sabato 16 gennaio 2010

Gran Bretagna:una fede non per elités

14 gENNAIO 2010
Gran Bretagna
Dio non si salva dalla regina
Lo scontro tra le Chiese cristiane e i valori del politically correct, ispirati ai diritti umani universali, è un tema ricorrente nella società britannica di oggi. L’idea che la religione ormai non ha un posto pubblico e, per chi ha una fede, è difficile esprimere le proprie convinzioni religiose è stata espressa da giornalisti, intellettuali e leader del mondo politico e religioso. Lo stesso Tony Blair ha ammesso che avrebbe danneggiato la sua reputazione di premier parlando della fede quando era primo ministro; in Gran Bretagna – ha detto – a differenza degli Stati Uniti, chi ammette di essere religioso è considerato «un pazzo». Jeremy Vine, famoso giornalista e presentatore della Bbc, anglicano praticante, sostiene di non poter esprimere la fede quando fa il suo lavoro perché non sa come gli ascoltatori reagirebbero. In questo momento si registra un vivacissimo dibattito sulle scuole cattoliche, finanziate dallo Stato ma autorizzate a selezionare studenti e insegnanti tenendo conto della loro fede; cosa che in passato non aveva mai suscitato polemiche, perché tali scuole sono aperte anche ad altre religioni e spesso hanno alte percentuali di studenti non cattolici. Ora invece sia in Gran Bretagna che in Irlanda i partiti laici hanno attaccato le scuole religiose e quelle cattoliche in particolare sostenendo che dividono la società, discriminano e favoriscono alunni delle classi medie. Lo scontro è ormai tra valori religiosi e valori secolari, più che fra religioni diverse, e ogni Natale è un’occasione per rinnovare le polemiche. Quest’anno un’associazione di Oxford ha bandito il nome stesso di Natale per sostituirlo con quello di «Festival invernale della luce»; proposta cui si sono ribellati per primi i musulmani. Alcune Chiese hanno invece deciso riscrivere le carols, i tradizionali canti natalizi, abolendo i termini legati alla Natività... Decisione che peraltro mal si concilia con le critiche che vescovi cattolici e anglicani hanno fatto alla Bbc proprio perché emargina programmi cristiani popolari; nell’ottobre 2008 lo stesso direttore generale Mark Thompson ha ammesso che l’islam viene trattato dall’emittente pubblica con più rispetto e attenzione del cristianesimo. Anche sulle adozioni è stato scontro tra la Chiesa e lo Stato, il quale ha imposto alle agenzie cattoliche che se ne occupano di non escludere coppie omosessuali dal processo di adozione; alcune hanno preferito chiudere che andare contro l’insegnamento della Chiesa. Sono stati gli stessi arcivescovi anglicani Rowan Williams e John Sentamu a scrivere a Blair per far notare che «i diritti di coscienza non possono essere sottoposti a legislazione, per quanto essa abbia buone intenzioni» e che eccezioni alla legge già esistono per coloro che in coscienza non possono svolgere certi lavori, come i medici che non vogliono fare aborti.INTERVISTANo, non è la Bbc: soprattutto quando si parla di fede...E per poliziotti, politici e professori il sacro non esisteSolo due minuti e 45 secondi di religione ogni mattina, alle 8 meno un quarto nel notiziario più seguito dalle classi dirigenti britanniche, il Today programme. Durante il Thought for the day, «Pensiero del giorno» (così si chiama questo spazio di riflessione spirituale) i rappresentanti delle diverse Chiese tentano di infilare Dio in una fittissima agenda di appuntamenti. Si tratta di uno degli ultimi spazi religiosi ancora mantenuti dalla Bbc. Eppure alle organizzazioni umanistiche e atee quest’ultimo baluardo non piace e il dibattito sull’opportunità di aprirlo ai «laici» è arrivato, lo scorso novembre, fino alla Camera dei Lords. Un segno di quanto fatichi la religione a sopravvivere nella società inglese. Clifford Longley, cattolico, ex corrispondente religioso dei quotidiani Daily Telegraph e Times, consulente del settimanale cattolico Tablet, lui stesso una delle voci più frequenti di Thought for the daytenta di spiegare perché.Come si è arrivati a proporre l’abolizione del «Thought»?«Ci sono due spiegazioni, l’una che non esclude l’altra. La prima è che gli atei sono diventati molto più forti e vogliono danneggiare seriamente le Chiese. La seconda è che il sacro, a differenza di quanto si dice sui giornali, è ancora molto influente e forte nella società e quindi le lobby umaniste vogliono indebolirlo».Ma che posto ha la religione oggi in Gran Bretagna?«È ancora una forza culturale dominante, ha un’influenza sociale importante e non è seriamente in crisi. I sondaggi sulla popolazione tra i 40 e i 50 anni indicano che il cristianesimo (cattolico o anglicano) è ancora la posizione di base cui si ricorre quando non si sa come definirsi dal punto di vista religioso. Le cose cambiano nella fascia di età sotto i 40, quando le persone si dichiarano non appartenenti ad alcuna religione. La tendenza consolidata è che i giovani, allontanatisi dalla Chiesa durante l’adolescenza, tornino da adulti, quando i figli vanno a scuola: non dimentichiamo che in Gran Bretagna le scuole cattoliche sono molto famose e i genitori sono di solito ansiosi che i figli le frequentino...».Ma se le cose stanno così, perché politici come Blair (che ha aspettato di non essere più al potere per diventare cattolico) sostengono di non voler parlare di religione per evitare di offendere una parte dell’elettorato?«L’importanza della religione cambia, in Gran Bretagna, a seconda dell’ambiente sociale. I giornalisti, per esempio, hanno una cultura secolare e sono spesso ignoranti in materia di religione. Lo stesso vale per politici, per avvocati, poliziotti e insegnanti. È diverso invece per la maggioranza della popolazione; anche i politici locali non hanno problemi a dire che appartengono a una certa Chiesa. Insomma c’é differenza tra élites e popolo. Bisogna anche considerare che gli inglesi preferiscono di solito non esprimere emozioni e punti di vista personali e la religione rientra senz’altro nelle cose sulle quali mantenere la privacy».Si dice spesso che la Bbc ha meno interesse nei confronti della religione, anche se ciò non riflette il punto di vista dell’audience.«È senz’altro vero. La Bbc ormai tratta la religione come una questione marginale. Durante l’ultima settimana santa non c’è stato quasi nessun programma religioso, mentre 5 o vent’anni fa la Bbc avrebbe offerto varie proposte sul tema. In parte ciò è dovuto al fatto che la sezione religiosa si trova a Manchester, quindi è emarginata rispetto ai programmi principali preparati a Londra. Ma soprattutto è la cultura secolare a far sentire la religione come un imbarazzo per la Bbc. Fanno eccezione eventi importanti, come sarà certamente la visita del Papa il prossimo settembre».Si nota un crescente conflitto tra protezione dei diritti umani (in particolare la tolleranza per comportamenti «diversi») e istituzioni religiose. Oggi la Chiesa potrebbe ritrovarsi a gestire la protesta dei suoi dipendenti contro i simboli religiosi...«La Chiesa è contro l’intolleranza verso persone di sesso o religione diversi, quindi in teoria non dovrebbe esserci problema. Penso però che la legge sulle pari opportunità lasci spazio a interpretazioni differenti e non c’è dubbio che potrebbe essere usata per rendere la vita più difficile alle istituzioni religiose».Insomma, il bilancio dei rapporti tra Stato e Chiese in Gran Bretagna secondo lei qual è?«Credo che comunque oggi ci si renda conto di come tutta la società abbia bisogno delle Chiese, che rappresentano un importante capitale umano».
Silvia Guzzetti

Haiti:sulla fragilità umana


Grande articolo di Antonio Socci!!Dovremmo leggerlo e rileggerlo 10000 mila volte perchè è il senso di tutto!!


L’inferno di Haiti e il Paradiso
16 gennaio 2010

Basta un piccolo starnuto del pianeta, in un minuscolo francobollo di terra come Haiti, e sono spazzati via migliaia di esseri umani. Anche un microscopico virus è in grado di uccidere milioni di persone. Sono tutte manifestazioni di una stessa fragilità, di uno stesso destino. Tutti documenti della nostra misera condizione mortale.
C’è una sola “malattia”, trasmessa per via sessuale, che porta inevitabilmente alla morte l’umanità intera e non ha cure possibili. Non è l’Aids. Ne siamo affetti tutti, ad Haiti come qui. Si chiama: vita.
E’ una “malattia” anche stupenda (per questo la scrivo fra virgolette), è una “malattia” che amiamo, a cui stiamo attaccati con le unghie e con i denti. Ma solitamente non riflettiamo sulla sua natura effimera e quindi l’amiamo in modo sbagliato, dimenticando che dobbiamo scendere alla stazione e siamo destinati a un’altra dimora.
Quando arrivano grandi tragedie, personali o collettive, apriamo gli occhi sull’estrema fragilità della nostra esistenza e – svegliandoci – ci sentiamo quasi ingannati. Come se non sapessimo che siamo di passaggio.
Sì, siamo tutti malati terminali. Ma noi dimentichiamo di essere sulla soglia della morte dal primo istante di vita. Lo rimuoviamo.
Anzi, quasi tutto quello che facciamo ogni giorno ha questa segreta ragione: farci dimenticare il nostro destino, esorcizzare la morte, preannunciata dalla decadenza fisica, dalle malattie, dalla sofferenza, dal dolore altrui. Distrarci, come diceva Pascal: il “divertissement”.
Ormai la nostra mente è organizzata come un vero e proprio palinsesto televisivo: c’è la mezz’ora dedicata alla tragedia di Haiti dove magari si chiama a parlarne non i missionari, non organizzazioni come l’Avsi che da anni lavorano in quelle povere terre, ma Alba Parietti e Cristiano Malgioglio. Poi, subito dopo, il telecomando passa ai quiz, alle ballerine sgallettanti, alle chiacchiere (politica o sport) eccetera.
Tutti modi – si dice – “per ingannare il tempo”. In realtà per ingannare noi stessi, per dimenticare il destino . Perché il nostro insopprimibile desiderio è di vivere sempre, è di essere felici, e ci è insopportabile l’idea della morte e dell’infelicità.
Così, anche quando parliamo seriamente di tragedie come quelle di Haiti, con la faccia compunta, tocchiamo tutti i tasti fuorché quello.
Parliamo dell’emergenza (e va bene), degli aiuti da mandare (e va benissimo), della miseria di quei luoghi (verissima), poi varie storie e considerazioni, finché uno guarda l’orologio perché deve andare al tennis, un altro sbircia il telefonino e un altro ancora sussurra al vicino “ma quand’è che se magna?”.
Ricomincia il tran tran. E gli affanni. E l’ebbrezza di essere padroni della nostra vita. E le illusioni. Eppure il più grande “filosofo” di tutti i tempi chiamò “stolto” colui che riempiva il suo granaio illudendosi di poterne godere all’infinito: “stanotte stessa ti sarà chiesta la tua anima…”.
Perché un giorno tutti dovremo rispondere dei nostri atti e di come abbiamo speso il nostro tempo. In quanto la vita è un compito. Anche se ormai gli stessi preti parlano raramente dell’Inferno e del Paradiso a cui siamo destinati.
Pensiamo che inferno e paradiso siano da fuggire o cercare qui sulla terra. “Haiti, migliaia in fuga dall’inferno”, titolava ieri la prima pagina della “Stampa”. Altri giornali raccontavano i “paradisi tropicali” dei turisti a pochi passi dall’orrore haitiano.
Solo la Chiesa ci dice che c’è un Inferno ben peggiore di Haiti (ed eterno) da cui fuggire. E un Paradiso da raggiungere, di inimmaginabile bellezza e gioia, in cui tutte le lacrime saranno asciugate.
Il solo conforto oggi di fronte all’enormità del dolore di tutta quella povera gente e di fronte a tanti morti, è proprio questo: sperarli (e pregare per questo) fra le braccia del Padre, finalmente nella felicità certa, per sempre.
Ma noi, davanti alla nostra stessa morte (che è certa, inevitabile), che speranza abbiamo? Proviamo a rifletterci. Per me la sola speranza autentica è in Colui che ha avuto pietà della sorte umana, Colui che ha il potere vero e che ripagherà ogni sofferenza con un felicità senza fine e senza limiti.
Per questo la Chiesa c’è sempre, dentro ogni prova dell’umanità, dentro ogni “inferno” terreno com’è Haiti (provate a leggere le testimonianze accorate da là dei missionari). C’è per portare agli uomini la compassione di Dio, la sua carezza, il suo aiuto e soprattutto per aprire le porte del suo Regno.
“Ti sei chinato sulle nostre ferite e ci hai guarito” dice un prefazio della liturgia ambrosiana “donandoci una medicina più forte delle nostre piaghe, una misericordia più grande della nostra colpa. Così anche il peccato, in virtù del Tuo invincibile amore, è servito a elevarci alla vita divina”.E la cosa grande che ci porta Gesù, il Salvatore degli uomini, non è solo questa, ma la resurrezione, la vittoria sulla morte, cosicché nulla di ciò che abbiamo amato andrà perduto.
Diceva don Giussani: “Cristo risorto è la vittoria di Dio sul mondo. La sua risurrezione dalla morte è il grido che Egli vuole far risentire nell’animo di ognuno di noi: la positività dell’essere delle cose, quella ragionevolezza ultima per cui ciò che nasce non nasce per essere distrutto. ‘Tutto questo è assicurato, te lo assicuro, Io sono risorto per renderti sicuro che tutto quello che è in te, e con te è nato, non perirà’ ”.Come si fa allora a non gioire, anche nelle lacrime? Come si fa a non affidarsi – anche nella tragedia – all’unico che salva?
Voglio dirlo con le parole di san Gregorio Nazianzeno: “Se non fossi tuo, mio Cristo, mi sentirei una creatura finita. Sono nato e mi sento dissolvere. Mangio, dormo, riposo e cammino, mi ammalo e guarisco, mi assalgono senza numero brame e tormenti, godo del sole e di quanto la terra fruttifica. Poi io muoio e la carne diventa polvere come quella degli animali che non hanno peccati. Ma io cosa ho più di loro? Nulla, se non Dio. Se non fossi tuo, Cristo mio, mi sentirei creatura finita”.

Antonio Socci

Da “Libero”, 16 gennaio 2010