio, ma esige impegno e continuità da parte nostra; soprattutto, la continuità e la costanza sono importanti. Proprio l'esperienza esemplare di Gesù mostra che la sua preghiera, animata dalla paternità di Dio e dalla comunione dello Spirito, si è approfondita in un prolungato e fedele esercizio, fino al Giardino degli Ulivi e alla Croce. Oggi i cristiani sono chiamati a essere testimoni di preghiera, proprio perché il nostro mondo è spesso chiuso all'orizzonte divino e alla speranza che porta l'incontro con Dio. Nell'amicizia profonda con Gesù e vivendo in Lui e con Lui la relazione filiale con il Padre, attraverso la nostra preghiera fedele e costante, possiamo aprire finestre verso il Cielo di Dio. Anzi, nel percorrere la via della preghiera, senza riguardo umano, possiamo aiutare altri a percorrerla: anche per la preghiera cristiana è vero che, camminando, si aprono cammini.

Cari fratelli e sorelle, educhiamoci ad un rapporto con Dio intenso, ad una preghiera che non sia saltuaria, ma costante, piena di fiducia, capace di illuminare la nostra vita, come ci insegna Gesù. E chiediamo a Lui di poter comunicare alle persone che ci stanno vicino, a coloro che incontriamo sulla nostra strada, la gioia dell'incontro con il Signore, luce per la nostra l'esistenza. Grazie.


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Anche quella di Socci una interpretazione che va al fondo della crisi .



La causa del possibile crollo e perché può salvarci il Papa…

27 NOVEMBRE 2011 / IN NEWS

Dove sono finiti tutti i mistici dell'euro – economisti, giornalisti, politici, intellettuali – che dieci anni fa imperversavano su tutti i pulpiti per decantare le virtù taumaturgiche della moneta unica e "le magnifiche sorti e progressive" dell'Italia nell'euro?

Sarebbe interessante pure andarsi a rileggere gli scritti dell'attuale premier e dei tecnici che compongono la sua squadra di governo chiamata a evitare il disastro.

Io spero che ce la facciano, ma non ricordo che, a quel tempo, ci abbiano messo in guardia sull'euro. Anzi…

E dov'è finito il centrosinistra dei Ciampi, dei Prodi, dei D'Alema, degli Amato che da anni rivendica come proprio merito storico "l'aver portato l'Italia nell'euro"?

I post-comunisti per far dimenticare di essere stati antieuropei col Pci, quando si doveva essere europeisti, vollero primeggiare nello zelo sulla moneta unica sulla quale invece bisognava essere dubbiosi. Riuscendo così a sbagliare due volte.

D'altra parte la "religione dell'euro" non ammetteva dissidenti. Era un'ortodossia ferrea che rendeva obbligatorio cantare nel coro.

Dogma imposto

L'anticonformismo era considerato boicottaggio. Ricordate come venivano trattati da trogloditi o da reazionari provinciali i pochissimi che avevano l'ardire di esprimere dubbi sull'operazione euro?  

Antonio Martino – per esempio – veniva giudicato un bizzarro mattocchio, un isolato. Il governatore di Bankitalia Antonio Fazio, per i suoi dubbi, era considerato uno che remava contro.

Eppure c'erano fior di paesi europei – come la Gran Bretagna – che nell'euro preferirono non entrare. Quindi i dubbi erano più che fondati. Ma in Italia non avevano neanche diritto di cittadinanza.

Gli italiani non hanno nemmeno potuto esprimersi con un voto. L'euro infatti era un dogma di fede e i dogmi non si discutono.

I cittadini italiani così hanno dovuto subire senza discutere una serie di stangate finalizzate alla moneta unica, un cambio lira/euro penalizzante, un micidiale raddoppio dei prezzi che li ha impoveriti tutti, la fine della crescita dell'economia nazionale (con annessa disoccupazione giovanile), il ribaltamento dall'attivo al passivo della bilancia dei pagamenti e – come premio per questo bagno di sangue – adesso addirittura la prospettiva infernale del fallimento (quando invece era stato promesso il paradiso). 

Complimenti! Chi dobbiamo ringraziare? E' vero che l'Italia non è stata virtuosa come doveva e questo è grave. Ma ormai è chiaro che il tema non è il crollo dell'Italia, ma quello dell'Europa dell'euro.

Per questo oggi l'operazione moneta unica, la follia costruttivista di imporre dal nulla una moneta inventata ai nostri popoli, è figlia di nessuno.

Di chi la colpa?

Sugli stessi giornali su cui ieri si alzavano inni all'euro, oggi tutti ammettono che è un'assurdità il creare una moneta senza avere dietro uno Stato, senza una banca nazionale, senza un governo federale, con politiche fiscali e monetarie contrapposte e senza nemmeno una lingua comune.

In effetti i popoli europei hanno una sola cosa in comune, il cristianesimo, ma le élite che hanno creato l'euro hanno visto bene di cancellare ogni riferimento ad esso in quel delirio che è la Costituzione europea: la moneta unica doveva soppiantare superbamente anche Dio, la storia e la cultura.

Ma, dicevo, oggi a quanto pare l'euro è figlio di nessuno. Ai pochi audaci che allora chiamavano "neuro" la nuova moneta, prendendosi il disprezzo delle caste dominanti, nessuno riconosce di aver avuto ragione. E nessuno fa autocritica.

Invita a farla, invece, un leale articolo di Guido Tabellini, rettore della Bocconi, che sul Sole 24 ore ha scritto: "Bisogna ammettere che abbiamo sbagliato". Ma i politici che dicono?

D'altronde occorre riconoscere che i politici italiani sono stati solo – come sempre – truppe di complemento. La vera causa del disastro euro è il secolare e devastante conflitto fra Francia e Germania per l'egemonia sul continente europeo.

Infatti la moneta unica nacque come condizione della Francia di Mitterrand alla Germania di Kohl, per dare l'avallo all'unificazione. Se i tedeschi rinunciavano al marco, i francesi si illudevano di egemonizzare l'area euro.

In realtà i tedeschi posero tali condizioni capestro sulla moneta unica a tutti gli altri paesi che invece di europeizzare la Germania si è germanizzata l'Europa.

Cosicché oggi il leader tedesco Volker Kauder può proclamare: "finalmente l'Europa parla tedesco". E' un'esultanza miope, che non vede il baratro in cui l'inflessibilità germanica ci sta portando.

E non si venga a dire – come fa la Merkel – che le virtuose formiche tedesche non vogliono pagare i debiti delle irresponsabili cicale latine.

Perché il rigore del patto di stabilità che i tedeschi pretendono di applicare agli altri (insieme ai francesi) non lo applicano a se stessi: nel 2003 infatti sono stati proprio Germania e Francia a sforare sul disavanzo. Pretendendo che nessuno eccepisse.

Così come la Bundesbank è andata a comprare i bund invenduti alla recente asta, mentre proibisce che la Bce faccia altrettanto. Per gli altri le leggi si applicano, per se stessi si interpretano.

E' così che l'euro si è risolto in un colossale affare per la Germania e in un disastro per tutti gli altri.

Napoleone e Hitler

Il fatto è che l'operazione euro è nata male. E' nata infatti come ennesimo braccio di ferro fra Francia e Germania, come una prosecuzione della loro guerra con altri mezzi.

E' da secoli che i due contendenti si combattono. Si potrebbero trovare le radici più antiche addirittura nella divisione del Sacro Romano Impero, col trattato di Verdun dell'843.

Ma è soprattutto dal XVI secolo che francesi e germanici si contendono l'impero e inseguono lo stesso ambizioso sogno: trasformare l'Europa in un proprio impero.

Nei tempi moderni ci provò Napoleone e poi ci ha riprovato Hitler. L'esito è stato la devastazione dell'Europa in entrambi i casi.

A questo ciclo di guerre durato almeno 400 anni – che chiamerei "le guerre d'irreligione", perché sono conseguenti alla distruzione della koiné cattolica europea – vollero mettere fine, dopo il 1945, tre statisti, che non a caso erano cattolici praticanti, cioè Konrad Adenauer, Alcide De Gasperi e Robert Schuman.

La Chiesa è la salvezza

Da loro nacque il pacifico progetto di unificazione europea, che in nome delle radici cristiane del continente, unico vero cemento dei nostri popoli, pose fine alle guerre imperiali franco-tedesche.

L'operazione euro invece va esattamente nella direzione opposta. Nasce dal rinnegamento di questa identità cristiana dell'Europa e segna la ripresa dell'ostilità fra Francia e Germania.

Sembra addirittura una replica della storia. Infatti la guerra della Francia alla Prussia del 1870, paradossalmente portò all'unione della Germania, così la guerra monetaria della Francia al marco, di venti anni fa, ha portato a un'Europa germanizzata. Complimenti ai galletti di Parigi.

Anche oggi come allora la ripresa della guerra franco-tedesca può portare solo alla catastrofe dell'Europa. A meno di un rinsavimento generale sull'orlo dell'abisso.

Forse l'unica voce che oggi potrebbe energicamente richiamare tutte le élite di governo (a partire da quella tedesca) al senso di responsabilità è quella del Papa, vero custode dello spirito europeo.

La sua intelligenza cristiana della storia ci può salvare perché il papa è un tedesco che ha meditato sulla tragedia in cui la Germania ha trascinato l'Europa nel 1939.

Benedetto XVI sa bene e insegna da anni che a produrre il nazismo non fu l'inflazione della repubblica di Weimar, come pensano la Merkel e la Bundesbank, ma fu una malattia spirituale e culturale che aveva radici più antiche e perverse.

E' da quelle che occorre guardarsi, non dall'inflazione. Oggi la solidarietà fra tutti i paesi è la salvezza dell'Europa.

Il grande Adenauer diceva: "Signore, tu che hai posto un limite all'intelligenza dell'uomo, ponilo anche alla sua idiozia". Vale per tutti.

Antonio Socci

Da "Libero", 27 novembre 2011

J

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Dal sito Stranocristiano.it

aderiamo alla lettera

novembre 20th, 2011 Posted in Uncategorized | Commenti disabilitati

Il Corriere della Sera, con una campagna accanita e quotidiana, ha contribuito in modo decisivo alla distruzione dell'immagine personale di Berlusconi, e insieme alla caduta del suo governo.

E infatti adesso, fra editorialisti e banchieri proprietari, gran parte del governo "tecnico" è di area Corriere, a partire dal premier.

Ha quindi bisogno, il Corriere, di far vedere che non è poi così vorace, e oggi ha pubblicato una lettera di protesta da parte di un gruppo di persone. Nient'altro che uno specchietto per le allodole, sia chiaro, ma sempre meglio di niente.

Il testo della lettera è ottimo, ed io ho scritto al Corriere per aderire.

Facciamolo tutti: facciamo circolare la lettera e raccogliamo le adesioni!

Scriviamo a lettere@corriere.it,sromano@corriere.it

Di seguito il testo:

Governo: il passaggio di consegne (da Il Corriere della Sera 20.11.2011)

Quello che è successo e succede in Italia sembra paradossalmente ricalcare quello che è accaduto in Libia.

Un Paese extraeuropeo, con un dittatore intollerante e spregiudicato, in seguito ad alcuni disordini che, a paragone di quelli avvenuti in Siria, facevano ridere, è stato spietatamente bombardato e invaso dalle "forze democratiche Nato" alla conquista di petrolio e gas.

L'intervento è stato accoratamente invocato dal presidente Napolitano che non poteva rimanere sordo al grido di dolore.

Non potremo mai dimenticare le immagini della fine orrenda di Gheddafi, bombardato fino all'ultimo da Usa e Francia e poi volutamente lasciato nelle mani di quei macellai.

Nello stesso modo, non potendo l'Italia essere bombardata dalla UE e dagli Usa (anche perché non abbiamo petrolio o gas), lo spauracchio dellospread (ma perché non lo chiamiamo differenziale?) sui Btp è stato usato dalla Banca centrale europea e soprattutto dall'inquietante sodalizio Merkel-Sarkozy per eliminare l'altro oppositore: Berlusconi e il suo governo che si erano permessi di avere una politica estera personale con Bush, Putin e Gheddafi (la scelta del nuovo ministro degli Esteri dimostra tutto lo spasmodico desiderio di compiacere Obama che non ne ha azzeccata una fino ad ora). La Deutsche Bank per prima ha dato inizio all'operazione e via di seguito con gli Usa. La lettera della Bce, non condivisibile se non in minima parte dalle opposizioni, è stata sventolata a mo' di vessillo per accelerare la dismissione di questo governo.

Napolitano ha preso in mano la questione e con una celerità terrificante ha nominato il nuovo premier senza neanche aspettare le dimissioni di quello precedente, accollandoci anche la spesa di mantenerlo come senatore a vita.

Tutte le procedure costituzionali sono state azzerate, un governo democraticamente eletto mandato via sotto gli insulti dei benpensanti che in Italia, da Piazzale Loreto in poi, non mancano mai: un golpe in poche parole.

Conosciamo ora i nomi dei nuovi ministri: Corrado Passera che da mesi preparava il suo ingresso e quello di Monti al governo, altri 3 o 4 banchieri, un ammiraglio, un prefetto, uno del volontariato, le università private e pubbliche, tutti doverosamente dell'area di riferimento della sinistra, che incapace di andare al potere per meriti suoi perché impresentabile ed inefficiente, si ripresenta camuffata da tecnici.

Per noi questo è un ribaltone, non un governo tecnico; per questo motivo non pensiamo più di essere in un paese democratico: non lo pensavamo prima perché c'era una forza che remava contro il governo costituita dai magistrati che hanno un poco alla volta distrutto l'immagine di un uomo che assomma grandi capacità a una vita personale non ineccepibile che avremmo potuto anche non conoscere.

Hanno grandi responsabilità anche i giornalisti perché hanno contribuito a distruggere la nostra immagine all'estero.

Il risultato finale è questo bel governo: non crediamo che potrà fare molto e comunque non è un governo scelto dagli elettori.

E' peggiore il default finanziario o quello della democrazia?

Alberta Pertusio, Massimiliano Callori di Vignale, Marialuisa Scofone Ronga, Ingrid Scofone, Pia Dufour, Roberta Porsenna, Romano Rosazza Bertina, Paola Bernizzoni, Daniela Romani, Marinella Mordiglia, Rosanna Arbarello, Roberto Angelini, Teresa Bernizzoni, Maria Luisa Caponia.


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