mercoledì 12 gennaio 2011

in ogni persona il volto del Signore:santa Caterina da Genova

Oggi come nella liturgia ,dove si racconta della guarigione della suocera di Pietro e così nel richiamo al devastante e terribile terremoto di Haiti e poi ancora nell' udienza del Papa sulla figura di Santa Caterina da Genova c'è una costante : la riflessione proposta dal Signore sulla sofferenza e sul peccato che deve spingerci a non aver paura ma essere vicino alla MANO di Cristo ed afferrarla per seguirlo nostante tutte le tribolazioni .

Il Papa all’udienza generale parla di Santa Caterina da Genova: il Purgatorio non è un luogo ma un fuoco interiore



Santa Caterina da Genova, una laica vissuta a cavallo tra la metà del 15.mo secolo e il primo decennio del 16.mo, è stata questa mattina al centro dell’udienza generale di Benedetto XVI in Aula Paolo VI. Il Papa si è soffermato in particolare sulla descrizione che la Santa fece del Purgatorio, da lei indicato come una condizione interiore dell’anima che risale gradualmente all’originaria purezza divina. Al termine dell’udienza, Benedetto XVI ha ribadito che l’epoca attuale mette in luce per i cristiani “l’urgenza” di annunciare il Vangelo “con la loro vita”. Il servizio di Alessandro De Carolis: RealAudioMP3

Non un luogo di tormenti sottoterra, ma un fuoco interiore che purifica l’anima. Cinquecento anni fa, così una donna genovese – che di mestiere faceva la direttrice del più grande ospedale cittadino dell’epoca – descrisse il Purgatorio. Nessuna scena apocalittica, come sarebbe stata più in tono con la sensibilità del tempo, ma l’immagine semplice e moderna di una fiamma che, consumando il peccato, riporta l’interiorità di un essere umano alla primitiva lucentezza. Ai novemila fedeli assiepati in Aula Paolo VI, Benedetto XVI ha riproposto la visione per cui la Santa di Genova passò alla storia, inquadrandola all’interno della sua vita di moglie e persona socialmente in vista, tentata da un decennio di mondanità che produce solo “vuoto” e “amarezza”, fino ad approdare all’incontro cruciale con Gesù, il 20 marzo 1473, durante una confessione bruscamente interrotta:

“Inginocchiatasi davanti al sacerdote, ‘ricevette - come ella stessa scrive - una ferita al cuore, d’un immenso amor de Dio’, con una visione così chiara delle sue miserie e dei suoi difetti e, allo stesso tempo, della bontà di Dio, che quasi ne svenne. Fu toccata nel cuore da questa conoscenza di se stessa, della vita vuota che conduceva e della bontà di Dio. Da questa esperienza nacque la decisione che orientò tutta la sua vita, espressa nelle parole: ‘Non più mondo, non più peccati’”.

Parte da qui, ha proseguito il Papa, la “vita di purificazione” di Caterina, segnata da un “costante dolore” per il peso del peccato, da un profondo contatto con Cristo nella preghiera e dall’acuta percezione della bontà di Dio. In questa esperienza di progressiva “unione mistica” – più tardi raccolta e descritta in un libro dal suo confessore – la futura Santa matura la sua percezione del Purgatorio. Una visione “originale”, ha riconosciuto il Pontefice, che pure non si configura come una vera e propria “rivelazione”:

“Il primo tratto originale riguarda il ‘luogo’ della purificazione delle anime. Nel suo tempo lo si raffigurava principalmente con il ricorso ad immagini legate allo spazio: si pensava a un certo spazio, dove si troverebbe il Purgatorio. In Caterina, invece, il Purgatorio non è presentato come un elemento del paesaggio delle viscere della terra: è un fuoco non esteriore, ma interiore. Questo è il Purgatorio, un fuoco interiore”.

In questa immagine e nei pensieri con i quali Caterina l’accompagna si condensa, ha considerato Benedetto XVI, il raffronto tra il “profondo dolore” patito per le sue personali miserie e l’“infinito amore di Dio” che l’ha perdonata. Anche questo influisce sull’immagine che la Santa genovese ha del Purgatorio:

“Non si parte, infatti, dall’aldilà per raccontare i tormenti del Purgatorio - come era in uso a quel tempo e forse ancora oggi - e poi indicare la via per la purificazione o la conversione, ma la nostra Santa parte dall’esperienza propria interiore della sua vita in cammino verso l’eternità (…) L’anima è consapevole dell’immenso amore e della perfetta giustizia di Dio e, di conseguenza, soffre per non aver risposto in modo corretto e perfetto a tale amore, e proprio l’amore stesso a Dio diventa fiamma, l’amore stesso la purifica dalle sue scorie di peccato”.

La spiritualità dei Caterina da Genova, ha osservato il Papa, si nutre di fonti teologiche antiche, come spesso accade nei Santi che sviluppano un intenso rapporto con il soprannaturale attraverso le letture sacre. Una costante che ha fatto soggiungere al Pontefice:

“I Santi, nella loro esperienza di unione con Dio, raggiungono un sapere’ così profondo dei misteri divini, nel quale amore e conoscenza si compenetrano, da essere di aiuto agli stessi teologi nel loro impegno di studio, di intelligentia fidei, di intelligentia dei misteri della fede, di approfondimento reale dei misteri, per esempio di che cosa è il Purgatorio”.

Attorno alla donna, immersa con grande disponibilità nei suoi doveri di responsabile d’ospedale, si coagulano negli anni entusiasmo e seguaci. Dio e il nosocomio, ha affermato il Papa, diventano i “poli” che riempiono totalmente la sua vita. Ma una vita tutt’altro che persa dietro e dentro fantasticherie interiori:

“Cari amici, non dobbiamo mai dimenticare che quanto più amiamo Dio e siamo costanti nella preghiera, tanto più riusciremo ad amare veramente chi ci sta intorno, chi ci sta vicino, perché saremo capaci di vedere in ogni persona il volto del Signore, che ama senza limiti e distinzioni. La mistica non crea distanza dall’altro, non crea una vita astratta, ma piuttosto avvicina all’altro, perché si inizia a vedere e ad agire con gli occhi, con il cuore di Dio”.

Proprio la particolare dedizione della Santa genovese verso gli ammalati ha suggerito al Papa un pensiero conclusivo:

“Il servizio umile, fedele e generoso, che la Santa prestò per tutta la sua vita nell’ospedale di Pammatone, poi, è un luminoso esempio di carità per tutti e un incoraggiamento specialmente per le donne che danno un contributo fondamentale alla società e alla Chiesa con la loro preziosa opera, arricchita dalla loro sensibilità e dall’attenzione verso i più poveri e i più bisognosi”.

E ai malati, così come ai giovani e ai nuovi sposi, Benedetto XVI ha poi affidato una sua premura al termine dell’udienza generale e dei saluti nelle altre lingue. “Le vicende di questa nostra epoca – ha detto – mettono ben in luce quanto sia urgente per i cristiani annunciare il Vangelo con la vita”. Siate dunque, ha concluso…

“…seminatori di speranza e di gioia (…) a beneficio della Chiesa e del mondo”.

1 anno fa Terremoto ad Haiti:Volti non cifre

DIARIO HAITI/ Un anno dopo, così terremoto e colera hanno "ricreato" un popolo



mercoledì 12 gennaio 2011


Carissimi,

è passato un anno. È incredibile a pensarci: un anno dal terremoto, un anno dal giorno che ha cambiato per sempre la nostra vita, il nostro Paese, le nostre giornate, il cuore di ciascuno di noi. A guardarsi indietro, si ha il solito doppio effetto: da una parte sembra ieri che ci svegliavamo in un incubo mai visto prima, dall'altra sembra passato un secolo, tanto ci sentiamo emotivamente cambiati da allora.

Eppure è davvero un anno, a pensarci bene: sono stati per ciascuno di noi i 12 mesi più difficili della nostra vita e anche quelli che ci hanno cambiati di più, che hanno lasciato un segno indelebile in ciascuno di noi. Oggi le ferite del 12 gennaio 2010 non sono ancora rimarginate. Forse sanguinano meno, ma certo non sono guarite. In tanti ci dicono che ci vorrà del tempo, e noi ci sforziamo di crederci: che il tempo pian piano le guarirà, ma per ora ci sentiamo ancora con il cuore ferito.

Questi giorni del primo anniversario del terremoto sono per noi prima di tutto i giorni della memoria, della preghiera e del ricordo. Pensiamo ai nostri cari, agli amici, ai colleghi, ai vicini di casa, ai conoscenti di sempre. Pensiamo a tutti quelli che non ce l’hanno fatta. Come il giovane Junior, mediatore di pace dell’équipe di Avsi a Port-au-Prince che è morto sotto le macerie della sua casa.

Per tante persone lontane, 230.000 morti sono una cifra assurda e irreale. Per noi invece sono i 230.000 volti delle persone a cui abbiamo voluto bene e che non ci sono più, portate via tanto drammaticamente, in un soffio, da questa immane catastrofe. E così ricordiamo i giorni in cui vagavamo tra le macerie nella nostra città ormai irriconoscibile, senza avere notizie di tanti a cui volevamo bene, incontrando nel nostro andare solo dolore e sofferenza e morte.

Ma pensiamo anche a tutte le persone che abbiamo visto soffrire e morire nelle settimane e nei mesi successivi, i bambini prematuri che non ce l’hanno fatta, le giovani mamme morte per parti in condizioni terribili, i bambini malnutriti portati via in una notte da una banale febbre senza che avessimo un antibiotico per loro, e poi ancora recentemente i malati di colera che non abbiamo potuto salvare in tempo. Queste persone per noi oggi non sono cifre - terribili nella loro drammaticità - ma sono volti, i volti delle persone a cui abbiamo voluto bene.

Ci ritroviamo fra colleghi e amici, ci raccogliamo e preghiamo ciascuno a modo suo, ma insieme, perché questa tragedia ci ha insegnato anche che le nostre differenze di credo e di religione e di corrente religiosa, sono piccolezze senza significato di fronte alla sofferenza e all’immenso valore della vita. Ci sentiamo uniti e ci facciamo coraggio, per ricordarci l’un l’altro che il dolore non deve vincere sulla speranza, che lo scoraggiamento non deve prendere il sopravvento.

Nel nostro anno terribile, abbiamo scoperto anche la grandezza della speranza che ci ha spinti sempre a guardare al domani, il coraggio di chi ha saputo rialzarsi e ricominciare, il valore dell’amicizia e della solidarietà. Il trionfo della vita sulla morte, sempre. Oggi, nella nostra città ancora martoriata, distogliamo gli occhi dalle ferite dei crolli e dei cimiteri, per fissarci invece sui piccoli e timidi cantieri, sulle carriole che percorrono su e giù le nostre strade, sugli umili mercati che raccontano una vita che riparte dal basso. Noi oggi vogliamo vedere il domani di Haiti.

Abbiamo imparato tanto da quest’anno. Grazie alla straordinaria solidarietà di tutti gli amici di Avsi abbiamo soccorso la nostra gente fra le macerie, abbiamo costruito campi per decine di migliaia di persone, abbiamo portato milioni di litri di acqua e imparato come trattare i nostri piccoli bambini troppo magri per vivere, abbiamo permesso a oltre 2.000 mamme di salvare i propri piccoli semplicemente allattandoli, abbiamo permesso che ognuno dei nostri 15.000 bambini trovasse un posto dove sorridere e giocare e vivere momenti sereni.

Abbiamo fatto mille lavori e imparato con umiltà che non sappiamo fare tutto, ma che possiamo provarci. I nostri insegnanti hanno fatto scuola all’aperto, poi sotto i teloni, poi in tenda, poi sotto le tettoie. Ora sono dentro le loro classi, con i nostri quasi 5.000 bambini che nonostante tutto hanno terminato l’anno scolastico. Orgogliosi di esserci. Le nostre infermiere hanno cercato i bambini malnutriti di maceria in maceria, poi dentro le tende bianche in mezzo ai campi rifugiati, poi nelle strutture provvisorie, e ora finalmente 15.000 tra mamme e bambini hanno una struttura vera dove rivolgersi.

Ma il risultato piu grande per noi è che oggi come il 12 gennaio 2010, la nostra gente la mattina si alza e trova il coraggio di cominciare, il coraggio di coltivare la speranza nel futuro. È questa la loro forza, e questa la nostra certezza per il domani.

Un pensiero speciale agli amici che non ci sono più e al collega Junior. Noi non dimenticheremo il giorno in cui Haiti ha insegnato al mondo il coraggio della speranza.

(Fiammetta Cappellini)

In Italia per non dimenticare Haiti AVSI con AGIRE è a Roma il 12 gennaio alla Casa del Cinema, ore 10:30, Villa Borghese, Largo M. Mastroianni, 1. Maggiori info su www.avsi.org