domenica 13 febbraio 2011

Io non ci andrò:Marina Corradi

infatti da quanto ci riferisce Marina Corradi non si capisce perchè ,anzi lo si capisce benissimo, ,chiamiamola con il vero nome: Strumentalizzazione politica e basta .Da quanto esiste il Velinismo?quanto tempo fa Renzo Arbore satireggiava con le sue ragazze Coccodè o quanto tempo ancora gli italiani hanno accettato il passatempo delle ragazze Drive In o Colpo Grosso,vi ricordate?Proprio nell'epoca attuale si avverte una retromarcia laica sui costumi sorprendente e soprattutta da parte di coloro che si facevano tenaci antagonisti di ogni forma di buon vivere tradizionale ...mah!



12 febbraio 2011

Io non ci andrò, e rifletto


Quelle domande che pesano

Alle donne che scenderanno in piazza domani, in una sorta di sollevazione contro l’immagine di donna che esce da un mese di cronache di feste e confessioni di escort, vorrei porre qualche domanda. Il “manifesto” della iniziativa parla di «baratro culturale», di «Italia ridotta a un bordello» – ci scusino i lettori, ma questo è lo “spirito del tempo”. Qualcuno, qualcuna si è accorta ora delle code davanti agli studi dove si scelgono le future vallette, o del diffuso sogno di entrare nella “scuderia” di Lele Mora, sogno per cui alcune sono disposte a tutto. «Se non ora, quando», è il grido della manifestazione di domani. E sembra l’esclamazione di chi tardivamente si sia guardato attorno, scoprendo che l’aria che tira non gli piace.

La prima domanda è dunque dove erano tante di quelle che sfileranno domani, in questi vent’anni. La maggior parte di loro proviene da quella cultura che è il lascito tardivo di femminismo e Sessantotto: la cultura del «Io sono mia», che predicava la piena autonomia di una donna finalmente liberata da condizionamenti del passato, maschilisti o – peggio – religiosi. La ricordiamo l’ebbrezza di questa liberazione, trent’anni fa: libera, si proclamava quella generazione di ventenni, di fare politica, di studiare e lavorare; libere nel rifiuto orgoglioso di essere “donne oggetto”; libere dal matrimonio come destino obbligato; libere, grazie alla pillola e all’aborto legale, dall’antico giogo di maternità non volute.
La seconda domanda allora è che cosa è stato ereditato, di queste vere o presunte libertà, dalle figlie. Qualcosa deve essersi inceppato nella trasmissione generazionale, se non poche, e soprattutto nelle classi sociali più modeste, declinano questa libertà come totale disponibilità di se stesse, anche di farsi guardare come cose, se occorre, e se ne vale la pena. È il “sistema” che sfrutta e usa le donne, si griderà in piazza – in quella piazza in cui io non andrò. Però quelle sono figlie nostre; cresciute davanti alla tv forse, ma educate da noi. Avete letto il sondaggio di Ilvo Diamanti che chiede agli italiani se considerano gli atteggiamenti di Berlusconi «offensivi contro le donne»? Solo il 37 per cento delle ragazze risponde di sì, e solo il 28 per cento delle trentenni. Insomma, la prospettiva di farsi meteorine in feste di vip, o di usare la bellezza per “arrivare” in fretta non è poi così riprovata. Plagiate da vent’anni di veline? Ma le famiglie, e le madri, dov’erano? Scoprire all’improvviso che le bambine di dodici anni, nelle famiglie più abbandonate ma non solo in quelle, sognano davanti allo specchio “quel” successo; e non sanno, ma ancora per poco, cosa si fa per agguantarlo. Ve ne accorgete oggi? Noi cattolici retrogradi eravamo dunque all’avanguardia?

Su Repubblica però una docente universitaria pone questa distinzione: «Una cosa è che uno scelga i valori del sedere, come la cosa migliore di sé e più preziosa; tutt’altra cosa è che glielo imponga un altro». Tipica declinazione di quel relativismo etico che è da anni il pensiero unico obbligatorio. Secondo il quale nulla è oggettivamente negativo; se una liberamente decide di vendersi, niente da dire. Ma allora cosa si scende in piazza a contestare domani? Le fanciulle, stelline, vallette, meteore che abbiamo visto sfilare sui giornali sono – per lo più – maggiorenni e capaci di intendere. E dunque? Forse il problema è più grande: ma davvero vendersi, o accettare di mostrarsi come un bell’oggetto – libera o no che sia la scelta – non è avvilente in sé, non è contrario alla dignità di una donna, o di un uomo? Non c’era forse qualcosa di primario, di oggettivo che si è buttato via insieme al resto trent’anni fa, quando si gridava «L’utero è mio e lo gestisco io»?. L’ultima domanda, la più importante, è: che cosa trasmettere a una figlia, perché non sogni, sotto sotto, di incontrare Lele Mora? Basterà parlare di “decenza”? (strano ritrovare in bocche laiche questo vecchio termine “bigotto”). Ciò che, crediamo, scrive su un figlio l’orgoglio di non essere in vendita mai è che si senta fin dal primo giorno unico, e amato, e non nato per caso, ma dentro un destino comune e buono; che sappia che quel destino è un compito che lo lega agli altri, e non è risolvibile nell’arbitrio del gioco più comodo o veloce. È la certezza dei cristiani autentici, e forse quella dei laici migliori – le cui speranze, però, sembrano oggi perse o sconfitte. Senza questa certezza del valore assoluto di ognuno, non stupisce che si concepisca di vendersi – e i modi poi, per donne e uomini, sono tanti. Se nessuno ti ha detto che tu non hai prezzo, e il tuo valore è infinito.
Marina Corradi

La pienezza della Legge

Nessuna Pienezza di Vita può darsi se non per Cristo nello Spirito Santo.

Quindi non realizziamo niente di compiuto e soddisfaciente per noi e per gli altri se non dentro questa azione iniziata e terminata dallo Spirito.Bellissima questa espressione :

Lui stesso “riempie” i comandamenti con l’amore di Dio
Dentro questo abbraccio , dentro questo essere afferrati si può portare a termine ogni nostra opera che capiamo non essere nostra in realtà.

Lui stesso “riempie” i comandamenti con l’amore di Dio



BENEDETTO XVI

ANGELUS

Piazza San Pietro
Domenica, 13 febbraio 2011

Cari fratelli e sorelle!

Nella Liturgia di questa domenica prosegue la lettura del cosiddetto “Discorso della montagna” di Gesù, che occupa i capitoli 5, 6 e 7 del Vangelo di Matteo. Dopo le “Beatitudini”, che sono il suo programma di vita, Gesù proclama la nuova Legge, la sua Torah, come la chiamano i nostri fratelli ebrei. In effetti, il Messia, alla sua venuta, avrebbe dovuto portare anche la rivelazione definitiva della Legge, ed è proprio ciò che Gesù dichiara: “Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti: non sono venuto ad abolire, ma a dare il pieno compimento”. E, rivolto ai suoi discepoli, aggiunge: “Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli” (Mt 5,17.20). Ma in che cosa consiste questa “pienezza” della Legge di Cristo, e questa “superiore” giustizia che Egli esige?

Gesù lo spiega mediante una serie di antitesi tra i comandamenti antichi e il suo modo di riproporli. Ogni volta inizia: “Avete inteso che fu detto agli antichi…”, e poi afferma: “Ma io vi dico…”. Ad esempio: “Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio”. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio” (Mt 5,21-22). E così per sei volte. Questo modo di parlare suscitava grande impressione nella gente, che rimaneva spaventata, perché quell’“io vi dico” equivaleva a rivendicare per sé la stessa autorità di Dio, fonte della Legge. La novità di Gesù consiste, essenzialmente, nel fatto che Lui stesso “riempie” i comandamenti con l’amore di Dio, con la forza dello Spirito Santo che abita in Lui. E noi, attraverso la fede in Cristo, possiamo aprirci all’azione dello Spirito Santo, che ci rende capaci di vivere l’amore divino. Perciò ogni precetto diventa vero come esigenza d’amore, e tutti si ricongiungono in un unico comandamento: ama Dio con tutto il cuore e ama il prossimo come te stesso. “Pienezza della Legge è la carità”, scrive san Paolo (Rm 13,10). Davanti a questa esigenza, ad esempio, il pietoso caso dei quattro bambini Rom, morti la scorsa settimana alla periferia di questa città, nella loro baracca bruciata, impone di domandarci se una società più solidale e fraterna, più coerente nell’amore, cioè più cristiana, non avrebbe potuto evitare tale tragico fatto. E questa domanda vale per tanti altri avvenimenti dolorosi, più o meno noti, che avvengono quotidianamente nelle nostre città e nei nostri paesi.

Cari amici, forse non è un caso che la prima grande predicazione di Gesù si chiami “Discorso della montagna”! Mosè salì sul monte Sinai per ricevere la Legge di Dio e portarla al Popolo eletto. Gesù è il Figlio stesso di Dio che è disceso dal Cielo per portarci al Cielo, all’altezza di Dio, sulla via dell’amore. Anzi, Lui stesso è questa via: non dobbiamo far altro che seguire Lui, per mettere in pratica la volontà di Dio ed entrare nel suo Regno, nella vita eterna. Una sola creatura è già arrivata alla cima della montagna: la Vergine Maria. Grazie all’unione con Gesù, la sua giustizia è stata perfetta: per questo la invochiamo Speculum iustitiae. Affidiamoci a lei, perché guidi anche i nostri passi nella fedeltà alla Legge di Cristo.